INCUBI VIRTUALI

*di Daniela Novi

Mille colori ruotavano intorno a Giorgio come schegge colorate di un arcobaleno impazzito. Non aveva mai visto tutti gli oggetti del suo desiderio, le cose e le persone a lui più care riunite intorno a sé nello stesso tempo.  I “cuori della vita” di Minecraft danzavano felici con i mostri del “livello difficile”, mentre i blocchi della “dimensione avventura” si componevano in meravigliose costruzioni dove finalmente ogni fame arrivava a “sazietà”. Il “drago dell’End” cantava felice:”Giorgio è il super vincitore, Giorgio è il super vincitore!”. Le foto dell’archivio di Facebook si posavano su quelle più recenti come foglie colorate su un prato grigio. Dal sorriso di mamma ritratta durante l’ultimo pranzo di famiglia in paese  sgorgavano all’improvviso miriadi di “like”, mentre l’indice e il medio di papà disposti a forma di “V”, per celebrare la vittoria della Juve, si allungavano paurosamente, fino a stringere nel mezzo tutti gli altri protagonisti del selfie: i cugini Maria e Andrea, zio Gino, il cane Bijoux  e persino la nonna, che, tentando di scampare a quella morsa mortale, si attorcigliava come un serpente intorno all’asta del cellulare, sibilando: “Voglio scattare io!”. Le vignette di WhatsApp si gonfiavano a dismisura fino a contenere parole su parole, emoticon tristi, felici, dubbiosi e arrabbiati; mani giunte, plaudenti, pollice in su, pollice in giù, saluti in bianco, nero e blu; torte,panini, barche, aerei, cani, gatti e cincillà; frecce a destra, a sinistra, in alto, in basso e poi di nuovo dromedari, ermellini, alberi, fiori, sole, luna, stelle, pioggia, pizza e macchinine, finchè un punto esclamativo con una capocchia grande quanto uno spillo faceva esplodere il baloon affollato e una pioggia di lettere silenziose ricopriva il volto di Giorgio incantato da quel disordinato discorso. Ed ecco, dal fondo più remoto di quella variopinta sarabanda, come una nuvola che dall’orizzonte preannuncia un temporale imminente, avanzava minaccioso capitan Netflix, che trascinava dietro di sé l’esercito delle fiction, dei film, delle serie più avventurose, interessanti e intriganti mai trasmesse. La Casa di carta, Sherlock Holmes, Gossip girl travolgevano Giorgio in un turbinio di emozioni e sentimenti, mentre non stava nelle pelle consumando uno dopo l’altro  i mille episodi dei suoi eroi dello schermo, incurante del tempo che passava e degli occhi che si stancavano. “Tu dimmi se pensavi solo ai soldi, soldi…”: le note del rap di Mahmoud si levavano sempre più alte, sovrapponendosi al volume dello schermo, mentre Omy e Giusy Ferrreri, Jovanotti ed Ed Sheeran, Bach, Chopin e Mozart, samba, zumba e cha cha cha intonavano uno strano concerto sotto la guida sapiente del grande maestro Spotify.  Ad un certo punto Giorgio sentiva gli zigomi della pelle distendersi fortemente sia a destra che a sinistra, inglobando fronte, narici e mento a formare un unico grande rettangolo, in cui gli occhi si spalancavano fino a diventare due video riceventi, su cui le immagini si susseguivano tumultuose, come un unico grande zapping, che trasmetteva di tutto senza mettere a fuoco niente. Le orecchie si trasformavano in due enormi antenne paraboliche, che captavano anche il minimo sussurro, il vibrato del vento e il fruscio delle foglie, senza capirne la provenienza . La parte inferiore del corpo si allungava e si approfondiva assumendo la forma di una grande cassa di risonanza, mentre dalla bocca uscivano suoni inarticolati, che racchiudevano tutte le lingue del mondo, senza parlarne nessuna. Un pubblico straordinario di persone in ascolto, distese su un unico grande divano guardava ammirato il Giorgio che fu e che è, cercando di toccarlo, posizionarlo, orientarlo, decodificarlo, stamparlo, replicarlo, abbracciarlo…AHHHH! BASTA! Giorgio si sveglia urlando nel sonno. La mamma accorre, temendo il peggio. Giorgio è seduto sul letto, madido di sudore, con le cuffiette nelle orecchie, il cellulare nella mano destra, l’ipad nella sinistra, il pc sulle ginocchia, senza sapere se il peso che lo opprime è più sul corpo, nella mente o dentro il cuore. “Hai fatto tardi anche stanotte, quante volte devo dirti che ti fa male stare davanti allo schermo per ore, perdi sonno e lucidità svegliandoti come uno zombie?”, sussurra la mamma nel silenzio della casa. “Sì, mamma, hai ragione, ora spengo tutto.” La mamma, per precauzione, stacca i fili della terapia virtuale di Giorgio e porta fuori della stanza ogni dispositivo elettronico. Giorgio, ancora affannato dal brutto sogno, torna a distendersi, ma fatica a riaddormentarsi.

Il giorno dopo si alza a fatica, ma ha compito in classe e deve andare a scuola. La prof sequestra i cellulari per non copiare. Nell’aula l’assenza di rumore taglia l’aria e ordina i pensieri: Giorgio attinge a quello che sa, distratto da ciò che ha visto e sentito nella notte agitata e nelle numerose ore di connessione. L’esito non è abbondante, ma il vero silenzio sa comunque di qualcosa. Alla fine delle lezioni torna a casa. Lungo la strada incontra Luca con la bici che lo invita a fare un giro. Sopraggiunge Tony: “Giorgio, oggi da me come sempre? Partita con la play e stasera  l’ultimo episodio di “Joint Venture”: sigla iniziale e pop corn sprofondati in poltrona. Te gusta?” Ha appena piovuto. Un timido sole fa capolino tra le nuvole, donando generoso un arco di luce e colori sull’orizzonte segnato dal mare. Il profumo della terra bagnata fa sentire che ci sei. “No, Tony, oggi non mi va. Luca, vado a prendere la bici e ti raggiungo.” Giorgio sente il cellulare nella tasca che vibra, mamma rientra tra due ore… un tempo sufficiente per respirare la vita vera e regalargliene il profumo.