Decalogo in 11 punti


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*di don Mario Simula*
A Giorgio e Silvia, coppia vincente per adolescenti Giorgio e Silvia siete arrivati sani e salvi a fine anno? Tutti sani e salvi e pizzata, per far festa insieme. La meritate e ne valeva la pena. Giorgio sei sopravvissuto? Con Silvia, certamente. Riconoscilo che con una ragazza accanto si ha una marcia in più anche con i ragazzi.
Stiamo per arrivare in porto. L’attracco, probabilmente, avrà un’appendice estiva. Che sia all’insegna della gioia, dell’esuberanza, della freschezza. Abbiamo parlato tanto di amore e, proprio d’estate, ci dobbiamo ornare di un volto “serioso”, compunto, senza felicità? Se vi ritroverete durante l’estate potrete vivere un tempo di messa alla prova.
Basta organizzarsi bene. Fare patti chiari con i ragazzi. Aspettarli per le narrazioni a fine estate.

Intanto, occhio al DECALOGO IN UNDICI PUNTI.
Non sto ingaggiando una competizione con Mosè e tanto meno con Dio.
Il fatto sta che la parola Decalogo aiuta a ricordare cose importanti.
Il numero undici dice che avevo bisogno di undici, per dire pressappoco
tutto. Decalogo dieci più uno:
1. Guardiamo con la testa, guardiamo col cuore. Cerchiamo di avere le idee chiare. Quando entriamo nel mondo, ancora indefinito, dell’emotività, della sensibilità, degli affetti, dello sviluppo sessuale dei
ragazzi, non possiamo restare su alcune approssimazioni vaghe e
nebulose. Dobbiamo conoscere attentamente ciò che avviene di sconvolgente nei ragazzi: la trasformazione del corpo, le attrattive forti, le simpatie un po’ caotiche, i nascondigli nei quali si raccolgono le esperienze che non vengono raccontate. Dietro un’apparente spregiudicatezza essi vivono stati d’animo di paura, tentennamenti, pasticci
istintivi, tensioni inspiegabili. Né si può dire che, oggi, i ragazzi siano più disinvolti di prima. Forse hanno perso un tantino di pudore. Ma dentro se stessi vivono un guazzabuglio di turbamenti.
Occorre guardarli con la testa: ragionando, riflettendo, dialogando, documentandosi e parlando loro con chiarezza. Occorre guardarli col cuore: amandoli da adulti o da giovani. Ma sempre da educatori. L’attenzione affettuosa e robusta, scevra da sdolcinature e da preferenze affettive è essenziale. Il cuore sì, ma la testa sempre!

Il cellulare: magazzino di info
Il cellulare:
magazzino di info

2. Immaginiamo anche ciò che non si vede e che attraversa le vene, il cervello, i sentimenti dei ragazzi.
Non si può ridurre tutta l’osservazione degli adolescenti al loro comportamento. A volte ci indispongono. A volte ci strappano giudizi moralistici. A volte li emarginiamo perché il nostro modo di pensare e di vivere non coincide con il loro. A volte sono talmente “rompi” che faremmo a meno di questo e di quello, per ritrovare un po’ di calma.
Dovremmo chiederci: cosa passa in quel cervello, in quella fantasia, in quelle parole poco consuete al nostro linguaggio? A quale velocità viaggia il sangue in quelle vene? Quali sentimenti provano? Credo che sia funesto
pensare che in loro c’è sporcizia, cattiveria e basta. C’è una vita che sale verso il compimento. Per farlo si
serve di tutti i percorsi che sono a disposizione dei ragazzi. Riuscire ad osservare ogni fenomeno nell’armonia “disarmonica” tipica dell’età, è segno di acutezza educativa. Se parto dal bene che il fenomeno dell’adolescenza rappresenta, riesco a trasformare l’osservazione in contemplazione. Occorre prospettare grandi valori. Nella gradualità indispensabile, nella comprensione irrinunciabile, in un contesto complesso come quello che stiamo vivendo.

3. Occhio ai sogni! Il sogno è la realtà che si desidera. E’ la visione prospettica della vita. A chi appartengono i sogni se non agli adolescenti? Loro hanno diritto di sognare e Dio ci conceda ragazzi e ragazze capaci di sognare!
L’educatore non è un affossatore di sogni. E’ un “saggio” che aiuta ad interpretarli nelle promesse che portano con sé.
Non credo che possa esistere un compito altrettanto arduo quanto questo: non soffocare il futuro, anche se appare irreale, e leggerlo confrontandolo con la vita. Dire: “Hai la testa fra le nuvole! Tieni i piedi per terra! Sei sempre incantato!”, significa intonare continuamente canti funebri. I ragazzi amano l’esagerazione, puntano verso mete che non esistono, provano e provano nella speranza di trovare il percorso più adatto e soddisfacente. L’educatore è un compagno di viaggio. Senza troppe parole. Ha l’attitudine prevalente ad andare avanti. Di essere il capo cordata, non per imporre, ma per dare sicurezza. Il sogno può diventare un grigio scarabocchio di delusione o un pastello colorato di speranza. Ma se tu, educatore, sei una persona sbiadita, che sogno puoi essere e che sogno puoi alimentare?

4. La fretta di sperimentare, di toccare, di vedere e di gustare. La frenesia dell’esperienza rischia di prendere il sopravvento quando un adolescente si affaccia alle prime esperienze affettive. Non può che essere così. La turbolenza del desiderio, il gusto della soddisfazione, a prova di un brivido si impongono. Anche perché rappresentano l’aspetto più immediato e concreto della novità rivoluzionaria che si sta facendo strada nella sua vita. In un contesto sociale che difficilmente educa al dominio di sé e alla collocazione dei valori secondo una scala di priorità, arrivare con il manuale delle proibizioni e delle inibizioni è quanto di più controproducente si possa pensare. I ragazzi amano  vedere e hanno accesso, purtroppo, ad ogni genere di raffigurazione multimediale; hanno prurito di toccare e niente attorno a loro mette freno a questo impulso, soprattutto quando si trovano in gruppo o si separano dal gruppo e trovano l’avvallo degli amici più disparati. L’educatore ha la percezione di queste trasformazioni. Non le guarda con allarme. Non fa scattare il semaforo rosso. Piuttosto apre un dialogo. Crea un clima di rispetto e di delicatezza. Mette i fondamenti di una buona educazione che non è soltanto galateo, ma attenzione alla persona. Educare la sessualità e l’affettività è sempre un’arte che richiede l’equilibrio dell’educatore che lavora già intensamente su stesso, gli domanda la serenità davanti al manifestarsi e al fiorire di una nuova stagione della vita da parte dei ragazzi, esige

Come compagni di viaggio
Come compagni
di viaggio

garbo, osservazione, gradualità, piccoli passi. Richiede una proposta morale positiva. Si inizia presentando la bellezza di quanto l’età fa sentire come novità, per indicarne successivamente i rischi e arrivare ad una indicazione positiva di itinerario.

5. Ciò che conosce soltanto il cellulare
I ragazzi hanno un alleato sempre pronto a diventare complice dei desideri, delle curiosità e delle trasgressioni che la sessualità e l’affettività fanno balenare davanti agli occhi. Difficilmente il cellulare incriminato è accessibile agli adulti. D’altra parte rappresenta una specie di magazzino di informazioni, di esperienze narrate e di esperienze dirette. E’ già una trappola per gli adulti! Figuriamoci per gli adolescenti. I messaggi innanzitutto. Il linguaggio e il contenuto di questi messaggi è spesso senza remore e non è innocuo, perché crea modo di pensare e spesso di agire. Le immagini: tutte quelle che si trovano sul mercato e quelle che i ragazzi stessi producono, per gioco, per ostentazione, per spacconeria, per far valere la propria capacità di conquista. Il coinvolgimento di altri. Tutto ciò che si riceve sembra di proprietà, per cui i messaggi mancano di riservatezza.
Si mettono in piazza terze persone, con le conseguenze che spesso ne derivano. L’educazione all’uso prudente del cellulare è oggi uno dei modi più diretti ed efficaci per educare la sessualità e l’affettività. E’ chiaro che l’educatore non può diventare lui stesso il primo e peggiore schiavo di questo strumento.
Le banalità che educatori (preti in prima fila!), riversano nel cellulare è stellare. Se il tuo cuore è inquinato non può pretendere di educare alla bellezza del corpo, del cuore e della vita!

6. All’amica del cuore e all’amico di una vita non posso nasconderlo
Il segreto sembra essere un alleato sicuro delle esperienze degli adolescenti. Sembra, perché non lo è. Sia per la ragione che ogni cosa “confidata” è sicuramente destinata a diventare pubblica. Sia perché un coetaneo non potrà mai essere una guida di viaggio. Sia perché la curiosità interferisce nella relazione amicale come una sottile infezione virale. Non è utile parlare di tutto tra amici e nemmeno con un amico particolarmente fidato. Ogni cosa detta è scritta e pubblicata. È un’arma che si ritorce negativamente contro l’adolescente che sta facendo il suo percorso. Ci vuole un adulto. Che non abbia, però, la mentalità di un adolescente. Che non si senta importante perché ha ricevuto le confidenze. Che non si senta potente perché ha in mano la vita dell’adolescente. L’educatore che ascolta è segretissimo. Così diventa affidabilissimo. E’ veramente incredibile come certe notizie circolino; e quando si arriva a capire chi le ha messe in
circolazione, si risale all’educatore o al prete. Nemmeno il gruppo educatori può mai diventare un luogo privilegiato di pettegolezzo, di giudizi, di valutazioni approssimative, di ironia.

