SHEKINAH E RADIO INCONTRO: PROGRAMMI PER MEDITARE

*di Elisa De Marco

Il 19 ottobre 2020, grazie ad un’idea di Mons. Giusti Vescovo di Livorno, i giovani della Segreteria della Pastorale giovanile, guidati dal loro Direttore Don Federico Mancusi, si sono lanciati in una nuova avventura, sbarcando su YouTube e sulle altre piattaforme social, improvvisandosi come speaker di una nuova stazione radiofonica: “Radio Shekinah Giovani”. Il progetto è sempre stato molto ambizioso, alle sue radici infatti c’è il desiderio di riuscire ad utilizzare un nuovo canale di comunicazione per poter raggiungere tutti i giovani e non soltanto quelli presenti nelle nostre parrocchie.
Questo nobile intento ha da subito fatto superare tutte le paure e le difficoltà dei giovani della segreteria che non si erano mai misurati in un’esperienza simile, e ha permesso loro di trovare il coraggio di rischiare, per provare a raggiungere un bene più grande.
Ma partiamo con ordine! Il nome della radio racchiude in sé l’obiettivo finale di questo progetto, “shekinah” in ebraico vuol dire “tenda” ed era la tenda dove dimorava la presenza di Dio, e dove quindi il popolo di Israele, aveva la possibilità di fare questo preziosissimo incontro con Dio (Yhwh). Questo infatti rimane il principio e il fine di ogni puntata della radio: condurti all’incontro con Dio, non necessariamente parlandoti di Lui in maniera diretta, ma piuttosto facendoLo trasparire dalle testimonianze di vita dei conduttori e degli ospiti.
Andiamo adesso a scoprire le rubriche di questa nuova radio:

– “Chiamati fidati” è una rubrica che prova a rispondere a moltissime tematiche giovanili, attraverso le testimonianze degli speaker e dei loro ospiti;
– “Music Line” è un programma dedicato interamente alla musica raccontata attraverso
le interviste di cantanti, deejay, cantautori e cover band;
– “Una parola e una canzone” è una rubrica curata da Gipo Montesanto che con una
piccola riflessione approfondisce il significato di una parola, e lo rende ancora più
profondo associandoci una canzone da ascoltare;
– “In ascolto” è uno spazio dedicato a tutte le realtà presenti sul nostro territorio,
per adesso hanno partecipato a questo programma l’ufficio missionario, e la Caritas
con una puntata dedicata al servizio civile;

– “Chiedilo al Don” è stata la novità del 2021, è uno spazio diretto e curato dal Direttore dell’ufficio Don Federico Mancusi, che risponde in maniera profonda ma allo stesso tempo molto comprensibile, a tutte le domande che i suoi giovani gli pongono.
Dal 12 Aprile due giovani dell’equipe di Radio Shekinah sono approdati a Radio Incontro, la radio della Diocesi di Pisa che trasmette in FM alla frequenza 107.75. Anche questo salto in qualcosa di sconosciuto è stato vissuto da Gipo Montesanto ed Elisa De Marco, con la stessa fiducia con cui avevano iniziato a Radio Shekinah, ovvero la fiducia in un bene più grande.
Le rubriche che conducono sono:
– “Per una gioia più grande” è una rubrica bisettimanale condotta da Gipo Montesanto
che intervista tantissime persone che con la loro vita testimoniano fino in
fondo la bellezza di vivere sentendosi amati da Dio ed amandolo a loro volta. Il titolo
di questa rubrica è inoltre il titolo di un inedito di questo cantautore.
– “Per Elisa” è condotta settimanalmente da Elisa De Marco che racconta i segreti e
le storie nascoste all’interno delle sue canzoni, cercando sempre di lanciare messaggi
positivi e di speranza.
Grandi novità attendono tutta l’equipe della segreteria, per scoprirle rimanete aggiornati sul nostro sito e sulle nostre pagine social.
Canale Youtube: Pastorale Giovanile Livorno
Radio Incontro: FM 107.75
sito web: http://giovani.diocesilivorno.it/

GESÙ, COLUI CHE CI MOSTRA DIO PADRE

*di Matteo Salvemini

«Quanto è pericoloso credere in Dio, tanto è garante e benefico e salvifico credere in Dio Padre». La prima volta che lessi queste parole, provenienti dagli scritti di David
Maria Turoldo, rimasi in silenzio. Non avevo mi ero mai soffermato su quelle semplici parole che pronunciamo ogni domenica a messa all’inizio del Credo. Le davo per scontate, come un semplice pro forma che ribadiva un concetto ormai acquisito. Invece, grazie a Turoldo, ho capito come non vi fosse nulla di ovvio nel dire “Dio Padre”.
Non a caso il motto «Ad maiorem Dei gloriam» (“per maggiore gloria di Dio”) ha animato nel passato «le interminabili lotte di religione, i fanatismi, le sacre inquisizioni, le guerre sante»1. Nel nome di Dio è stato sparso molto sangue, compreso quello di Gesù, che, come ci ricorda il Vangelo di Matteo, «è reo di morte» perché «ha bestemmiato»2 .

Gesù va incontro alla morte per un concetto di Dio sbagliato. La salvezza non viene dal credere in Dio, ma dal credere in Dio Padre; «credere, per mezzo del Figlio, Gesù Cristo nell’unità del loro unico e medesimo Spirito, che è l’Amore senza fine»3 .
Ecco così che la preghiera di Cristo risuona come preghiera di tutti i credenti verso il Padre: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».4

GESÙ, UOMO LIBERO
Il fanatismo è nemico della fede. La fede rende l’uomo compartecipe della vita con un senso di profondo mistero, di fronte al quale dialoga con Dio in un profondo silenzio. La superstizione, affermando vacue e inverificabili certezze, fa sentire l’uomo sullo stesso piano di Dio e lo esorta a farsi giudice di quell’umanità di cui lui stesso è parte. Il fanatismo è il germe dell’intolleranza e di tutte le sopraffazioni. Assai pericolosa è quella che Turoldo chiama la «dittatura religiosa», in cui la religione diviene il grimaldello attraverso il quale invadere ogni spazio del cuore e della mente. A perire è la libertà dell’uomo. Ma Cristo per primo è uomo libero ed è dalla sua libertà che proviene la controversia nei suoi confronti da parte degli altri giudei. Come ricorda Duquoc, nei Vangeli viene di continuo rinfacciato a Gesù «di vivere secondo usi e costumi che fanno pensare che egli sia peccatore». Gesù viveva secondo una libertà che a quel tempo «nessun uomo timorato di Dio osava attribuirsi»5 . Da questa libertà manifesta deriva la sua successiva condanna a morte. Ma che libertà è quella di cui Gesù è testimone? Per rispondere a questa domanda, trovo illuminanti le parole di Paolo Ricca, teologo valdese: «La libertà di Gesù non è oggetto di un discorso ma di vita; è una libertà che si invera nella prassi»6.

Gesù vive nella libertà e la sua vita è un esempio pratico da tenere sempre a mente e da attuare, in quanto fratelli e sorelle liberi e libere in Cristo.

