INTERNET: TROVI TUTTO È LA NUOVA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA?

*di Luigi Cioni

Nel giugno del 2002 le agenzie hanno battuto una notizia importante e destinata ad eccitare la nostra curiosità: “riapre la Biblioteca di Alessandria”. Dai nostri studi tut-ti conosciamo questo faro di cultura per il mondo antico, fino alla sua distruzione, perenne rammarico per tutti gli intellettuali e sapienti di allora e di oggi. Eppure nel 2002 questo annuncio non ha suscitato solo sorpresa e gioia, ma anche grandi perplessità: “Ma, oggi, a che serve? Abbiamo internet e lì troviamo tutto! Le enciclopedie che abbiamo in casa stanno diventando inutili, tra poco troveremo libri da leggere in digitale, gratis, notizie da tutto il mondo, comunicazioni non finire e informazioni in diretta, come non ne abbiamo mai avute.” Ed in effetti appena l’anno successivo la storia sembrò dare ragione a chi intravedeva un futuro luminoso: la nascita dell’ADSL ed il Web 2.0; Da quel momento noi tutti immettiamo quotidianamente in rete, noti-zie, foto, post, informazioni. Ma lentamente ci siamo resi conto che la nostra privacy viene violata, che i nostri figli corrono rischi ogni volta che guardano lo smartphone, che veniamo subissati continuamente di informazioni non richieste e pubblicità che rivelano una attenzione non alla nostra identità, ma al nostro essere solo, ancora una volta, consumatori.

No, internet non è esattamente una biblioteca! E nemmeno una fonte neutra di dati, come nemmeno un biblioteca lo è, nemmeno la Biblioteca di Alessandria che ambisce ad essere universale. Ma come? Internet è senza censure, è la democrazia assoluta, è la voce della gente, che può parlare senza costrizioni! Certamente! Ma siamo proprio certi che questo sia un bene?

Lungi da me l’idea di una censura e certamente lungi da me l’idea di voler porre la rete sul banco degli imputati. Chi come me, ha già diverse primavere sulle spalle, sa bene quanta fatica ha fatto per reperire materiale di studio all’università, quante ricerche per trovare i testi delle canzoni che voleva cantare, quanti soldi ha speso per vedere i film che la critica consigliava, e avrebbe benedetto (e benedice ancora oggi)
un mondo in cui tutto questo risulta essere a disposizione di tutti. Eppure devo esprimere delle riserve: quando leggo un libro so che quello che l’autore ha scritto passa attraverso una serie di revisioni, di letture competenti, di domande e risposte che il direttore editoriale rivolge all’autore, per essere sicuro che ciò che si troverà poi nelle pagine abbia un valore indubitabile, tale da affidare al testo il buon nome della casa editrice.
Quando leggo una rivista o un giornale, so che l’autore ha svolto inchieste e ricerche prima di stendere una sua opinione sui fatti, verificando le sue fonti e mettendo in gioco la sua credibilità personale, di fronte ad una platea di lettori. Ma chi scrive su internet chi è? Come è arrivato a mettere a portata di scroll le sue informazioni e le sue opinioni? Perché dovrei fidarmi di lui? Eppure, basta leggere un post su Facebook che le mie dita corrono a commentare; basta una news su Google perché io cominci a inveire contro tutti i responsabili di nefandezze varie o di presunte ingiustizie di cui, fino a quel momento, non avevo mai sentito parlare. E allora (senza arrivare agli estremi del bullismo digitale, delle offese gratuite, delle minacce a commento di post discutibili, cioè di cui si potrebbe discutere, senza offendere nessuno), ci troviamo alle fake news continue, alle foto ritoccate per un like in più, a titoloni altisonanti che annunciano eventi di cui poi non si parlerà minimamente
nel testo sotteso, ecc.
La deriva di questo comportamento è certamente quell’analfabetismo che non è più digitale, ma funzionale, di coloro che non sono più capaci di leggere oltre il titolo, che non riescono a distinguere il vero dal falso, che non riescono più a vedere la differenza tra opinione e la realtà oggettiva. Ed è così che dalla Biblioteca di Alessandra, dal grande faro di cultura, in cui mai mi immetterei senza una guida, siamo arrivati a parlare della spazzatura, del trash, non più solo digitale, ma spirituale, dell’immondizia che riempie le nostre giornate e le nostre anime, della acredine che viene suscitata ogni giorno da ciò che, anche distrattamente, leggiamo sui nostri schermi e che rende la nostra vita abbrutita e insoddisfatta. Ancora una volta la soluzione è una sola, né demonizzare né subire con passività, né proibire né rinunciare al controllo, né esaltare né vivere fuori dal proprio tempo. “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”! Quante volte questa massima ci porta fuori delle angosce di un apparentemente insolubile dilemma. Solo insieme ad altri possiamo intravedere oltre i nostri limiti, solo mettendoci in una posizione attiva, di controllo e di critica, di dialogo e ricerca, insieme e non da soli con il nostro schermo o il nostro pensare che spesso mai abbiamo confrontato con qualcuno, possiamo crescere e “sapere”. Mi verrebbe da dire, quando oltre agli schermi, riusciamo anche a guardare nel volto di chi ci sta vicino e scoprire che nella sua alterità c’è un qualcosa che io non sarò mai.
Per me, quindi, una benedizione.

 

SINTONIZZATI CON IL SIGNORE!

*di don Matteo Giavazzi

I miei ragazzi sono speciali. Ascoltano davvero poco, a volte sono distratti e anche un po’ superficiali. Gli interessi quotidiani, molto spesso, non toccano il cuore. Certe sere, dopo una delle tante giornate trascorse insieme, improvvisamente sanno aprirsi e mostrare la loro umanità: le ferite, la gioia di essere giovani, l’amore, l’amicizia, il tradimento e il perdono. E, quasi alla fine di questo turbinio di emozioni, si interrogano su Dio. E la musica, in questo, è loro alleata.
Anche io, giovane e a volte maldestro parroco, cerco di stare al passo, studiando nuovi brani. E noto che, tra una canzone e l’altra, passa la vita. Per questo, spesso, chiedo a qualcuno di loro: “Oh, che si sente di nuovo in giro? Dimmi!”. La musica, infatti, come un linguaggio universale riesce a descrivere bene le domande di sempre: Chi sono io? C’è Dio? Che senso ha la mia vita? E, me ne accorgo sempre più spesso, sono proprio questi giovani amici ad aiutarmi a incontrare il Signore, a pregare, interrogandomi su come trasmettere alle giovani generazioni la straordinaria e luminosa bellezza che porta il nome di Gesù. E, allora, credo che con la musica sia possibile lasciarci educare dal bello, rispondendo alle domande di sempre.

Chi è Dio? (Lettera dall’Inferno, Emis Killa)

Quando l’ascolti, perlomeno se la leggi da una prospettiva cristiana, resti colpito dal tono graffiante delle parole di questo brano. Si tratta di uno sfogo, capace di dare sintesi ai dubbi che attraversano particolarmente questo difficile momento: Dio esiste? Qual è il vero volto di Dio? Eppure, penso che, proprio nel lavoro con le nostre comunità, sarebbe davvero bello fermarsi e domandarsi: ma io ci credo? O, meglio, come dice il testo: “caro Dio, mi scuso se sono sparito. È che, ultimamente, lo avevi fatto
anche te”. A volte anche a noi piace, con il Signore, tirare la sorte e sfidarlo. Insomma, come mi è capitato alcuni giorni fa con una persona, spesso la fede si basa solo su un “testa o croce” e, in alcune occasioni, fatica ad intercettare la vita quotidiana, trasformandola in un’occasione di cambiamento di se stessi. La speranza, però, vince sempre.
Il brano, infatti, continua: “detti legge nell’universo, perché prendi e dai”. Forse è questo il volto di Dio che tutti cerchiamo nella vita. Il Dio rivelato da Gesù si mostra diverso e sconvolgente rispetto alle nostre aspettative, anche a quelle di un giovane. Lui non prende nulla, dona solo. E il luogo dove avviene questo miracolo è la croce. Contemplando il Crocifisso, che sta lì, con le braccia spalancate, noi crediamo in un Dio che si è fatto amore. Solo così siamo liberi. Liberi perché figli amatissimi del Padre.