4923337-couple-image_opt7. Che non lo sappiano i genitori
I genitori difficilmente diventano addetti ai lavori in una materia educativa così personale per gli adolescenti. Sono patetici i genitori e specialmente le mamme che pretendono di essere amiche dei figli: “Così mi dicono tutto!”. Beata ingenuità, mi dicono tutto ciò che vogliono! Essere amici dei figli non paga. Si chiudono ancora di più. Gli adolescenti sanno scegliere gli amici: quelli che vogliono loro e come li vogliono loro. Offendersi perché i figli non parlano con i genitori è una bella pretesa, dovuta all’immaturità. Se c’è una precauzione che i ragazzi riescono a costruire con abilità, consiste nell’inventare strategie adeguate perché i genitori non sappiano. I ragazzi “si coprono” a vicenda. Inventano luoghi, esperienze, orari pur di non dire quanto veramente accade.
I genitori non si devono offendere. Mentre i ragazzi hanno diritto di non parlare. A meno che l’autorevolezza,  l’equilibrio,la saggezza di un genitore siano tali da far saltare le difese degli adolescenti. In quel momento ogni cosa diventa più semplice. Tuttavia, sommessamente e con modestia, mi permetterei di suggerire anche ai genitori la riservatezza. Non esaltate i vostri figli con gli amici di famiglia, rischiate di prendere cantonate solenni.
Non parlatene e basta. Evitate ai vostri ragazzi una brutta figura (perché loro non ci tengono proprio che voi li trasformiate in oggetto delle vostre conversazioni salottiere!) e gli permettete di esistere per quello che sono.
8. Desidero, desidero, desidero. Ma è giusto? Non basta che “mi piaccia” perché sia giusto. Non basta che “ci
provi gusto”, perché sia giusto. Non basta che “ci divertiamo un ……” perché sia giusto. Uno dei segreti più importanti dell’educazione affettiva è saper entrare con delicatezza nel “desiderio” dei ragazzi. Il desiderio è una
prospettiva a portata di mano. E’ un giocattolo intelligente e pericoloso. Appariscente e talvolta contraffatto. Di desideri si vive, comunque. Educare il desiderio è un’arte. Soprattutto lo è se non lo temo, se non lo classifico, se
non lo identifico subito col male, se non ne parlo in modo negativo. I ragazzi sono chiamati a passare
dall’istinto al desiderio, dal desiderio alla scelta consapevole, dalla scelta consapevole alla scelta buona. Un percorso arduo ma esaltante che richiede il confronto con una persona credibile che ne parli loro con entusiasmo, con la forza di chi va contro le mode, con la convinzione di chi vive già esperienze di valore.

Desideri, aspettative, scelte, linguaggi, comportamenti... Avere a che fare con gli adolescenti non è per niente facile, ma provarci con il cuore e con qualche attenzione si può e poi si può sempre parlare con Gesù. La nostra fede ci aiuta anche in questo.
Desideri, aspettative, scelte, linguaggi, comportamenti…
Avere a che fare con gli adolescenti non
è per niente facile, ma provarci con il cuore e con
qualche attenzione si può e poi si può sempre
parlare con Gesù. La nostra fede ci aiuta anche
in questo.

9. Le prime “prove”: riesce, non riesce? Agli educatori posso dirlo: loro mi capiscono!
Gli adolescenti possono essere presi subito dal bisogno di “pasticciare” l’amore. Sono impauriti, in un primo momento. Poi iniziano a dirsi l’un l’altro: “Forse dobbiamo aspettare. Non sono pronta, non sono pronto”.  L’apprensione comanda. E’ un segno evidente del fatto che ogni esperienza conosce il suo tempo e chiede la giusta maturazione. Tu, educatore, puoi cogliere i segnali di questa problematica, anche in ragazzi giovani. Quelli che hai nel gruppo. Sii attento, ispira fiducia. Accogli le confidenze. Fai con loro un patto di lealtà. Mettiti in gioco. Guardali con simpatia. Trasmetti pensieri veri e comprensivi. Accompagna. Senza manifestare curiosità o eccessivo interesse. Esserci nella vita di un ragazzo non è sinonimo di assillo, interrogatorio o altro.

10. E se ne parlassi con Gesù?
Chissà se gliene importa! Il dialogo con Gesù, fonte dell’amore, “fantasista” della vita degli adolescenti è sicuramente un momento di grande luce, di incoraggiamento, di gusto della vita. La turbolenza adolescenziale ha bisogno di una invocazione accorata: “Salvaci, Signore, andiamo a fondo!”, e allo stesso tempo: “Tutto posso con Te, Signore, che
mi dai la forza!”. Educare alla preghiera, quando la vita lo esige, è l’opportunità migliore per entrare in amicizia, in confidenza e in un faccia a faccia sereno col Signore. L’educatore deve saperlo ed è chiamato a diventare testimone.

11. E se gli educatori ne parlassero anch’essi con Gesù.
L’educatore per primo evita di trattare la vita affettiva dei ragazzi senza seguire passo dopo passo le indicazione dell’educatore stupendo e amorevole che è il Signore Gesù. Probabilmente la vita dei ragazzi diventerebbe per te la scuola più diretta e autentica per entrare “in affari” con Gesù che rimane il vero amico dei ragazzi, il loro primo estimatore, il loro progettista. Oh! Ma non siamo più in estate! Questo “supplemento” non è per caso fuori tempo massimo? Sarà pure. Ma credi che basti l’estate per fare tirocinio dentro il tuo cuore e soprattutto per passare
in rassegna i ragazzi, ad uno ad uno e parlarne Giorgio con Silvia e Silvia con Giorgio, tra di loro. E insieme con Gesù che, in questo tempo, ha iniziato a provare per i nostri due amici una simpatia incredibile!

APPROFONDIMENTO
Abbiamo scoperto che due è uguale a uno, se si lavora insieme. E che uno insieme è il massimo della sintonia. Si diventa irresistibili. Ci si aiuta. Se uno cade l’altro lo aiuta a rialzarsi. Se uno si perde l’altro va e lo cerca. Se uno è scoraggiato l’altro gli offre il ricostituente di un sorriso, di un silenzio amorevole, di una parola piccola ma molto efficace

Gli sconosciuti di Facebook

Su internet  è sempre una sorpresa  nel bene e nel male
Su internet
è sempre una sorpresa
nel bene e nel male

*don Mario Simula*
Non so chi siano. Che faccia abbiano. Come si vestano e cosa mangino a merenda.
I nomi poi! Ne ho catturato qualcuno per caso. Ma non so a chi di essi corrispondano.
Tutto è nato da un altro anonimo (o anonima?), che leggendo le mie paginette quotidiane sul sito si è chiesto: “Perché le devo tenere soltanto per me? Quasi quasi provo a “postarle”. Con tutti i rischi. Quando si posta puoi avere in risposta parole bellissime e parolacce ricercatissime. Tutto poteva capitare.

Primo miracolo: gli interlocutori, che poi ho capito essere ragazzi adolescenti, non solo non usano parole “fiorite”, ma si impegnano a non usarle per tutta la quaresima. Mai capitato nella loro vita, una volta compiuti gli otto anni.
Era l’inizio della quaresima. Se di quel tempo avevano dimenticato tutto, non era passata dalla loro memoria la voglia di impegnarsi in qualcosa: “Non useremo parolacce”.
Secondo miracolo: non hanno difficoltà ad avere come interfaccia un prete. Un segreto: Donnnnnnnnnnnnnnnnnnn! PREDICHEeeeeeeeeeeeeeeeeeee! NOoooooooooooooooo!.
Si può arrivare al cuore dei ragazzi anche di quelli lontani senza fare prediche. Raccontando, incoraggiando la vita ad essere vita, non cadendo sempre sulla buccia di banana della paura.
Terzo miracolo: “Stiamo imparando a conoscere il Vangelo e il nostro “amichissimo Gesù”.
Non sapevamo che esistessero certe pagine del Vangelo, alcuni racconti. Nessuno ce ne aveva parlato. E poi, quando ce ne parlava la suora al catechismo: che “palle”.
Stiamo capendo che Dio è nostro amico, ci vuole bene e non è sempre pronto a spingerci nell’inferno.
Quarto miracolo: caro donnnnnnnnnnnnnnnnnnnnnn, la sai una cosa. Da quando i nostri genitori ci hanno visto con le cuffie alle orecchie anche di notte, si sono incuriositi. Carla ha visto che la mamma, di nascosto “ficchettava” tre le cose della figlia. Stava anche lei ascoltando le storie, il Vangelo.
Qualche giorno fa è avvenuto l’impensabile. Ci siamo trovati io papà e mamma, seduti sullo stesso divano, mentre ascoltavamo insieme quella storia che il papà aveva raccontato al figlio. Mio padre è rimasto meravigliato: “Scusami se io non l’ho mai fatto con te”. Io ho visto una lacrima scendergli lungo il viso”. Ehi! Don, sei “togo”.
Quinto miracolo: i genitori sono felici che qualcuno parli ai loro figli e li aiuti a crescere. Intanto dal padre e dalla madre non accettano nulla.
Spigolature varie
Si parla di un fatto increscioso avvenuto in classe. Tutti hanno visto il maltrattamento riservato ad una ragazza con difficoltà, ma nessuno è intervenuto.
Ecco l’intervento alla lettera da parte di un ragazzo: “Allora nessuno dice avete paura????? Anche io sono stato di quelli che ho detto non ho visto e non ho sentito ma don amico che posti parlo con voi visto che i miei amici se la stanno facendo sotto perché leggono anche i nostri genitori. Le cose sono tutte vere, hanno abbassato i pantaloni tutti abbiamo visto chi ha deriso, approfitta solo perché è ritardata perché è malata perché non si sa difendere tutti abbiamo riso e la prof se l’ha presa con lei che doveva andare a dirlo alla prof. Stronza se avesse capito ciò che

FACEBOOK NON È IL DIAVOLO I social network possono diventare uno strumento per comunicare, ma vanno usati con saggezza. A volte possono essere un valido alleato per arrivare a chi è più “lontano”, altre per far sentire la propria voce a chi è solo o disorientato e invece ha bisogno di una guida
FACEBOOK NON È IL DIAVOLO
I social network possono diventare uno strumento per comunicare, ma vanno usati con saggezza. A volte possono essere un valido alleato per arrivare a chi è più “lontano”, altre per far sentire la propria voce a chi è solo o disorientato e invece ha bisogno di una guida

succedeva si sarebbe difesa. Invece la prof di sostegno a fare salotto. Facciamo schifo. Sara ha pianto anche se malata si è sentita umiliata e noi qui a leggere. Don siamo, io compreso, tutti codardi. Semplice scrivere don è vero hai ragione e poi … adulti neanche voi intervenite vero??? Anche voi sapete ma meglio tenere bocca chiusa. Don bravo complimenti per chi non capisce, hai messo anche le emoctions”.
Potrei dire infinite altre esperienze emerse. Mi riservo di farlo con cura.