GESÙ, L’INSOCIEVOLE
Gesù era il primo ad essere consapevole che le sue idee non sarebbero state accettate da tutti. Non a caso lui stesso definisce sé stesso come «la spada». Le idee sono divisive. Nessuna idea nella storia dell’uomo ha mai unito spontaneamente tutti gli uomini e le donne del mondo. Questo ampio supporto ha sempre interessato solo unamaggioranza più o meno ampia di individui ed è stato creato di volta in volta  ricorrendo o alla coercizione o alla propaganda. Non è un caso che, già all’alba del pensiero,Eraclito affermasse: «Polemos è padre di tutte le cose»7. Le idee sono destinate fra di loro a confrontarsi e, in alcuni casi, anche a scontrarsi. Gesù stesso, rivolgendo la sua parola ai farisei, provoca innumerevoli scontri intellettuali che si risolvono spesso e volentieri in condanne e accuse reciproche. Tutto ciò accade perché l’uomo si rapporta con i suoi simili secondo un rapporto di “insocievole socievolezza”, come definito da Kant. L’uomo ha necessità di vivere insieme ad altri individui ma al tempo stesso vorrebbe comandare su di essi. Eppure, la discordia fra gli uomini è necessaria al progresso, perché ogni individuo, nel tentativo di essere migliore degli altri, migliora la società. Ma come evitare che questa necessaria discordia non sfoci in scontri violenti e infruttuosi, ovvero che non innescano il progresso sociale di cui parla Kant? La risposta che mi sono dato viene dall’enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, dove è scritto:
«In una società pluralista, il dialogo è la via più adatta per arrivare a riconoscere ciò che dev’essere sempre affermato e rispettato, e che va oltre il consenso occasionale. Parliamo di un dialogo che esige di essere arricchito e illuminato da ragioni, da argomenti razionali, da varietà di prospettive, da apporti di diversi saperi e punti di vista, e che non esclude la convinzione che è possibile giungere ad alcune verità fondamentali che devono e dovranno sempre essere sostenute»8 .

1 David M. Turoldo, Amare. “Non dire nulla cerca solo di essere”, Edizioni San Paolo, Milano 2002, pag. 39
2 Mt. 26, 65-66
3 David M. Turoldo, ibid., pag. 40
4 Gv. 17,3

5 Ch. Duquoc, Gesù uomo libero, Brescia 1974, p.50

6 P. Ricca, La libertà di Gesù

7 Eraclito, Sulla natura, frammento 53, in Hermann Diels, Walther Kranz, I presocratici. Testimonianze e frammenti,

a cura di Angelo Pasquinelli, Einaudi, Torino, 1976
8 Francesco, Lettera enciclica Fratres omnes (3.10.2020), n. 211

PARLIAMO DI WEB RADIO!

*di Elisa De Marco*

Hai mai sentito parlare di Web Radio? No? Allora devi assolutamente sapere che… È nata nel 1995, circa 100 anni dopo la classica radio che tutti abbiamo avuto e continuano ad avere in casa e nelle nostre auto. In questi 25 anni si è molto diffusa vedendo crescere il numero dei suoi ascoltatori del ben 240% destinato ad aumentare in maniera esponenziale.
Questa grande diffusione, è stata sicuramente resa possibile anche grazie alla facilità di poterla ascoltare su qualunque dispositivo, essa
infatti richiede solo l’accesso ad una rete internet e questo spiega perché i giovani, che con i loro telefoni sono sempre connessi, ne facciano un grande utilizzo.
La Web Radio inoltre è diffusa in tutto il mondo e questo permette di scoprire con estrema facilità culture, espressioni artistiche e sociali diverse da quelle del paese in cui si vive, possiamo perciò immaginarcela come una grande finestra sul mondo.
Un altro vantaggio di queste trasmissioni radiofoniche via internet è la facilità con cui si creano, esse infatti necessitano di un basso dispendio economico, di realizzazione e di gestione, e permettono così di poter diffondere il proprio programma in tutto il mondo.

Quale occasione migliore per l’evangelizzazione? Se è vero che la bellezza della vita cristiana è anche quella di poter essere liberi di usare e convertire ogni cosa per il bene del prossimo, perché non usare la Web Radio per facilitare l’incontro dei radioascoltatori con il Dio di Gesù Cristo che li ama tutti di un amore infinito?! Questa domanda sicuramente se la sarà fatta anche Mons. Simone Giusti Vescovo della Diocesi di Livorno, che ha infatti proposto all’Ufficio diocesano di Pastorale Giovanile di intraprendere questa avventura. La segreteria della Pastorale Giovanile ha accolto con grande entusiasmo questa sfida e si è messa a lavoro durante i mesi estivi dando
vita alla Web Radio “Shekinah Giovani” comprendente al momento tre rubriche radiofoniche. La prima rubrica è rivolta all’educazione giovanile e si prefigge di trattare nell’arco di un anno, tante delle problematiche adolescenziali più ostiche. In ogni puntata, due giovani speaker proveranno ad approfondire le tematiche sia con esperienze personali, sia intervistando ospiti specializzati in materia, il tutto sempre contornato dall’ascolto di alcuni brani musicali che aiuteranno a riflettere sull’argomento. La seconda rubrica è rivolta a tutti i gruppi musicali emergenti e ha l’intento di incoraggiare questo bellissimo canale comunicativo quale è la musica. In ogni puntata verrà intervistato un cantante o una band di giovani e gli verrà data l’opportunità di farsi conoscere con un’intervista, e di farsi ascoltare mandando in rete alcuni loro brani. Infine, l’ultima rubrica progettata, è la rubrica “Notizie” in cui vengono ricordati tutti gli appuntamenti settimanali presenti in diocesi da non perdere! E se anche tu non vuoi perderti nessun appuntamento o aggiornamento, non ti resta che seguire la Pastorale Giovanile su tutte le sue pagine social: Facebook, Instagram, YouTube, e sul suo nuovo sito in arrivo nel mese di ottobre!

Animare un grest: 2 esperienze

L’esperienza della parrocchia San Benedetto a Livorno

La  parrocchia di S. Benedetto offre il servizio dell’oratorio estivo al quartiere da ormai molti anni. Questo progetto è partito dal nostro parroco Tomasz che, se non sbaglio, nel 2012 mise a disposizione i locali dell’oratorio per i bambini del quartiere e insieme a un gruppettino di ragazzi e di adulti volontari organizzò un vero e proprio oratorio estivo. Anche se molto piccola, ho avuto la fortuna di partecipare ad ogni oratorio sempre e solo come animatrice, dico fortuna perché ho visto mutare e crescere questo grande progetto che sento anche un po’ mio! I primi anni avevamo pochi bambini iscritti  e non avevamo un tema che ci accompagnasse per tutta la durata dell’oratorio, avevamo i momenti di preghiera (sia cristiana che di altre religioni per rispetto di ogni bambino), i momenti di gioco, vari laboratori ma non una storia, non un filo conduttore che ci accompagnasse giorno dopo giorno. I numeri dei bambini e dei ragazzi iscritti inizia a crescere anno dopo anno e l’oratorio inizia a mutare. Nel 2014 don Tomasz propone di intraprendere i temi e le storie degli oratori estivi del FOM di Milano e da questo momento l’oratorio cambia in tutto e per tutto. Cresce anche il numero di animatori e questo ci aiuta a organizzare meglio ogni singola giornata! Storie, balli, preghiere, giochi, gruppi di riflessione! I bambini si divertono e imparano giocando, i ragazzi riflettono su temi improntati, gli animatori si mettono in gioco! Posso dire che la mia esperienza in tutti questi anni da Animatrice sia stata molto bella ed istruttiva! Adoravo svegliarmi presto per andare ad animare quei bambini che, anche se spesso mi facevano ammattire, mi riempivano il cuore di gioia! Non c’è niente di più bello dei loro sorrisi, dei loro abbracci, dei loro “ti voglio bene” o “sei la mia Animatrice preferita” sussurrato all’orecchio! La gioia nei loro occhi faceva dimenticare la fatica che ognuno di noi organizzatori aveva provato per far sì che tutto fosse perfetto, quei sorrisi ti facevano capire che tutto il nostro impegno era servito a qualcosa, quelle letterine e quei disegni lasciati nascosti dove tieni la borsa ti facevano capire che nonostante le brontolate che potevano ricevere quando combinavano qualcosa che non dovevano tu per loro rimanevi importante, rimanevi il punto di riferimento, colui o colei che cercano quando hanno bisogno di aiuto o hanno voglia di giocare! Fare l’animatrice mi è servito veramente tanto, come ho già detto prima, dopo pochi anni ho iniziato a sentire questo progetto anche un po’ mio e mi sono impegnata per portarlo avanti con tutte le mie forze! Non riesco ad immaginare un anno senza oratorio estivo, per questo spero con tutta me stessa che i nuovi giovani della parrocchia possano portare avanti questo grande progetto anche quando noi “vecchi animatori” non potremo più farlo, perché questo è veramente un grande servizio che la parrocchia offre alle famiglie del quartiere e spero veramente che tutto l’impegno messo in questi anni dal nostro parroco, da noi ragazzi e dagli adulti che si rendevano disponibili non sia stato vano!  In ogni caso, il ricordo di tutti questi anni rimarrà ben impresso nel mio cuore come tutti i nomi dei ragazzi e dei bambini che ho incontrato e visto crescere! È bello vedere che a distanza di anni tanti di loro ti salutano da lontano per strada o ti corrono incontro per abbracciarti, questo vuol dire che abbiamo lasciato un segno e credo sia veramente una cosa bellissima.

