GESÙ MAESTRO DI CARITÀ

di don Valerio Barbieri*

Uno degli appellativi di Gesù più frequenti nei vangeli è “maestro”. E un maestro in effetti era, tanto da avere dei discepoli. Essendo io un biblista, e non un pedagogista o un catecheta, mi limiterò a qualche spunto di riflessione a partire da un episodio evangelico legato alle celebrazioni pasquali, che ci può aiutare a conoscere meglio lo stile educativo di Gesù e, perché no, aiutarci a imitarlo, qualora avessimo anche noi nella Chiesa un ruolo educativo, magari anche semplicemente in quanto genitori.
L’episodio che ho scelto è la lavanda dei piedi. La sera dell’ultima cena con i suoi discepoli Gesù «quando ebbe lavato loro i piedi, riprese
le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: “Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo
sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”» (Gv 13,12-15).
Noi abbiamo capito quello che Gesù ha fatto per noi? Spesso si commenta questo gesto di Gesù mettendo in evidenza l’importanza di farsi
servi degli altri, essere disponibili ad un servizio. Tutto qui? Ora Gesù stesso, dopo quel gesto, dice di averci dato l’esempio e che ci dobbiamo
lavare i piedi gli uni gli altri. Certamente non è da interpretare alla lettera questa raccomandazione di Gesù. Nessuno infatti ci ha insegnato che dobbiamo lavare i piedi agli altri! E allora qual è l’esempio che ci ha dato? E come possiamo imitarlo?
Non dimentichiamoci che Giovanni ci riporta questo episodio nel contesto dell’ultima cena, in parallelo agli evangelisti che ci raccontano l’istituzione dell’Eucarestia. C’è un legame profondo tra questi due racconti, tanto è vero che noi li ascoltiamo entrambi nella liturgia del Giovedì Santo, giorno in cui cominciamo le celebrazioni pasquali. Non si può capire cosa intenda Gesù per esempio se non si coglie questo legame tra i due episodi e soprattutto con quello che avverrà di lì a poco: Gesù offrirà la sua vita per la salvezza del mondo. Ecco l’esempio! Ecco cosa intende dire Gesù con “fate questo in memoria di me”. Certamente significa “ripetete questi gesti”, ed è quello che facciamo celebrando la S. Messa, ma ci vuole anche dire “offrite anche voi la vita per me e per gli altri”.

Quanto ho tentato di esprimere in queste poche righe è ciò che dovrebbe contraddistinguere il servizio cristiano, ciò che rende il servizio
davvero carità! Per fare servizio nell’SVS piuttosto che alla Croce Rossa, etc… non c’è bisogno di essere cristiani… Quindi vuol dire che il servizio è per tutti… Noi invece vogliamo educare i nostri giovani non solo al servizio, ma alla carità, alla donazione totale di se stessi all’altro, sull’esempio di Gesù. Ritengo fondamentale che i ragazzi entrino in questa dimensione interiore, per evitare due errori: pensare che il servizio e la carità siano la stessa cosa; pensare che si possa esercitare la carità solo facendo un servizio, inteso come qualcosa di concreto da fare. Si può offrire la propria vita al Signore in tanti modi, anche con la sola preghiera! Pensiamo al momento che stiamo vivendo, chiusi in casa e impossibilitati a compiere molti servizi… Può essere un tempo di grazia per comprendere che in tanti nostri attivismi, in cui spesso coinvolgiamo anche i giovani, spesso la dimensione interiore è marginale, e non si sta educando alla carità.