Di una cosa mi sono convinto.
• Facebook non è il diavolo
• Deve essere proibito a chi lo trasforma in tempo da perdere a vuoto
• Deve essere proibito ai preti attaccabrighe e ficcanaso, e a quelli che lo utilizzano anche nei tempi morti delle concelebrazioni quando si distribuisce la comunione
• Deve essere interdetto a chi lavora in ufficio e dimentica di sbrigare le pratiche facendo aspettare la gente
• Deve essere assolutamente vietato a chi soffre di allergia congenita alla comunicazione diretta per paura di vedere l’espressione del viso di chi gli sta di fronte, di sentire il tono della sua voce e il significato dei silenzi, pieni di gesti.

Qualche volta può diventare un alleato imprevisto attraverso il quale molti XXXXXX diventano AMICI senza avergli chiesto l’amicizia.

La frase: “dipende dall’uso che se ne fa”
La frase: “dipende dall’uso che se ne fa”

L’ALTRA FACCIA DI FACEBOOK
di Maria-Chiara Michelini
Finalmente si entra nel gotha dei social, nel cuore delle relazioni della rete, nella bolla comunicativa del tempo presente, nel mito dell’apparire che coincide perfettamente con l’esserci: Facebook. E finalmente, qualcuno di parte ecclesiale, si prova a dire: facebook non è il diavolo, con facebook si possono fare miracoli, ci sono limiti che possono essere superati per l’annuncio della buona Novella.
Chiarirò immediatamente, a scanso di equivoci, che sono tra quelli che condividono le convinzioni con cui si chiude il contributo di Don Mario Simula. Ma sono anche persuasa che attualmente il social si presti troppo e venga ancora prevalentemente utilizzato da chi lo trasforma in tempo da perdere a vuoto, dai preti attaccabrighe e ficcanaso, e da quelli che lo utilizzano anche nei tempi morti delle concelebrazioni quando si distribuisce la comunione, da chi lavora in ufficio e dimentica di sbrigare le pratiche facendo aspettare la gente, da chi soffre di allergia congenita alla comunicazione diretta per paura di vedere l’espressione del viso di chi gli sta di fronte, di sentire il tono della sua voce e il significato dei silenzi, pieni di gesti. Conseguentemente ho ancora l’atteggiamento di chi vede una montagna di spazzatura da smuovere per rintracciare, sotto “la perla” nascosta. L’impresa mi appare davvero titanica e chi lodevolmente si avventura in essa, sostenuto dalla convinzione del tanto potenziale insito, dovrebbe avere questa chiarezza, evitando ingenuità e scivoloni.
Fatta questa precisazione che ritengo doverosa, vediamo perché credo che “finalmente” parliamo di facebook.
Finalmente parliamo in chiave attuale del rapporto mezzi/fini e della loro separazione/unione. Nel linguaggio comune questo tema è sintetizzato dall’espressione “dipende dall’uso che se ne fa”. Vero. Fino a un certo punto. Ma andiamo per gradi.

social, che fare?
social, che fare?

La separazione dei fini dai mezzi (e viceversa) è un problema serio e il nostro tempo dovrà fare i conti con questa scelta che ha fatto storicamente. Come si può pensare, ad esempio, di perseguire la pace, investendo risorse, energie, ricchezze dei popoli su mezzi bellicosi? La separazione, in questo caso, è riferibile alla distanza ontologica ineliminabile tra i mezzi (nocivi, letali, aggressivi) e il fine (pace, armonia, benessere, condivisione…). Questa separazione, viceversa, comporta un disallineamento degli uni rispetto agli altri e, soprattutto, un processo di vorace fagogitazione degli uni (i mezzi) sugli altri (i fini). I mezzi, con la loro rassicurante concretezza, tendono a catalizzare ogni energia, mentre i fini, con la loro spiritualità, tendono alla trasparenza e alla volatilità. Tanto da diventare essi stessi padroni del loro destino, fissando e determinando i fini stessi. Così se il focus diventa il possesso del telefonino di ultima generazione, esso da mezzo diventa scopo del mio agire (per il possesso, per la sua conoscenza, per l’utilizzo), ma, ancor di più esso stabilirà gli scopi dell’uso: funzioni, tempi, modalità….Così, attraverso il mezzo, abbiamo stabilito fini comunicativi, ad esempio, che non avremmo immaginato (ad esempio: contatto in tempo reale con una chat su wa con persone mai viste e conosciute, ma accomunate da un interesse comune (uno sport, un cibo, un evento…).
Facebook, in questo senso, rappresenta un iperbolico esempio: la potenza del mezzo veicola fini (a volte aberranti, come il maltrattamento della ragazza con difficoltà), li rende possibili e per ciò stesso, attribuisce loro un potere di esistere che schiaccia e ammutolisce.
E arriviamo, finalmente, al tentativo di cui si parla ne Gli sconosciuti di facebook. Si tratta di un’esperienza che cerca proprio di valorizzare il potenziale del mezzo, coniugandolo con i fini dell’annuncio evangelico e dei valori intrinseci. Ci si stupisce addirittura che funzioni (l’elenco dei miracoli è indicativo, in tal senso) e che crei alleati. I grandi educatori del ‘900, compresi quelli del mondo cattolico, sono stati spesso intelligenti interpreti del potenziale dei mezzi nuovi del loro tempo (un esempio per tutti: l’uso didattico del giornale nella scuola di Barbiana di don Milani). È bene condurre esperienze di questo genere che cerchino di riconciliare la potenza di facebook, con i fini dell’evangelizzazione. Si tratta di un mezzo, potente, pervasivo, che può funzionare.
Certo occorre sapienza. Che non è il sapere dell’uso di facebook, il suo tecnicismo, pur inevitabilmente necessario. Occorre la saggezza del sapere critico, della vigilanza costante sui continui rischio di scivolamenti, di subordinazioni culturali, delle fascinazioni ingannevole dell’apparire. Davide, contro (o con) il gigante Golia. Chi pensasse ancora di “farsi grande” perché capace di stare su facebook e di avere molti “mi piace”, non farebbe che alimentare la voracità del mezzo senza aggiungere nulla alla storia della salvezza. Ma Davide può vincere.

Il bel pasticcio dell’amore

95fb09e6-ba7c-467f-a9c_opt*di don Mario Simula*
Giorgio non crede ancora a quello che è avvenuto con i ragazzi. Silvia è più sicura e il suo viso manifesta un’evidente soddisfazione.
Si guardano negli occhi, seduti uno davanti all’altra. Resistono bene lo sguardo reciproco. Non hanno nulla da rimproverarsi. Possono soltanto essere soddisfatti di quell’incontro, tanto temuto, con i ragazzi del gruppo.
“Siamo stati proprio coraggiosi”, dice Giorgio. “Coraggiosi perché? Stavamo parlando della nostra esperienza. Se non ci appartiene quella, cos’altro possiamo raccontare di efficace e di credibile!”.
“Hai ragione, Silvia, ma tu non sai quanti incontri sui ragazzi e le ragazze erano naufragati prima di giovedì scorso?”.
“Giorgio, sei proprio una persona con gli occhi dietro la nuca. Guarda avanti. Se devo sposare, domani, un giovane in retromarcia, non faccio proprio un grande affare. Hai notato come erano luminosi gli occhi di Ester quando tu prendevi la parola. Mi è sembrato, in certi momenti, che si fosse presa una sbandata nei tuoi confronti. Non parliamo di Tullio. Sempre timido e ragazzo di seconda fila, sembrava cresciuto di botto. Gli mancava proprio che qualcuno, finalmente, liberasse il suo cuore. Forse sta corteggiando, più con la fantasia che in realtà, Caterina che, spiritosa com’è, lo fa patire da matti. E lui ci prova, timidamente. Sembra terrorizzato al pensiero che lei possa, un giorno, manifestargli un po’ di attenzione”.
maxresdefault_opt“Ma che diavolo, Silvia. Tu hai notato tutte queste cose?”.
“Anche molte altre. Non posso dirtele adesso, in una sola volta, altrimenti ti lasci prendere dal complesso di inferiorità e vuoi sempre me come spalla per i tuoi incontri. E poi, Giorgio,
• se non sappiamo osservare la vita dei ragazzi
• e non proviamo per loro una simpatia a tutto campo
• e non affrontiamo i problemi che li appassionano e li sconvolgono
• e non entriamo nei labirinti della loro esperienza
• e non accogliamo la loro esuberanza
• che senso ha fare l’educatore?”.
“Non mi dire che vuoi essere educatrice con me? Non mi sembrerebbe vero. Sono sicuro che insieme saremo una bomba! Hai pensato questo?”.
“E no, bello mio! Io ti sono venuta in aiuto perché dovevamo parlare di noi due, di come ci siamo conosciuti, ahimè. Ma da qui ad accettare di fare la tua spalla, ne corre di strada!”.
“Ho capito. Me la devo sbrigare da solo! Anche se, prima o poi, ci cascherai. Sei troppo brava con i ragazzi e loro provano una grande simpatia”.
“Perché avevi dubbi? O ti sei dimenticato dei tempi del corteggiamento, quando ti trovavo ad ogni passo e mi mandavi centomila messaggi? Ogni tanto anche un fiore”.