Martina Cecioni

Vivere l’oratorio: l’esperienza alla parrocchia del Sacro Cuore  Salesiani a Livorno

Oltre ad animare un gruppo di ragazzi del percorso di iniziazione cristiana, ho deciso di dedicare il mio tempo anche ad animare l’oratorio quotidiano. Ma cosa vuol dire animare nel quotidiano? Una possibile risposta potrebbe essere: Mettersi a servizio dei ragazzi per aiutarli a crescere, trasmettendo loro il “principio” della vita, servire gli altri perché li sento importanti. Cosa significa? Significa sostanzialmente educarLi e educarCi ad essere “Buoni cristiani, onesti cittadini e futuri abitatori del cielo”. Con questa frase San Giovanni Bosco ci insegna come educare i ragazzi, sia nei vari percorsi di iniziazione cristiana sia, in modo più continuativo, nel quotidiano dell’oratorio. “Ma i ragazzi che vengono all’oratorio non tutti sono cristiani”. Vero, ma come cristiani abbiamo il dovere di accogliere le diversità dei ragazzi, di tutti i tipi: razziale, religiosa, culturale, sociale, economica… Ricordandoci che l’obiettivo finale è il paradiso, essere felici con Dio. Come mettere dunque in pratica le prime due espressioni? Parto dalla seconda che è più semplice: Educare ad essere buoni cittadini vuol dire fare le azioni che svolgiamo quotidianamente con allegria: studiare, giocare, rispettare le regole, scherzare con gli amici… Facendolo con allegria. La prima espressione è un po’ più spinosa: dobbiamo educare i ragazzi all’essere buoni cristiani non a parole, ma con tutte quelle piccole azioni quotidiane che facciamo a modello di quello che Gesù ci ha insegnato. Potremmo dire “Testimoniamo per quello che siamo “. L’animatore non può scindere il proprio servizio dalla sua fede. Sono due cose che vanno in parallelo tra loro. Nel nostro DNA di cristiani sono radicati l’aiuto per il prossimo e la fede. Per poter mettere in pratica queste cose dobbiamo ESSERE Animatori e non FARE gli Animatori. Perché essere animatore vuol dire che la tua esperienza quotidiana non è circoscritta allo stare in oratorio, ma si allarga h24, 7 giorni su 7.

Possiamo dunque rappresentare con qualche parola l’identikit dell’animatore dell’oratorio. Deve essere: Allegro, “uno che non molla mai”, un educatore, coerente, responsabile, entusiasta, innamorato di Cristo, un buon ascoltatore, ma soprattutto umile a modello, come dicevamo prima, di Gesù.

Dunque, non scoraggiamoci leggendo tutti questi aggettivi, perché l’essere animatore non è una cosa che succede da un giorno ad un altro, ma dobbiamo continuamente educarCi ad essere anche noi in primis “Buoni cristiani, onesti cittadini e futuri abitatori del cielo”.

Giorgio Ciccotelli

L’educazione è frutto di esperienze educative

L’educazione viene da esperienze dirette. Tutto quello che viviamo in prima persona da bambini e in età adolescenziale aiuta a formare le nostre coscienze e il nostro carattere. Facendo questa osservazione come premessa è facile capire come le esperienze educative che riusciamo a far vivere ai nostri adolescenti, siano di estrema importanza: hanno la capacità di influenzare tutta la loro vita! Anzi, per essere ancora più incisivo, le esperienze che viviamo anche da adulti rieducano le nostre coscienze sempre e ci aprono a vivere orizzonti sempre nuovi.

Proprio per questo vanno curate nei minimi dettagli con attenzione alle particolari sensibilità di ogni ragazzo.

Una stessa esperienza può causare emozioni diverse, è bene per questo dare un valore previo all’esperienza che si vuole affrontare e dopo canalizzare le emozioni che i ragazzi esprimeranno.

È importante che le esperienze educative facciano sentire i ragazzi protagonisti e che abbiano una forte valenza simbolica.

Come costruire un itinerario educativo esperienziale? Ogni esperienza educativa dovrebbe essere composta da alcuni momenti[1].

È importante anzitutto individuare i bisogni concreti di carità dei ragazzi. Ognuno di noi ha diverse sensibilità ed è importante valorizzare le esigenze concrete dei ragazzi del gruppo, che siano capaci di suscitare stupore nel loro cuore. I ragazzi devono essere consapevoli che c’è bisogno di loro.

Nel vivere le esperienze educative dobbiamo far sì che nascano delle domande: come posso cambiare io questa realtà? Qual è l’aiuto concreto che posso dare in questa esigenza caritativa?

Papa Francesco ci parla spesso delle periferie esistenziali: penso che proprio queste periferie siano capaci di suscitare domande di senso nei ragazzi come anche nei più grandi sono capaci di suscitare sempre grandi interrogativi. È importante che ai ragazzi si mostrino, per quanto possibile, le radici delle realtà di necessità. Da dove viene il male, la povertà, il dolore?

Solo formando coscienze nel bene possiamo estirpare il male!

Il Vescovo Simone ci parla spesso dell’Amore: nell’affrontare queste esperienze educative è importante far venir fuori il cuore dei ragazzi e far comprendere loro che nel fare certi servizi è indispensabile donare tutto l’amore possibile: solo donando si riceve!

Le esperienze che si vorranno far vivere ai ragazzi, avendo forte valenza simbolica, dovranno aiutarli a saper rileggere la propria vita per aprirla al dono a Dio e ai fratelli [2].

L’itinerario educativo esperienziale dovrà sempre essere ritmato dalla liturgia, dalla catechesi e dalla carità[3]. Bisogna porre molta attenzione a vivere la carità senza Cristo: le nostre esperienze sono fondate su Gesù e sono vissute per scoprire il Suo volto nelle nostre coscienze. Proprio per questo è indispensabile vivere queste esperienze nella preghiera personale e comunitaria. Sono infatti indispensabili le scuole di Preghiera per gli adolescenti.

 

 

Don Vincenzo Cioppa

[1] Cfr. Sentieri di Pastorale Giovanile, Simone Giusti, 2016, Ed. Pharus, pag.174;

[2] Sentieri di Pastorale Giovanile, Simone Giusti, 2016, Ed. Pharus, pag.175;

[3] Ibid.;