Chi sono io? (Sogni appesi, Ultimo)
“Provo a dimenticare scelte che fanno male. Abbraccio le mie certezze, provo a darmi da fare. Ma ancora non riesco a capire se il mondo un giorno io potrò amarlo. Se resto chiuso a dormire, quando dovrei incontrarlo”. Ultimo, un ragazzo prodigio con migliaia di fan, stupisce sempre per la profondità dei suoi testi, che parlano della sua vita, ricca di sofferenze, debolezze, fragilità ma anche forze, sogni e speranze. Una vita vera, piena di tante cose, come è la nostra vita di tutti i giorni. Egli ricorda, infatti, come spesso questa storia sia una sfida: non è facile da vivere ma, troppe volte, ci schiaccia. E verrebbe da chiedersi: cosa resta? Cosa rimane della mia vita e dei miei sogni? Serve un tu, un qualcuno per il quale valga la pena vivere. E, di tu in tu, la fede ci insegna che c’è un Tu con la T maiuscola: il Signore. La canzone continua: “E adesso tirando le somme, non sto vivendo come volevo ma posso essere fiero di portare avanti quello che credo. Da quando ero bambino solo un obiettivo: dalla parte degli ultimi, per sentirmi primo”. L’ideale è la scelta dell’ultimo, allora. Come ha fatto Gesù, dicendoci “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). Scopriamo, in questo modo, che le semplici parole di un ragazzo toccano il cuore del Vangelo. Ci parlano di quell’ultimo un po’ scomodo, di quell’ultimo che non vorremmo desiderare di essere e anche di quell’ultimo che non vogliamo conoscere. Farci ultimi significa scoprirci amati di un Dio che sulla croce si è fatto ultimo per noi. E solo la poesia di un giovane ce lo può insegnare.

GESÙ E LA SCUOLA: UN MESSAGGIO ANCORA POSSIBILE?

*di Martina Antognoli

Comunicare ai ragazzi il messaggio di Gesù oggi è innanzitutto una sfida: i numerosi e variegati spunti che il mondo offre loro porta sicuramente a un pregiudizio di fronte a determinati temi, ma anche una buona dose di curiosità. Spesso gli adolescenti sono considerati disinteressati, persi nel loro mondo virtuale, con pochi stimoli di senso e tanto tempo perso; e il rischio è che davvero diventino tali. Ma se si ha il coraggio di scavare un po’, si trova in loro una grande sensibilità, un interesse a ricevere alt(r)i messaggi, proposte profonde, che abbiano un contenuto solido e concreto. Insegnare Religione Cattolica oggi significa anche essere come i minatori, che non hanno paura del buio e dell’imprevisto: armati di elmetto, torcia e corde, scendono nelle miniere col coraggio e la voglia di scavare in profondità. Così è trasmettere il messaggio di Gesù Cristo oggi, avere il coraggio e la voglia di scendere nella profondità della mente e del cuore degli alunni che abbiamo di fronte, presentare un messaggio di coerenza e responsabilità, che arrivi a toccare le corde più sensibili di quelli che un domani saranno adulti, chiamati a compiere decisioni importanti per se stessi e per la società.

Nella mia esperienza triennale in un liceo di Genova ho incontrato questo desiderio di profondità in quasi tutti i miei alunni: molti, pur avvalendosi dell’IRC, conoscono poco la storia di Gesù, il contesto in cui viveva, il semplice messaggio che portava, così scontato oggi, ma ancora così rivoluzionario. Attraverso il confronto diretto con alcuni passi del Vangelo, il confronto con l’attualità è lampante e spesso l’ora settimanale non basta per esaurire il dibattito che ne scaturisce: dal Buon Samaritano al giovane ricco, sono tanti gli spunti che questo grande influencer propone, tra tutti amore per se stessi, riconoscersi dono per gli altri, avere uno sguardo ampio su chi ci circonda. Certo, non è un insegnamento facile: i pregiudizi e le false credenze da debellare sono tanti, ma il compito di un cristiano è essere sale e luce, chiamato a offrire una prospettiva diversa sul mondo. Colpisce i ragazzi la trasversalità di questa materia, tanto che incrociamo spesso brani di filosofia, testi latini e greci, storici e professori di italiano e soprattutto le grandi dichiarazioni e costituzioni che si esplorano nella neonata Educazione Civica. E allora come non rileggere la Dichiarazione Universale dei diritti umani, quando parliamo dell’amore per il prossimo perché persona come me, con pari diritti e dignità? Come non esplorare la Dottrina Sociale della Chiesa, partendo dall’enciclica Laudato Si’, quando si riflette su economia circolare, lotta alla povertà, ecologia? Come non guardare alla ribellione propria dei grandi Santi di fronte a ingiustizie precostituite, quando oggi riflettiamo sul lavoro degli Influencer e la loro capacità di esser portatori di un valore?
Riflettere sul messaggio di Gesù di Nazareth oggi è quanto mai importante, in una cultura dello scarto, come dice Papa Francesco, in cui lo sguardo verso l’altro è spesso schermato da molti fattori. Se l’educazione passa attraverso la scuola, essa non può esimersi dal narrare quella che per noi è la buona novella. È importante però che questa narrazione sia libera: l’ora di religione è un’ora di trasmissione di una cultura cristiana che ha avuto l’onore e l’onere di essere fondativa per l’Europa e non solo, ed è fondamentale che i ragazzi ricevano questo insegnamento senza l’imposizione o l’obbligo della fede. Molti alunni si dichiarano atei o agnostici, molti sono cristiani tiepidi, molti non si pongono domande, ma tutti accedono con curiosità e gioia a questo insegnamento, che richiede tempo da sottrarre a altro. Ma è proprio in questo sacrificio che si determina la profondità dei ragazzi e la loro voglia di mettersi in gioco, di essere stimolati, di saperne di più. E molti
scoprono che gli insegnamenti di quest’ora possono e devono essere applicati nel loro quotidiano, perché suscitano in loro domande, più che offrire risposte.
E come minatori, è importante che gli insegnanti non perdano l’entusiasmo e il desiderio di caricarsi di elmetto, torcia e corda, per scendere nel cuore degli alunni e far loro scoprire la loro dimensione interiore e spirituale che molto spesso, soprattutto oggi, è al buio e aspetta solo che qualcuno la porti alla luce. E d’altra parte, come scrisse Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi, «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata.»

