*di Igino Lanforti* Scusatemi se questa volta parlerò solo di me, e non dei nostri ragazzi, ma credo che possiamo condividere questa storia, perché ogni tanto ci fa anche bene vedere le nostre debolezze.
L’inizio di un anno di lavoro con i ragazzi è sempre stimolante. Quest’anno, dopo un’estate molto, molto rilassante, mi sentivo un leone, pronto a qualsiasi impresa. Ma la fregatura era dietro l’angolo….
Come stavo dicendo, ero pronto a tutto, anzi, quasi a tutto, perché quella classe… quella quinta che nessuno voleva perché erano impossibili, è toccata proprio a me.
Tutti, ma proprio tutti parlavano male di loro, e a ragione. Nessuno era sopravissuto con loro per più di un anno. Tutti erano scappati.
Anch’io mi ero già preparato il mio bel discorso da fare al Preside; perché ci sono classi con cui uno ha feeling e altre no. Quella no!. Innanzitutto erano troppi, trenta ragazzi scatenati ai quali interessava tutto meno che parlare di Dio, poi li avevo già tenuti lo scorso anno e con estrema fatica e quindi mi meritavo un po’ di riposo. C’erano anche evidenti ragioni logistiche e di orario a supportare la decisione. Insomma, il proposito era chiaro: quest’anno se li prenda qualcun altro!
Il Preside non mi aveva neanche lasciato parlare
Come un pugile che prende il colpo del KO quando meno se lo aspetta, il Preside non mi aveva neanche lasciato parlare e mi aveva comunicato la irrevocabile decisione. In pochi secondi, ad uno ad uno, mi passavano davanti agli occhi i volti di tutti e trenta quei disgraziati e ricordo perfettamente ogni loro smorfia di disappunto, ogni loro sbuffo di noia, ogni loro distrazione con i cellulari nascosti sotto il banco. Ma il peggio doveva ancora venire. Ero rimasto senza parole e avevo abbassato la testa cercando di contenere la rabbia. E’ stato allora che la vicepreside, mia collega di religione, se n’era uscita con la frase più infelice che potesse dire:<perché non vuoi questi ragazzi? Se credi sia una classe troppo difficile e pensi di non farcela ti passo i miei programmi e ti insegno il mio modo di lavorare, io con le altre quinte ho ottenuto risultati ottimi>.
Avrei voluto andarmene sbattendo la porta
Ricordo solo, frastornato com’ero che avrei voluto gridargli in faccia tutta la mia rabbia…ma chi si credeva di essere? Si credeva tanto migliore di me, o voleva solo umiliarmi agli occhi del Preside? E mi era passato per la testa l’idea che forse era meglio lasciar perdere tutto e andarmene sbattendo la porta! Invece, con un sussulto di dignità avevo guardato fisso negli occhi il Preside e gli avevo detto con fierezza che io non mi ero mai scelto i ragazzi con cui lavorare e non lo avrei fatto nemmeno ora, quindi, sarebbe andata bene quella sua decisione, punto e basta!
Cari amici, è facile tenere la schiena dritta per qualche minuto, difficile è tenerla dritta per tutto l’anno. Qualche giorno dopo sono venuto a sapere che il Preside non aveva preso da solo quella decisione, ma c’era stato lo zampino della mia cara collega.
La preghiera non delude mai
L’affronto e l’umiliazione erano per me stati grandi e confesso che non ci ho dormito per giorni. Poi ho fatto l’unica cosa che potevo ancora fare, pregarci sopra. E la preghiera non ha deluso. Mi ha aiutato a guardare dentro me stesso, a chiedermi se ancora considerassi il mio, un semplice mestiere, un compito da assolvere per compiacere qualcuno, oppure… la mia vocazione. Si, questa e la parola giusta: non si parla di Dio se non per vocazione. E’ Lui che precede, chiama, incontra, invia. E allora ho ritrovato me stesso. Quell’incontro, è la mia motivazione per ogni compito. E guardate cari amici, tutto, tutto ruota intorno alle motivazioni. Quando queste vengono meno, perdiamo la rotta, ci stanchiamo, cerchiamo nient’altro che “gratificazioni”, economiche, di poca fatica, di plauso degli altri. Certo che si, ma vorrà dire che abbiamo dimenticato quell’Incontro!
Nella mattine successive nel Breviario mi è stata offerta questa parola:
“NON ASPIRATE A COSE TROPPO ALTE, PIEGATEVI INVECE A QUELLE UMILI. NON FATEVI UN’IDEA TROPPO ALTA DI VOI STESSI” Rm 12,16b
Chi mi ama e mi conosce, sa molto bene quanta considerazione ho di me stesso. Per questo mi ha ricordato con quanta “umiltà” si è accostato a me per potermi incontrare.
Lui non è scappato
Anche io, per Lui, ero come la classe peggiore, disinteressato, irriconoscente, ribelle, traditore, incostante, eppure… ha avuto pazienza, è stato umile, non si è scoraggiato, e, non è scappato!
Qualche giorno dopo un’altra parola mi è venuta in soccorso:
QUANDO SONO DEBOLE E ALLORA CHE SONO FORTE 2Cc 12, 9b-10r
Non ho pi avuto dubbi, non mi restava che rilanciare. Al primo consiglio, nessuno voleva portare in gita quei trenta ribelli, e non potrò mai dimenticare lo sguardo incredulo della vice preside quando mi ero offerto di accompagnarli io.
A scuola i ragazzi sembrano aver intuito tutto e a ogni lezione, mi aspettano con un sorriso di complicità…. e il mio risentimento piano piano si sta sciogliendo.
ESSERE EDUCATORE
L’affronto, l’umiliazione, le situazioni difficili, i contrasti… le fatica di ogni giorno insomma, costellano la vita di un educatore, ma se quello che si fa viene fatto per vocazione, allora tutto acquista un’altra luce e i ragazzi lo capiscono:
l’importante è non scoraggiarsi e pregarci su. In fondo anche noi uomini di fronte a Dio non siamo che ribelli, gente difficile, disinteressati, irriconoscenti… eppure lui con noi non si scoraggia mai!