GESÙ, COLUI CHE CI MOSTRA DIO PADRE

*di Matteo Salvemini

«Quanto è pericoloso credere in Dio, tanto è garante e benefico e salvifico credere in Dio Padre». La prima volta che lessi queste parole, provenienti dagli scritti di David
Maria Turoldo, rimasi in silenzio. Non avevo mi ero mai soffermato su quelle semplici parole che pronunciamo ogni domenica a messa all’inizio del Credo. Le davo per scontate, come un semplice pro forma che ribadiva un concetto ormai acquisito. Invece, grazie a Turoldo, ho capito come non vi fosse nulla di ovvio nel dire “Dio Padre”.
Non a caso il motto «Ad maiorem Dei gloriam» (“per maggiore gloria di Dio”) ha animato nel passato «le interminabili lotte di religione, i fanatismi, le sacre inquisizioni, le guerre sante»1. Nel nome di Dio è stato sparso molto sangue, compreso quello di Gesù, che, come ci ricorda il Vangelo di Matteo, «è reo di morte» perché «ha bestemmiato»2 .

Gesù va incontro alla morte per un concetto di Dio sbagliato. La salvezza non viene dal credere in Dio, ma dal credere in Dio Padre; «credere, per mezzo del Figlio, Gesù Cristo nell’unità del loro unico e medesimo Spirito, che è l’Amore senza fine»3 .
Ecco così che la preghiera di Cristo risuona come preghiera di tutti i credenti verso il Padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».4

GESÙ, UOMO LIBERO
Il fanatismo è nemico della fede. La fede rende l’uomo compartecipe della vita con un senso di profondo mistero, di fronte al quale dialoga con Dio in un profondo silenzio. La superstizione, affermando vacue e inverificabili certezze, fa sentire l’uomo sullo stesso piano di Dio e lo esorta a farsi giudice di quell’umanità di cui lui stesso è parte. Il fanatismo è il germe dell’intolleranza e di tutte le sopraffazioni. Assai pericolosa è quella che Turoldo chiama la «dittatura religiosa», in cui la religione diviene il grimaldello attraverso il quale invadere ogni spazio del cuore e della mente. A perire è la libertà dell’uomo. Ma Cristo per primo è uomo libero ed è dalla sua libertà che proviene la controversia nei suoi confronti da parte degli altri giudei. Come ricorda Duquoc, nei Vangeli viene di continuo rinfacciato a Gesù «di vivere secondo usi e costumi che fanno pensare che egli sia peccatore». Gesù viveva secondo una libertà che a quel tempo «nessun uomo timorato di Dio osava attribuirsi»5 . Da questa libertà manifesta deriva la sua successiva condanna a morte. Ma che libertà è quella di cui Gesù è testimone? Per rispondere a questa domanda, trovo illuminanti le parole di Paolo Ricca, teologo valdese: «La libertà di Gesù non è oggetto di un discorso ma di vita; è una libertà che si invera nella prassi»6.

Gesù vive nella libertà e la sua vita è un esempio pratico da tenere sempre a mente e da attuare, in quanto fratelli e sorelle liberi e libere in Cristo.

GESÙ, L’INSOCIEVOLE
Gesù era il primo ad essere consapevole che le sue idee non sarebbero state accettate da tutti. Non a caso lui stesso definisce sé stesso come «la spada». Le idee sono divisive. Nessuna idea nella storia dell’uomo ha mai unito spontaneamente tutti gli uomini e le donne del mondo. Questo ampio supporto ha sempre interessato solo unamaggioranza più o meno ampia di individui ed è stato creato di volta in volta  ricorrendo o alla coercizione o alla propaganda. Non è un caso che, già all’alba del pensiero,Eraclito affermasse: «Polemos è padre di tutte le cose»7. Le idee sono destinate fra di loro a confrontarsi e, in alcuni casi, anche a scontrarsi. Gesù stesso, rivolgendo la sua parola ai farisei, provoca innumerevoli scontri intellettuali che si risolvono spesso e volentieri in condanne e accuse reciproche. Tutto ciò accade perché l’uomo si rapporta con i suoi simili secondo un rapporto di “insocievole socievolezza”, come definito da Kant. L’uomo ha necessità di vivere insieme ad altri individui ma al tempo stesso vorrebbe comandare su di essi. Eppure, la discordia fra gli uomini è necessaria al progresso, perché ogni individuo, nel tentativo di essere migliore degli altri, migliora la società. Ma come evitare che questa necessaria discordia non sfoci in scontri violenti e infruttuosi, ovvero che non innescano il progresso sociale di cui parla Kant? La risposta che mi sono dato viene dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, dove è scritto:
«In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale. Parliamo di un dialogo che esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno sempre essere sostenute»8 .

1 David M. Turoldo, Amare. “Non dire nulla cerca solo di essere”, Edizioni San Paolo, Milano 2002, pag. 39
2 Mt. 26, 65-66
3 David M. Turoldo, ibid., pag. 40
4 Gv. 17,3

5 Ch. Duquoc, Gesù uomo libero, Brescia 1974, p.50

6 P. Ricca, La libertà di Gesù

7 Eraclito, Sulla natura, frammento 53, in Hermann Diels, Walther Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti,

a cura di Angelo Pasquinelli, Einaudi, Torino, 1976
8 Francesco, Lettera enciclica Fratres omnes (3.10.2020), n. 211