Un giorno o l’altro ci cascherai: sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero, sarà il messaggio inatteso. Ma ci cascherai. Attento però a: - non cascare dalle nuvole - guarda con gioia la novità di un’età che cresce - diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare - anche con i brufoli - l’amore non è una controindicazione - l’amore è una grazia - viverlo bene è un dono - preparalo perché diventi una vocazione
Un giorno o l’altro ci cascherai:
sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero,
sarà il messaggio inatteso.
Ma ci cascherai. Attento però a:
– non cascare dalle nuvole
– guarda con gioia la novità di un’età che cresce
– diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare
– anche con i brufoli
– l’amore non è una controindicazione
– l’amore è una grazia
– viverlo bene è un dono
– preparalo perché diventi una vocazione

COSA PENSANO I RAGAZZI?
Intanto i ragazzi si incontrano in piazza e fanno i loro commenti. O credevate che rimanessero zitti?
Angelo è rimasto folgorato e continua a dire: “Quella Silvia è proprio fighissima. Avete visto come non si impapera mai. Parla chiaro. Sorridente. Poi dice cose giuste. Sembra una tutta d’un pezzo, che sa il fatto suo!”.
• Educatrice in pectore dal portamento tranquillo, rassicurante e luminoso.
• L’opposto rispetto all’educatore musone, brontolone, sempre scontento, capace soltanto di rimproverare e di fare prediche.
Michele che guardava Silvia con occhi intensi: “Ne sa, quella! E non teme a rispondere a tono. Non si perde davanti a nessuna domanda. E’ proprio fortunato Giorgio ad averla incontrata.
A me piacerebbe una ragazza come lei”.
• Educatrice non arrogante, ma sicura di sé.
• Capace di non smarrirsi e di non entrare in crisi se le sembra di aver fatto una figura così così.
• Educatrice che compensa bene la sua vita personale e il suo servizio agli altri.
Claudia che da tempo ci sta provando con Alberto: “A me sembrano la fine del mondo insieme. E’ come se si fossero conosciuti da sempre”.
• Educatore ed educatrice che sanno essere autorevoli anche nella loro vita personale.
• Non la sentono come un peso, soltanto perché è coerente. La sperimentano come una chiamata.
Corrado fa un’osservazione molto acuta: “Stanno insieme eppure sanno ragionare ciascuno con la propria testa. Sono diversissimi. Non ci tengono ad essere incollati uno all’altra. Quando devono dire la loro sono molto autonomi. Si devono essere proprio allenati a stare insieme in quel modo”.
• Educatore ed educatrice che hanno idee originali, le condividono ma non le sovrappongono.
• Diversi e per questo ricchissimi. Le fotocopie non sono utili per educare.
• Mai vicini, non perché non gli piace, ma soltanto perché quello non è il momento.
• Sanno vivere come persone non come fratelli siamesi.
• Hanno iniziato un buon tirocinio per stare insieme.
Elisabetta “Vedete, loro hanno vissuto per anni l’esperienza del gruppo. Nel gruppo è nata la loro amicizia e il loro amore. Nel gruppo hanno imparato a stare con tutti, a non isolarsi, a non dipendere l’uno dall’altra”. Soltanto Elisabetta poteva fare un’osservazione così saggia e acuta.
• Educatori che nel gruppo sono cresciuti.
• Nel gruppo hanno scoperto la loro vita.
• Con gli altri hanno appreso l’arte di creare unità e comunione.
• In gruppo, cioè stando insieme, sono diventati capaci di autonomia.

I ragazzi
tutti a una voce:
“Cosa ne dite se arruoliamo anche Silvia come educatrice? Se glielo dice Giorgio dirà certamente di no, ma se glielo diciamo noi …?”

“Ci proviamo. Speriamo che si lasci corrompere!”.

 

Stupendo e impegativo  Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.
Stupendo e impegativo
Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.

LA VERIFICA DI GIORGIO E SILVIA
Anche Giorgio e Silvia, fanno la verifica dell’incontro.
Da tempo hanno capito che:
• Non si archivia ogni incontro, dicendo: “Anche questo è fatto!”.
• Bisogna ritornarci su.
Giorgio è il più esperto su quel gruppo di ragazzi. Parla a ruota libera.
“Hai notato? Luigi è proprio imbranato. Ad ogni accenno un po’ delicato, diventa rosso e vorrebbe scomparire. Bisognerà incontrarlo da parte, non per fargli la romanzina o la lezione di recupero, ma per incoraggiarlo a credere in se stesso. So che si fida di me. Cosa ne dici se ci provo?”
“Va benissimo, attento, però, a non diventare rosso tu. Sarebbe un brutto affare. I ragazzi si accorgono subito come si fa a mettere in difficoltà il loro educatore. Anche se sono ragazzi timidi”.
• Se un ragazzo si trova a disagio, non lo emargino; lo incoraggio e lo aiuto.
• Davanti a temi più delicati alcuni ragazzi aspettano un soccorso. Non insistiamo su di lui. Passiamo oltre con molta delicatezza. Troveremo dopo il momento giusto per avvicinarlo.
• Non si rimprovera un ragazzo perché non parla. Non conosciamo la ragione. Dobbiamo aspettare.
• Lo incontriamo da solo, con naturalezza, per parlare del più e del meno. Da lì si inizia.
“Mi ha molto colpito Luisella. La conosco da piccola. Adesso si è fatta talmente grande e carina che talvolta mi viene da chiedermi come stia vivendo questa stagione della sua adolescenza. Si cura nei dettagli. Cerca di mettersi in mostra. Se un amico sta pensando ad altro, appena la vede la nota e la scruta. Lei rimane molto compiaciuta. Forse dobbiamo avere verso di lei un’attenzione particolare, da persone mature”.
“Non te ne sarai innamorato?!”.
“Scema. Non sai pensare ad altro? Allora tu sei gelosa!”.
• La bellina del gruppo ci permette di rifarci gli occhi. Non colpevolizziamola chiamandola “oca giuliva” o accusandola di “civetteria”.
• Forse vive un’adolescenza più turbolenta. Accorgiti di lei, senza prenderla sotto le tue ali. Non preferirla a nessuno. Non ne ha bisogno per esistere, le servirebbe soltanto per farsi notare.

TIRIAMO LE SOMME

“Facciamo i seri. Hai proprio ragione, Giorgio. Noi abbiamo tra le mani un’età affascinante e problematica. In questi due o tre anni i ragazzi si giocano molte carte del loro futuro. E la dimensione affettiva è quella più delicata e fragile”.
Rimangono pensosi. A un certo punto sempre Silvia aggiunge:”Io non voglio fare l’educatrice, ma voglio darti una mano. Poi si vedrà. Proviamo a pensare ad una specie di prontuario del “primissimo amore”, quello tenero e acerbo sul quale si misurano questi ragazzi”.

A Giorgio non sembra vero. Nelle sue aspettative c’è sempre un “SI!” di Silvia come futura educatrice. D’altra parte, se si vuole educare in maniera completa, matura ed efficace, ci vuole un ragazzo e una ragazza. Se poi stanno insieme come coppia e bellini come sono loro, Giorgio e Silvia …
Non perdetevi la prossima puntata sul DECALOGO IN UNDICI PASSI

Quando viene l’ora di Giorgio e della sua dolce Silvia. Dai l’esempio e hai fatto bingo

giovani20001_fmt*di don Mario Simula* Giorgio, educatore di oggi e del futuro, di che cosa hai paura? Di farti vedere innamorato? Di metterti in graticola sotto le forchette dei ragazzi? Di portare la tua Silvia in gruppo?
Ti assicuro:
1. I ragazzi non vedono l’ora di sfidarti
2. I ragazzi te lo fanno apposta, ma sono buoni e desiderosi di crescere
3. Se vedono Silvia, te la rubano con gli occhi, con i sorrisini, con le battutine e tu vorresti sotterrarti
4. I ragazzi vogliono farti cadere nella loro trappola.
Allora non se ne parla nemmeno di andare da loro in gruppo. Anche con le migliori intenzioni. E’ molto meglio stare sulla difensiva.
Se avessi davanti dei nemici, ti darei ragione.
Giorgio bello, non ti sei ancora accorto di quanto ti vogliono bene, i ragazzi? Ormai sei il loro “educatore”. E siccome sei giovane e simpatico, anche se qualche volta un po’ “imbranatino”, parlano di te con i compagni di scuola, con i genitori, tra di loro.
Ormai conti. Sei un punto di riferimento: “L’ha detto Giorgio!”.
Tu, però, devi tirare fuori da te la carica più esplosiva di simpatia.
Sei chiamato a trovare sicurezza.
Certamente hai qualcosa da raccontare, e qualcosa di bello e di valore.
Ti presenti col ”valorissimo aggiunto” di Silvia. Con un’esperienza al tuo attivo.
Cosa vuoi di più?
In attesa del battesimo di fuoco
Giovedì ore 19: incontro ragazzi. Tutto inizia con l’annuncio che per Giorgio è importante e impegnativo.
“Ragazzi, al prossimo incontro verrò con Silvia. La conoscete di sicuro. Almeno perché l’avete vista a messa assieme a me”.
“La tua ragazza?”, grida subito Guglielmo.
“Sì, la mia ragazza!”.
“Bravo, Giorgio, non vediamo l’ora”.
“Ho pensato così, se siete d’accordo”. “Sìììììììììììììììììììììììììììììììììììì!”.
Ormai Giorgio si è compromesso. La settimana sarà per lui un po’ agitata: “Chissà cosa chiederanno quei ficcanaso. Perché non resteranno senza domande”.
20141226_165124_fmtNon manca nessuno all’incontro. Giorgio con Silvia, fanno una bella coppia. Anche a vedersi. Sia l’uno che l’altra, non c’è male! A vederli insieme Giorgio sembra più bello del solito, oggi un po’ insicuro. Silvia è sempre quella che è: alta, bionda, carina, piacevole. Un bel sorriso, spontaneo e accattivante.
Un dialogo davvero fuori programma
Luigi non dà tempo alle introduzioni. E’ quello che parla sempre per primo. Anche perché non mette domande originalissime.
“Senti Gio’, come vi siete conosciuti?”.
“Non è avvenuto al tramonto di una giornata di sole. In spiaggia. Due ragazzi romantici che si specchiano nel fuoco di quei colori e si guardano ancora soltanto negli occhi, perché non riescono nemmeno a sfiorarsi la mano. Ti ricordi, Silvia. Io stavo sulle mie. Iniziavi a piacermi talmente che stavo alla larga. Intanto frequentavamo il gruppo giovanissimi: io di qua e tu di là. Ma sempre su punti strategici, per poterci almeno sbirciare e gettare le prime intese.
Io ero pronto a scherzare, ad organizzare giochi e scherzi. Silvia era una delle più brave coriste della parrocchia. A lei non piaceva tanto giocare. A me interessava così così cantare. Agli incontri eravamo, però sempre presenti e attivi.
Di domenica, a messa, lei era sempre a destra. Io cercavo il posto più vicino. Qualche volta avevo la testa per aria. Stavo solo pensando a lei. Ci pensava Antonello a portarmi con i piedi per terra. Mi affibbiava certe gomitate!
Tutto è nato in parrocchia, nel gruppo.
Giorno dopo giorno. Senza forzare i tempi.
Senza abbandonare gli amici. Senza chiuderci.
Un giorno è stata proprio Silvia a dirmi, diventando rossa: “Sai, stanotte ho pregato Gesù per noi due. Mi è venuto spontaneo farlo. Non ricordo che cosa ho detto. Sicuramente cose belle. Desideri grandi. Ho avuto l’impressione che Lui mi guardasse con simpatia, sorridendo. Come se fosse compiaciuto”.
In quel momento ho capito che eravamo in due a provare gli stessi sentimenti e abbiamo iniziato a stare insieme, un po’ alla volta”.
“Tu dici un po’ alla volta. O ci state o non ci state!”, protesta Stefano. “A me non sarebbe sembrato vero che una ragazza come Silvia stesse al mio fianco. Mi sarei divertito da morire. Sono proprio curioso di sapere che cosa avete fatto voi”.

