A Torino una performance musicale di successo
Esprimersi, emozionarsi, contare: nuove forme di evangelizzazione

Torino_opt*di don Domenico Cravero*
Il fatto
La commissione-giovani di un’unità pastorale di una grande città alla periferia di Torino prende atto del distacco dei giovani dalla chiesa e decide di rilanciare la pastorale giovanile. Vuole fare qualcosa per interessare e convocare giovani e adolescenti. Pensa e un evento cittadino. Gradualmente si orienta a una performance musicale. Dopo una prima sperimentazione in oratorio e un percorso formativo di un anno di un gruppo di giovani e di adulti, la performance (“una discoteca comunicativa”) debutta in città, in un ampio padiglione riservato alle manifestazioni musicali.Un successo: aderiscono più di 600 giovani, la notte del 3 giugno 2016. Domandiamoci: come mai questa risposta così massiccia a una iniziativa della PG?
Il progetto e la realizzazione
La nuova cultura della comunicazione e l’espandersi straordinario del web sono il fatto caratteristico dell’epoca attuale. Questa nuova condizione esige non solo un aggiornamento e un riassetto superficiale delle metodologie ma un cambiamento di priorità e di paradigma nell’animazione giovanile. I percorsi educativi rivolti agli adolescenti devono raccogliere la sfida delle nuove possibilità di mobilitazione. I mondi virtuali non sono necessariamente alternativi alle performance reali, possono invece entrare in una sinergia virtuosa. L’intervento educativo deve ripartire da dove più è difficile: i ragazzi che “non vengono”, quelli che non pongono esplicite domande educative. Le comunità parrocchiali possono così compiere scelte missionarie e darsi nuovi strumenti di comunicazione “in Torino_Piazza_San_Carl_optuscita”. Andare là dove stanno i giovani ed essere portatori di speranza, calarsi nel loro vuoto di senso per individuare e stimolare, poi, le loro risorse e creatività. L’impegno richiesto dall’aggiornamento dei linguaggi e degli strumenti metodologici è sicuramente faticoso ma è ripagato dalla possibilità di entrare in relazione con masse di adolescenti e giovani secondo linguaggi di sicuro effetto.
La sfida è stata raccolta più dall’industria del divertimento che dalle agenzie educative.
La”festa di massa”, soprattutto nei grandi eventi del divertimento notturno, è stata organizzata secondo precisi copioni che comprendono almeno quattro fasi che si susseguono e s’intrecciano: l’identificazione, l’eccitazione, la catarsi e la risoluzione. Ognuno dei quattro tempi è vissuto secondo le caratteristiche specifiche di ogni locale e di ogni serata, e sono resi possibili dall’uso imponente delle tecnologie, architettoniche ed elettroniche, senza dimenticare l’apporto di professionalità del tutto nuove.
L’identificazione è particolarmente curata in senso selettivo (le regole del locale, la selezione all’ingresso) e mediatico (l’uso e l’abuso dell’effettistica elettronica).
L’eccitazione definisce lo stile con cui la massa di festa raggiunge l’unisono, fino alla fusione. La mente ne è travolta in un’euforia che il gergo chiama “sballo”. L’intensa esperienza emotiva trova il suo culmine nel punto della notte che il dj ha scelto come meta del lungo ed estenuante viaggio: la catarsi e la risoluzione, l’eccitazione emozionale che raggiunge il suo apice e si risolve poi nel rilassamento della passione indotto mediaticamente.
L’effetto performativo del viaggio della discoteca è affidato alla trama di un’epopea, raccontata e mimata da d.j. e vocalist, composta secondo i criteri del linguaggio virtuale. Essa allude a gesta e imprese dove l’eccitazione è condotta verso un’esperienza sempre più intensa che non è eccessivo chiamare di tipo simul-orgiastico, visti i continui riferimenti sessuali nel linguaggio del d.j. e nella scenografia (cubiste, proiezioni, immagini).