L’INTERVISTA IMPOSSIBILE TRA UN DICIOTTENNE E IL NOBILE FIORENTINO

*di Dario Caturegli

Non tutto è possibile, neanche al giorno d’oggi pur con una scienza e una tecnologia che consentono, per esempio con il 5G e i robot, di guidare operazioni chirurgiche a distanza d’oceano… ma la fantasia ‘verosimile’, direbbe Manzoni, supera la scienza e lo rende già possibile. Proviamo così a immaginarci un dialogo tra un diciottenne e Dante mentre aspettano la metro in una stazione isolata o desolata…

GIOVANE: Senti, Dante, visto che siamo soli e la nostra conversazione non sarà oggetto
d’interrogazione, me la togli una curiosità che mi porto dietro dalla terza, da quando ti ho  conosciuto: ma come sei riuscito a riveder le stelle, e per ben tre volte, con tutte queste tenebre? In fondo sei tu che sei stato esiliato in contumacia, giovane a 36 anni; sei tu che non hai più rivisto tua moglie Gemma, nei lunghi anni dell’esilio, sei tu che sei finito isolato anche dai tuoi compagni di partito, i ‘bianchi’; sei tu che hai dovuto sopportare l’ospitalità cordiale, ma sempre donata e precaria, dei Signori del ‘300; e sei sempre tu che hai rivisto i figli solo nell’ultimo anno della tua vita, figli che certo non ti hanno nemmeno riconosciuto, avendoli tu lasciati quando erano bambini: proprio una vita da sfigato, permetti!
DANTE: Ma sempre in piedi, sì sempre in piedi! Senza genuflessioni a caccia di consensi, e al tempo stesso senza perder la speranza! Come ho fatto? Eh.. mi verrebbe da dire: sono stato un duro, non mi sono piegato a costo di pagarla cara.. ma sarei presuntuoso (d’altra parte ti ricordi che anche l’avo Cacciaguida nel Paradiso allude al peccato di superbi per gli ‘Aldighieri’..); no il fatto è che, a parte un primo momento
-isolato- nella selva oscura, non sono stato mai solo; anzi, ho avuto un’infinità d’aiuti, compagni di poesia, esempi di virtù e.. le tre Donne che mi hanno acciuffato per i capelli mentre ero nella selva (e lo sai che ognuno di noi prima o poi incontra nella vita.. la selva: del traviamento, del fallimento, o anche semplicemente dell’abbandono..).
GIOVANE: Le tre Donne? Ti riferisci a Beatrice, Gemma e le altre dei compagni Guido (Cavalcanti) e Lapo (Gianni)?
DANTE: No, lascia perdere quel sonetto, qui in ballo non c’è la letteratura, ma la vita, la mia ma anche la tua: ascolta! La prima cosa che ho imparato è che quando sei ‘fritto’ (dite così, vero, voi giovani?) e io lo ero davvero: morta Beatrice, la politica a Firenze così convulsa che mi aveva portato anche a punire il miglior amico..; nel disorientamento più cupo, proprio quando non sai dove batter la testa, è lì che ho trovato
luce e guida. Sì, ricordalo anche tu, è proprio quando sei nel mezzo di una crisi che sei più disponibile a ricevere l’aiuto che il Buon Dio non ti fa mai mancare. Anzi: nel mio caso, ma potrebbe essere anche il tuo, Dio ha proprio esagerato!
GIOVANE: Ma se ti sei trovato.. all’inferno!
DANTE: Ma è proprio qui che è successo il primo miracolo, e Dio ha.. esagerato! Di fronte a me pieno di sconforto, senza meritarlo e senza chiederlo, si è mossa la Vergine, che ha coinvolto Santa Lucia, che a sua volta si è recata da Beatrice; e Beatrice mi ha dato la miglior guida che fosse sul mercato: Virgilio! Non solo da me studiato e amato, ma una delle più grandi autorità nel Medio Evo. Diciamo come se tu, quando hai da scrivere un tema, ti facessi aiutare da Manzoni e a matematica da Einstein! Capito?
Non siamo mai soli ed è proprio nel buio che si intravedono meglio i bagliori dell’alba! E’ così che è incominciato il mio lungo percorso dall’Inferno al Paradiso: quanta fatica (e a volte anche quanta paura) ma quando lo scopo è definito e ben chiaro, allora si va avanti, comunque! Tu ce l’hai, vero, uno scopo nella tua vita? E poi è buffo: a volte Dio si serve anche del ‘diavolo’ per farti capire alcune cose e incoraggiarti: sai chi mi ha dato una delle prime certezze che avrei superato l’inferno e mi sarei salvato? Proprio Caronte che non voleva traghettarmi e nell’opposizione (poi superata comunque da Virgilio) mi anticipò che sarei stato traghettato con una imbarcazione
piccola e veloce: che capita proprio a chi si salva e accede al Purgatorio. Quindi, ricorda, tutto è guidato da Dio, e la speranza non deve mai mancare!
GIOVANE: Incredibile, quello che tu come uomo hai incontrato (sei un uomo come me in fondo, anche se io a volte capisco poco le tue terzine…). Ma dimmi: quali sono gli incontri più difficili o belli che hai fatto?
DANTE: Sono così tanti che ho dovuto scrivere 14.233 versi! Ma, certo, alcuni sono stati davvero coinvolgenti!
GIOVANE: Quali?
DANTE: Come non ricordare quando, in una bufera che mai si placa, ho incontrato ancora abbracciati Paolo e Francesca? Pensa: morti trucidati e ancora abbracciati! Ed erano ancora tutti imbevuti di quei racconti d’amore che allora andavano molto: le storie di Lancilloto e Ginevra e anche la mia poetica del Dolce Stil Novo, dove tutto è amore, la forma è secondaria, tutta la poesia è come una fiamma che si accende dal cuore! .. fiamma, ahimè, questo l’ho capito bene per la prima volta proprio lì davanti a Francesca, che può portati alla morte: a peccare non rispettando la fedeltà del matrimonio e alla violenza omicida generata da emozioni d’amore assolutizzate!
GIOVANE: Detto così sembra un film macabro: amore e morte insieme!
DANTE: Non scherzarci: lo sai che l’amore, i sentimenti, le emozioni, le passioni, sono forze che possono portati in cielo come i santi o nel baratro della vita? Ma altri incontri sono stati esperienze fortissime. Che sconforto quando ho trovato tra i sodomiti il mio maestro Brunetto Latini, sì ‘“sor Brunetto” il maestro che mi ha avviato alla letteratura: che peccato quando la cultura e la letteratura non riescono
a fornirti anche una prospettiva forte di maturazione nelle relazioni! O pensa anche quando ho visto tra i suicidi Pier delle Vigne: pensa a quali gesti orrendi può portare la maldicenza da una parte (ti ricordi che ingiustamente viene accusato di tradimento) e il basare la propria vita solo sul successo (professionale o politico), al punto che se poi questo manca, si arriva suicidio! E io che sono stato in esilio ingiustamente per venti anni!
Ma devo ricordarti anche l’incontro con Ulisse: che racconto, il suo! Quando convince i suoi compagni a compiere l’ultima sfida, andare oltre le colonne d’Ercole per perlustrare il mondo sconosciuto, con quel suo famoso discorso: “fatti non fuste a viver come bruti, ma a seguire virtute e canoscenza..”. Che sete di sapere, quella di Ulisse, e come descrive bene proprio l’essenza dell’uomo fatto per conoscere cose sempre nuove.. ma anche la conoscenza umana, questo è il messaggio, che ho raccolto da questo incontro, deve essere sempre guidata dalla Grazia, deve avere un fine più alto che la conoscenza per la conoscenza. Capito? Non basta andare bene a scuola e sapere tutto, se anche la cultura non serve per fare il percorso che Dio assegna a ciascuno e a salvarci tutti insieme! Ma non posso poi non ricordare anche Catone all’inizio del Purgatorio: un suicida, capisci?
GIOVANE: Scusa Dante, questa non la capisco: ma come, mi hai ricordato la fine orrenda del suicida Pier delle Vigne, e ora ricordi un altro suicida come Catone?

DANTE: Sì, il discorso sarebbe lungo, ma vado al sodo. Ebbene, che cosa c’è di più caro che la propria vita? Niente! Eppure quest’uomo ha messo al primo posto la propria libertà dalla tirannide che pensava stesse per compiersi con la vittoria di Cesare.
Esagerato, forse! Da non imitare, certo! Ma pensa al desiderio di essere libero fino al punto di mettere in discussione la sua vita. E noi, forse, oggi perdiamo la libertà solo per il conformismo o il consumismo .. o per la quiete!