SABATI DELLA CARITÀ: “i poveri” generatori di fede e maestri di vita

A cura di: Le Figlie della Carità di La Spezia*

Come fare perché la Cresima non diventi l’ultima tappa nel cammino di fede? Come trasmettere la passione per Cristo e per l’uomo ai ragazzi? Come poter mostrare che una vita senza Dio è una vita vuota, triste, senza orizzonte? Come poter rispondere al bisogno di sicurezza,
stabilità, benessere, felicità, amore dei ragazzi? Questi sono alcuni degli interrogativi che quotidianamente ci assillano … chi ha incontrato Cristo, chi sperimenta il Suo Amore non può trattenerlo per sé ma desidera mostrarlo e donarlo al mondo, San Vincenzo de Paoli ripeteva “non mi basta amare Dio se il mio prossimo non lo ama”. Ma possiamo noi aiutare i ragazzi ad amare Dio? Noi possiamo essere “facilitatori d’incontro”, possiamo metterli davanti a un incontro e poi pregare. Sì, pregare perché i loro occhi sappiano “vedere”, le loro ginocchia sappiano piegarsi, la porta del loro cuore si possa aprire, l’incontro possa avvenire, la vita acquisire un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Questa convinzione ci ha spinte a promuovere “i sabati della Carità”.
Iniziati con il gruppo del post-cresima e superiori all’interno di una parrocchia, sono ora l’espressione della collaborazione di 4 parrocchie
all’interno della Diocesi di La Spezia. Tanti di questi ragazzi sono nostri ex alunni che tante volte non hanno una parrocchia di riferimento ma che sentono la scuola come loro “casa”.
In cosa consistono i “Sabati della Carità”?
Nella Scuola delle Figlie della Carità alla Spezia incontriamo i ragazzi il sabato ogni 15 giorni. La cadenza quindicinale è per poter lasciare due
incontri formativi al mese all’interno della parrocchia di appartenenza e non rischiare di perdere il legame con la propria comunità, alimentando la consapevolezza di essere “inviati” dalla stessa. I ragazzi arrivano intorno alle 16.45/17.00 per un primo momento di
gioco, dialogo e merenda insieme. Dopo la preghiera, l’invocazione allo Spirito, ha inizio “il servizio ai poveri”. In realtà non ci piace chiamarli poveri, chi ha sperimentato lo sa, … chi è più povero: chi dona o chi riceve? Allora preferiamo chiamarli “fratelli”, “amici” … Finita la preghiera “usciamo per le strade” e mentre i ragazzi più grandi delle superiori a piccoli gruppi di due o tre vengono inviati per le visite a domicilio ai “nonni”, anziani soli, e ad alcune famiglie in difficoltà per la consegna del pacco viveri, i giovanissimi del post cresima si mettono in cammino per le strade del centro.
Possiamo riassumere questa esperienza in 5 punti.
CERCARE. PIEGARSI. CHIEDERE PERMESSO. GUARDARE NEGLI OCCHI.
LASCIARSI TRASFORMARE.
L’incontro con i questi fratelli non può lasciarci come prima. Chi incontra i “poveri” può non vederci subito Gesù, i ragazzi scoprono però che, nella misura in cui aprono il cuore alle persone che hanno davanti, la vita cambia, pian piano si trasforma. Essi diventano per loro veri maestri. Il contatto con le loro storie e l’incrocio di sguardi e sorrisi diventa quella piccola goccia che pian piano lavora la roccia e la trasforma …. Su questo punto vogliamo riportare direttamente la voce al alcuni ragazzi:

• Ho capito che è cambiato in me qualcosa da quando ho iniziato a intraprendere questa esperienza perché facendo del bene alle persone
che si aiutano si riceve la gioia di aver aiutato qualcuno.
• Ho consapevolezza che c’è sempre qualcuno che sta peggio di me e questo, anche se poco, cambia le mie azioni quotidiane.
• È cambiato di vedere il mondo con occhi diversi.

• Sì, ora mi sento qualcosa nel cuore grazie a voi signori della strada.
• Ho capito il senso della povertà, i sacrifici, e che si può vivere anche senza tutte le cose che abbiamo.
• Vedendo alcuni anziani ho imparato che la vita è una e non dobbiamo sprecarla.
• Ho imparato ad essere altruista.
• È cambiata la mia vita. Prima ci passavo vicino e provavo disprezzo, mentre ora mi calo nei loro panni.
• Sì, ho imparato a non sprecare il cibo; anche se sono piena o non mi piace, lo mangio lo stesso perché so che ci sono persone che non hanno quello che ho nel piatto..
• Da quanto ho incontrato questi fratelli più poveri sento di essere più generosa e altruista con il prossimo.
• Adesso se mi metto nei panni dei poveri riesco a capire di più.
• Dopo che li ho incontrati metto più impegno nelle cose che faccio. Ho imparato inoltre a non sprecare nessun tipo di cosa per qualsiasi motivo.
• Ho capito che io sono molto fortunata e che mi devo accontentare delle cose più semplici perché sono quelle essenziali.
• Ho capito che le cose per me normali per tutti non lo sono, quindi devo cercare di apprezzare di più quello che ho senza darlo per
scontato.
• Ha cambiato la mia sensibilità. So che sono fortunata ad avere degli amici perché nei loro sguardi ho notato solitudine.
• Mi sono resa conto che devo imparare ad essere meno superficiale.
• Pensando alla forza con cui affrontano la vita i poveri non mi butto giù per ogni stupidità ma penso che ci sono cose peggiori.
• Vedo i poveri sotto un’altra prospettiva: li sento tutti come amici.
• Quest’esperienza non solo mi dona gioia ma mi ha anche aiutato a superare la timidezza che avevo, e mi fa capire che aiutare i più poveri
è una cosa veramente importante.
• Ho capito meglio come vivono. Sono più consapevole.
• Grazie! Grazie Signore, perché ogni volta ci dai l’opportunità di incontrarti, di stringerti la mano e di tornare a casa più ricchi…non di cose, ma di qualcosa che si chiama gioia, senso della vita, dono ricevuto
• ci insegnano grandi valori quali: la pazienza; il coraggio nell’affrontare situazioni difficili; la riconoscenza e la capacità di essere felici per le piccole cose; la solidarietà tra di loro; l’affidamento la capacità di soffrire in silenzio che si esprimono nell’atteggiamento dignitoso dello stare lì seduti spesso senza neppure chiedere, ma pronti ad aprirsi nel dialogo con chi, fermandosi un poco, li fa sentire accolti come persone, vivi perché qualcuno si accorge di loro…
Alle 19.00 generalmente rientriamo e i sabati della Carità proseguono
con il momento di formazione in Chiesa e a seguire alle 19.45 la pizza e poi i giochi insieme. Questo è un punto di forza perché risponde al bisogno molto forte a questa età di parlare, di essere ascoltati e soprattutto di stare insieme.
San Vincenzo questo ce lo ha trasmesso e noi vogliamo ripeterlo a voi, lui aveva capito che Dio non lo attendeva nei libri o nelle contemplazioni estatiche, non lo attendeva nel silenzio di un monastero ma lo attendeva nell’uomo: nel piccolo, nel misero, nel carcerato, nello straniero, nel sofferente, nel peccatore e in ogni persona povera di amore, bisognosa di Dio stesso. Anche noi lo abbiamo trovato lì. Ciascuno di noi ha un luogo in cui il Signore lo aspetta, ciò che ci consente di trovarlo è il desiderio e la voglia di cercare, piegarsi, chiedere permesso, guardare negli occhi e lasciarsi trasformare.