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L’idea: ricreare una discoteca per rilanciare la pastorale giovanile

La pastorale giovanile
Oggi non ci sono più riti d’iniziazione ma solo più eventi commerciali.
La festa dell’adolescenza, la celebrazione dell’ingresso nella vita adulta, possono diventare nuovi spazi educativi, ambiti dove sperimentare scoperte audaci, costruire ideali nuovi, maturare scelte coraggiose, per rispondere in modi autentici alle domande più profonde. Il debutto sociale degli adolescenti è un evento da programmare e da preparare con cura. Costituisce un’occasione concreta con cui gli adulti (genitori, insegnanti, educatori) danno un contributo e rendono una testimonianza per la realizzazione di una società più capace di credere e investire sul suo futuro. La performance della discoteca può essere organizzata in termini diversi e anche opposti e diventare un evento aggregativo, comunicativo e artistico in grado di fungere come rito di iniziazione. L’identificazione può essere resa aperta e non selettiva, centrata sullo stile dell’accoglienza e della comunicazione e il divertimento essere inteso in senso attivo e partecipativo. La massa di festa può rendere i giovani protagonisti nella creazione di un tempo di loisir vissuto anche come occasione in cui si valorizzare una pluralità di talenti. L’epopea, soprattutto, può consistere nel racconto simbolico della vita reale (il “dramma” sociale sopra accennato) attraverso i linguaggi artistici. L’intensa partecipazione emozionale della catarsi può essere mediata e sorretta dal ruolo attivo dell’animazione e della libera espressione di sé. Il popolo della notte può essere trasformato in una “massa di festa”, unita e identificata non nella simulazione di un’epopea astratta e virtuale, non nel racconto di un’impresa mitica ed eroica che dj e vocalist costruiscono artificialmente, quasi come surrogato di un bisogno di trascendenza consumistica. Si può invece creare un evento collettivo di grande portata, in un laboratorio del racconto di sé, delle paure e delle conquiste, delle contraddizioni e dei sogni, come denuncia e dissenso ma anche immaginazione e speranza. Le performance estetiche, i loro linguaggi e la loro musica possono diventare un laboratorio in cui gli adolescenti si raccontano, parlano delle paure e delle conquiste, delle contraddizioni e dei sogni, denunciano, esprimono dissenso e consenso e possono farlo di fronte agli adulti.

L'idea parte da un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani; si propongono dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi; si discute la forma estetica da dare all'evento (Pratica educativa? Azione sociale? Forma di evangelizzazione?). Si decide poi un soggetto, una storia da presentare e attorno ad esso lavorano le equipe dei dj, dei vocalist e dell'animazione. Ci sarà  dunque un programma di animazione con la scelta di tecnologie ed effetti. Gli adulti saranno chiamati a garantire la gestione della sicurezza ed il recupero delle risorse economiche, ma il resto lo fanno i giovani.
L’idea parte da un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani; si propongono dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi; si discute la forma estetica da dare all’evento (Pratica educativa? Azione sociale? Forma di evangelizzazione?). Si decide poi un soggetto, una storia da presentare e attorno ad esso lavorano le equipe dei dj, dei vocalist e dell’animazione. Ci sarà  dunque un programma di animazione con la scelta di tecnologie ed effetti. Gli adulti saranno chiamati a garantire la gestione della sicurezza ed il recupero delle risorse economiche, ma il resto lo fanno i giovani.