GIOVANE: Una domanda, visto che la nostra attesa è finita: tu sei credente, vero? Ed eri allora un uomo di Chiesa, anche se – diciamo – con qualche problema con il Papa Bonifacio VIII, giusto? Ed hai continuato ad andare comunque in Chiesa?
DANTE: Lo scopo del mio viaggio, ricordalo, era salvarmi e veder Dio; e ricorda anche il mio sforzo titanico nel cercare di distinguere, proprio alla fine del viaggio in Paradiso, il volto di Cristo nel cerchio della Trinità. Senza la Grazia non ce l’avrei fatta, ma che bello essermi perso poi nell’Amore di Dio e nella sua armonia universale! Vedi, la Chiesa è stata donata agli uomini per accompagnarci in questo viaggio verso Dio. Certo, a volte è opaca o i suoi uomini non solo all’altezza del suo compito ma Dio sa comunque donarle -la Grazia – e guide, riformatori, santi che costantemente la rinnovano: pensa a San Francesco e San Domenico. Ma pensa che tutto il mondo ha bisogno di rinnovarsi: per cos’altro ho parlato del “Cinquecento diece e cinque”, ricordi? Un riformatore più forte di tutta la corruzione che c’è nel mondo. Ecco, nel mio Viaggio ho capito che Dio non abbandona mai la sua creatura: il mondo, l’uomo e la chiesa: se grandi sono le loro fragilità e i loro limiti tanto più grandi sono i Suoi doni!

 

IMPOSSIBLE IS NOTHING

*di Igino Lanforti*
Iniziato il periodo di DAD (didattica a distanza) anche un profano dell’informatica come me, abituato ad antiche tecnologie, ho dovuto
relazionarmi con i miei alunni per non lasciarli soli in questo difficile periodo. Ho quindi scelto di inviare una lettera settimanale e lasciare in calce la mia mail per entrare in dialogo con me. La scelta si è rivelata felice perché ho ricevuto centinaia di lettere e ogni mattina ho passato ore a rispondere ad ognuno. E’ impossibile fare anche solo un sunto di quanto arrivato e pertanto ho lasciato solo le prime lettere. Alla fine ho voluto aggiungere anche poche righe di due genitori. Questo non per vanto personale, ma come testimonianza che la DAD è arrivata nelle case e ha coinvolto anche lefamiglie.

22 marzo 2020
L’IMPORTANZA DI RIFLETTERE SU QUESTI GIORNI
Carissimi alunni e alunne, non son bravo con la tecnologia e probabilmente non riuscirò mai a fare una lezione virtuale, ma volevo condividere con voi alcune riflessioni a quasi venti giorni dalla sospensione della scuola e allora utilizzo questo modo.
Ormai è la terza notte di fila che mi sveglio in preda a brutti sogni. Stanotte non sono riuscito a riprendere sonno, mi sono passate per la testa molte cose, e mi siete venuti in mente voi. Mi sono chiesto quali saranno stati i vostri sogni, i vostri stati d’animo in questo periodo e ho realizzato che in fondo siamo come compagni dell’unico viaggio, anche se dislocati in vagoni diversi, anche se con situazioni e con età diverse; ma da compagni di viaggio alcune riflessioni possiamo condividerle. Non è mia intenzione rattristarvi o farvi perdere troppo tempo, avete già anche troppe gatte da pelare in questi giorni , ma penso che questa brutta storia non finirà troppo presto (i motivi di questo mio sentore ve li esporrò un’altra volta) e allora cogliamo l’occasione per dirci alcune cose, perchè sono certo che ci sono dei concetti che normalmente fanno fatica a essere accolti (nel senso di ascoltati, non necessariamente condivisi) mentre la sofferenza ha questo incredibile pregio di ammorbidire le nostre corazze e permettere che l’autenticità che è in ciascuno, cominci a confrontarsi col “senso” delle cose. Viviamo in una cultura che ci ha insegnato una cosa: che i limiti non esistono. Mi viene in mente una pubblicità della nota marca di articoli sportivi Adidas che recitava: impossible is nothing. Niente è impossibile. Dietro questa concezione c’è sicuramente un’idea, che se niente è impossibile, non c’è niente che non si possa volere e infine “comprare”.
Al di là dei subdoli aspetti economici, questa visione contiene un veleno ancora più pericoloso. Questo pericolo è il credere che tutto
sia alla nostra portata e in definitiva che tutto quello che si desidera si possa fare e se si può fare, sia lecito, giusto. Non voglio in questo
passaggio sembrare troppo moralista (voi che mi conoscete, sapete benissimo che non è così), ma non posso tacere su alcune scelte che ormai sono diventate di uso comune, o meglio ancora “normali” e che forse così normali non lo sono… Mi riferisco al fatto che molte/i di voi per esempio pensano che sia inutile aspettare per conoscersi meglio se alcune cose si possono fare prima o subito, e se abbiamo sbagliato, pazienza c’è sempre un rimedio, ci sarà sempre un rimedio. C’è sempre un rimedio per tutto: impossible is nothing! Dobbiamo solo deciderlo noi. Perchè è proprio così, noi possiamo decidere tutto della nostra vita, anche la vita stessa (ripensate alle nostre passate lezioni). Perchè il limite non esiste, ce lo ha imposto la religione che ci dice sempre che questo non si può fare, che questo è proibito… ma è tutta una bugia, è roba passata! Questo si pensa oggi! Guardate con un po’ di attenzione la televisione, o semplicemente guardiamoci intorno, vedrete che le cose stanno così. I limiti qualcuno li ha inventati perchè non vuole che siamo noi a decidere, perchè vuole vederci infelici, e allora abbattiamoli, scavalchiamoli!

Care, care alunne/i ho l’impressione che le cose non stiano affatto così. Nel mondo senza limiti, nel mondo dove niente è impossibile, arriva un microscopico organismo, un virus, e improvvisamente, tutti noi che ci sentivamo dei giganti, ora ci sentiamo piccoli piccoli, fragili, impotenti. E tutto ci crolla addosso, perdiamo il sonno. Forse è meglio approfittare di questo tempo per riflettere sul “limite”.
Non solo per prenderne atto, e indirizzare meglio il nostro operare, ma per renderci conto che se abbiamo dei limiti, allora vuol dire che non siamo onnipotenti e che tutti noi, tutti, nessuno escluso, ha bisogno di aiuto, HA BISOGNO DEGLI ALTRI!
E allora, anche questa settimana, vi voglio accennare al vangelo della Messa. C’è uno cieco dalla nascita (Giovanni 9,1-38): la gente chiede a Gesù di chi è la colpa della sua cecità, ma Gesù prende del fango, lo mette sugli occhi dell’uomo e gli comanda di lavarsi. Dopo, riacquisterà la vista… (non sarebbe male che ve lo leggeste tutto). Ditemi, quello che ci sta capitando adesso, non è un bel po’ di fango?
E questo fango, quanto ci fa soffrire, è insopportabile! Quando finalmente non saremo più sporchi? Forse, non avete il coraggio di dare
tutta la colpa a Dio (anche perchè non ci credete), ma certo che… Comunque vorremo che tutto questo brutto sogno fosse lavato via presto, e tornare finalmente a vedere il sereno, come prima. Però attenzione, vi anticipo, allora voi mi direte che è Dio che ha messo il fango, cioè che questa pandemia l’ha messa Lui… e che cavolo di dio è! Noi non consciamo Dio, ma siamo pronti ad accusarlo, a scaricare su di Lui il nostro malessere…
Anche la gente attorno al cieco si interroga su di Lui e non capisce, ma è pronta a scacciarlo dalla città. Sarà proprio il cieco guarito a darci la risposta: “voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi”. Bene, il vangelo sembra volerci dire che forse non ci vedevamo così bene prima, e che il fango paradossalmente ha fatto traballare alcune nostre convinzioni, ci ha fatto scoprire che non andava tutto bene. Sarà proprio vero che il limite non esiste? Che decidiamo tutto noi? Che impossible is nothing? Quando i nostri occhi saranno lavati, quando tutto sarà finito, allora ci vedremo veramente… ma… ma ci vuole Uno che ci dica di andarci a lavare e dove andarci a lavare… Questa voce è nel nostro cuore. Il Salvatore c’è e non ci molla. A presto