Pazienza, stima, ascolto... si inizia così
Pazienza, stima, ascolto…
si inizia così

Questa volta è Silvia a prendere la parola, senza farsi impaurire dal tono aggressivo di Stefano.
“Noi abbiamo cercato di conoscerci. Avevamo capito subito che non può esistere un amore forte e vero senza sapere chi è l’altra persona che ho accanto.
Abbiamo scoperto tanti aspetti del nostro carattere. I molti pregi, le qualità e anche i limiti e i difetti di ciascuno di noi.
Ogni scoperta ha rappresentato un passo avanti pieno di gioia e qualche volta di fatica. Sai, Stefano, quanto è facile stare a lungo insieme senza sapere con chi mi trovo?
Ci siamo raccontati le nostre storie, a partire dalle famiglie alle quali apparteniamo.
Intanto cresceva l’affetto, la stima reciproca, la pazienza, l’ascolto, la capacità di perdonarci. Iniziavamo anche a stare più vicini, con gioia. Riuscivamo a parlarci con tanti gesti di amore e di delicatezza. Non c’era bisogno di bruciare le tappe. Tuttavia il nostro amore cresceva e si vedeva crescere. Ci cercavamo di più, ma sapevamo stare anche qualche giorno in silenzio. Non per dispetto, ma per far crescere il desiderio l’uno dell’altro. L’abitudine è una malattia mortale per l’amore. Il desiderio sempre vivo, è l’acqua fresca che lo alimenta.

...E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...
…E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...

Abbiamo litigato più di una volta. Ricordo che l’ultimo scontro risale a qualche mese fa. Giorgio voleva a tutti i costi che stessimo molto di più da soli. Noi due. Come due piccioncini. A rischio di costruirci il nido caldo. Due cuori una capanna. A me la proposta sembrava fuori posto. Chiedere una cosa simile a me che amo molto stare con gli altri, essere allegra, uscire con le amiche significava rinchiudermi in una prigione. E lui ad insistere. Non so se per gelosia o per egoismo. Non ne volli proprio sapere. Capì subito che su questo punto ero irremovibile.
Seguì qualche giorno di lontananza. Fino al momento nel quale ricevetti un messaggio tenero: “Silvì, sono stato sciocco. Che motivo c’è di blindare il nostro rapporto? Ci si può conoscere anche stando insieme con gli altri. E un gesto di amore è bene che lo vedano anche gli altri. E’ così bello! Noi troveremo i momenti che appartengono a noi”. Non credevo ai miei occhi, mentre leggevo. Non risposi con messaggino. Ci voleva una telefonata senza tempo. Fu lunga quella telefonata, carica di verità, di chiarezza e di affetto. Fece bene a tutti e due”.
Andrea sembrava poco convinto di tutte queste storie belle. A bruciapelo butta la sua: “Quando mai non avete sentito il desiderio di fare qualche cosa di più. I miei amici raccontano che subito si fanno avanti con la loro ragazza: Ci stai? A me sembra impossibile che Giorgio così maschiaccio e Silvia così piacevole non ci abbiano provato mai!”.
Credo che non fosse soltanto Andrea a voler fare questa domanda.
Giorgio e Silvia si guardano esitanti, per prendere una decisione tacita: parli tu o parlo io? Con la speranza che parlasse il tu invece che l’io.

Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi! Non immagini il terremoto del mio cuore e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu, che hai immaginato questo cataclisma. Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi. Hai visto come si incollano alle nostre parole. E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza forse ci scapperà qualche altra notizia. Non pensare male mi raccomando!
Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi!
Non immagini il terremoto del mio cuore
e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu,
che hai immaginato questo cataclisma.
Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso
come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi.
Hai visto come si incollano alle nostre parole.
E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza
forse ci scapperà qualche altra notizia.
Non pensare male mi raccomando!

“Ragazzi – inizia Giorgio – la domanda è molto personale, però sono contento che sia venuta fuori. Quando si inizia a stare insieme da un certo tempo, un po’ alla volta l’attrattiva reciproca inizia a farsi sentire sempre più forte. Piacciono i gesti affettuosi che consolidano l’intesa tra noi due. Si scopre la bellezza di ritrovarsi da soli per parlare stando vicini, abbracciati e scambiandosi quelle attenzioni tenere e delicate che danno sicurezza e felicità.
Siamo, però, anche attratti con maggiore forza, a sperimentare l’intimità di coppia. Lo si sente nel corpo che entra in subbuglio. Si sperimenta una forza che, al primo momento sembra incontrollabile. Come se volesse travolgerti.
A questo punto occorre guardarsi negli occhi ed avere la semplicità di dirsi quello che si prova. E domandarsi: è proprio quello che vuole Dio? Non è forse impulsivo questo bisogno? Può esser rimandato al momento giusto, quello che coincide con la scelta di tutta la vita?
Noi abbiamo cercato di vivere questa esperienza. Lottando, ma senza sentirci costretti.
Silvia è stata bravissima con il suo equilibrio”.
“E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine. Ho voluto dire a Giorgio che andava bene la conoscenza graduale, anche da questo punto di vista. Conosco tante amiche che si sono fidate del ragazzo e ragazzi che si sono abbandonate a ragazze intraprendenti. Non hanno avuto che delusioni. Con Giorgio abbiamo parlato a lungo. Ci siamo capiti. Abbiamo colto ciò che ciascuno provava in certi momenti, ma io gli ho assicurato che per me era già una risposta importante l’intimità che stavamo raggiungendo, con l’aiuto reciproco, con la vigilanza gioiosa di chi non vuole sprecare un dono.
Da allora ci ritroviamo spesso a pregare insieme. L’amore ce lo insegna soltanto Gesù. Lui ci ascolta e noi lo ascoltiamo. E’ una forza incredibile la sua presenza.
Oltre a questo percorso, ci siamo impegnati a dare sempre il meglio di noi stessi a favore degli altri. Questa è l’altra faccia dell’amore. Ci è chiaro che, donando, si impara ad amare, ad attendere. Il desiderio l’uno per l’altra, non fa altro che accrescere il nostro amore reciproco. Stiamo bene insieme. Anche se in certi giorni le nostre scelte costano e ci bruciano”.
Lorenzo, che non ha peli sulla lingua, sbotta: ”Silvia, tu avrai pure ragione. Ma a noi certe cose piacciono. Se le possiamo fare, perché non le dobbiamo fare? Una prova, un gusto …”.
“Lorenzo, volevi dire un piccolo “pasticcio emotivo”? Questo è molto facile da combinare. Ma l’amore anche per un ragazzo è proprio questo?”. Il dialogo rimane a questo punto. E’ stato intenso, seguito dai ragazzi che sanno essere seri quando la vita è messa in gioco. Sono talmente contenti che aspettano tutti di poterlo continuare. Certo che Silvia ha quattro idee chiare in testa.

Stiamo iniziando a capire che il gruppo nelle mani di tutti e due: Giorgio e Silvia, potrebbe fare passi da gigante. Si potrebbe aprire alla confidenza. Costruirebbe legami di amicizia. Magari farebbe entrare fra i membri di diritto anche Gesù, che non guasterebbe!

shutterstock_69882811 _fmtCommento solitario dei ragazzi
“Giorgio hai avuto un’idea da schianto.
Tu non hai visto le espressioni della tua faccia, i colori, gli sbiancamenti.
Sicuramente hai sentito il sudore scendere!
Non parliamo di Silvia. E’ davvero in gamba. Sa il fatto suo. E’ una dritta, la tua Silvia.
Abbiamo capito che se gli educatori riescono a raccontare la loro vita, come hanno fatto oggi parlando di amore, anche i nostri amori incipienti di ragazzi troverebbero la loro bussola”.

Se non ti racconti, che cosa racconti?
I manuali? Le pie esortazioni? Le morali a poco prezzo o terroristiche?
Quando con i ragazzi si entra nel vivo della loro vita, bisogna avere occhio a:
1. Catturare l’interesse
2. Anche su temi impegnativi come quello dell’amore, interesse non è curiosità
3. Voglia di apprendere dalla vita e dai testimoni con la loro vita
4. Credibilità di una vita vissuta con gioia e impegno, anche quando costa per primo all’educatore
5. Essere veritiero. Non voler sembrare un angelo, uno che vive ad un metro da terra. Di’ quello che sperimenti e dillo a misura dei ragazzi che hai davanti
6. Non ti chiedono molte cose, nonostante sembri che loro ne conoscano sempre una in più di te. Ti chiedono cose di qualità, dette bene, testimoniate con passione, senza reticenze sulla fatica che costano
7. E poi, fidati dei ragazzi, fidati di te e fidati di Gesù che a tutti voi tiene più che ad ogni altra creatura.

