LʼERA DEI FIGLI DI INTERNET

*di mons. Simone Giusti

Gli adulti hanno costruito una società “fondata” su Internet, ma poi, se in Rete ci vanno i figli cominciano i problemi e scattano i
divieti. Una modalità educativa che non può funzionare.

1 «Vita reale e vita virtuale si sono talmente intrecciate che ormai parliamo di “onlife”. Oggi si nasce in una società dove sei certamente figlio dei tuoi genitori ma anche di una cultura pervasiva, più ampia, dove l’intreccio tra la vita reale e virtuale fa parte del modo di pensare e crescere i figli e costruisce modelli di identificazione. E quindi, se una volta eri più figlio dei genitori e anche della scuola, oggi la società che gli adulti hanno creato e che promuovono ogni giorno con i propri comportamenti,
è un contesto dove si è anche figli di modelli e realtà intrecciate con quella virtuale. Dove Internet e la verità sono la stessa cosa».

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Ad esempio la mamma organizza separazioni molto precoci (diventando madre «virtuale») ma poi sta sempre in contatto col figlio attraverso il telefonino, con cui controlla i nonni e le tate che lo riprendono a scuola. I gruppi Whatsapp delle mamme governano il mondo scolastico e dell’associazionismo sportivo. Insomma: gli adulti si sono messi dentro Internet, hanno costruito un sistema fondato su di esso, poi quando lo usano i figli lo guardano con sospetto. Trovare un giusto equilibrio tra queste dimensioni diventa allora un’impresa ancora più ardua, soprattutto per i ragazzi. Visto che i primi a doversi mettere in discussione sarebbero proprio i genitori. Che, però, non ci pensano nemmeno, continuando a imporre modelli di comportamento che quando vedono concretizzarsi nei figli, fanno scattare campanelli d’allarme. La domanda centrale che si dovrebbe fare in famiglia, mentre si condivide la cena, è: «Come va sui social?». Invece, si parla di tutto tranne
che di questo. Che è poi la questione vera nell’educazione dei figli adolescenti. Chiedere come va in Internet è fondamentale per i genitori per raggiungere il figlio là dov’è.

E’ come non chiedergli come sta, che cosa sta facendo. Perché questa è la società che abbiamo creato noi adulti. Una contraddizione enorme come quella di vietare l’utilizzo dei social anziché educare a una saggezza nel loro utilizzo. I genitori devono mettere in guardia i ragazzi dai pericoli della rete come si faceva una volta dai pericoli esterni. Ma i figli non li puoi controllare per sempre. A un certo punto li devi delegare alla loro autonomia. A questa età devi allenare le tue capacità fuori dal controllo degli adulti, spesso con gli amici. È sempre stato e sarà sempre così. Per proteggere i figli dai pericoli del mondo di fuori li abbiamo costretti in casa. Ma siccome loro hanno esigenze continue, si sono adattati e sono andati in Internet. Dove si corrono rischi esattamente come si correvano quando si usciva di casa. Ma se prima
si metteva in guardia dai “malintenzionati” non si dice lo stesso per i rischi della Rete.

Dai 30 anni in poi bisognerebbe vietare Internet, mentre dai 30 anni in giù, fino ai 15, renderlo obbligatorio invece si fa esattamente il contrario. In Italia, poi, assistiamo a qualcosa che ha dell’incredibile: dai 19 anni in poi se non usi Internet sei spacciato in qualsiasi area (affettiva, personale, familiare, lavorativa). Dai 19 anni in giù se lo usi sei dipendente da Internet. Non è credibile e non funziona. Invece, bisogna che gli adulti si prendano carico della società in cui hanno chiesto di crescere i ragazzi. Che sono finiti in Internet non perché sono stati catturati ma perché lì, li ha condotti la società costruita dai genitori.