CARO PROF…
Buongiorno prof, ho letto e apprezzato il discorso sul limite e condivido con lei il mio pensiero stitichezza a parte….questi sono giorni duri per tutti, perciò al di la della fede, del pensiero di ognuno di noi, credo che non ci sia persona che non abbia paura, che non si stia interrogando su cosa accadrà, e perché sta accadendo tutto ciò. Fino a qualche giorno fa l’uomo pensava di essere invincibile, di avere tutto il potere, ma la natura, Dio o entrambi ci hanno dimostrato che stavamo sbagliando. L’uomo è solo un puntino nel mondo e nonostante sia di massa superiore al virus, è stato schiacciato come una formica sotto le zampe di un elefante, se non peggio… perciò sì, abbiamo dei limiti insormontabili, non è vero che tutto è possibile, tutto è possibile nel limite che la natura ci dona. Perciò spero che tutta questa disgrazia ci faccia capire cosa è veramente importante, che la famiglia conta più della discoteca, più dell’aperitivo…che stare soli con se stessi ci fa bene e ci permette di capire veramente noi stessi fino in fondo, e che alla fine non siamo mai veramente soli.
L.C. 5A

Scrivo in risposta alla seconda riflessione, cercando di accennare anche alla prima che aveva caricato. Limiti, è vero quello che dice lei, oggigiorno ci si sente ripetere continuamente che non ci sono limiti se si crede in noi stessi, che credendoci si possa fare qualsiasi cosa. Ognuno di noi si trova prima o poi a far faccia ai propri limiti personali, possano loro essere fisici (malattie, o la banale mancanza
di allenamento), psicologici, sociali ed economici. Nella società attuale si può, almeno in parte, applicare il “nothing is impossible”, ma
solo perché viviamo in un’epoca e in una società con un’ampia libertà e tutto ciò ci permette di avere più opportunità, di scegliere, per quello che possiamo, cosa fare della nostra vita, cose impensabili sotto regimi restrittivi. C’è una categoria di gente, che ha la possibilità di oltrepassare più limiti rispetto agli altri, parlo dell’élite, dei ricchi, coloro che possiedono a bizzeffe ciò che regola il mondo, il denaro, grazie al quale ottengono alcune immunità, occasioni e poteri decisionali, che se non direttamente possono influenzare il popolo sfruttando la loro notorietà e visibilità aumentata grazie alle attuali tecnologie. Io personalmente non ho mai invidiato i ricchi, tantomeno quelli che lo sono di nascita, data la loro posizione privilegiata immeritata, perché accecati dai loro fogli di carta e carte visa credono di valere più di altri, credono di essere al di sopra di tutti (cosa comune anche ad alcuni poveri), dimenticando che altro non sono che una piccolissima stella nell’universo che sembra brillare di luce intensa da vicino ma se osservata in lontananza brilla esattamente come tutte le altre, e che la loro vita non è poi tanto diversa dalle nostre, con i nostri dubbi, delusioni e gioie. Con ciò non voglio dire che tutti siamo uguali, le differenze sono evidenti, ognuno con il suo carattere forgiato dalle proprie esperienze di vita, ma al contempo con i propri limiti, che ahimè accettarli ci farebbe sentire inferiori quindi logicamente tendiamo a nasconderli. Le differenze esistono, sono legittime e talvolta ereditarie, anche se negli ultimi periodi sembra divenuto tabù parlarne, come avere idee contrastanti alla maggior parte della popolazione; siano queste idee giuste o sbagliate, esprimerle è sinonimo di libertà di pensiero ed espressione, quindi forse non viviamo nella piena libertà come invece crediamo. Io stesso non accetto di avere dei limiti, sempre proiettato con la mente verso il futuro. Ma ora le rivolgo io una domanda: se al giorno d’oggi crediamo di non avere limiti, perché aumentano sempre di più le persone che si pongono il limite della morte? Che credono che tutto finisca? Non è questo un limite stesso in contrapposizione al “nothing is impossible”?
T.G. 5A

Buongiorno prof,
personalmente ho apprezzato molto le sue parole e riflessioni, in cui in parte mi sono ritrovata. Mi è piaciuta particolarmente quella sui limiti, non solo perché ho letto un’opinione diversa dal solito su questo tema, ma anche perché avere l’idea di vivere in un mondo senza limiti è uno degli elementi che ha portato l’uomo a dare meno valore del dovuto a determinate decisioni ed azioni, a pensare di poter fare/avere tutto e subito e di essere fine a se stesso; per cui l’esistenza di un elemento che potrebbe sembrare esclusivamente negativo, come il limite, acquista la sua importanza. Per rispondere alle sue domande: credo che l’espressione “si era fatta sera”, con cui inizia il Vangelo si riferisca ad una sera metaforica; più che altro ad un periodo negativo o comunque sfavorevole, che nel caso della narrazione coincide con la tempesta per delle persone che si trovano su una barca. Sicuramente nelle nostre vite “si è fatta sera”, ci troviamo in un momento particolare sotto ogni punto di vista, difficile da definire. Tuttavia ritengo che “questa sera” possa essere una grande opportunità dal punto di vista riflessivo. Ci ha permesso di capire che il mondo in cui siamo abituati a vivere così freneticamente,
ma soprattutto con così tante certezze non va poi tanto bene; ci ha voluto dire qualcosa, si è voluta “fermare”, dandoci del tempo per esaminare le nostre azioni, le nostre scelte, la nostra vita. Probabilmente la stessa ”sera” che ci ha portato ad essere una società così individualista, ci ha voluto ricordare l’importanza di valori quali la solidarietà, la comunità, l’umanità, la fratellanza. Dal punto di vista religioso ho trovato molto interessante ed emblematico oltre al comportamento di Gesù in questo episodio, a cui ho dato varie interpretazioni, pur non trovandone una convincente (non so se si tratti di fiducia nel genere umano o dell’affermazione implicita della sua umanità…); anche due parti del suo pensiero: la prima è l’essere pronti a dare la colpa a qualcuno anche se non si è sicuri della sua esistenza e la seconda è l’essere disposti a far salire Gesù sulla barca della propria vita. Credo che siano temi davvero importanti, che facciano capire la complessità e la particolarità dell’atteggiamento e del pensiero umano e divino. Saluti, a presto
L.V. 4A

Che cosa vuol dire essere animatore oggi?

Cosa vuol dire essere animatori al giorno d’oggi? È una domanda che accompagna il mio cammino di consacrata da diversi anni. Facendo esperienza in diverse realtà dell’Italia, ho avuto la fortuna di poter conoscere molte persone e luoghi, ognuno con caratteristiche diverse.

Stare con i giovani è da sempre la cosa che più mi attira.

Prima di intraprendere il cammino di consacrata nel mio Istituto, ho avuto la gioia di incontrare diverse persone con una profonda passione per la realtà giovanile. Mentre nel mio cuore si faceva sempre più spazio la chiamata di Dio, sentivo fortemente di voler donare ai ragazzi che avrei incontrato, tutta la bellezza ricevuta da quei piccoli ma grandi testimoni che avevo conosciuto e che mi avevano accompagnata nella mia adolescenza. Mi ripetevo che quei sorrisi veri, quell’amore che riuscivano a trasmettermi (che veniva da un Amore più grande) lo dovevo ridonare, non potevo tenerlo per me. In questo modo il Signore ha iniziato a farsi spazio nella mia vita.

Penso che possiamo fare tanti corsi belli e preziosi per poter imparare ma credo che la cosa fondamentale per essere animatori oggi, secondo la mia piccola esperienza, vuol dire questo: ESSERCI!

I giovani hanno bisogno di presenze vere, pazienti, coerenti, che diano testimonianza che vale la pena vivere in pienezza, senza accontentarsi di ciò che la società impone e propone come alternativa più “facile” e meno impegnativa da scegliere. L’animatore deve voler spendere il suo tempo che a volte può sembrare perso e non portare, apparentemente, nessun frutto. Ci si deve saper sporcare le mani.  Essere animatori significa mettersi a servizio dei ragazzi per aiutarli a crescere.

