SINTONIZZATI CON IL SIGNORE!

*di don Matteo Giavazzi

I miei ragazzi sono speciali. Ascoltano davvero poco, a volte sono distratti e anche un po’ superficiali. Gli interessi quotidiani, molto spesso, non toccano il cuore. Certe sere, dopo una delle tante giornate trascorse insieme, improvvisamente sanno aprirsi e mostrare la loro umanità: le ferite, la gioia di essere giovani, l’amore, l’amicizia, il tradimento e il perdono. E, quasi alla fine di questo turbinio di emozioni, si interrogano su Dio. E la musica, in questo, è loro alleata.
Anche io, giovane e a volte maldestro parroco, cerco di stare al passo, studiando nuovi brani. E noto che, tra una canzone e l’altra, passa la vita. Per questo, spesso, chiedo a qualcuno di loro: “Oh, che si sente di nuovo in giro? Dimmi!”. La musica, infatti, come un linguaggio universale riesce a descrivere bene le domande di sempre: Chi sono io? C’è Dio? Che senso ha la mia vita? E, me ne accorgo sempre più spesso, sono proprio questi giovani amici ad aiutarmi a incontrare il Signore, a pregare, interrogandomi su come trasmettere alle giovani generazioni la straordinaria e luminosa bellezza che porta il nome di Gesù. E, allora, credo che con la musica sia possibile lasciarci educare dal bello, rispondendo alle domande di sempre.

Chi è Dio? (Lettera dall’Inferno, Emis Killa)

Quando l’ascolti, perlomeno se la leggi da una prospettiva cristiana, resti colpito dal tono graffiante delle parole di questo brano. Si tratta di uno sfogo, capace di dare sintesi ai dubbi che attraversano particolarmente questo difficile momento: Dio esiste? Qual è il vero volto di Dio? Eppure, penso che, proprio nel lavoro con le nostre comunità, sarebbe davvero bello fermarsi e domandarsi: ma io ci credo? O, meglio, come dice il testo: “caro Dio, mi scuso se sono sparito. È che, ultimamente, lo avevi fatto
anche te”. A volte anche a noi piace, con il Signore, tirare la sorte e sfidarlo. Insomma, come mi è capitato alcuni giorni fa con una persona, spesso la fede si basa solo su un “testa o croce” e, in alcune occasioni, fatica ad intercettare la vita quotidiana, trasformandola in un’occasione di cambiamento di se stessi. La speranza, però, vince sempre.
Il brano, infatti, continua: “detti legge nell’universo, perché prendi e dai”. Forse è questo il volto di Dio che tutti cerchiamo nella vita. Il Dio rivelato da Gesù si mostra diverso e sconvolgente rispetto alle nostre aspettative, anche a quelle di un giovane. Lui non prende nulla, dona solo. E il luogo dove avviene questo miracolo è la croce. Contemplando il Crocifisso, che sta lì, con le braccia spalancate, noi crediamo in un Dio che si è fatto amore. Solo così siamo liberi. Liberi perché figli amatissimi del Padre.

Chi sono io? (Sogni appesi, Ultimo)
“Provo a dimenticare scelte che fanno male. Abbraccio le mie certezze, provo a darmi da fare. Ma ancora non riesco a capire se il mondo un giorno io potrò amarlo. Se resto chiuso a dormire, quando dovrei incontrarlo”. Ultimo, un ragazzo prodigio con migliaia di fan, stupisce sempre per la profondità dei suoi testi, che parlano della sua vita, ricca di sofferenze, debolezze, fragilità ma anche forze, sogni e speranze. Una vita vera, piena di tante cose, come è la nostra vita di tutti i giorni. Egli ricorda, infatti, come spesso questa storia sia una sfida: non è facile da vivere ma, troppe volte, ci schiaccia. E verrebbe da chiedersi: cosa resta? Cosa rimane della mia vita e dei miei sogni? Serve un tu, un qualcuno per il quale valga la pena vivere. E, di tu in tu, la fede ci insegna che c’è un Tu con la T maiuscola: il Signore. La canzone continua: “E adesso tirando le somme, non sto vivendo come volevo ma posso essere fiero di portare avanti quello che credo. Da quando ero bambino solo un obiettivo: dalla parte degli ultimi, per sentirmi primo”. L’ideale è la scelta dell’ultimo, allora. Come ha fatto Gesù, dicendoci “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). Scopriamo, in questo modo, che le semplici parole di un ragazzo toccano il cuore del Vangelo. Ci parlano di quell’ultimo un po’ scomodo, di quell’ultimo che non vorremmo desiderare di essere e anche di quell’ultimo che non vogliamo conoscere. Farci ultimi significa scoprirci amati di un Dio che sulla croce si è fatto ultimo per noi. E solo la poesia di un giovane ce lo può insegnare.