 

Dio le pensa tutte in fatto di amore: “ne sa una più del diavolo”

Attractive-couple-romantic-moods-hot-pics*di don Mario Simula*
La fantasia di Dio è incredibile. Poteva uniformare tutto, semplificare tutto, ridurre tutto ad un medesimo progetto.
Niente da fare. Una moda al maschile e una al femminile. Un taglio di capelli per uomini e uno per donne. Due timbri di voce. Due arrangiamenti del corpo: con la barba e senza barba, con ombretto e non, con unghie costellate di stelline o volgarmente al naturale. Fianchi diversi, petto diverso, sorrisi e atteggiamenti diversi. Anche i temperamenti diversi. Per non parlare della loquacità.
E se vogliamo sorridere con ironia diciamo: “Quella donna è baffuta. Quell’uomo si concia come una donna!”.
A ciascuno sta bene il “suo”.
Eh! La fantasia di Dio!
A proposito di Giorgio e della sua Silvia
State proprio bene insieme! Tu bruno e slanciato. Lei snella e bionda, con gli occhi chiari. La ragazza che gli altri ti invidiano! Devi starci attento. Ma Silvia è affidabile. Non ti tradirebbe per nessun altro al mondo. Dove lo troverebbe uno come te: educato, buono, generoso, impegnato, anche educatore? Poi sei forte. Sai prendere decisioni. All’università prometti bene. La tua diversità la fa andare in estasi. La sorprendi, a volte, mentre ti guarda incantata. Le devi dare un pizzicotto per riportarla alla realtà. Chissà come ti sogna la notte! Ti chiama più volte, mentre si gira e rigira nel letto.

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Dio, che scherzi mi fai?Mi sconvolgi e mi rallegri con le tue imprevedibili folate di amore. Poi capisco che l’amore non è un gelato. Non è un’invasione di campo. È occhio aperto che scruta e cerca di comprendere. È cuore che cerca di rispondere. È saggezza che sa aspettare.

E tu per Silvia hai perso la testa, non a prima vista, ma a seconda vista. Quando l’hai incontrata le prime volte, ti infastidiva quella bellezza esuberante. Non ti rassicurava. Come avresti fatto ad averla per te, unica e tu unico?
A seconda vista, però, il cielo si è aperto. A dire il vero lei un po’ di cielo azzurro lo aveva già negli occhi e un raggio di sole era disegnato nei suoi capelli.
Guardandovi, avvicinandovi. Vivendo sempre più a contatto avete iniziato a sperimentare il bisogno di stare più spesso insieme. A ciascuno di voi piaceva ciò che l’altro possedeva di diverso. Che strana cosa! Che sensazione mai provata!
A Giorgio, un bruno mediterraneo, piaceva una bionda celestiale. A Silvia, con gli occhi d’acqua limpida, piaceva un bruno segnato come un quadro di Caravaggio.
A Silvia disinvolta e garbatamente civettuola, piaceva un ragazzo a modo, controllato e bello nella sua mascolinità.
Dài Giorgio, dài Silvia, che siate la coppia giusta?
Intanto provate a cercare insieme, a capire le vostre ricchezze, i doni che potete scambiarvi come maschio e femmina creati da Dio a sua Immagine e Somiglianza.
A Giò … ritorniamo sulla terra
Tu e Silvia siete tu e Silvia. Ma quei malnati di adolescenti del tuo gruppo, chi può trattenerli?
Riempiti d’amore gli occhi questa sera, quando la pizza è soltanto una scusa e Silvia lo scopo e siete uno davanti all’altra a confermare un amore misterioso che vi lega!
Domani sarà un’altra cosa.
Ti chiederanno: perché diversi?
E tu cadrai dentro la fossa dei leoni. Chi ti salverà? Certamente quell’angelo di Silvia. Basta?
Vediamo quali passi dobbiamo fare, per non scivolare sulla prima buccia di banana che incontriamo.
Punto uno: non prepararti sul libro di scienze. E nemmeno su quello di anatomia umana.
Punto due: non sei chiamato a fare un incontro di informazione sessuale. Non è tuo compito e non ne hai la competenza.
Punto tre: non esordire dicendo: “Ragazzi, oggi, dobbiamo parlare di una cosa seria”. Li faresti ridere prima ancora di iniziare.
Punto quattro: non fare il “figo” dando a credere che sei uno che se ne intende. Ti guardano in faccia e fanno le smorfie. Un colore sale e un altro scende. E il fuoco divampa. Il tuo corpo dice che sei imbarazzato. E quindi un uomo morto. Quelli non sanno nulla di preciso, di chiaro; ma figurati se te lo dicono. Ci tengono a farsi sentire “esperti”. Magari hanno fatto qualche esperienza. Forse hanno combinato qualche piccolo pasticcio. Ma cosa sanno loro dell’amore, se non quello che imparano dalla più grande psicologa che ci sia in circolazione! Si chiama Maria De Filippi. Una donna così così, che poteva piacere soltanto a Maurizio Costanzo. Lei sconcia amori, li rammenda, li costruisce, li destreggia.
Una vera maga delle relazioni di coppia.

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L’amore è un’arte. Tutti ci provano. Con alterne fortune. Amare rimane sempre un’arte. Per pochi o per tutti? Per chi vuole apprenderla. Con pazienza. Giorno dopo giorno. Si impara ad amare tutto. Se, però, non conosci chi sei e chi sono, come puoi amare tutto? Dio va nel dettaglio e ogni particolare della mia persona mi ricorda la sua fantasia. Devo imparare ad andare dall’amore all’Amore. Da Carmela a Dio. Da Luigi a Dio. Quando vuoi iniziare l’avventura dell’amore ricorda che stai scalando una montagna. Non è straordinario prendere per mano l’amore che è in affanno? Non ti entusiasma essere in cordata, legati (in relazione) per essere più forti e sicuri, stretti perché l’altro non precipiti? Non ti commuove cadenzare lo stesso passo, un passo più lento per aspettare, il fiatone condiviso in salita? Non è felicità contemplare gli stessi orizzonti di vita: inattesi, immensi, rarefatti come l’aria purissima che respirate? Chi ama è pronto alla fatica. Perché vuole sperimentare la gioia. È pronto a stringere mani (in relazione) per sempre. Anche quando sono fredde e hanno bisogno di essere accarezzate perché si riscaldino. Tu e i tuoi ragazzi: tutti pronti ad imparare, ogni giorno. E chi cerca di amare meglio, pronto ad accompagnare i ragazzi nella turbolenta strada dell’amore.

Qualche punto fermo
Non siamo fatti a caso e nemmeno in serie. Non siamo tre teste, due nasi, quattro bocche. Siamo quello che vediamo.
Un corpo maschile e un corpo femminile. Una sensibilità maschile e una femminile. Un pianto di uomo e un pianto di donna. Anche le voci e il tono e il timbro sono diversi. Le reazioni, poi, sono una opposta all’altra. Lei ti sommerge sotto una pioggia di parole “offese”. Lui ti innervosisce, perché se la cava con qualche mugugno. Il resto lo lascia alla tua fantasia.
Lui ti abbraccia fino a stritolarti. Lei ti abbraccia con calore e ti fa vibrare.
L’estetica, le preferenze, i gusti: percorrono via diverse. Anche se dici: “Ci piace lo stesso cantante, mangiamo il panino farcito alla stessa maniera”.
Maschio e femmina li creò. Queste due parole semplici semplici costituiscono la grammatica dell’amore. Poi si impara la sintassi e il vocabolario.
La meraviglia sta proprio qui. Maschio e femmina vuol dire tutto: ciò che siamo, le nostre diversità, ciò che ci attrae, ciò che ci pare bello.
Sogniamo un incontro, una intimità perché siamo maschio e femmina.
La cosa più sorprendente è che come maschio e femmina rassomigliamo a Dio, siamo sua immagine. Specchio di Dio. Se custodisci lo specchio, tra te, ragazzo e la ragazza che ti sta davanti, si crea una relazione.
Vi guardate negli occhi e sussultate. Vi tenete per mano ed è come se trasmetteste una corrente non solo di simpatia, ma di amore. Vi abbracciate ed è una cosa “tutta diversa” da ogni altro abbraccio. Vi baciate e vi accorgete che avete raggiunto un traguardo impossibile. State vicinissimi e non vi dà fastidio. Occupate lo stesso metro quadro ed è quello che vi piace. Parlate e nessuna parola è altrettanto bella. Fate silenzio e vi leggete nel cuore. Il ragazzo rivela la forza e la ragazza regala la tenerezza
Li creò perché fossero due in una sola carne. Diversi, ma fatti l’uno per l’altro. Chiamati a quella intimità che fa nascere la vita e che spesso i ragazzi e i giovani non capiscono.
È più facile dire: “Stiamo insieme per divertirci!”. In questo modo sciupate un dono. Ognuno dei due usa l’altro. Non lo ama. Anche se nasconde l’egoismo sotto il velo di parole dolci.
Si dice guardandosi teneramente negli occhi e con un certo imbarazzo: “Sai, è la prima volta!”-“Anche per me è la prima volta”. Le emozioni scoppiano, il sesso predomina. Non a caso l’espressione tanto comune: “Facciamo sesso?”. Come se si dicesse facciamo footing. Ci facciamo una pizza. Perché non ci facciamo una birretta?
All’inizio della vita di una coppia esiste la comunicazione. Il sapersi raccontare. Il conoscersi. La relazione. Ci lasciamo legare dallo stesso vincolo dell’amore.
Al centro non ci sono io e il mio benessere. Ci siamo noi e la nostra relazione.
Altrimenti raccolgo soltanto elementi per trascorrere qualche ora di divertimento con gli amici, raccontando soddisfatto, da buon maschio, che cosa è avvenuto. Magari allegando un pezzo di filmato in You Tube.
Credimi: l’innamoramento non basta. Vivere tutta la vita con la testa attraversata da stelline, da fantasie, da sogni, significa rassomigliare a quel Narciso che si specchia nell’acqua del pozzo e che, per non perdere l’immagine, si butta dentro.
Quando si inizia ad amare:
Da solo non basta
Pensare unicamente a me stesso non basta
Avere fretta e cercare tutto e subito non basta
Il piacere non basta
Il toccare tutto non basta
Quando si inizia ad amare occorre essere convinti che:
Non esiste soltanto il corpo
Ma anche le parole
Lo scambio di storie personali
Il dialogo
La conoscenza
Il fare un passo per volta
La pazienza
Il rispetto.