Dentro ciascuno di noi c’è una grande capacità che ci apre alla bellezza della vita: la capacità di amare. Stare con i ragazzi per poter conoscerli il più possibile e amarli per poterli capire.

Ma tutto questo non lo si può imporre. Essere e fare l’animatore non è un obbligo, ma una scelta.

Bisogna avere la volontà di stare a contatto con i più giovani e di viverci in mezzo.

È un modo di trasmettere un’esperienza: è dire con l’esempio che bisogna essere innamorati della vita, vivendola con serenità e gioia, con la voglia di mettersi in gioco, puntando al positivo.

Non bisogna mai mollare con i giovani, la vita non è una passeggiata senza ostacoli per nessuno, i tempi di crescita e di maturazione non sono mai gli stessi.  L’animatore deve tirar fuori il bene che c’è dentro ogni ragazzo. Non esistono ragazzi “totalmente” cattivi: in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene. È questo punto che l’animatore deve scovare per far divenire i giovani a lui affidati “buoni cristiani e onesti cittadini”.

L’animatore è cosciente del compito che gli è stato affidato e fa di tutto per non deludere chi ha avuto fiducia in lui. Sa che ogni suo comportamento può avere conseguenze sui ragazzi quindi agisce sempre con coscienza e intelligenza.

Una condizione indispensabile per essere animatori in parrocchia è testimoniare l’amore di Cristo: è questo ciò che ci distingue dagli animatori dei villaggi turistici. Il fuoco che arde nel cuore di un animatore è l’amore per Lui! È questo fuoco che accompagna l’animatore in ogni momento del suo servizio! Non siamo animatori da spiaggia, quello è bellissimo a tanto faticoso a volte, ma chi è chiamato a farlo in determinati contesti come quello della Parrocchia, deve esserne convinto perché i giovani che ci vengono affidati sono molto attenti e critici verso chi li guida. Non si può “predicare bene e razzolare male”.

Stando con i ragazzi, bisogna essere sempre pronto ad ascoltare i loro problemi, senza mai banalizzarli. Ma saremo persone veramente disposte ad ascoltare gli altri solamente se saremo capaci di fermarci, nella continua corsa delle innumerevoli cosa che abbiamo da fare, per metterci in ascolto della Parola che Dio ci vuole comunicare ogni giorno.

È un’avventura meravigliosa, quella dell’animatore perché è meraviglioso il mondo giovanile.  Non è facile perché la società cambia continuamente e così anche tutti noi ma credo che ce ne sia davvero bisogno. Se si dice che i giovani sono il futuro… beh, allora su questo futuro ci si deve credere e investire sul serio e con tutta la passione che si ha nel cuore!

Sr Giulia De Luca

La Parrocchia comunità educante

Nella tradizione educativa ecclesiale e non, ci troviamo sempre a confrontarci con figure di educatori molto carismatici e con forti personalità: da don Bosco a Baden-Powell, da don Milani a don Oreste Benzi, … quello che emerge è sempre la loro eccezionale individualità, messa al servizio di tanti, ma con un carisma personale incontenibile.

Se pensiamo alla nostra esperienza personale e pensiamo alle figure che ci hanno formato, pensiamo subito ai nostri catechisti; eppure nel Nuovo Testamento e in particolare negli Atti appare con chiarezza che l’unico soggetto che agisce è la Chiesa accompagnata dallo Spirito Santo o, se vogliamo (ma non cambia), lo Spirito Santo attraverso tutta intera la Chiesa.

In un contesto culturale di tipo individualista qual è il nostro, infatti, non appare immediatamente il ruolo specifico e il contributo che la comunità porta alla formazione dell’identità personale.

Nel Nuovo Testamento sono molti i richiami all’unità e a pensarsi come un unico organismo, perché fin dalle origini si è sempre presentato il rischio che alcune individualità prevalessero sulla comunità o addirittura l’appello ad alcune individualità fosse il pretesto per dividere la Chiesa.

Soffermandoci sulla Parola di Dio, emergono dei punti, che messi in ordine ci vengono in aiuto alla nostra riflessione:

– è la Chiesa che ti chiama e che ti manda; è la Chiesa che ti affida una missione; non esistono auto-candidature; chiunque esercita un servizio, è per il bene comune e a nome della Chiesa (Cfr. At 6; Ef 4; 1Cor 12)

– l’affidamento di un servizio nella Chiesa ha una radice vocazionale e non corrisponde al bisogno, non è un servizio funzionale; è nella comunità che io ritrovo la sorgente del mio servizio (At 20 – discorso di Paolo ai presbiteri di Efeso)

– è la Chiesa che mi aiuta nel discernimento ed è a Lei che devo rendere conto dello svolgimento del mio servizio (non agli utenti); Cfr. At 11,1-18.

– da parte della comunità cristiana è necessaria una presa in carico, una capacità di ascolto e la cura per la formazione di coloro a cui viene affidato un servizio; i formatori agiscono a nome della comunità.

Per tanto non basta una catechista e un animatore, che sappia fare un bel discorso, perché l’educazione cristiana non si può ridurre a una lezione da spiegare. Nessuno deve agire in proprio. L’educatore deve essere espressione della comunità, deve agire e parlare a nome di una comunità.

Questo è forse il punto più delicato perché richiede un chiarimento  delle figure di Chiesa che si prendono cura dell’educazione. È necessario proporre cammini di corresponsabilità; educare non prevede nessun tipo di delega.

Certamente prevede e richiede una competenza umana, di fede ed ecclesiale.

Va anche sottolineato il fatto che il cammino educativo della comunità cristiana deve, da un lato, fornire forme di vita cristiana provocanti e dall’altro fornire gli spazi di crescita che favorisca la formazione di una coscienza morale libera e consapevole.

Nella Chiesa non vi sono figure solitarie preposte all’educazione, ma è la Chiesa tutta chiamata ad educare. Questo perché tutta la Chiesa è discepola dell’unico Signore. In questo senso la Chiesa potrà essere presentata, anche e non certamente solo, come una comunità educante che sa mettersi in ascolto del suo grande educatore che è Cristo Signore. E da questa stessa opera nasce la Chiesa, ne è come generata.

Anche il prologo della prima lettera di Giovanni, ci presenta la Chiesa non come una “cosa” davanti al credente, ma come un evento che genera e alimenta la vita del discepolo; come il “grembo” in cui nasce l’esperienza cristiana.

È possibile conoscere il Vangelo solo in una comunità che vive nella carità, nella fraternità. Ogni attività educativa porta frutti se introduce nella vita della comunità cristiana.

Pertanto occorre una comunità di persone che vivendo la vita cristiana la rendano desiderabile e attraente per gli altri. È necessario che ogni educatore, si senta parte della comunità educante e agisca a nome di essa.

Ecco l’impresa che ci aspetta: favorire gli incontri, la conoscenza, la condivisione. Bisogna seminare un tessuto comunitario che ha il suo centro nella Messa alla quale è importante trovarsi insieme.

Occorre far riscoprire alle parrocchie la loro capacità educativa e la consapevolezza che non possono che essere comunità educanti, con la catechesi, con la liturgia e con la carità.

Per fa ciò si deve ripartire dalla riscoperta della vocazione educativa.

