“LEO E BEATRICE” OVVERO “BIANCA COME IL LATTE, ROSSA COME IL SANGUE”

di Luigi Cioni*

Non so se sto peccando di presunzione nell’affermare di aver capito qualcosa, ma a partire esclusivamente dalla mia esperienza, mi pare
di poter dire che se crediamo, in una qualsiasi attività educativa, di poter procedere in modalità deduttiva, di poter fare affidamento cioè su
idee, astratte, ben assimilate e consolidate, e da lì costruire la nostra prassi e la nostra comunicazione pedagogica, ritengo che saremo destinati ad un inesorabile fallimento.
Cerco di spiegarmi meglio, facendo riferimento a me stesso. La mia generazione si riconosceva in alcune idee, aderiva intellettualmente
a delle proposizioni che ritenevamo convincenti, quando non addirittura ovvie e indiscutibili, e da lì riuscivamo a trarre un dover-essere
che informava la nostra vita, pur tra errori e fallimenti, ripartenze e successi. Questo anche nella nostra ricerca di essere cristiani: il punto
di partenza era la fede! Da essa, più o meno consapevolmente, discendevano le nostre scelte che volevano, o almeno ci provavano, essere
coerenti con ciò che affermavamo con le parole. Quindi: “l’amore per il prossimo”, la “cura”, perfino la preghiera e la meditazione.
Quanto questo fosse convinzione o tradizione, motivazione interiore o posa, per alcuni aspetti è stato dimostrato dall’incedere del tempo
che, inesorabile, ha mostrato, nei nostri volti riflessi nello specchio, non solo le immancabili righe, ma come novelli Dorian Gray, anche le
nostre contraddizioni ed il nostro io più autentico (o forse umanamente inautentico).
Credo che da questo processo la generazione attuale si sia più o meno consapevolmente emancipata e, anche quando chiediamo conto ai nostri ragazzi e giovani della loro capacità di dono, di altruismo, di charitas, di cura e di agape, come necessità di coerenza di fede, forse ciò che ci sapranno, o vorranno restituire, altro non sarà che un comportamento, un atteggiamento. Scelte, fatte in nome di moto interiore, di una empatia che ha mutato la loro vita, magari anche in maniera sconvolgente, senza che neppure sappiano elencarne i motivi razionali. Quindi direi, in modo induttivo, per certi versi.

Si parte dall’esperienza, dal desiderio, dalla “voglia”, si arriva alla scelta esistenziale e, forse solo dopo, alla consapevolezza ideale.
Questo processo sta alla base di un libro che tutti abbiamo letto, magari con un po’ di sufficienza e di paternalismo (soprattutto noi anziani),
ma da cui non possiamo dire di non essere stati, almeno in parte, toccati: Bianca come il latte, rossa come il sangue, romanzo di esordio di
Alessandro D’Avenia (Mondadori, Milano 2010) Mi riferisco al libro, più che al film che ne è stato tratto (Italia, 2013), per l’immancabile semplificazione che spesso comporta il passaggio sulla pellicola di un’opera scritta, ma soprattutto perché la scelta di Leo, protagonista della storia, trova nel testo scritto una più accurata espressione.
La scelta della cura, dell’accompagnamento, della assunzione del dolore altrui come proprio, che nasce dall’infatuazione giovanile per una ragazza, lentamente si trasforma e diventa sempre più una scelta di consapevolezza. Il ragazzo è costretto a guardarsi dentro, a trovare la fonte del suo dolore, e al contempo della sua volontà di non sottrarsene, come invece la sua istintività di superficiale desiderio di sopravvivenza gli suggerirebbe. Questo processo lo porta a scoprirsi, alla fine, diverso. Diverso perché più capace di distinzioni, di maggiori profondità, di gioia che non derivi solo dal banale divertimento, ma da sorgenti più antiche e autentiche.
In poche parole capace di carità. Capace di amore! Una capacità che non gli deriva dalla adesione intellettuale a delle categorie concettuali,
ma dallo sguardo di Beatrice. Dal suo volto, in cui Leo desidera trovare, o forse solo intravede, la sua personale possibilità di essere un di più,
un altro.
Da tutto questo nasceranno anche le idee, la consapevolezza, le scelte? Nessuno lo sa! Nemmeno lui. Sa solo che ha sentito un richiamo, una vocazione, diremmo noi più vetusti. Per adesso ci sono le domande. Le risposte verranno. Forse anche solo un nuovo amore, più consapevole, magari educato da una vita condivisa.