Il percorso per una “discoteca performativa”
Per realizzare un evento aggregativo non sono necessari adulti competenti nelle performance giovanili. Basta l’estro giovanile e l’inesauribile ventaglio di soluzioni originali che prontamente individuano (sacerdoti, suore, genitori sono importanti nel loro ruolo proprio). È utile invece di individuare una metodologia d’intervento e una strategia operativa efficace. Indico sinteticamente i passi compiuti nell’evento sopra indicato.
Si è costituito innanzitutto un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani dei diversi oratori dell’unità pastorale, di educatori adulti e di rappresentanti dei genitori. Sono stati poi proposti dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi. Si è successivamente discussa la “forma estetica” da dare all’evento (pratica educativa? azione sociale? forma di evangelizzazione?). Si è deciso di raccontare un “dramma”: l’attesa di futuro dei giovani di oggi, usando la metafora del viaggio travagliato degli immigrati che salvandosi dalla sciagura approdano sulle nostre coste. Attorno a questo soggetto artistico hanno lavorato le equipe dei dj, dei vocalist e dell’animazione. Si è così costruito il programma musicale e il “piano animazione”, con la scelta oculata delle tecnologie comunicative e dell’effettistica. Gli adulti sono stati coinvolti soprattutto per garantire il consenso delle comunità, la gestione della sicurezza e il reperimento delle risorse economiche

 

La discoteca comunicativa:  coraggio, innovazione, partecipazione. Altro che sballo!
*di Maria Chiara Michelini*

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Siamo di fronte ad un’esperienza certamente coraggiosa

L’esperienza raccontata da Domenico Cravero propone profili innovativi per la pastorale giovanile ed esige, necessariamente, un approccio critico-problematico ai temi e alle soluzioni proposte. Questa è la prima chiave di lettura di interesse pedagogico: affrontare questioni complesse come quelle del distacco dei giovani dalla Chiesa, richiede di abbandonare certezze consolidate, in favore del dubbio, dell’interrogarsi pensoso e critico su cause e soluzioni. Non perché una “formula” ha funzionato in passato, ciò significa necessariamente che funzioni oggi, tentare una nuova strada, interrogandosi appassionatamente su una questione, animati dalle migliori intenzioni, non ci mette al riparo di rischi, né esclude la possibilità di errore.
Siamo di fronte ad un’esperienza certamente coraggiosa, credo, consapevolmente coraggiosa, per il tema affrontato, per la strada intrapresa, per la quota di innovazione e pericolosità insita in essa. “Andare là dove stanno i giovani”, “calarsi nel loro vuoto di senso” interpretare grandi eventi del divertimento notturno, parlando di eccitazione e catarsi, sono scelte difficili, discutibili, nel senso che vanno discusse per essere pensate e realizzate, come un’impresa pericolosa e ignota. Credo che questa sia la prima ragione del successo dell’iniziativa: le persone percepiscono, ben al di là delle formule, chi va loro incontro, con atteggiamento positivo e non giudicante, con coraggio, alla ricerca di un dialogo fatto di parole diverse da quelle a cui si è abituati normalmente.
C’è poi, indubbiamente, il tema del linguaggio delle nuove generazioni che questa iniziativa decide di apprendere e parlare: inventarsi una discoteca performativa, tra apprendistato da dj e vocalist, attraverso laboratori di formazione sui linguaggi performativi da parte del gruppo promotore, è scelta impegnativa e decisamente innovativa. Ciclicamente la questione del linguaggio riemerge in ambito pastorale non sempre riuscendo a sciogliere un possibile equivoco di fondo: apprendere i nuovi linguaggi è senz’altro necessario per comunicare con gli uomini del nostro tempo, ma non è sufficiente e, in ogni caso, non coincide con l’inseguimento delle mode e delle nuove tendenze.