UNA SORPRESA AL SUPER BOWL

*di mons. Simone Giusti*

Stati Uniti: Springsteen, il sogno americano ritrovato in una chiesa La rock star tratteggia la sua idea di America: strada, fede e il valore dell’accoglienza. “La nostra luce ha sempre trovato la sua strada nell’oscurità”. The Middle, realizzato per il marchio Jeep e andato in onda durante il Super Bowl – l’evento che tiene incollato alla tv l’intero Paese – è una summa visiva dell’intera produzione del cantante americano.
Una piccola enciclopedia iconografica (e poetica) ricca di rimandi, attraverso la quale Springsteen, ancora una volta, si propone come il cantore di un’America che, orfana della sua identità, è chiamata ora a ritrovarla nell’unità.
La libertà. Il viaggio. I cavalli. La purezza perduta e da riconquistare L’eroe solitario che entra ed esce dalla storia e dal mito. C’è tutto
l’universo retorico che Springsteen ama e restituisce da anni. Il viaggio dei Joad, la strada desolata di Cormac McCarthy, i film
di John Ford, l’eterna frontiera che lo stesso Springsteen non ha mai smesso di cantare. “Il centro – recita la voce dell’artista durante
lo spot – è stato un posto difficile da raggiungere ultimamente. Tra il rosso e il blu. Tra servo e cittadino. Tra la nostra libertà e la
nostra paura. Ora, la paura non è mai stata la parte migliore di ciò che siamo. Quanto alla libertà, non è proprietà di pochi fortunati,
appartiene a tutti noi. Chiunque tu sia, ovunque tu sia. È ciò che ci collega. E abbiamo bisogno di quella connessione. Abbiamo bisogno
del centro”.

Quel centro – a cui Springsteen ha dato voce nello spettacolo a Broadway recitando il Padre Nostro – è qualcosa che, paradossalmente, l’America ha sempre declinato nel movimento. Un movimento assieme fisico, spirituale ed escatologico.

Come nel brano Land of hope and dreams, che Springsteen ha eseguito in occasione della festa per l’inaugurazione della presidenza di Joe Biden. La canzone lega alcuni motivi tipici della sua produzione: un uomo e una donna, un viaggio, un treno,
la redenzione. Che il brano abbia un’apertura escatologica lo conferma il verso conficcato nella seconda strofa: “Questo giorno sarà l’ultimo”.
La luce che splenderà “domani”, “l’oscurità che retrocederà”, la fede che “sarà ricompensata” immettono in un territorio religioso, dentro una semantica religiosa. “La terra di sogni e speranza” verso le quale corrono le “grandi ruote di ferro”, non è appannaggio della sola coppia.
“La terra della speranza e dei sogni” non ammette tagli o esclusioni, fratture o pedaggi. L’America, cantata da Springsteen, è inclusiva, chiama tutti, interpella tutti, accoglie tutti. L’America ha una “qualità” redentiva, l’idea stessa di America è religiosa.

In The Middle ritroviamo lo stesso linguaggio, le stesse polarità. Oscurità, luce, montagne, deserto, redenzione.
Basta riascoltare le parole di Martin Luther King per capire quanto l’immaginario di Springsteen sia radicato nella visione americana: “Con questa fede – scrive Martin Luter King, siamo nel 1963 – uscirò e scaverò un tunnel di speranza attraverso la montagna della disperazione. Con questa fede uscirò con te e trasformerò gli oscuri ieri in luminosi domani”. “La nostra luce – dice a sua volta Springsteen – ha sempre trovato la sua strada nell’oscurità. E c’è speranza sulla strada… più avanti”. C’è sempre uno scarto, una distanza, una ferita che separa l’America dalla sua identità. La promessa dalla sua realizzazione. Il sogno dalla realtà. Springsteen ne è consapevole. Non c’è America senza fede. Non solo canzonette per un’estate. Tanti sono gli autori pop e rock che scrivono musica che fa pensare, possiamo ricordare Franco Battiato recentemente scomparso, occorre conoscerli, ascoltarli e con essi percorrere strade di ricerca del “centro di gravità”, del senso del vivere, amare, soffrire, morire. La musica ci accompagna e ci illumina come le sonate per piano di Ezio Bosso. La musica accompagna tutti, in particolare i giovani. C’è tanta musica, ogni canzone comunica sensazioni, atteggiamenti. Impariamo ad ascoltare e a trovare anche nel mercato della musica, la perla preziosa.

*ripreso da un articolo di Luca Miele pubblicato su Avvenire del 8 febbraio 2021

CRISTO LO CONOSCO?

