Siate umanamente santi

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Martin BUBER, L’eclissi di Dio, ed. it. Edizioni di Comunità, Milano, 1961, pp.13-16

*di Luigi Cioni* Scesi nello studio che mi era stato offerto come luogo di lavoro, se ne avessi avuto bisogno, e vi trovai già seduto alla scrivania l’anziano signore. Dopo il saluto mi domandò subito dello scritto che avevo in mano e, saputone il contenuto, mi chiese se ero disposto a leggere ad alta voce. Accettai volentieri. Egli ascoltò gentilmente anche se con meraviglia e alla fine con evidente stupore. Quando ebbi terminato egli intervenne, dapprima esitante e poi sempre più appassionatamente, trascinato a dall’argomento che gli stava a cuore e disse: “Mi meraviglio che le sia possibile di pronunciare tante volte la parola ‘Dio’. Come può pensare che i lettori accolgano questo nome nel modo in cui lo vorrebbe sapere inteso e onorato? Lei intende parlare di colui che è superiore ad ogni avvicinamento, a ogni comprensione umana, proprio questo essere superiore lei vuole indicare; ma in quanto pronuncia il suo nome, lo lascia in balia dell’uomo. Quale altra parola del linguaggio umano fu così maltrattata, macchiata e deturpata? Tutto il sangue innocente che venne versato in suo nome, le ha tolto il suo splendore. Tutte le ingiustizie che fu costretta a coprire hanno offuscato la sua chiarezza. Mi sembra una diffamazione nominare l’Altissimo col nome di ‘Dio’”. Gli occhi chiari come quelli di un bambino lampeggiavano. La voce stessa era infiammata. Poi ci sedemmo di fronte in silenzio per un poco. La stanza era inondata dalla chiarezza del primo mattino. A me sembrava che con la luce entrasse in me una forza.. Non posso riferire esattamente ciò che risposi, posso soltanto accennare al discorso di allora.
“Sì”, risposi, “è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano, nessuna è stata talmente insudiciata e lacerata.. Proprio per questo non devo rinunciare ad essa. Generazioni di uomini hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; ora giace nella polvere e porta tutti i loro fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue. Dove potrei trovare una parola che gli assomigliasse per indicare l’Altissimo? Se prendessi il concetto più puro e più splendido della tesoreria più riposta dei filosofi vi potrei trovare soltanto una pallida immagine di pensiero, ma non la presenza di colui che intendo, di colui che generazioni di uomini, con le loro innumerevoli vite e morti, hanno onorato e denigrato. Intendo parlare di quell’Essere a cui si rivolge l’umanità straziata ed esultante. Certamente essi disegnano smorfie e scrivono sotto ‘Dio’; si uccidono a vicenda e dicono ‘il nome di Dio’. Ma quando scompare ogni illusione e ogni inganno, quando gli stanno di fronte nell’oscurità piena di solitudine e non dicono più ‘Egli, Egli’, ma sospirano ‘Tu, Tu’ e implorano ‘Tu’, intendono lo stesso essere; e quando vi aggiungono ‘Dio’, non invocano forse il vero Dio l’unico vivente, il Dio delle creature umane? Non è forse lui che li ode? Che li – esaudisce? La parola ‘Dio’ non è forse proprio per questo la parola dell’invocazione, la Parola divenuta nome, consacrata per tutti i tempi in tutte le parlate umane? Possiamo rispettare coloro che lo disprezzano perché troppo spesso altri si coprono con questo nome per giustificare ingiustizie e soprusi; ma questo nome non dobbiamo abbandonare e sacrificare. Si può comprendere che vi sia chi desidera tacere per un periodo di tempo delle ‘cose ultime’, perché vengano redente le parole di cui si è fatto cattivo uso. Ma in tal modo non si possono redimere. Non possiamo lavare da tutte le macchie la parola ‘Dio’ e nemmeno renderla inviolata; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacerata com’è, innalzarla sopra un’ora di grande dolore”. La stanza si era fatta molto chiara. La luce non fluiva più, era presente.. L’anziano Signore si alzò, si diresse verso di me, mi pose la mano sulla spalla e mi disse: “Vogliamo darci del TU?” Il colloquio era compiuto. Poiché dove due sono uniti veramente, lo sono nel nome di Dio.

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Quante volte un abbraccio vale più di mille discorsi…

