Donare o fare un regalo?

organ-donation1*di Luigi Cioni*
E’ il compleanno di Marco e Anna è alle prese con il problema del regalo (i nomi sono ovviamente inventati). La loro è una relazione complicata, per adesso sono amici, molto amici e anche se non escludono che il tutto si possa evolvere in maggiore intimità nessuno dei due vuole forzare la situazione. Il tempo mostrerà ciò che potrà nascere. Nel frattempo però il nodo non si scioglie. Come mostrare tutto questo in un dono di Continua a leggere “Donare o fare un regalo?”

Il rito e la vita

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Ci vogliono i riti. Che cos’è un rito? È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.

*di Luigi Cioni*
Se tu vuoi un amico, addomesticami!» «Che bisogna fare?», domandò il piccolo principe. «Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe. «In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…» Il piccolo principe ritornò l’indomani. «Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora», disse la volpe. «Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e a inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora

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Anche ritrovarsi insieme con la famiglia è un rito

prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti.» «Che cos’è un rito?», disse il piccolo principe. «Anche questa è una cosa da tempo dimenticata», disse la volpe. «È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza.» Così il piccolo principe addomesticò la volpe. (Ascolta e guarda il piccolo principe letto da attori famosi https://www.youtube.com/watch?v=BHnh_w4vlwU)
Ho lasciato molto spazio al testo famosissimo dell’incontro tra il Piccolo principe e la volpe; un testo che ha cresciuto schiere di adolescenti e anche di adulti, alla ricerca di una rapporto tra esseri umani che andasse oltre il formale “Ciao, come stai?” “Bene- Grazie”. Ma mentre è frequente la riflessione sulla frase culmine del testo: “Non si vede bene che col cuore; l’essenziale è invisibile agli occhi”, pochi riflettono sul fatto che, per raggiungere  “l’addomesticamento” il testo traccia anche una via, indica una strada: la strada del rito.
Tranquilli, non tesserò qui l’elogio della ritualità, fino ad arrivare alla necessità di partecipare o far partecipare alla Messa; sto parlando del rito come di una necessità umana, antropologica, come lo stesso testo di Saint’Exupery sembra significare. Il rito è ciò che costituisce la trama delle nostra vita, della nostra quotidianità, dei nostri rapporti e relazioni; è la cornice dentro alla quale si inseriscono le nostre scelte, ciò che ci permette di comprendere e decidere, in autonomia e in piena libertà, che cosa posso e voglio fare. Oserei dire: ciò che determina il valore di ogni istante! Se guardiamo anche a tutto ciò che ci circonda: come posso comprendere il valore dei segni? Se parlo di politica il rosso indica una scelta politica; se parlo di codice della strada lo stesso rosso significa “fermati”, a Natale siamo pieni di cose rosse; in medicina spesso assume il senso del pericolo. Eppure è sempre lo stesso colore! E’ il contesto che ci fa capire; è il suo rapporto con le altre cose, e questo deve essere certamente convenzionale e geograficamente e storicamente determinato, ma non può essere sottovalutato o ignorato. Nell’esempio della volpe il rito spiega benissimo in che modo la determinazione rituale degli eventi ha a che fare con la nostra felicità stessa: i riti servono a “prepararsi il cuore”. Senza di loro tutto sarebbe uguale, tutto sarebbe insignificante, perderemmo molto della densità della realtà e di tutta la nostra vita.

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Il rito è la cornice dentro la quale si inseriscono le nostre scelte

Tutti sappiamo benissimo, soprattutto noi un po’ avanti con l’età, di quanta ritualità abbia bisogno la nostra esistenza; dagli orari prefissati e certe disposizioni di oggetti quotidiani; dalla mattina alla sera tutta la nostra giornata è incorniciata da riti di cui non percepiamo più nemmeno forse la consistenza, ma la cui assenza ci turberebbe alquanto. Ma allora perché non godere appieno della loro presenza? Non squalificandoli come tradizioni inessenziali, o futili abitudini, ma assumendoli proprio in quanto capaci di rendere significativa ogni cosa. Se incontriamo la persona di cui siamo innamorati sempre alla stessa ora, quel rito determinerà tutta la nostra giornata e la nostra vita. E non esisterà filosofia al mondo capace di farci desistere da quell’appuntamento. Non lo tratteremo certo da tradizione inutile.
Certo non tutte le ritualità sono così; si tratta di capire davvero quali “riti” danno valore al mio esistere e quali invece costituiscono degli orpelli e impedimento a ciò che io, crescendo, migliorando, avanzando nelle mie riflessioni vorrò essere e vorrò realizzare. Qui sta allora la nostra possibilità di intervento, non nel qualificare ogni ritualità come futile o insignificante, ma nel verificare quale ritualità sia futile e insignificante, sapendo invece che il rito, nella nostra quotidianità può e deve avere un posto di prima importanza perché ogni evento assuma senso e significato.