*di mons. Simone Giusti

In questo numero della rivista sentieri proponiamo un percorso per conoscere Gesù di Nazareth.
Alcuni potrebbero dire: ma io so già tanto di lui, sono anni che sento parlare di lui. In casa, al catechismo, a scuola. Appunto, si è sentito parlare di lui a proposito molte volte e a sproposito altrettante tante volte specie sui social o su qualche canale televisivo. Gesù tira e notizie su di lui come quelle presunte e tutte fantasiose, ad esempio del famoso best seller “Il codice Da Vinci” di alcuni anni fa, attirano come le mosche al miele. Qualche notizia di lui moltissimi le posseggono, ma lo conoscono? È questa una domanda non retorica perché ad esempio io non mi accontento di conoscere alcune informazioni su una ragazza per poterci costruire una storia insieme, non mi accontento di quanto è scritto su Wikipedia su un ragazzo, per poter avviare con lui una storia importante: ho necessità di incontrarlo di camminare con lui.
Questo è talmente vero che moltissimi oggi, in un tempo di grandi dubbi, prima di giungere a decidersi a formare una famiglia e a mettere al mondo dei figli, optano per la convivenza, per un periodo in cui si prova a conoscersi e a vivere insieme. Al di là della valutazione sulle convivenze, quello che emerge è la necessità di conoscersi profondamente e di andare oltre le impressioni di un’estate o di alcune serate felici insieme, occorre la quotidianità del rapporto, è necessaria una frequentazione feriale per poter giungere a dire: questa persona la conosco, la apprezzo e voglio condividere
con lei la mia storia personale. Quanto è vero in un rapporto affettivo e lo è altrettanto in un rapporto altrettanto affettivo ma non solo, con Gesù di Nazareth. Con Gesù il nostro rapporto deve avere una forte valenza affettiva proprio perché egli è la persona più importante per un cristiano, è colui intorno al quale costruisco la mia identità personale. Cristiano infatti è colui che conoscendo profondamente Gesù, decide di costruire la sua identità personale intorno a lui, vuole assomigliare a Gesù e desidera esserlo in maniera speculare: un altro Cristo.
Il discepolo di Gesù di Nazareth si chiama “cristiano” proprio perché mette Cristo al centro della sua vita e della sequela cristi. Cristo è il fuoco che plasma tutta la sua esistenza personale. Una cosa è quindi sapere qualcosa di Gesù di Nazareth, altra cosa è conoscerlo. Certo le notizie storiche sono molte, le fonti molteplici non per nulla siamo nel 2021 d.C..
Gesù è un personaggio della storia ma non solo, Gesù vuole essere il cuore della storia e pertanto dobbiamo conoscerlo con l’intelligenza e a questo la storia della antica letteratura cristiana, può dare un contributo notevole, tantissimi sono i testi antichi che parlano di lui (i vangeli e non solo). È bene sapere che essi sono storicamente attendibili. Infatti i ritrovamenti archeologici sono stati talmente tanti in questi ultimi
decenni, al punto tale che siamo arrivati a poter datare con estrema precisione anche quando sono stati scritti i singoli vangeli, ma non solo, si è potuto giungere anche a determinare quali sono state le parti che hanno composto per primo il vangelo e quali sono stati invece gli elementi che sono stati aggiunti secondariamente. Oggi infatti si parla appunto di opera redazionale dell’ultimo evangelista.
Certo, oggi io posso sapere tante cose su Gesù. Non per nulla ci sono biblioteche intere su Gesù di Nazareth, ma ciò non è sufficiente perché io sia cristiano.
Per essere un cristiano devo andare oltre una conoscenza storiografica, per arrivare a una esperienza personale di incontro con lui.
Ma come è possibile? È vissuto 20 secoli fa, come posso io incontrarlo oggi? È qui il mistero del Cristo, egli appartiene alla storia, ma essendo oltre la storia, essendo l’alfa e l’omega della storia e al tempo stesso in ogni attimo della storia, io posso in ogni momento della mia vita incontrarlo e conoscerlo. San Paolo parla della possibilità di questa conoscenza attraverso proprio lo Spirito, ovvero la presenza spirituale, ma reale, di Gesù accanto a noi. La vita nello spirito appunto è il luogo dove la conoscenza intellettuale di Gesù diventa esperienza personale.
Lo sanno bene tutte le persone che pregano: parlano con una persona non con il muro o con un pezzo di legno o di bronzo.
In questo numero si vuole pertanto offrire itinerari, sentieri, per educatori che vogliono sostenere un giovane nella sua ricerca di un’esperienza personale di Gesù di Nazareth.
Buona avventura!

 

OLTRE. DOVE TROVA LUCE LA NOSTRA VITA

*di mons. Simone Giusti

C’è una Presenza luminosa, misteriosa che ci accompagna da sempre e un giorno ha fatto irruzione nella nostra esistenza come una cometa, con la sua luce ci ha fatto vedere oltre l’apparenza come per il nostro corpo: ad esempio l’uomo ha un rapporto occasionale con gli atomi del cosmo e del suo corpo, difatti li muta continuamente. È oltre! Appare materia ma è essenzialmente spirito A differenza di una pietra o di una zebra, piange la morte di mamma e gioisce per un sorriso di un bimbo o per degli occhi innamorati su Skype. Questa Presenza da allora illumina e guida.