Teniamo il ritmo! L’incontro con i centennials

di Luca Paolini*

Il mondo dell’educazione, si trova oggi ad affrontare una sfida importante direi epocale, che è quella dell’incontro con i “centennials”, come vengono chiamati i giovani adolescenti nati dopo il 2000, che sono i principali soggetti dell’intervento educativo di scuole e parrocchie. Una sfida difficile perché in pochi anni le mode, il linguaggio, i gusti degli adolescenti sono cambiate radicalmente per l’arrivo nel panorama culturale ma soprattutto commerciale delle nuove tecnologie. Infatti, mentre nel passato le generazioni cambiavano al ritmo di 20-30 anni, oggi questi tempi si sono molto ristretti e ogni 3-4 anni ci sono nuove mode, nuove parole, nuove tendenze che richiedono da parte dell’educatore uno sforzo di aggiornamento e “inculturazione” non indifferente. Per fare un esempio, gli adolescenti di 20 anni fa avevano a disposizione solo il computer, la Tv, la Playstation e il cinema. In venti anni il “background digitale” degli adolescenti è cresciuto a ritmi vertiginosi e oggi comprende: Tv on demand (Youtube, Netflix ecc…), Smartphone, Tablet, Computer, Social Network, Cinema in 3D, Realtà virtuale, Realtà aumentata, Consolle di Gioco (XBox, ecc), Visori 360°, Film interattivi. La scienza ha cercato di andare di pari passo con questa evoluzione, basta pensare alle sale operatorie di 20 anni fa e a quelle di oggi, dotate di sofisticatissimi sistemi di intervento chirurgico robotizzato e comandato a distanza tramite joystick. La scuola sta cercando con grande fatica e grandi ritrosie da parte di molti docenti, di innovare la didattica ed ha introdotto nelle classi la LIM o un monitor interattivo, ha avviato numerose sperimentazioni, a partire dalle Classi 2.0 e Scuole 2.0, che hanno implementato l’uso dei devices a scuola, la robotica educativa, il coding e il gaming. Che dire invece della Catechesi? Le nostre aule di catechismo sono rimaste ancorate saldamente al passato, spesso molto lontane dal mondo degli adolescenti: ambienti freddi, spogli, senza nessuna connessione ad internet, nessuna LIM o videoproiettore, nessun tentativo (tranne rari casi) di usare i nuovi linguaggi per gettare le reti nel mare delle nuove generazioni per farne dei cristiani adulti e consapevoli. E non si tratta solo di usare la tecnologia, ma anche di conoscere il loro mondo, la loro lingua che spesso è già diversa anche da quella degli educatori più giovani. Parole come postare, taggare, tweetare, screenshot, selfie, linkare, loggare, baggato, spammare, spoilerare, hashtag, avatar, meme, bannare, trollare, youtuber, nabbo, pro, shoppare, bro, sis, sono sconosciute alla maggior parte dei catechisti di oggi. Eppure spesso basta pronunciarle per ottenere la loro attenzione e aprire un varco nel loro cuore! Purtroppo siamo in ritardo, gli stessi sussidi ufficiali per la catechesi risalgono agli anni ’70, niente a che vedere con i libri sui quali studiano oggi i ragazzi fatti di una grafica e di immagini accattivanti ma anche di realtà aumentata o realtà virtuale, visibile semplicemente con lo smartphone. C’è bisogno di un radicale ripensamento della catechesi oggi che non può prescindere da una attenzione costante e puntuale al mondo che circonda gli adolescenti. L’educatore di oggi deve essere come quel padrone di casa di cui ci parla il Vangelo di Matteo, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

 

Vediamo come muovere i primi passi verso un nuovo modo di fare catechesi oggi, più attento al mondo che gira e ai nuovi linguaggi. Premettiamo che un eventuale uso della tecnologia deve avere un suo senso nell’ora di catechesi: la trasmissione dei contenuti della fede con un linguaggio nuovo! Non deve essere dunque qualcosa di forzato o peggio ancora di giovanilistico per fare colpo sui ragazzi. Solo avendo ben chiaro questo concetto, si può provare a sperimentare i nuovi linguaggi che sicuramente toglieranno quella che i ragazzi sentono come un patina di vecchio nell’ora di catechesi e nel messaggio del Vangelo.

 

Per tutti coloro che volessero cominciare a creare momenti di catechesi più innovativi suggerisco innanzitutto di parlare con i ragazzi per farsi raccontare il loro mondo, i loro neologismi, dove insomma batte il loro cuore. E’ un lavoro che non si può fare una volta sola, ma deve diventare una attitudine dell’educatore, quella dell’ascolto continuo e appassionato. I ragazzi non sono vasi vuoti da riempire, hanno una loro vita, delle loro passioni spesso in continuo mutamento, che l’educatore deve saper accogliere in ogni momento. La “lezione” di catechesi deve poi uniformarsi al modo di apprendere dei ragazzi che oggi non è più solo verbale, ma è fatto di interattività, di autorialità, di continui input/output (provocazioni, domande, attività diversificate anche all’interno di una stessa ora). In questo senso si la tecnologia che i ragazzi hanno a disposizione ci può aiutare. Se la parrocchia ha la possibilità di dotarsi di un pc e di un videoproiettore o una LIM, esistono numerose applicazioni web oppure per smartphone che possono aiutare il catechista e rendere la “lezione” più interattiva. Vediamone qualcuna:

 

–        Mentimeter – permette di creare brainstorming con nuvole di parole che si creano instantaneamente, sondaggi, quiz ecc…

–        Hypersay – con Hypersay si possono creare presentazioni in stile powerpoint, che appariranno sullo smartphone dei ragazzi, i quali potranno interagire con il catechista

–        Padlet – Bacheca interattiva dove lasciare commenti, immagini, messaggi vocali…

–        Kahoot – applicazione per creare quiz interattivi

–        Steller – applicazione che permette di creare storie in stile Instagram

–        Minecraft, Fortnite – applicazioni molto amate dai ragazzi che permettono di creare mondi virtuali

–        Autorap – semplice applicazione che trasforma testi in musica Rap

–        Textingstory – semplice applicazione che simula i dialoghi in stile whatsapp

 

Queste applicazioni funzionano senza nessuna registrazione da parte dei ragazzi e sono quindi ben utilizzabili anche in una sola ora di catechesi. E’ importante però sottolineare che prima di lanciarsi in questa avventura il catechista deve capire bene il funzionamento di queste applicazioni, ma ancor di più deve valutare l’opportunità di inserirle all’interno dell’ora di catechesi magari gradatamente. Ci potrebbe essere il rischio ad esempio di un utilizzo improprio dello smartphone da parte dei ragazzi, che non gioverebbe certo all’immagine della catechesi in parrocchia. E’ bene perciò dosare il loro utilizzo, finalizzarlo ad uno scopo ben preciso e comunque subordinarlo ad un comportamento corretto e responsabile da parte dei ragazzi. Nel momento in cui i nostri ragazzi percepiranno che la tecnologia non è vista come un nemico da parte dell’educatore ma come una opportunità, apprezzeranno anche momenti di “deserto”, di dieta mediale, nel quale l’educatore immerso nel loro mondo e dalla loro parte, potrà far loro assaporare occasioni di disconnessione dei quali sicuramente i ragazzi apprezzeranno i benefici e la novità.

 

Usare Mentimeter per fare Braistorming.

L’applicazione Mentimeter permette di fare brainstorming creando nuvole di tag, sondaggi, bacheche di messaggi, interagendo insomma in tempo reale con il cellulare dei nostri ragazzi. Se vogliamo creare una nuvola di parole che i nostri ragazzi andranno a riempire, colleghiamoci al sito www.mentimeter.com. Clicchiamo in alto a destra su “Get Started” e inseriamo i dati richiesti. Una volta fatto il log in clicchiamo sul pulsante “New presentation” e successivamente diamo un nome alla nostra presentazione. Nella schermata che segue abbiamo diverse opzioni disponibili, nel nostro caso scegliamo “Word cloud”.

A questo punto inseriamo il titolo della nostra nuvola di parole ad esempio “Definisci la Chiesa con una parola”. Per rendere la nostra presentazione interattiva clicchiamo in alto a destra sul pulsante “Present”. Ai nostri ragazzi dobbiamo dare solo il sito al quale collegarsi www.menti.com e il numero che apparirà in alto a destra. Con questi soli dati saranno in grado di interagire con il nostro computer, tablet, smartphone, LIM e inviarci le loro parole. Vedrete che immediatamente si comincerà a formare la nostra nuvola di Tag con le parole più grandi o più piccole a seconda della frequenza di utilizzo da parte dei ragazzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant’Agostino: una parrocchia livornese dove convivono realtà giovanili diverse

La parrocchia di S. Agostino ha una caratteristica unica, un dono prezioso rispetto alle altre parrocchie della nostra Diocesi: la presenza di un’associazione parrocchiale di Azione Cattolica numericamente significativa. La presenza dell’AC in questi ultimi 30 anni ha donato alla comunità parrocchiale un bel numero di adulti corresponsabili nella pastorale e tutt’oggi gode della collaborazione e del servizio di un bel gruppo di adulti e giovani. Tra i vari servizi che svolge l’AC è di particolare importanza quello dell’ACR (Azione Cattolica Ragazzi), un percorso formativo per i ragazzi dai 6 ai 14 anni, e quello dei Giovanissimi (15-18 anni). I soci adulti e i giovani si mettono al servizio dei più piccoli per far fare anche a loro esperienza associativa, ovvero per farli crescere in uno stile di collaborazione e corresponsabilità nell’annuncio del Vangelo. Dai primi anni ’90, a livello nazionale, all’AC è stata data la possibilità anche di proporre percorsi di iniziazione cristiana. Ecco che a s. Agostino, grazie alla presenza dell’AC, esiste un percorso di iniziazione cristiana che dalla prima elementare accompagna i ragazzi fino ai 18-20 alla Solenne Professione di Fede! Quest’anno, per la prima volta, un gruppetto di “superstiti” del gruppo Giovanissimi giungerà al termine del percorso: in agosto andremo in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e sulla tomba dell’apostolo Giacomo saranno chiamati a dire il loro sì definitivo a Cristo recitando solennemente il Credo.