 

A cura di Don Federico Mancusi

UN GIOVANE A SERVIZIO DI ALTRI GIOVANI

di Gian Maria Daveti*

L’aridità a volte si presenta sotto forma di luci sfarzose che illuminano occhi troppo impegnati a cercare una verità momentanea istantanea,
che si perde in una brezza leggera lasciando ciottoli di banale allegria sulla battigia della nostra anima. Oppure può manifestarsi vestendo i panni di una ribellione schiamazzante che urla verso il cielo e la terra ma rimane rasoterra senza decollare mai, annebbiata da trasgressioni
che incatenano più che liberare facendo sentire molta stanchezza. Fu con questo mantello di percezioni che appena diciottenne ricevetti un
invito particolare, senza nemmeno rendermene conto mi trovai a casa di Simone “un bimbo” come diciamo a Livorno (termine utilizzato per
definire l’età dagli 0 ai 126 anni) che durante la giornata ha bisogno di compiere semplici esercizi di fisioterapia per allungare i propri arti.
Là trovai altri ragazzi e ragazze più o meno della mia età, successori di una buona e sana abitudine ormai trentennale che aveva visto  susseguirsi nei decenni centinaia di giovani che, come uniti in una sacra ruota del bene, si erano passati il testimone.
Quel pomeriggio fu come una boccata d’ossigeno dopo secoli di apnea, mi resi conto che non mi ero mai affacciato a guardare il mirabolante
paesaggio della diversità, ma avevo sempre indossato gli occhiali dell’indifferenza. Sentivo che qualcosa nell’aridità del mio giardino stava
germogliando e come risucchiato da una forza centrifuga mi ritrovai a far parte come volontario della Caritas, nei servizi per l’handicap,
pian piano iniziai a dedicare quasi tutto il mio tempo libero al volontariato e qualcosa nella mia percezione stava cambiando.
Tutta quella rabbia che rivolgevo verso il cielo e la terra si stava trasformando in una intima e profonda quiete che appariva tutte le volte che
ero in mezzo e immerso ai miei amici, non potevo e non riuscivo più categorizzarli con un’etichetta che avevo introiettato, per me erano e sono amici che mi indicano qualcosa di ancora più forte e profondo che per anni avevo prima ignorato e poi maledetto. È tramite queste esperienze che ho iniziato a sentire Dio ed a riutilizzare quel prezioso talento che è la fede, il cambiamento in me è arrivato tramite sorrisi e risate da parte di chi per una visione annebbiata di una società cieca all’amore, pone ai margini ma da quei margini si può vedere l’enorme
vastità di bellezza con cui Dio ci ha creato e quel senso di verità che zoppicanti proviamo sempre a rincorrere. Le mie incoerenze e
contraddizioni purtroppo o per fortuna ancora fanno di parte di me e quella sensazione di aridità a volte soffia nel giardino della mia vita, ma trova sempre piante e fiori profumati di pace che l’accolgono, seminati da quegli amici che Dio ha portato sulla mia strada e che non
finirò mai di ringraziare.

INCUBI VIRTUALI

*di Daniela Novi

Mille colori ruotavano intorno a Giorgio come schegge colorate di un arcobaleno impazzito. Non aveva mai visto tutti gli oggetti del suo desiderio, le cose e le persone a lui più care riunite intorno a sé nello stesso tempo.  I “cuori della vita” di Minecraft danzavano felici con i mostri del “livello difficile”, mentre i blocchi della “dimensione avventura” si componevano in meravigliose costruzioni dove finalmente ogni fame arrivava a “sazietà”. Il “drago dell’End” cantava felice:”Giorgio è il super vincitore, Giorgio è il super vincitore!”. Le foto dell’archivio di Facebook si posavano su quelle più recenti come foglie colorate su un prato grigio. Dal sorriso di mamma ritratta durante l’ultimo pranzo di famiglia in paese  sgorgavano all’improvviso miriadi di “like”, mentre l’indice e il medio di papà disposti a forma di “V”, per celebrare la vittoria della Juve, si allungavano paurosamente, fino a stringere nel mezzo tutti gli altri protagonisti del selfie: i cugini Maria e Andrea, zio Gino, il cane Bijoux  e persino la nonna, che, tentando di scampare a quella morsa mortale, si attorcigliava come un serpente intorno all’asta del cellulare, sibilando: “Voglio scattare io!”. Le vignette di WhatsApp si gonfiavano a dismisura fino a contenere parole su parole, emoticon tristi, felici, dubbiosi e arrabbiati; mani giunte, plaudenti, pollice in su, pollice in giù, saluti in bianco, nero e blu; torte,panini, barche, aerei, cani, gatti e cincillà; frecce a destra, a sinistra, in alto, in basso e poi di nuovo dromedari, ermellini, alberi, fiori, sole, luna, stelle, pioggia, pizza e macchinine, finchè un punto esclamativo con una capocchia grande quanto uno spillo faceva esplodere il baloon affollato e una pioggia di lettere silenziose ricopriva il volto di Giorgio incantato da quel disordinato discorso. Ed ecco, dal fondo più remoto di quella variopinta sarabanda, come una nuvola che dall’orizzonte preannuncia un temporale imminente, avanzava minaccioso capitan Netflix, che trascinava dietro di sé l’esercito delle fiction, dei film, delle serie più avventurose, interessanti e intriganti mai trasmesse. La Casa di carta, Sherlock Holmes, Gossip girl travolgevano Giorgio in un turbinio di emozioni e sentimenti, mentre non stava nelle pelle consumando uno dopo l’altro  i mille episodi dei suoi eroi dello schermo, incurante del tempo che passava e degli occhi che si stancavano. “Tu dimmi se pensavi solo ai soldi, soldi…”: le note del rap di Mahmoud si levavano sempre più alte, sovrapponendosi al volume dello schermo, mentre Omy e Giusy Ferrreri, Jovanotti ed Ed Sheeran, Bach, Chopin e Mozart, samba, zumba e cha cha cha intonavano uno strano concerto sotto la guida sapiente del grande maestro Spotify.  Ad un certo punto Giorgio sentiva gli zigomi della pelle distendersi fortemente sia a destra che a sinistra, inglobando fronte, narici e mento a formare un unico grande rettangolo, in cui gli occhi si spalancavano fino a diventare due video riceventi, su cui le immagini si susseguivano tumultuose, come un unico grande zapping, che trasmetteva di tutto senza mettere a fuoco niente. Le orecchie si trasformavano in due enormi antenne paraboliche, che captavano anche il minimo sussurro, il vibrato del vento e il fruscio delle foglie, senza capirne la provenienza . La parte inferiore del corpo si allungava e si approfondiva assumendo la forma di una grande cassa di risonanza, mentre dalla bocca uscivano suoni inarticolati, che racchiudevano tutte le lingue del mondo, senza parlarne nessuna. Un pubblico straordinario di persone in ascolto, distese su un unico grande divano guardava ammirato il Giorgio che fu e che è, cercando di toccarlo, posizionarlo, orientarlo, decodificarlo, stamparlo, replicarlo, abbracciarlo…AHHHH! BASTA! Giorgio si sveglia urlando nel sonno. La mamma accorre, temendo il peggio. Giorgio è seduto sul letto, madido di sudore, con le cuffiette nelle orecchie, il cellulare nella mano destra, l’ipad nella sinistra, il pc sulle ginocchia, senza sapere se il peso che lo opprime è più sul corpo, nella mente o dentro il cuore. “Hai fatto tardi anche stanotte, quante volte devo dirti che ti fa male stare davanti allo schermo per ore, perdi sonno e lucidità svegliandoti come uno zombie?”, sussurra la mamma nel silenzio della casa. “Sì, mamma, hai ragione, ora spengo tutto.” La mamma, per precauzione, stacca i fili della terapia virtuale di Giorgio e porta fuori della stanza ogni dispositivo elettronico. Giorgio, ancora affannato dal brutto sogno, torna a distendersi, ma fatica a riaddormentarsi.