Ti diranno: “Quanto è vecchio il nostro educatore Giorgio!”. Giorgio non scoraggiarti. Ripensa a Silvia e all’esperienza che vivi assieme a lei. Non può essere una “cosa privata”. Si deve vedere. Nella tua felicità. Nei momenti di crisi. Nell’orgoglio quando i ragazzi ti vedono insieme con lei e vi guardano con invidia e con qualche desiderio segreto.
Forse, quando si sarò rotto il ghiaccio nel gruppo, qualcuno ti chiederà: “E tu, Giorgio, che esperienza stai facendo?”. Non avere paura di rispondere. Sarebbe il più bell’incontro che possa immaginare.
Poi, a te lo posso dire: “Butta qualche preghiera per te e per Silvia ai piedi di Gesù: gli farebbe immensamente piacere. Certo non chiederlo ancora ai ragazzi. Preparali un po’ alla volta e magari spiazzali pensando tu una preghiera per tutti nella quale chiedi a Gesù che ci insegni ad amare come sa amare lui”.

Sottovoce: “Quando andrai insieme con la tua dolce Silvia, nel gruppo dei ragazzi, per fare le presentazioni? Muoiono dalla voglia di incontrala. Stai tranquillo, non te la ruberanno!”.

Quando l’amore si complica

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…un maschietto una femminuccia, una femminuccia un maschietto. L’attrattiva è questa. E ognuno guarda le diversità…

*di don Mario Simula*
Che strana sensazione …
Giorgio, non ce l’ho con te. Anzi. Mi sei simpatico e ti ammiro per il coraggio di essere animatore (giovane!) di adolescenti.
Ho notato che, da un po’ di tempo, Eufemia e Nicoletta si guardano con occhi da triglia, vuol dire “intriganti”. Mano nella mano, intrecciate, si riconoscono soltanto loro due. Le altre amiche e gli amici hanno perso colore.
Stanno bene insieme. Una scossa emotiva le attraversa. Quando si salutano sembrano due innamoratine alle prime armi. Si sentono “tenere”. Si abbracciano e si baciano una e due volte e anche tre. “Ciao Eu, ciao Nic”. Si separano guardando indietro, fino a quando l’angolo della strada non le nasconda.

Sorridono felici tra sé e sé. Il primo cuoricino che balbetta nel cellulare. Poi si anima di vibrazioni elettriche.

A casa. “Finalmente sei ritornata”, urla mamma, ignara. “Questa figlia tua, ha ritrovato la strada dell’albergo”, protesta babbo.

Stessa musica in due case. Nic si chiude in camera. Eu si chiude in bagno. WhatsApp  a ritmo serrato. Dichiarazioni di amore. Qualcosa sta nascendo.

Se ti fanno la domanda a bruciapelo
Giorgio rischia di rimanere bruciato. Non ha ancora messo nel conto questo quesito micidiale ed esplosivo: “Se io Eufemia (Eu) voglio bene a Nic cosa devo fare?”. E sì! La domanda arriva, come una bomba d’acqua. Senza far nomi. Ma senza far mistero sui nomi.

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Un bagaglio misterioso di ingredienti dentro un corpo indecifrabile

Michele non si fa pregare, come se la cosa lo interessasse direttamente: “Per me quando due persone si vogliono bene: due ragazzi, due ragazze … che male c’è?”. Tutto semplice per lui. A Michele piacciono le ragazze, da morirne. E solo le ragazze! Ma Lui è liberale, aperto.
“Ognuno è fatto come è fatto. Se si sente così …!”, incalza Angelino.

“Basta, basta, ragazzi”, urla Giorgio appena si accorge che la conversazione sta per prendere una brutta piega. Per lui!

Che ne sa, lui. Questi cannibali se lo vogliono pappare in un boccone. Meglio andare verso la conclusione. “Ragazzi, giovedì prossimo riprendiamo l’argomento”. “No, no. Adesso che avevamo iniziato”. “Basta. Non facciamo storie. A giovedì. Adesso devo andare”.

Giorgio, per questa volta se l’è scampata. Ma giovedì prossimo?

Quando l’amore è “omo”
Un maschietto una femminuccia, una femminuccia un maschietto. L’attrattiva è questa. E ognuno guarda le diversità. Che “figheria”! Che forme! I fianchi: non se ne parla. Gli occhi, i cappelli, le mani lisce, la pelle invitante. Eppure mi piace lui anche se è un maschietto come me. Mi piace lei anche se siamo tutte e due femminucce. Scherzi dell’amore!

Rear view of a young male couple holding each other

Però è strano, se ci penso. Ancora una volta tra due lui e tra due lei piace la differenza. Perché uno ha un ruolo molto amabile e tenero, l’altro è più intraprendente e forse aggressivo, senza esagerare. Uno accetta le tenerezze, l’altro è più attivo e forte nel regalarle. Due modi per dirsi “ti amo”, anche se sono lui e lui, lei e lei.

Cosa è avvenuto?

Noi abbiamo un bagaglio misterioso di ingredienti dentro un corpo stupendo e indecifrabile. A volte si nasce fatti in modo tale che ti piace un maschietto come sono io e non una femminuccia diversa da me.

Qualche volta ci mette lo zampino l’educazione.

Maschi e femmina si nasce, con tutte le differenze, visibili, chiare. A diventare maschio e femmina si impara da una mamma che ama essere donna, si piace come donna, sa svolgere il suo compito di donna.

Happy Valentine's DaySi impara da un papà che sa essere maschio, conosce le sue caratteristiche, le affina, le rende belle e amabili. Si impara da un papà e da una mamma che sanno amarsi così come sono e sono felici di quello che sono e riescono a dirselo e a manifestarlo.

Cosa farà, senza nemmeno accorgersi il bambino che cresce? Se è un maschietto guarderà con attenzione come è il padre. Lo imita, lo guarda con orgoglio, vuole essere come lui. D’altra parte papà sta proprio bene con la mamma. Si cercano, si accarezzano; ha notato che con naturalezza si baciano e si abbracciano.

“Voglio essere un bel maschietto come mio padre”.

Se è una femminuccia scoprirà un po’ alla volta la bellezza della mamma. Il suo volto dolce. I suoi tratti delicati e generosi. Il suo bisogno continuo di donarsi. Vede come accetta di essere guardata con piacere e con rispetto da papà. E’ felice quando arrivando a casa diventa subito la persona più cercata, da accogliere in una stretta fortissima. Si accorge che papà le fa tanti complimenti semplici ma molto affettuosi e la cerca con gli occhi, con il desiderio, con l’affetto, con i gesti.

“Voglio essere una meravigliosa femminuccia come mamma”.

Se questo non avviene, in quella casa i figli sperimentano “la confusione”. Non capiscono niente: cosa debba fare papà maschio, che cosa debba fare mamma femminuccia.

“Chi devo guardare? Chi devo imitare? Come faccio a crescere?”. Un bell’affare. Sarò mai un maschietto di valore? Sarò mai una femminuccia deliziosa?

Young couple at sunset.
La sfida dell’amore è sempre un rischio senza paracadute. Ma Dio è Amore e ci tiene che noi non ci facciamo male. Lo vedi guardare dietro le Quinte, come un suggeritore che non ama vederti sbagliare. Accetta questa sfida e buttati!

Che genitore sei
C’è un momento nella vita di ogni ragazzo nel quale il suo orientamento verso la fisionomia della sessualità non è ben definito. Resta vago. E’ come se fosse guidato da una bussola che vede i punti cardinali sfasati.

La soluzione dello smarrimento e dell’incertezza, l’orientamento chiaro verso l’essere maschio o femmina dipende molto dalla qualità della vita di coppia dei genitori.

Sono i genitori che devono imparare ad amarsi nel modo più maturo possibile. Con gioia. Con disponibilità, con apertura dell’uno verso l’altro. Pronti al dono reciproco.  Capaci di amarsi e di onorarsi. Architetti creativi e impegnati del loro progetto di vita. Sempre decisi a riprendere in mano le loro esistenze intrecciate da una promessa e da un impegno e rese stabili da un amore saldo che non teme la fatica quotidiana, la sofferenza, le incomprensioni. Una coppia che elabora ogni giorno atteggiamenti di perdono, di pazienza, di dialogo.

Una vita coniugale vissuta con questi valori, diventa peri figli in ricerca, la risposta più credibile, sicura e rassicurante.

Voi genitori, vi chiedete mai che cosa significhi per i vostri figli la rivoluzione ormonale, caratteriale, affettiva, emotiva che ad un certo momento della loro vita li sconvolge.

Non ve ne parlano perché voi non gliene date l’opportunità e perché avete paura delle domande che vi metterebbero.

Guardate, osservate, incuriositevi per i cambiamenti dei vostri figli. State all’erta per cogliere parole e sensazioni. Tenetevi pronti ad ascoltarli, con serenità e gioia.

Intanto amatevi tra voi da adulti, in ogni momento, con bellezza di atteggiamenti, con la freschezza di una scelta che vi soddisfa.

maxresdefaultGiorgio, che grana, tra capo e collo!
Sta’ sereno, Giorgio. Non spetta a te affrontare con i genitori dei ragazzi questo problema. C’è un don nella tua parrocchia? Tiralo in ballo. Purché sia uno intelligente, senza paraocchi, senza complessi. Chiedi a lui che ti insegni, provando, ad affrontare un tema così caldo e urgente. Imparerai anche tu come fare una prossima volta. Magari l’anno prossimo.

Intanto voglio dirti sottovoce che ho saputo che fili con Donatella. E’ una notizia meravigliosa. Allenati già da adesso ad un amore giovane e bello. Chiedi al tuo amico Gesù come si impara ad amare bene. Anche tu puoi fare la tua parte perché i terribili del giovedì siano felici di essere maschietti straordinari e leggiadre femminucce.