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Compito della Chiesa è raggiungere l’uomo, dovunque esso si trovi oggi

Periodicamente ci si illude che basti un po’ più di computer, di face-book, di musica metal, per risolvere il problema della pastorale per le nuove generazioni. Certo che i nuovi linguaggi vanno appresi e parlati, per interagire con i giovani, ma se essi rovesciano il rapporto fine/mezzi, se essi non vengono interpretati in maniera creativa e critica, diventano solo parvenza di modernità. Inseguire il nuovo è impresa titanica e inutile, nel senso che non è possibile stare al passo con le trasformazioni della nostra epoca e, soprattutto, anche se ciò fosse possibile, non è il compito della chiesa e non basta a rendere comprensibile la buona novella alle giovani generazioni. L’uso dei linguaggi di nuova generazione è un aspetto, importante ma non esaustivo, della interpretazione dell’identità e della missione della chiesa oggi. Compito della Chiesa è raggiungere l’uomo, dovunque esso si trovi oggi, per camminare con lui alla scoperta dei segni della presenza positiva e salvifica di Dio, dentro le stanze, gli abissi, i linguaggi e le contraddizioni del suo vivere. Questo dialogo ha bisogno di un vocabolario comune, che include quello della quotidianità, da interpretare in maniera creativa, innovativa ed efficace e che, anzitutto, dice ai giovani: siamo qui con voi e siamo disponibili a camminare con voi nella ricerca di senso di ciascuna vita; siamo dentro la vostra ricerca, parliamo la vostra lingua, per capire le vostre paure e i vostri sogni e, forse, siamo in grado di dire alcune parole nuove, per voi comprensibili, per interpretarli e per crescere.
Mi sembra che sia da intendere in questo senso l’anno dedicato dal gruppo promotore di questa esperienza (giovani animatori dei diversi oratori, educatori adulti e rappresentanti dei genitori) alla preparazione dell’evento che ha richiesto formazione specifica, progettualità, scelte di ogni tipo, oltre che gestione della sicurezza, reperimento risorse economiche, coinvolgimento delle comunità per garantire il consenso.

stock-photo-san-franci_optQuest’ultimo elemento, dal punto di vista pedagogico, mi sembra il più interessante e quello oggi più a rischio rispetto alle derive autoreferenziali di tante iniziative ecclesiali: le scelte pastorali, soprattutto quelle più coraggiose e innovative, non possono che nutrirsi di partecipazione. Il soggetto dell’azione è la comunità, non la mente o il gruppo carismatico che pure hanno il merito dell’intuizione, dell’impulso, della visione profetica. Mi pare che nel caso di Torino l’attenzione a questo aspetto rappresenti la cifra stilistica essenziale, che si snoda attorno ai molti interrogativi (che fare per i giovani che si distaccano dalla chiesa? Che c’entra la Chiesa con lo sballo notturno? Quali strumenti di comunicazione usare? Quali nuove priorità pastorali? Quale forma estetica? Come affrontare i problemi connessi con un evento? Eccetera). Si tratta della cifra stilistica che fa la comunità, realtà che troppo frequentemente diamo per scontata nella Chiesa e che, invece, va pensata, costruita, interpretata, resa carne attraverso la partecipazione attiva di tutti. In questo senso, credo, la discoteca comunicativa di Torino è stata qualcosa di più di una performance, qualcosa di molto più vicino all’esperienza comunitaria, a partire dall’interno (il gruppo promotore) fino a giungere ai destinatari della “missione”, passando attraverso i portatori di interessi (i genitori) e i mandanti (le comunità ecclesiali, appunto), mai considerati come semplici spettatori di un evento.
In ciò, credo, stia il “successo”, oltre i pur significativi numeri della partecipazione e la novità del sentiero tracciato. Che merita, certo, di essere consolidato, sostenuto, esteso.

CORAGGIO E INNOVAZIONE
Le scelte pastorali, soprattutto quelle più coraggiose e innovative, non possono che nutrirsi di partecipazione. Il soggetto dell’azione è la comunità, non la mente o il gruppo carismatico che pure hanno il merito dell’intuizione, dell’impulso, della visione profetica. L’esperienza di Torino è significativa proprio per questo: ha coinvolto
non solo i giovani, ma un gruppo più ampio di persone che si sono poste degli interrogativi, che si sono formate e hanno costruito insieme. Quella di Torino è stata molto più che una performance.