Il giorno dopo si alza a fatica, ma ha compito in classe e deve andare a scuola. La prof sequestra i cellulari per non copiare. Nell’aula l’assenza di rumore taglia l’aria e ordina i pensieri: Giorgio attinge a quello che sa, distratto da ciò che ha visto e sentito nella notte agitata e nelle numerose ore di connessione. L’esito non è abbondante, ma il vero silenzio sa comunque di qualcosa. Alla fine delle lezioni torna a casa. Lungo la strada incontra Luca con la bici che lo invita a fare un giro. Sopraggiunge Tony: “Giorgio, oggi da me come sempre? Partita con la play e stasera  l’ultimo episodio di “Joint Venture”: sigla iniziale e pop corn sprofondati in poltrona. Te gusta?” Ha appena piovuto. Un timido sole fa capolino tra le nuvole, donando generoso un arco di luce e colori sull’orizzonte segnato dal mare. Il profumo della terra bagnata fa sentire che ci sei. “No, Tony, oggi non mi va. Luca, vado a prendere la bici e ti raggiungo.” Giorgio sente il cellulare nella tasca che vibra, mamma rientra tra due ore… un tempo sufficiente per respirare la vita vera e regalargliene il profumo.

Bulli si diventa. La storia

di Daniela Novi

Davide guardava con soddisfazione il rivolo di sangue che colava dalla bocca di Marco disteso per terra, con gli occhiali sgangherati al lato della testa, sulle scale del palazzo vicino al bar dove ogni giorno comprava il cornetto per la merenda. Le nocche della mano destra esercitata a sferrare pugni contro il sacco della boxe gli bruciavano ancora. Dentro si sentiva una forza disumana e coraggio da vendere: prese il fazzoletto di carta che aveva in tasca e lo gettò per terra, mentre la sua voce sorda, quasi irriconoscibile, si rivolse decisa alla sua vittima: “E ora pulisciti!”. Un grido dall’alto lo riscosse: “Davide che fai? Fermati!”Dalle finestre del primo piano i compagni di Marco avevano visto tutto e ora stavano scendendo; i professori al suono della campanella si erano distribuiti chi a far entrare i più pigri, chi a prestare aiuto al malcapitato. Davide era tra i primi, diretto verso la sua classe, mentre le voci attorno a lui facevano meno rumore di quelle dentro di lui:”Cosa hai fatto, perché lo hai fatto, potevi ammazzarlo, ed ora che succederà, ti sei giocato l’anno, già ne hai perso uno, che diranno i tuoi genitori?” La forza, che poco prima aveva reso le sue mani più dure dell’acciaio, a poco a poco stava fuoriuscendo da ogni poro della pelle, il guizzo della mascella indurita dalla rabbia si era allentato come le ragioni del suo gesto: “Gli avevo chiesto più volte se fosse stato lui ad attaccarmi la gomma da masticare sui pantaloni due settimane fa durante la partita del torneo interscolastico. Mi ha risposto di no, ma poi mi ha provocato ridendomi addosso e dicendomi che tremava tutto dalla paura. A quel punto non ci ho visto più.” La notizia si era ormai diffusa, Marco era andato in ospedale, dove i medici avevano ricucito il labbro, dandogli una prognosi di dieci giorni: era vivo e incombente il timore di una reazione da parte dei compagni di Marco. I genitori di Davide vennero a prenderlo prima della fine delle lezioni. Nella macchina il silenzio era pesante e più eloquente di mille discorsi. La madre cercava tra le poche parole sopravvissute alla vergogna quelle più giuste per chiedere scusa ai genitori di Marco; il padre, riservato come sempre, scrutava dallo specchietto retrovisore il volto di Davide. Davide, perso nel paesaggio che scorreva veloce oltre il finestrino della macchina, si perdeva nei ricordi…Due anni prima alle scuole medie, nel bagno, tre contro uno, tre contro di lui: sputi, schiaffi, insulti e solo per avere i soldi di quella dannata merenda, per quei cinque euro, di cui doveva portare il resto ai suoi. A casa non aveva detto nulla per mesi, poi una notte, dopo l’ennesimo incubo, lo sfogo con la madre. Solo un attimo di smarrimento e poi la decisione che non avrebbe più subito nulla da nessuno. La palestra, il ring, lo sguardo deciso, la volontà coinvolta fino a dimenticare lo studio: un prezzo modesto per un cambio di rotta, per una vita nuova. Dopo qualche giorno la sanzione scolastica arrivò inesorabile: sospensione con obbligo di servizio alla mensa dei poveri. Sapeva di quella strana usanza nel suo istituto, ma non aveva mai pensato che gli sarebbe toccata. Non ci voleva, costretto ad espiare la colpa nel regno della debolezza, per lui che desiderava essere forte tra i forti, il “più “ tra i tanti meno della terra. Gli convenne piegarsi, le alternative possibili erano di gran lunga peggiori. La mattina si presentò all’appuntamento. La mensa corrispondeva alle sue aspettative: lunghi tavolacci con tovaglie di plastica, ortaggi, frutta e carne sparsi sui tavoli del piano cottura, un odore penetrante assorbito dai muri, lo stesso odore dei volti e delle storie seduti lì ogni giorno per saziare la fame del corpo. Volontari affaccendati nell’organizzare il da farsi lo accolsero con premura, assegnandogli compiti vari. Gli dava fastidio quella propaganda di bontà, quella disponibilità a piene mani, quelle mani che sapevano di cucinato, quegli occhi che brillavano di una calma sconosciuta. A mezzogiorno, prima che si aprisse la mensa, il momento della preghiera: questa poi proprio no. In un angolo, da lontano, ascoltava il suono sommesso delle labbra: “Padre nostro…”, mentre il suono del campanello all’ingresso annunciava l’arrivo degli ospiti. Un corteo di uomini, donne e bambini si precipitò ad occupare una sedia per consumare il desiderato pasto. “Ehi tu, vattene, questo posto è mio”, urlò un uomo grande e grosso a Davide, che aveva l’unica colpa di trovarsi a fianco al tavolo più vicino alla cucina, da cui uscivano i piatti ancora fumanti. La sua prima reazione fu quella di gettare per aria lui e la sua fame e di fuggire via da quel luogo di sporca miseria: al diavolo la sospensione! Sandro, il responsabile della mensa, intuendo che il movimento della mascella del ragazzo stava uscendo fuori dal suo binario, posò una mano su quella di Davide: sarà stato quel calore o forse quello delle pentole traboccanti di pasta… Il battito del suo cuore si placò, arretrò verso la cucina, lasciando libero il posto conteso. Un sussulto lo scosse, la debolezza fece nuovamente capolino, intimandogli di cedere a quella pressione della mano e di non ribellarsi, almeno non subito. Sandro gli si accostò e gli raccontò la storia di quell’ospite urlante: infanzia dolorosa, genitore violento, depressione, la malattia mentale, l’isolamento, la solitudine, la fame. Di nuovo gli si parò dinanzi l’immagine di lui nel bagno mentre i tre compagni lo bullizzavano, però questa volta il viso non era il suo, ma quello dell’uomo grande e grosso di fronte a lui, un po’ più giovane, un po’ più triste. “Ed ora se vuoi, puoi andartene via”, gli disse Sandro alla fine del suo racconto, “non c’è posto per altra violenza qui, nè per la tua, nè per quella degli altri.” Davide si alzò e si sentì finalmente leggero, come se il peso del pugno dato a Marco gli fosse tornato indietro e non avesse trovato nulla contro cui infrangersi. Lentamente si avviò all’uscita deciso a non fare più ritorno. Fu un attimo, poi si voltò, si avvicinò all’ospite pienamente concentrato nel piatto della pasta al sugo, pose la sua mano su quella dell’altro libera dalla forchetta, intenta a stringere il tovagliolo, ultimo lembo di una calda premura. L’ospite alzò lo sguardo, come a difendere un territorio minacciato, incrociò gli occhi di Davide e poi sorrise. Un incontro di fragilità, un passato recuperato, una scintilla di speranza, un nuovo modo di vedere le cose, la capacità di andare oltre la fame fino a toccare il desiderio del cuore. Quel sorriso decise per lui: certamente il giorno dopo sarebbe ritornato.