A fianco della proposta dell’AC si va ricostituendo un percorso di catechesi parrocchiale non associativo e dall’ottobre 2016 in parrocchia è presente anche l’AGESCI con il gruppo Livorno 7, autorizzato dal Vescovo a proporre un cammino di iniziazione cristiana con un progetto proprio che si conclude con la famosa Partenza. Per i genitori c’è così la possibilità di scelta tra tre percorsi formativi diversi, ma tutti di iniziazione cristiana, ovvero con l’obiettivo comune di accompagnare il ragazzo verso i 18-20 anni a prendere la decisione di essere cristiano.

Quest’ultimo punto è un nodo cruciale e non possiamo nascondere la difficoltà che anche a s. Agostino si ha nel far comprendere ai ragazzi, ma soprattutto ai genitori, che il catechismo non “serve” per prepararsi alla Comunione e alla Cresima. Questo è un retaggio del Concilio di Trento e così andava bene fino a 50 anni fa: il catechismo, come lo intendiamo comunemente, nasce davvero come un periodo breve in cui qualcuno, di solito il parroco che aveva una certa preparazione teologica, preparava i ragazzi alla Comunione e alla Cresima, ma si inseriva all’interno di un’educazione cristiana solida che si riceveva in famiglia ed era sostenuto da una società cristiana. Oggi non è più così! Si rende necessario un percorso integrale di educazione alla vita cristiana, alla vita di preghiera, alla carità, senza certamente dimenticare l’aspetto dottrinale. Perché questo si realizzi è necessario dunque un tempo più lungo, durante il quale non solo essere costanti al catechismo, ma anche e soprattutto acquisire la “buona abitudine” di non mancare mai alla Messa domenicale ed essere educati a vivere la carità. Nel percorso rivestono un ruolo fondamentale i campi estivi ed invernali, momenti nei quali si può sperimentare la bellezza del vivere insieme nell’amicizia del Signore Gesù, si possono fare esperienze forti, si possono creare relazioni e si può maturare così un senso di appartenenza al gruppo, prima, e alla comunità parrocchiale, poi.

Non è facile rompere questo legame catechismo-sacramenti e far comprendere che i sacramenti sono solo delle tappe del percorso. A s. Agostino ci stiamo provando, con qualche difficoltà, ma anche con qualche frutto. Nel rispetto delle indicazioni del Vescovo, che prevedono almeno 4 anni di catechismo prima della Comunione e 6 prima della Cresima con tutta una serie di requisiti, e d’accordo col Vescovo, già da qualche anno non celebriamo un’unica Messa di Prima Comunione a maggio tutti insieme! Non si riceve più la Comunione ad una certa età! Ogni ragazzo ha il suo percorso personale e il suo tempo per le tappe sacramentali. Questa sperimentazione è favorita e sta dando frutti in particolare nell’ACR, perché il percorso prevede una suddivisione dei ragazzi in fasce (6-8; 9-11; 12-14) e non in classi, spesso troppo simili alle classi scolastiche. All’inizio dell’anno vengono presentate ai genitori alcune date (un paio in autunno, un paio in inverno e una in primavera). I genitori dei ragazzi che stanno frequentando il 4° anno di catechismo (non importa l’età, dipende da quando si è cominciato!) in un rapporto di confronto col parroco e con gli educatori decidono quando è arrivato il momento e chiedono di fare la Comunione in una determinata data. Quando abbiamo cominciato molti si sono quasi scandalizzati: “Cosa c’entra la Comunione a dicembre!”. Perché tanta meraviglia? La Comunione non si fa tutte le domeniche? Tale sperimentazione rende anche la celebrazione della Prima Comunione, che è un evento straordinario, al tempo stesso ordinaria: i ragazzi sono un piccolo gruppetto e non c’è la folla dei parenti, la comunità parrocchiale non viene avvisata (altrimenti i fedeli vanno ad altre Messe per evitare la confusione) e la celebrazione è davvero vissuta come un qualcosa di ordinario, non che si fa una volta sola nella vita, ma che si comincia a fare oggi e ci si augura di farlo per tutta la vita!

Quest’anno stiamo provando una sperimentazione simile anche con la tappa della Cresima. Il Vescovo Simone si è reso disponibile a venire due volte l’anno ad amministrare questo sacramento. Così, tra i ragazzi del gruppo 12-14 dell’ACR, con lo stesso spirito di collaborazione coi genitori, si cerca di capire per chi è arrivato il momento di celebrare questa tappa. Per la Cresima si richiede che sia assodata la partecipazione alla Messa domenicale e che ci si impegni a svolgere un piccolo servizio nella comunità parrocchiale.

Non è semplice la via che stiamo sperimentando, ma penso che il Signore ci stia guidando e sostenendo col suo Spirito in questa direzione. I frutti non mancano. Non mancano anche delle difficoltà, ma ci proponiamo di verificare continuamente il cammino intrapreso e di riuscire a comprendere come migliorare il tutto per riuscire davvero a generare cristiani!

Don Valerio Barbieri

Dalla parrocchia al paese, le idee ispirano e le persone creano

10338481_1496362810582_opt*di Francesca Anedda*
L’Associazione il Miglio inizia la propria avventura ufficialmente nel 2003. A differenza di tante realtà, il Miglio prese forma perché già c’era una cultura, c’erano le persone e la volontà di stare insieme e lavorare per un beme
più grande, la condivisione e l’amicizia. Dare un nome a tutto è stata una tappa di un percorso che aveva iniziato a delinearsi anni prima. Le idee ispirano, come dice il titolo. E l’idea giusta vent’anni fa circa, l’ebbe il nostro parroco,
oggi vescovo, Don Simone Giusti. Dai giovani dovevano germogliare le idee, a loro doveva essere affidata l’iniziativa. Furono scelti giovani animatori a cui affidare le decine di ragazzi che frequentavano la parrocchia. Giovani
che insegnavano ai più giovani. L’intuizione di ridurre le distanze tra gli animatori e gli animati con lo scopo di dare forza alle iniziative, dare quella necessaria coesione che avrebbe poi generato il primo gruppo musicale “Non
Volendo”. Ad oggi si può dire che l’importanza di quel gruppo non era su come suonava o quanti erano a farlo. La loro vera forza risiedeva nel come lo facevano. La canonica era diventata la loro officina, dava un senso di condivisione a tutti coloro che la frequentavano, un senso derivato certamente da quegli insegnamenti, da quel modo di vivere che tutti avevano scelto di impegnare al servizio degli altri. Era la prima importante affermazione
che dentro ad ambienti religiosi potesse nascere qualcosa di estremamente rock.
Nacque presto la consapevolezza che l’officina di idee potesse e dovesse abbracciare anche chi la musica non la sentiva tra le proprie corde. Fu così che da quei ragazzi un tempo animati e poi animatori nacque l’idea del gruppo teatrale. Iniziando dalle rappresentazioni sacre come la Via Crucis fino a spettacoli per le feste del paese, il gruppo

Dal canto al teatro
Dal canto
al teatro

teatrale vide l’avvicinamento di oltre 50 giovani del paese. Fu poi Don Simone, nel 2003 a farci capire che avevamo tutto, proprio tutto, fatto salvo di un nome. Nacque così il Miglio!
Da quel giorno l’Associazione ha sempre portato avanti, nel paese e fuori, iniziative teatrali e musicali. Musical con la partecipazione di 40 persone minimo, contest musicali e molto altro hanno fatto del Miglio il centro teatrale di Cascine. Dal “Fantasma dell’Opera” alla “Bella e la Bestia”, da “Hercules” a “Moulin Rouge”, spettacoli che hanno portato in scena emozioni forti e fuori scena hanno dato vita a quel gruppo che negli anni ha raggiunto anche 80 persone. Dal Miglio è nato il Festival Musicale, un weekend di musica con artisti da tutta Italia.