Il nostro discorso sulla relazione sembra non avere più una fine! Eppure credo che tutti stiamo intuendo che alcuni sviluppi sono necessari; che ci può essere un “oltre”, un “di più” che finora non abbiamo esplicitato, ma che si presenta come una necessità. Tutti vediamo che quando “comunichiamo” davvero con una persona, quando si sviluppa qualcosa che ci unisce davvero, quando davvero ci immettiamo nella dinamica del dono (confronta articolo “Donare o fare un regalo” di Luigi Cioni, Sentieri n.6) sentiamo che esiste un qualcosa che non riusciamo a spiegare semplicemente con le nostre qualità umane. Potremmo dire che ci sentiamo davvero “nel cuore di Dio”.
Sembra una affermazione totalmente derivata dalla fede, mentre fino ad ora abbiamo cercato di mostrare le ragioni antropologiche della nostra spiritualità; eppure anche adesso non è così. Certamente l’uomo non si esaurisce nel dinamismo della volontà e della materia. Certamente se cerchiamo di arrivare al fondo del nostro sentire scopriamo qualcosa che va oltre, e che le parole spesso non riescono a dire.
Sicuramente cercheremo di usare tutti i linguaggi di cui possediamo la chiave (quante volte un abbraccio ha significato più di mille discorsi?), sicuramente cercheremo di lasciare spazio anche al silenzio (come nel mio articolo del numero 1 di questa rivista), ma sappiamo che tutte le volte che useremo compiutamente la parola “tu” riusciremo ad aprire delle porte sconosciute, di cui pensavamo di non possedere le chiavi, di cui talvolta ignoriamo perfino l’esistenza.

Dalla terra al cielo Una strada che va dalla terra al cielo, dalla nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio: è questa la strada che dobbiamo percorrere, al di là delle nostre solitudini, dei momenti di buio. è questa la strada che ci permette di entrare in comunicazione vera con gli altri e che ci svela l’esistenza di un “oltre”. Siamo fatti per l’eternità.
Dalla terra al cielo
Una strada che va dalla terra al cielo, dalla nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio: è questa la strada che dobbiamo percorrere, al di là delle nostre solitudini, dei momenti di buio.
è questa la strada che ci permette di entrare in comunicazione vera con gli altri e che ci svela l’esistenza di un “oltre”.
Siamo fatti per l’eternità.

Certamente non sappiamo minimamente dove conducano!
Sappiamo solo che il nostro cuore si apre a dimensioni inconsuete, che una gioia inusuale si apre nel nostro animo. Ci sentiamo capaci di qualcosa di più grande della nostra piccola umanità. E anche se queste sensazioni durano poco, se poi ricadiamo abbastanza presto nella quotidianità e nel nostro egoismo (quando addirittura non nella notte dell’anima; confronta articolo “La notte oscura dell’anima” di Luigi Cioni n.4 Sentieri) il loro ricordo basta spesso a illuminarci, a farci coscienti del fatto che possiamo essere capaci di qualcosa di più, di qualcosa di meglio, di qualcosa di più alto.
Ma perché non ci montiamo la testa; perché non confidiamo troppo in noi stessi, io vorrei chiamare tutto questo con il suo vero nome: si chiama Dio. Quel Dio a cui diamo del Tu, perché per primo si è rivolto a noi interpellandoci nella nostra personalità più intima.

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti colo-ro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Gaudium et spes n° 1

Un Dio a cui possiamo dare del Tu, perché la nostra vita (informata della sua presenza) ha imparato a dare del tu alle persone a cui vogliamo bene e sappiamo che quando arriviamo a questo livelli di confidenza (direi di relazione, che non si spiega con nessuna forma di conoscenza o esperienza), come abbiamo detto prima, ci troviamo in un “oltre” inaspettato.
Possiamo quindi percorrere una strada, che certamente è inversa rispetto alla realtà delle cose, ma diretta in base alla nostra esperienza; una strada che va dalla terra al cielo; dalle nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio.
Diceva Rabbi Menahem Mendel di Kotzk “Dio dice all’uomo: Siatemi umanamente santi!” e perché non crediamo che questo modo di sentire sia esclusivo di chi vive nella tradizione cristiana riporto altri due aneddoti ebraici che credo chi possano fornire spunti di riflessione:
Un discepolo chiese al suo rabbi: Perché vi scagliate sempre con violenza contro la ricchezza?
Il rabbi rispose: Figlio mio guarda dalla finestra; che cosa vedi? Il discepolo rispose: Vedo due donne che stanno conversando, una mamma col proprio bambino; due ragazzi che giocano in strada e un uomo che sta andando a lavorare.
Bravo! – esclamò il rabbi – adesso guarda verso lo specchio. Cosa vedi? (vorrei ricordare che per fare una specchio occorre stendere un sottile velo di argento dietro un vetro)
Rabbi, vedo me stesso!

ascolta: Sergio Cammariere: "mi troverai "
ascolta: Sergio Cammariere: mi troverai

Ecco! – esclamo il rabbi – Vedi? Basta pochissimo argento e l’uomo vede solo se stesso!”
Rabbi Davide senti un giorno un uomo semplice che, pregando, alla fine di ogni versetto diceva il nome di Dio. Questo avveniva perché alla fine del rigo stanno due punti uno sull’altro. (segno di punteggiatura, si chiamano iud che significa anche ebreo; nella tradizione ebraica, inoltre, il nome di Dio, impronunciabile, si abbrevia con due iud una accanto all’altra. Egli, nella sua semplicità credeva che il segno di punteggiatura fosse il nome di Dio).
Il rabbi allora gli disse: quando tu trovi due iud (o due giudei) uno accanto all’altro, lì è il nome di Dio. Ma dove uno iud sta sopra l’altro; lì Dio non può stare.

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L’amico ritrovato di Fred Uhlman Feltrinelli 1986
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