Aaah, a proposito: ciò che fa le ore diverse dalle altre ore, che fa essere un giorno diverso dagli altri, la festa dalla ferialità, la domenica dagli altri giorni, nella mia vita è proprio la Messa.
Nella vita di ogni giorno ci siamo abituati a sentir usare la parola Rito in senso dispregiativo, come una tradizione inutile, un orpello disdicevole rispetto a tutte le cose dotate di sostanza che invece debbono riempire la nostra quotidianità di significato e di senso. Questo ci porta a opporre rito e significato come se una cosa escludesse l’altra o addirittura fossero due realtà inconciliabili. Io credo che non sia così; credo anzi che senza la ritualità non si dia significato, non sia dia a nessuna cosa l’importanza che gli è dovuta, non di possa distinguere ciò che ha senso, da ciò che invece non porta nessun significato. Si tratta allora di decidere ciò che è cattivo rito, nel senso di abitudine fine a se stessa, a cui diamo spazio solo per non pensare, e ciò che invece struttura la nostra giornata determinando il valore delle cose e dei nostri gesti.

Se vogliamo ascoltare le domande consuete del nostro esistere da parte di una persona che si è sempre posta tanti interrogativi e li ha manifestati in musica possiamo ascoltare Francesco Guccini (ebbene sì, ancora lui; ognuno ha i suoi punti di riferimento): La canzone delle domande consuete https://www.youtube.com/watch?v=6u7n05gOgbA

Guarda il video di Luigi

La notte oscura dell’anima

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La notte dell’anima, il buio dei sensi; un momento difficile, triste, in cui tutti i sensi sembrano aver perso la loro efficacia, quando tutto ciò che l’animo sente, entusiasmo, felicità serenità e appagamento, sembra scomparso, quando Dio tace e non ci concede più nemmeno la gioia di amarlo.

Abbiamo già accennato su queste pagine alla notte dell’anima, un momento difficile, triste, in cui tutti i sensi sembrano aver perso la loro efficacia, quando tutto ciò che l’animo sente, entusiasmo, felicità serenità e appagamento, sembra scomparso, quando Dio tace e non ci concede più nemmeno la gioia di amarlo.

Eppure l’amore in noi è forte e potente, la fede cresce, ci dice la strada e ci guida nel cammino, allora perché Dio tace? Perché non sento più nulla? Perché il mio cuore è così freddo?

fuga1E’ un’esperienza che tutti hanno provato prima o poi,  a tal punto che è stata oggetto di innumerevoli canzoni o film, diversa dallo scoramento e dalla sfiducia, diversa dal dubbio e dalla disperazione; eppure così difficile da superare, perché investe il nostro Io lasciandolo solo e sfibrato. E’ la situazione in cui la fede è messa alla prova, il momento in cui Dio non vuole essere confuso con niente altro, nemmeno con le sensazioni e le gioie che lui stesso concede. Quante volte ci sbagliamo e mettiamo al posto di Dio altre cose! Non voglio nemmeno dire i piaceri e gli onori effimeri, ma anche il nostro io e la nostra idea di Dio. Anche questa è idolatria, ci dice costantemente la Bibbia!

E la notte ci riporta sulla giusta strada, ci fa reclinare il capo, ci fa ascoltare il silenzio, ci fa guardare alle nostre dimensioni riportandole alla realtà, negandoci una troppo alta idea di noi stessi.

Un quadro del 1600 mi sembra possa aiutarci in questa riflessione: la Fuga in Egitto di Adam Elsheimer. E’ un quadro famosissimo, dipinto su rame, considerato uno dei primi esempi di pittura che guarda al cosmo e al creato come una realtà autonoma, a tal punto che ha dipinto il cielo in maniera astronomicamente precisa. Ma ciò che interessa a noi sta nel suo contenuto più esplicito: Gesù e la sua famiglia stanno vivendo un momento difficile, Re Erode li sta minacciando, sono costretti ad una esistenza nomade e profuga, fuggono dalla persecuzione e dalla morte certa che ha già colpito innumerevoli innocenti. Eppure in questo quadro si esprime una atmosfera pacifica, serena, tranquilla; la notte illuminata dalle stelle avvolge la sacra famiglia e sembra cullarla nell’oscurità. La notte è, al tempo stesso, condizione di difficoltà, ma anche nascondiglio, rifugio, tranquillità e pace.

San Giovanni della Croce, che su questa argomento ci ha lasciato pagine stupende, ci parla della notte come tenebra luminosa, un ossimoro che ci suggerisce, più che descrivere, l’atteggiamento giusto di chi sa che nella difficoltà, nel silenzio di Dio, e della propria sensibilità, l’unica strada percorribile è quella di immergerci nella notte per trovare, proprio lì, la risposta, la fonte, l’origine e la spinta per andare oltre, e vivere la fede nuda, la fede di chi non vuole facili consolazioni, di chi affronta la vita non come una favola illusoria, ma come il vero cammino di Dio.

La_notte_(1960)_AntonioniEsiste un film, molto famoso, “La notte” di M. Antonioni (1960) che pur essendo un po’ complesso ci potrebbe aiutare a riflettere: la notte può essere anche un luogo nascosto in cui immergerci per cercare piaceri e gioie illusorie. Nella prospettiva esclusivamente atea del regista, la conclusione è devastante e pessimistica. La strada da percorrere è totalmente diversa: non all’esterno, ma all’interno di sé, alla ricerca non del proprio io, ma della guida di Dio.

ASCOLTA

www.youtube.com/watch?v=MclLF473XtA e

www.youtube.com/watch?v=NVKFl2tL2qw

leggi la preghiera di san Giovanni della Croce https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=479195585533768&id=263069200479742&fref=nf

Luigi Cioni

Luigi Cioni ci spiega il suo articolo

giugno 2016