Il Miglio gestisce oggi, insieme ad altre realtà, il Teatro Vittoria e realizza spettacoli professionali con l’obiettivo di divertire e divertirsi, non dimenticando mai quel principio di condivisione che la nostra stessa storia ci ricorda,
ogni volta che sfogliamo i nostri spettacoli. Siamo un esempio e siamo orgogliosi di esserlo, di come si può costruire nuove realtà partendo dall’idea che la parrocchia guida ed ispira quelle idee basate sul principio fondamentale che fare e condividere sono due cose distinte oppure sono un’unica realtà che oggi, a Cascine, si chiama Miglio.

TUTTI PER UNO E UNO PER TUTTI
Alla base la parrocchia, la comunità su di essa si costruisce un’idea che piano piano diventa una cosa grande. Questa è un’esperienza vera! Fatta da gente vera, da persone che dal nulla hanno creato qualcosa di bello, credendoci!

Qualcosa di veramente "rock"
Qualcosa di veramente “rock”

La lettura sociologica di quest’esperienza:  LE IDEE GIOVANI
*di Maria Chiara Michelini*
La ragione pedagogica del successo de Il miglio è, a mio modo di vedere, riconducibile al suo mettere al centro i giovani e le loro idee. Questa scelta, che sarebbe potuta apparire scontata venti o trenta anni fa, cioè prima che
questi giovani nascessero, oggi si mostra nel suo essere avanguardista, nel nostro gergo, potremmo dire, profetica. Se in passato la Chiesa ha rischiato, a volte, forme di vero e proprio giovanilismo, nelle priorità, nelle forme, nei linguaggi, oggi la situazione presenta tutt’altre caratteristiche che rendono ancora più visibile il valore dell’intuizione de Il miglio. La tensione complessiva della pastorale ecclesiale reale, infatti, oggi appare attenuata nella direzione del mondo giovanile, non di rado lamentosa e pessimista. Di “questi giovani” si tende a sottolineare il profilo critico (sono sempre su Fb, non sanno più parlare e interagire, non si riesce più ad interessarli a nulla, etc.), quasi rinunciando a evidenziarne il potenziale positivo e, quindi, venendo meno all’esercizio del proprium educativo,
nel senso etimologico del termine (e-ducere). Si rinuncia, cioè, a credere nei giovani, in nome dei loro limiti e dei profili di modernità che non sempre riusciamo a capire. Gli effetti negativi di questa tendenza sono visibili nell’invecchiamento della nostra Chiesa (pensate alle celebrazioni liturgiche), ma, potrebbero esserlo molto di più in
futuro, quando gli effetti a lungo periodo di questo disinvestimento diventeranno più evidenti, e irreversibili.

Il miglio, al contrario scommette sui giovani, crede in loro, affida loro l’iniziativa. Non si occupa di organizzare attività o eventi per i giovani, ma crea uno spazio per idee, attività, eventi pensati e organizzati dai giovani.
Ciò implica un riposizionamento educatore/educando, «l’intuizione di ridurre le distanze tra gli animatori e gli animati con lo scopo di dare forza alle iniziative, dare quella necessaria coesione che avrebbe poi generato il
primo gruppo musicale Non Volendo», si dice. In altri termini, si sperimenta un diverso modello educativo, non più prevalentemente trasmissivo, ma centrato sull’educando, messo in condizioni di esprimersi, proporre, inventare,

Una scommessa vinta
Una scommessa vinta

provare, sbagliare….Ciò consente ai valori di raggiungere la vita dei ragazzi, attraverso proposte che nascono
da loro, dal loro vissuto, dalle loro idee, dal loro sentire, proposte sulle quali gli educatori possono incidere nella direzione della passione evangelica che li anima. Questo trasforma la canonica in officina delle loro idee,
restituendole la sua vocazione ad essere casa di tutti. La musica rock, Il teatro, con la predilezione di opere estremamente contemporanee, sono la veste di quelle idee e di quella scelta. Non sono la scelta. La scelta sono I giovani e le loro idee. L’intuizione educative non è il teatro o la musica, ma il protagonismo dei giovani, la fiducia
nelle loro proposte, la chance di opzione loro offerta. In questo la proposta de il miglio si offre a noi come esempio educativo fecondo, attuale, innovativo, Inesorabilmente il fuoco della proposta si allarga, oltrepassa I confini della sacrestia, per estendersi al paese, al territorio, con le sue cattedrali (come il teatro) e la sua vita. Come dire che
I giovani, percepiti come lontani dalla politica, disinteressati alla loro terra e alla loro città, se messi in condizioni di pensare e creare, fanno politica, quella alta, capace di trasformare la città. E di cambiare il volto (e non solo) della Chiesa. Penso davvero ci sia di che trarre ispirazione da questa esperienza, lasciando che la frizzante aria di cui I giovani sono espressione circoli e si espanda. Chissà che anche attraverso essa lo Spirito soffi.

Gli sconosciuti di Facebook

Su internet  è sempre una sorpresa  nel bene e nel male
Su internet
è sempre una sorpresa
nel bene e nel male

*don Mario Simula*
Non so chi siano. Che faccia abbiano. Come si vestano e cosa mangino a merenda.
I nomi poi! Ne ho catturato qualcuno per caso. Ma non so a chi di essi corrispondano.
Tutto è nato da un altro anonimo (o anonima?), che leggendo le mie paginette quotidiane sul sito si è chiesto: “Perché le devo tenere soltanto per me? Quasi quasi provo a “postarle”. Con tutti i rischi. Quando si posta puoi avere in risposta parole bellissime e parolacce ricercatissime. Tutto poteva capitare.

Primo miracolo: gli interlocutori, che poi ho capito essere ragazzi adolescenti, non solo non usano parole “fiorite”, ma si impegnano a non usarle per tutta la quaresima. Mai capitato nella loro vita, una volta compiuti gli otto anni.
Era l’inizio della quaresima. Se di quel tempo avevano dimenticato tutto, non era passata dalla loro memoria la voglia di impegnarsi in qualcosa: “Non useremo parolacce”.
Secondo miracolo: non hanno difficoltà ad avere come interfaccia un prete. Un segreto: Donnnnnnnnnnnnnnnnnnn! PREDICHEeeeeeeeeeeeeeeeeeee! NOoooooooooooooooo!.
Si può arrivare al cuore dei ragazzi anche di quelli lontani senza fare prediche. Raccontando, incoraggiando la vita ad essere vita, non cadendo sempre sulla buccia di banana della paura.
Terzo miracolo: “Stiamo imparando a conoscere il Vangelo e il nostro “amichissimo Gesù”.
Non sapevamo che esistessero certe pagine del Vangelo, alcuni racconti. Nessuno ce ne aveva parlato. E poi, quando ce ne parlava la suora al catechismo: che “palle”.
Stiamo capendo che Dio è nostro amico, ci vuole bene e non è sempre pronto a spingerci nell’inferno.
Quarto miracolo: caro donnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn, la sai una cosa. Da quando i nostri genitori ci hanno visto con le cuffie alle orecchie anche di notte, si sono incuriositi. Carla ha visto che la mamma, di nascosto “ficchettava” tre le cose della figlia. Stava anche lei ascoltando le storie, il Vangelo.
Qualche giorno fa è avvenuto l’impensabile. Ci siamo trovati io papà e mamma, seduti sullo stesso divano, mentre ascoltavamo insieme quella storia che il papà aveva raccontato al figlio. Mio padre è rimasto meravigliato: “Scusami se io non l’ho mai fatto con te”. Io ho visto una lacrima scendergli lungo il viso”. Ehi! Don, sei “togo”.
Quinto miracolo: i genitori sono felici che qualcuno parli ai loro figli e li aiuti a crescere. Intanto dal padre e dalla madre non accettano nulla.
Spigolature varie
Si parla di un fatto increscioso avvenuto in classe. Tutti hanno visto il maltrattamento riservato ad una ragazza con difficoltà, ma nessuno è intervenuto.
Ecco l’intervento alla lettera da parte di un ragazzo: “Allora nessuno dice avete paura????? Anche io sono stato di quelli che ho detto non ho visto e non ho sentito ma don amico che posti parlo con voi visto che i miei amici se la stanno facendo sotto perché leggono anche i nostri genitori. Le cose sono tutte vere, hanno abbassato i pantaloni tutti abbiamo visto chi ha deriso, approfitta solo perché è ritardata perché è malata perché non si sa difendere tutti abbiamo riso e la prof se l’ha presa con lei che doveva andare a dirlo alla prof. Stronza se avesse capito ciò che