Illumina l’oltre

L’uomo è vita e lo è per sempre anche nella morte, infatti paradossalmente nella morte il corpo è biologicamente alquanto attivo, vivo. La persona è deceduta ma il corpo morto è tutto pieno di vitalità biologica sia pur degenerativa.

Questa Presenza è rifulsa in modo particolare, nella notte di Betlemme e all’alba della Resurrezione

È una Presenza, una Luce che riscalda e trasforma i cuori e la storia. È la Luce calda dell’Amore, da sempre ci ha accompagnato, dai tempi della prima umanità di “Lucy”. È la Presenza dell’Amore sentito da tutti, sia pure in mezzo a tante ambiguità ed egoismi, come salvante. Sovente per molti, l’unica ragione per vivere. Nell’immensità Siderali, fredde e anonime, c’è chi ci ama, ci pensa e ci incontra nel nostro smarrimento, ieri e oggi. Si fa compagno della nostra sofferenza, anzi trasforma il dolore in dono e la morte in una porta sulla vita: questi è Gesù. Non siamo soli, Gesù ci ama e ci è accanto. Con la luce del suo amore ci fa vedere oltre il buio di questi giorni: uomo non confondere l’indifferente Gaia, il pianeta Terra, con Il Creatore.
Non crederti neppure tu Dio, arbitro del bene e del male, creatura barcollante per un virus invisibile. Abbi coscienza della tua finitudine: alla vita appartiene la nascita e la morte, interrogati su entrambe.

Non banalizzare né disperarsi, c’è un Evento che dà certezza

Gli animali non hanno coscienza della morte. Gli esseri umani, invece, l’hanno sviluppata con lo psichismo riflesso. Ma l’atteggiamento umano di fronte alla morte può essere molto vario: dalla superficialità e banalizzazione allo smarrimento e alla disperazione, due estremi fra i quali si collocano le concezioni che guardano all’oltretomba con timore, misto alla speranza di prolungare in qualche modo l’esistenza.
Gli antropologi che studiano la preistoria ci parlano dell’Homo religiosus, per usare un’espressione cara a Julien Ries, affonda le sue radici nel simbolismo e ha trovato fin dalla preistoria le espressioni più diverse, tra queste i riti funerari che, secondo Ries, costituiscono indizi inconfutabili di una coscienza religiosa. Gli uomini che inumavano i cadaveri credevano in un’esistenza ultraterrena, come attestano le offerte trovate nelle tombe e la cura con cui era protetto il cadavere. Secondo Mircea Eliade, la posizione fetale, presentata da numerosi inumati e il frequente orientamento verso Est potrebbero indicare la speranza di una rinascita. Le più antiche sepolture risalgono
a circa 90–100.000 anni fa. Esse sono state ritrovate in Israele. Come nota Bernard Vandermeersch, il paleo antropologo che le ha studiate, «dal momento in cui gli uomini seppelliscono i loro defunti è come se la morte assumesse per loro un significato nuovo; essa segna per loro la fine della vita, ma non della persona». I documenti sulla religiosità legata alla sopravvivenza si accrescono nel Paleolitico superiore e nel Neolitico quando si ritrovano corredi più ricchi, il frequente uso dell’ocra e l’ornamento di conchiglie. Se l’inumazione, specialmente quando accompagnata da qualche ritualità, documenta in molte culture l’idea della sopravvivenza, non è detto incinerazione del cadavere sia da vedersi come il suo opposto. Presso i popoli indoeuropei troviamo in tempi e culture diverse sia l’inumazione che la cremazione. La
cremazione, in uso attualmente in varie culture dell’Oriente, può conciliarsi con l’idea di sopravvivenza, per la quale potrebbe rappresentare come una purificazione. C’è anche chi la vede come una soluzione pratica per il problema dei cimiteri nelle aree
urbane. Essa non è proibita dalla religione cattolica, se praticata senza un atteggiamento antireligioso o materialista. In ogni caso, occorre vedere quale concezione della morte sostenga sia la pratica della sepoltura sia quella della cremazione. Per il cristiano la fede nella risurrezione resta l’elemento caratterizzante di fronte alla morte.
Non si tratta solo di credere in qualche forma di sopravvivenza, ma di credere in un’esistenza nuova dopo la morte, inaugurata dal grande evento della Risurrezione di Cristo.” 1

1 Liberamente ripreso da un articolo su Avvenire del 3 febbraio 2019, di Fiorenzo Facchin

IL WEB: IMPORTANTE LUOGO EDUCATIVO

*di mons. Simone Giusti*
L’antropologa dei media Mizuko Ito, afferma: «un buon uso delle risorse online può diventare un vero volano per le capacità dei ragazzi, crea comunità, valorizza competenze». Forse non siamo molto abituati a vederla così ma in realtà gli adolescenti iper connessi di oggi vivono come se fossero costantemente immersi in un’enorme biblioteca, dove trova spazio ogni possibile argomento, materia di studio o semplice passatempo. Certo, non tutto è edificante, ma mai prima d’ora si è avuta a disposizione una quantità simile d’informazioni di ottima qualità, alla portata di chiunque. E con un’altissima probabilità di trovare qualcuno con cui condividere le proprie passioni, costruendo così relazioni profonde e durature. Se provassimo a guardare il rapporto fra ragazzi e web da questo punto di vista, faremmo delle scoperte molto interessanti. È quanto è successo come dicevamo all’inizio, a Mizuko Ito, giapponese trapiantata negli Stati Uniti, antropologa dei media, docente all’Università della California a Irvine, fra le prime a studiare sul campo l’uso dello smartphone da parte dei ragazzi e fautrice del ruolo fondamentale del gioco online e in generale dell’utilizzo della Rete come potenti strumenti per  l’apprendimento.

L“apprendimento connesso”(connected learning). È la situazione che si viene a creare quando un ragazzo è incoraggiato a seguire un suo reale interesse, con il sostegno dei propri insegnanti, ma anche dei compagni e di altri adulti di riferimento. A partire da questo coinvolgimento iniziale, che può essere innescato da un argomento non direttamente tratto dal programma formativo, viene a costruirsi un percorso personale di apprendimento. Un animatore potrebbe ad esempio lasciare in qualche caso che sia il ragazzo stesso a decidere su cosa concentrarsi nella sua personale ricerca a casa e scegliere gli argomenti per eventuali approfondimenti. I risultati migliori si ottengono quando gli educatori danno anche consigli su come alimentare le passioni dei ragazzi, fornendo indicazioni di risorse, online e offline. Il solo fatto che un docente prenda del tempo per capire davvero qual è l’interesse di un giovane, è in grado di cambiare radicalmente il rapporto di quel ragazzo con la parrocchia e con il catechismo in generale. Infatti più che la tecnologia sono determinanti le relazioni che si vengono a creare attorno a essa. Se un ragazzo non ha un buon rapporto con il gruppo e con gli adulti che lo seguono, la frequentazione del mondo digitale può anche portare a esiti negativi. Se invece c’è un forte legame con una comunità – famiglia, parrocchia, gruppi online – con cui condividere i propri interessi, l’uso creativo del web, può veramente dare al ragazzo un senso più profondo del suo compito al servizio della propria comunità.
* Tratto da Avvenire “Smartphone, videogame e scuola: le risorse che non ti aspetti”

Oratorio l’amico geniale

*di mons. Simone Giusti*

Vivere l’oratorio come gente che esce dall’oratorio per cercare chi ha bisogno di pane e di amicizia

Quale risposta dare ai giovani e alla loro voglia di vita bella, buona, libera, lieta? L’Oratorio!

C’è chi li invita ad accontentarsi. E c’è chi li chiama a fare una vita all’attacco: lotta, compra, accumula! Non pensare né al prima né al dopo, né agli altri né a Dio ma a godere il più possibile.

 

E i cristiani? Cos’hanno da dire?

La comunità cristiana è incaricata di offrire – con discrezione, con presenza quotidiana – la risposta di Gesù. È Gesù la risposta per una vita felice che sa prendersi cura di sé, degli altri, dei poveri, del creato. E l’oratorio è l’intuizione geniale di don Bosco e di generazioni di preti e di educatori, è la risposta che la Chiesa ha offerto a generazioni di ragazzi e ragazze per ascoltare la risposta di Gesù. L’Oratorio è la risposta più diffusa, la più vicina a casa, la più accessibile, dove tutti sono benvenuti. Il dono della vita eterna non si può comprare come un prodotto. E la risposta di Gesù non si trova al supermercato, fra ansiolitici e antidepressivi, droghe e integratori. Quella risposta la si può incontrare in oratorio. Che davvero è una delle forme più geniali che la comunità cristiana ha creato per dare a tutti un luogo dove essere accolti, giocare, fare amicizia, pregare, scoprire il senso della vita. Vogliamo fare degli oratori un cantiere della Chiesa dalle genti: tutti devono sentirsi benvenuti, da qualunque Paese vengano. Ebbene: noi vogliamo dare vita nuova e fresca all’oratorio, perché lì i giovani, tutti i troviamo la risposta.