FACEBOOK NON È IL DIAVOLO I social network possono diventare uno strumento per comunicare, ma vanno usati con saggezza. A volte possono essere un valido alleato per arrivare a chi è più “lontano”, altre per far sentire la propria voce a chi è solo o disorientato e invece ha bisogno di una guida
FACEBOOK NON È IL DIAVOLO
I social network possono diventare uno strumento per comunicare, ma vanno usati con saggezza. A volte possono essere un valido alleato per arrivare a chi è più “lontano”, altre per far sentire la propria voce a chi è solo o disorientato e invece ha bisogno di una guida

succedeva si sarebbe difesa. Invece la prof di sostegno a fare salotto. Facciamo schifo. Sara ha pianto anche se malata si è sentita umiliata e noi qui a leggere. Don siamo, io compreso, tutti codardi. Semplice scrivere don è vero hai ragione e poi … adulti neanche voi intervenite vero??? Anche voi sapete ma meglio tenere bocca chiusa. Don bravo complimenti per chi non capisce, hai messo anche le emoctions”.
Potrei dire infinite altre esperienze emerse. Mi riservo di farlo con cura.

Di una cosa mi sono convinto.
• Facebook non è il diavolo
• Deve essere proibito a chi lo trasforma in tempo da perdere a vuoto
• Deve essere proibito ai preti attaccabrighe e ficcanaso, e a quelli che lo utilizzano anche nei tempi morti delle concelebrazioni quando si distribuisce la comunione
• Deve essere interdetto a chi lavora in ufficio e dimentica di sbrigare le pratiche facendo aspettare la gente
• Deve essere assolutamente vietato a chi soffre di allergia congenita alla comunicazione diretta per paura di vedere l’espressione del viso di chi gli sta di fronte, di sentire il tono della sua voce e il significato dei silenzi, pieni di gesti.

Qualche volta può diventare un alleato imprevisto attraverso il quale molti XXXXXX diventano AMICI senza avergli chiesto l’amicizia.

La frase: “dipende dall’uso che se ne fa”
La frase: “dipende dall’uso che se ne fa”

L’ALTRA FACCIA DI FACEBOOK
di Maria-Chiara Michelini
Finalmente si entra nel gotha dei social, nel cuore delle relazioni della rete, nella bolla comunicativa del tempo presente, nel mito dell’apparire che coincide perfettamente con l’esserci: Facebook. E finalmente, qualcuno di parte ecclesiale, si prova a dire: facebook non è il diavolo, con facebook si possono fare miracoli, ci sono limiti che possono essere superati per l’annuncio della buona Novella.
Chiarirò immediatamente, a scanso di equivoci, che sono tra quelli che condividono le convinzioni con cui si chiude il contributo di Don Mario Simula. Ma sono anche persuasa che attualmente il social si presti troppo e venga ancora prevalentemente utilizzato da chi lo trasforma in tempo da perdere a vuoto, dai preti attaccabrighe e ficcanaso, e da quelli che lo utilizzano anche nei tempi morti delle concelebrazioni quando si distribuisce la comunione, da chi lavora in ufficio e dimentica di sbrigare le pratiche facendo aspettare la gente, da chi soffre di allergia congenita alla comunicazione diretta per paura di vedere l’espressione del viso di chi gli sta di fronte, di sentire il tono della sua voce e il significato dei silenzi, pieni di gesti. Conseguentemente ho ancora l’atteggiamento di chi vede una montagna di spazzatura da smuovere per rintracciare, sotto “la perla” nascosta. L’impresa mi appare davvero titanica e chi lodevolmente si avventura in essa, sostenuto dalla convinzione del tanto potenziale insito, dovrebbe avere questa chiarezza, evitando ingenuità e scivoloni.
Fatta questa precisazione che ritengo doverosa, vediamo perché credo che “finalmente” parliamo di facebook.
Finalmente parliamo in chiave attuale del rapporto mezzi/fini e della loro separazione/unione. Nel linguaggio comune questo tema è sintetizzato dall’espressione “dipende dall’uso che se ne fa”. Vero. Fino a un certo punto. Ma andiamo per gradi.

social, che fare?
social, che fare?

La separazione dei fini dai mezzi (e viceversa) è un problema serio e il nostro tempo dovrà fare i conti con questa scelta che ha fatto storicamente. Come si può pensare, ad esempio, di perseguire la pace, investendo risorse, energie, ricchezze dei popoli su mezzi bellicosi? La separazione, in questo caso, è riferibile alla distanza ontologica ineliminabile tra i mezzi (nocivi, letali, aggressivi) e il fine (pace, armonia, benessere, condivisione…). Questa separazione, viceversa, comporta un disallineamento degli uni rispetto agli altri e, soprattutto, un processo di vorace fagogitazione degli uni (i mezzi) sugli altri (i fini). I mezzi, con la loro rassicurante concretezza, tendono a catalizzare ogni energia, mentre i fini, con la loro spiritualità, tendono alla trasparenza e alla volatilità. Tanto da diventare essi stessi padroni del loro destino, fissando e determinando i fini stessi. Così se il focus diventa il possesso del telefonino di ultima generazione, esso da mezzo diventa scopo del mio agire (per il possesso, per la sua conoscenza, per l’utilizzo), ma, ancor di più esso stabilirà gli scopi dell’uso: funzioni, tempi, modalità….Così, attraverso il mezzo, abbiamo stabilito fini comunicativi, ad esempio, che non avremmo immaginato (ad esempio: contatto in tempo reale con una chat su wa con persone mai viste e conosciute, ma accomunate da un interesse comune (uno sport, un cibo, un evento…).
Facebook, in questo senso, rappresenta un iperbolico esempio: la potenza del mezzo veicola fini (a volte aberranti, come il maltrattamento della ragazza con difficoltà), li rende possibili e per ciò stesso, attribuisce loro un potere di esistere che schiaccia e ammutolisce.
E arriviamo, finalmente, al tentativo di cui si parla ne Gli sconosciuti di facebook. Si tratta di un’esperienza che cerca proprio di valorizzare il potenziale del mezzo, coniugandolo con i fini dell’annuncio evangelico e dei valori intrinseci. Ci si stupisce addirittura che funzioni (l’elenco dei miracoli è indicativo, in tal senso) e che crei alleati. I grandi educatori del ‘900, compresi quelli del mondo cattolico, sono stati spesso intelligenti interpreti del potenziale dei mezzi nuovi del loro tempo (un esempio per tutti: l’uso didattico del giornale nella scuola di Barbiana di don Milani). È bene condurre esperienze di questo genere che cerchino di riconciliare la potenza di facebook, con i fini dell’evangelizzazione. Si tratta di un mezzo, potente, pervasivo, che può funzionare.
Certo occorre sapienza. Che non è il sapere dell’uso di facebook, il suo tecnicismo, pur inevitabilmente necessario. Occorre la saggezza del sapere critico, della vigilanza costante sui continui rischio di scivolamenti, di subordinazioni culturali, delle fascinazioni ingannevole dell’apparire. Davide, contro (o con) il gigante Golia. Chi pensasse ancora di “farsi grande” perché capace di stare su facebook e di avere molti “mi piace”, non farebbe che alimentare la voracità del mezzo senza aggiungere nulla alla storia della salvezza. Ma Davide può vincere.