 

Ma per fare questo è necessario formare una nuova generazione di animatori di Oratorio i quali lo vivano come gente che sa coinvolgere nelle sue attività quelli che sono nel bisogno, da qualunque Paese vengano e sa dare pane, compagnia, amicizia a quelli che ne sono privi.  Tre parole ai nuovi animatori: Gesù, correre, vivere opere di misericordia! Seguire Gesù. Ascoltarlo. Diventare suoi amici. Vivere la vita con slancio appassionato. Viverla come vita donata praticando le opere di misericordia in Oratorio per tutti i giovani del quartiere.

Testimoni di carità nel servizio educativo

Dio in ricerca dell’uomo

Tutta la storia della salvezza ci presenta il Signore che come un buon pastore esce nella notte per ritrovare chi era sperso, è questa verità fondamentale che motiva l’azione dell’educatore e lo porta ad essere una manifestazione della “passione” di Dio per l’uomo, un annuncio dell’amore del Padre per tutti i suoi figli, un grido forte e dolce per coloro che più sono lontani da Lui.

Dio in cerca dell’uomo per liberarlo e redimerlo: è incarnando questa verità che nasce una tensione educativa che non si arresta mai di fronte a nessuna difficoltà e che mira alla promozione integrale di tutto l’uomo e di tutta la società; è facendo palpitare dentro di noi il cuore divino che conteremo i ragazzi del gruppo e ci accorgeremo di quanti ancora manchino all’appello; è vedendo l’attento agire della Provvidenza che ci accorgeremo delle molte miserie e povertà dei ragazzi e faremo della nostra vita un dono ai più piccoli.

 

Dio è l’educatore del suo popolo

“Uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli”. (Mt 23,8)

È questo quando ci dice il Vangelo di Matteo riportandoci le parole di Gesù, è questa una verità della fede da meditare lungamente per comprendere che il servizio educativo è partecipazione dell’azione educativa divina da viversi secondo lo stile della pedagogia divina. “Dio stesso, infatti, nel corso della storia sacra e soprattutto nel Vangelo si è servito di una pedagogia che deve restare a modello per la pedagogia della fede” (Giovanni Paolo II, Catechesi Tradende, n° 58). Si tratta di una pedagogia che possiede caratteristiche sue proprie, sempre valide con il mutare dei tempi, e perciò irrinunciabili. Sono caratteristiche che si sono evidenziate nella storia della salvezza (cfr. Documento Base “Il Rinnovamento della catechesi” ai nn 15, 78, 86, 175).

  • Tutta la pedagogia divina è finalizzata a creare un rapporto interpersonale di comunione fra Dio e l’uomo.
  • Nel comunicarsi all’uomo, Dio si fa accondiscendente verso di Lui e si adegua alla sua realtà umana fino ad assumere egli stesso in pienezza l’umanità.
  • Dio incontra l’uomo e gli offre la sua salvezza in un popolo rispettando la struttura sociale dell’uomo.
  • Poiché l’uomo si manifesta e si comunica attraverso segni, Dio ha scelto la stessa via per rivelare sé stesso e il segno più grande che ci ha dato è il Figlio suo Gesù Cristo.
  • Rispettando la storicità dell’uomo, Dio fa sua la legge della gradualità educando passo passo l’uomo verso un incontro sempre più profondo con Lui.

Come collaborare quindi con il Maestro senza esserne stati precedentemente e senza esserne contemporaneamente discepoli?

 

Dio in cerca dell’uomo perché l’uomo viva.

La gloria di Dio è l’uomo vivente (S. Ireneo – Contro le Eresie).

L’agire di Dio è all’insegna della totale gratuità, non cerca niente per sé perché “Dio è amore” (1Gv 4,8). Questa verità della fede ispirando l’agire dell’educatore lo porterà a non cercare mai nessuna diretta gratificazione del servizio che svolge, lo condurrà a non voler strumentalizzare i ragazzi per suoi secondi fini, lo orienterà a promuovere pienamente le personalità dei ragazzi e a non voler mai farne esseri a sua immagine e somiglianza: non Lui è il modello ma Cristo. Gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date (Mt 10,8). Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15,13). Allora qual è la ricompensa di un educatore? …Sta nella possibilità che gli è data di amare come Cristo: donandosi dimenticandosi “perché c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35).

 

Davanti a Dio conta la santità non l’età

In virtù del battesimo tutti gli uomini sono figli di Dio e hanno pari dignità. Questa affermazione che esprime un’altra verità contenuta nella SS. Scrittura è fondamento del protagonismo dei ragazzi nella Chiesa e consequenzialmente di quel gruppo di Chiesa che è il gruppo catechistico.

Il protagonismo dei ragazzi è vittoria della Grazia sull’efficienza. Umanamente i ragazzi sono incapaci di fare molte cose che il giovane e l’adulto compie, in virtù della Grazia nessun obiettivo gli è precluso: né la santità né il martirio per la fede come la storia della Chiesa ci mostra. Questa verità della fede dovrà pertanto costantemente illuminare l’essere e l’agire dell’educatore affinché rispetti sempre i ragazzi, la loro capacità, la loro responsabilità nel vivere una esperienza.

mons. Simone Giusti

AMARE COME DIO

*di mons. Simone Giusti

Amare come Dio ci ama è possibile.
L’amore a cui il Signore ci chiama è l’amore disinteressato, gratuito, radicale, totale. Esso non tollera compromessi, è l’amore che sa arrivare
a dare la vita per gli altri, addirittura a morire per l’altro. Siamo chiamati ad amarci con un amore divino, ad avere fra noi dei rapporti d’amore quali quelli che legano il Padre al Figlio. Ogni giovane è chiamato a saper amare i poveri e a lottare per una società più giusta come Pier Giorgio Frassati. Ricco e famoso contrasse la tubercolosi per servire i poveri di Torino. Non si può dire di essere cristiani e poi essere chiusi solo nei nostri pensieri, nelle nostre egoistiche preoccupazioni, pensare solo a se stessi, a come divertirsi, a come far soldi. Non si può dire di essere cristiani e non mettere al primo posto l’altro che è mia madre, mio padre, mio marito, mia moglie, i miei figli, i poveri. Chi non ama così non ha conosciuto Dio.

Amare come Dio ci ama è possibile perché questo amore ci è stato donato, è Cristo.
Viviamo in Cristo e amiamo, viviamo in Cristo e accorgiamoci, giorno dopo giorno, che il nostro cuore è sempre più capace di amare. Di vincere il proprio egoismo. Accogli questa presenza di Cristo in te e ama. Scoprirai come l’amore paga, come dimenticarsi per l’altro sia bello,
come donandosi si riceva tantissimo e come il nostro cuore divenga ricolmo di gioia. “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena“.1
Il Signore ci chiama ad amare come egli ci ama solo per questo: affinché siamo gioia. Per questo il Signore ci ha chiamato, questi sono
i frutti che il Signore si attende da noi: una vita all’insegna del dono e della gioia.

 

Il Santo padre Francesco nell’esortazione Christus vivit scrive ai giovani

*di mons. Simone Giusti

La pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di
Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza d’incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento”. Molti giovani sono capaci di imparare a gustare il silenzio e l’intimità con Dio. Sono aumentati anche i gruppi che si riuniscono per adorare il Santissimo Sacramento e per pregare con la Parola di Dio. Non bisogna sottovalutare i giovani come se fossero incapaci di aprirsi a proposte contemplative.

Occorre solo trovare gli stili e le modalità appropriati per aiutarli a introdursi in questa esperienza di così alto valore. A loro piacciono molto anche altri incontri i festa, che spezzano la routine e aiutano a sperimentare la gioia della fede. Queste e altre diverse possibilità non devono farci dimenticare che, al di là dei cambiamenti della storia e della sensibilità dei giovani, ci sono doni di Dio che sono sempre attuali, che contengono una forza che trascende tutte le epoche e tutte le circostanze: la Parola del Signore sempre viva ed efficace, la presenza di Cristo nell’Eucaristia che ci nutre, il Sacramento del perdono che ci libera e ci fortifica. Possiamo anche menzionare l’inesauribile ricchezza
spirituale che la Chiesa conserva nella testimonianza dei suoi santi e nell’insegnamento dei grandi maestri spirituali.

Le diverse manifestazioni della pietà popolare, specialmente i pellegrinaggi come quello a Santiago de Compostela o quelli promossi
in occasione delle GMG, attirano giovani. Queste forme di ricerca di Dio, devono essere incoraggiate e stimolate. Perché la pietà popolare è
un modo legittimo di vivere la fede ed è espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio.

IL SINODO DEI GIOVANI: la vita liturgica come via privilegiata per l’incontro con Cristo

di mons. Simone Giusti
IL SINODO DEI GIOVANI ha indicato come la vita liturgica sia da ritenere una via privilegiata per l’incontro con Cristo. Ecco i passi del documento finale che ne parlano:

La ricerca religiosa

  1. In generale i giovani dichiarano di essere alla ricerca del senso della vita e dimostrano interesse per la spiritualità. Tale attenzione però si configura talora come una ricerca di benessere piscologico più che un’apertura all’incontro con il Mistero del Dio vivente. In particolare in alcune culture, molti ritengono la religione una questione privata e selezionano da diverse tradizioni spirituali gli elementi nei quali ritrovano le proprie convinzioni. Si diffonde così un certo sincretismo, che si sviluppa sul presupposto relativistico che tutte le religioni siano uguali. L’adesione a una comunità di fede non è vista da tutti come la via di accesso privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da ideologie o dalla ricerca di successo sul piano professionale ed economico, nella logica di un’autorealizzazione materiale. Rimangono vive però alcune pratiche consegnate dalla tradizione, come i pellegrinaggi ai santuari, che a volte coinvolgono masse di giovani molto numerose, ed espressioni della pietà popolare, spesso legate alla devozione a Maria e ai Santi, che custodiscono l’esperienza di fede di un popolo.

 

L’incontro con Gesù

  1. La stessa varietà si riscontra nel rapporto dei giovani con la figura di Gesù.

Molti lo riconoscono come Salvatore e Figlio di Dio e spesso gli si sentono vicini attraverso Maria, sua madre e si impegnano in un cammino di fede. Altri non hanno con Lui una relazione personale ma lo considerano come un uomo buono e un riferimento etico. Altri ancora lo incontrano attraverso una forte esperienza dello Spirito. Per altri invece è una figura del passato priva di rilevanza esistenziale o molto distante dall’esperienza umana. Se per molti giovani Dio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace. In tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano: «L’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore»[1].

 

Il desiderio di una liturgia viva

  1. 51In diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, in una liturgia fresca, autentica e gioiosa.

In tante parti del mondo l’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana e conosce una partecipazione ampia e convinta. I giovani vi riconoscono un momento privilegiato di esperienza di Dio e della comunità ecclesiale, e un punto di partenza per la missione. Altrove invece si assiste a un certo allontanamento dai sacramenti e dall’Eucaristia domenicale, percepita più come precetto morale che come felice incontro con il Signore Risorto e con la comunità. In generale si constata che anche dove si offre la catechesi sui sacramenti, è debole l’accompagnamento educativo a vivere la celebrazione in profondità, a entrare nella ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti.

 

La centralità della liturgia

  1. La celebrazione eucaristica è generativa della vita della comunità e della sinodalità della Chiesa. Essa è luogo di trasmissione della fede e di formazione alla missione, in cui si rende evidente che la comunità vive di grazia e non dell’opera delle proprie mani. Con le parole della tradizione orientale possiamo affermare che la liturgia è incontro con il Divino Servitore che fascia le nostre ferite e prepara per noi il banchetto pasquale, inviandoci a fare lo stesso con i nostri fratelli e sorelle. Va dunque riaffermato con chiarezza che l’impegno a celebrare con nobile semplicità e con il coinvolgimento dei diversi ministeri laicali, costituisce un momento essenziale della conversione missionaria della Chiesa. I giovani hanno mostrato di saper apprezzare e vivere con intensità celebrazioni autentiche in cui la bellezza dei segni, la cura della predicazione e il coinvolgimento comunitario parlano realmente di Dio. Bisogna dunque favorire la loro partecipazione attiva, ma tenendo vivo lo stupore per il Mistero; venire incontro alla loro sensibilità musicale e artistica, ma aiutarli a comprendere che la liturgia non è puramente espressione di sé, ma azione di Cristo e della Chiesa. Ugualmente importante è accompagnare i giovani a scoprire il valore dell’adorazione eucaristica come prolungamento della celebrazione, in cui vivere la contemplazione e la preghiera silenziosa.

 

[1] Papa Francesco, Santa Messa per l’inizio del Capitolo Generale dell’ordine di sant’Agostino, 28 agosto 2013