E con Nic ed Eu sii buono, delicato, vicino. L’amore di qualità sa accogliere la loro vita.

don Mario
Scialuppa a mare per giovani educatori in affanno

 

linguistics1PRIMA O POI
Prima o poi ci inciampi nella domanda e nella realtà di ragazzi che vivono una propensione o un’esperienza di omosessualità. 1. Non morirne; 2. Informati con verità e intelligenza; 3. Impara a parlarne con serenità e saggezza; 4. Armati di amore e di accoglienza; 5. Non imbarcarti dentro una questione così delicata da solo; 6. Cer
ca il sostegno e l’aiuto diretto del prete; 7. Non trascurare i genitori dei ragazzi che non sanno che pesci prendere; 8. E poi: via! Gesù è il nostro timoniere. Quando essere educatore vuol dire generare ogni giorno figli d’altri! Ma tant’è…

Pronti via: un gruppo ai blocchi di partenza

8d47884b-05ea-47b8-82fe-b5b8be22ff6d-jfif*di don Mario Simula*
Ho visto tutto, da “infiltrato”. Incuriosito e pronto ad apprendere ogni cosa.

Guardando quei giovani, ho imparato che “le mangiate” non fanno crescere né la fede, né la Continua a leggere “Pronti via: un gruppo ai blocchi di partenza”

Quando ti ammali d’amore

shutterstock_57921664*di don Mario Simula*
L’incontro è stato una bomba. Finalmente si è parlato della nostra vita. E di quella parte della nostra vita che non si può raccontare a tutti. Se mamma sapesse che Nicola mi aspetta tutte le sere alla porta di casa e da lì si parte per vivere la solita avventura sentimentale. Se mio padre dovesse incontrarmi per caso durante uno di questi momenti speciali, scatenerebbe la guerra Continua a leggere “Quando ti ammali d’amore”

Pronti via: un gruppo ai blocchi di partenza

8d47884b-05ea-47b8-82fe-b5b8be22ff6d-jfif*di don Mario Simula*

Ho visto tutto, da infiltrato. Incuriosito e pronto ad apprendere ogni cosa. Guardando quei giovani, ho imparato che le mangiate non fanno crescere né la fede, né la vocazione educativa, né, tanto meno, la competenza. Sobri: un cesto di panini, quattro patatine, un po’ di affettato, un bicchiere di cocacola. Il menù è servito. Quel tanto per iniziare a rompere il ghiaccio e capire che è bello stare insieme. Prima regola del metodo giovani: creare il clima giusto. Passo nel chiostro. Tanti piccoli stand raccontano storie di esperienze e di ragazzi, di campiscuola e di avventure vissute a fiato perduto. Tutto da vedere. Tutto da ascoltare. Tutto da custodire nella cassa forte della propria vita di educatori. Seconda regola del metodo giovani: si impara vivendo e raccontando. I manuali li studio a casa, per conto mio. Devo rimanere intrappolato dai ragazzi, dai loro volti, dalle loro crisi di volubilità, dalle loro domande, dalle loro paranoie, senza che nessun dettaglio mi sfugga. Diventeranno un capitolo irrinunciabile della nostra vita.

b9240cb5-cde7-4258-9007-7bf588c3a949-jfifVedo uno strano movimento nel salone degli incontri. Ci si andrà fra qualche momento e si tolgono tutte le sedie. Com’è? Lo capisco in ritardo. Tutti quei giovani trovano posto sedere per terra. Uno appiccicato all’altro. Come avviene nel bosco, quando si entra in confidenza. Terza regola del metodo giovani: non ti complicare la vita con l’organizzazione, con la ricerca delle poltroncine, col c’è freddo, c’è caldo. E’ importante la fraternità. A volte si muore di efficienza e i ragazzi scappano. Anche un semplice incontro, può diventare un’avventura intelligente, organizzata con cura e tremendamente efficace, se non ci si arriva distrutti dal logorio delle cose da fare. Finalmente la platea è a misura di incontro. Qualcuno presenta la scaletta di ciò che avverrà. I gruppi si presentano. In questo modo gli ingredienti essenziali sono ab59c5bf-175e-46af-b5ec-ded400593aa3-jfifQuarta regola del metodo giovani: ognuno di noi ha un nome. Nessuno deve sentirsi fuori posti, tutti devono sapere quel che deve avvenire. Non si inizia: Allora, ragazzi, di che cosa volete parlare, oggi? Quando un gruppo diventa un’ammucchiata di anonimi, fa disastri. Indispone. Risulta indigesto. Ma se conto qualcosa e sono qualcuno. Se la mia vita raccontata è un pezzo fondamentale della strada da percorrere insieme, ogni attimo prende un altro gusto.

Parla un vescovo! Chissà che pizza. Prendiamo, per precauzione, una posizione da catalessi. Niente di tutto questo. Parla un vescovo e ha qualcosa da dire. Si fa ascoltare. Chiama in causa Francesco, Giuliana, Angela: volti prima che nomi; storie prima che teoria; cammini di vita prima che slogan. Tutti ascoltano: Chi sono io? Ci sono anche io fra quei nomi, con la mia storia, con la mia faccia, col mio cuore, con i successi e i fallimenti? Quinta regola del metodo giovani: parlare ai giovani dei giovani, delle cose vere della loro vicenda umana. Farlo con efficacia, con trasporto, con convinzione, con rispetto. Dare norme non serve. Raccontare brani o brandelli di vita aiuta a riconoscersi. Da queste narrazioni scaturiscono le norme per la vita. Come se le scrivessi io, insieme agli altri e condotti insieme da un amore che ci avvolge: quello di Gesù, passione del nostro cuore.

eb8d16cc-2867-48b8-81d4-1254477af1b7-jfifIl Vescovo sta alla consegna: quindici minuti. Quante cose importanti si possono dire in quindici minuti e quanti fuochi si possono attizzare!
Ce n’è uno che circola cercando di incendiare gruppi e parrocchie. E’ una Lettera sui giovani e destinata anche ai giovani. Tutti dovrebbero accorgersene e leggerla e iniziare a viverla. I ragazzi si dividono per gruppo, senza manco alzarsi da terra. Spostando semplicemente il baricentro del loro corpo. Devono confrontarsi per mezz’ora. Questa Lettera è arrivata a destinazione o si è perduta lungo i corridoi di un ufficio, nello scaffale di una sacrestia? Sesta regola del metodo giovani: I care. La cosa mi interessa. Ce lo diciamo guardandoci negli occhi, faccia a faccia, in un piccolo gruppo, venendo allo scoperto. Se non ci diciamo le cose come stanno e se non ci creiamo le occasioni per dirle, che gruppo è il nostro. Qui facciamo il pieno, sapendo che siamo destinati ad andare, ad uscire. I più dei nostri amici, non bazzicano da queste parti. Il piccolo gruppo mi carica per andare senza vergogna a cercarli. Senza prediche, senza bigotterie, senza trucchi. Da giovane a giovane. Sembra che non ci si debba stancare mai. Di nuovo tutti insieme, compatti, come un unico corpo, a dare conto delle nostre riflessioni talvolta non pacifiche. Domande su domande. Settima regola del metodo giovani: mettersi domande e non dare per scontate le risposte. Mettersi domande e cercare insieme le risposte di vita. Mettersi domande e non sapere a volte che cosa rispondere.

8352505f-8842-4b25-bb27-616c5dedcf07-jfifE ciò che avviene alle 22 di una sera di autunno, quando 130, duemila diecimila giovani sparsi per le innumerevoli diocesi d’Italia e provenienti da una o dieci o mille parrocchie d’Italia, decidono di incontrarsi, disarmati e decisi per iniziare un cammino nuovo. Alla ricerca prima di tutto di Gesù che dorme dentro la barca del nostro cuore e aspetta che noi lo svegliamo di soprassalto, gridando: Salvaci, Signore, perché stiamo per andare a fondo. E Lui, pieno di sorriso e di vita: “Perché avete paura? Non vi fidate ancora?”

Mi presento da solo. A scanso di equivoci

Sentieri N5_High_Affiancate_Pagina_04_Immagine_0002 *di don Mario Simula*

Mi sono trovato fra le mani – non so se per caso o per fortuna o per disgrazia – un selfie di mio padre che si rotola per terra col figlio – che sarei io! – ancora piccolo.

Siccome è una foto che non metterei mai in circolazione su face-book senza “crepare” di vergogna, mi sono detto: ”La strappo? La distruggo? La faccio scomparire dalla faccia della terra?”.

Eppure quel babbo tenero, un po’ di tenerezza me la stava scatenando nel cuore. Per un momento ho lasciato che gli occhi strizzassero qualche lacrimuccia: in fondo, povero babbo, qualche problemino doveva averlo pure lui.

Sentendomi figlio “buono” anche se molto “adirato”, ho dato sfogo alla mia ribellione e alla mia protesta. E dalla foto è nata la lettera. Quasi autobiografica.

Caro babbo, ti scrivo

Sì, caro babbo, ti scrivo perché sei tu che le spara più grosse di tutti e hai sempre ragione. Soprattutto quando la ragione te la inventi e tutto si risolve nelle solite paternali: “L’ho detto io; si fa così; zitto, che non capisci nulla, tu!”.

Non è di te, però,  che voglio parlare, ma di me. Quindi, ascoltami, almeno una volta, con attenzione, senza pensare ai fatti tuoi, scappando di qua e di là. Altrimenti mi obblighi a pensare che hai paura di me. Non sono malato!

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Se affronti il rebus mi trovi, se scappi mi perdi. Se mi osservi mi conosci, se mi giudichi ammattisci e ti penti di avermi incontrato.

Se la malattia è crescere, avere qualche idea, essere, talvolta, un po’ strafottente. Allora sono “malatissimo”!

Eppure mi sento in ottima salute. La testa funziona a meraviglia. Sono un vulcano di idee. Alcune pazzesche. Io stesso mi meraviglio di produrle. Qualcuno dice: “Che diavolo gli passa per la testa, adesso!”.

Una malattia so di averla: il “morbo della diversità”.

Babbo, che stupore! Io non sono te e tu non sei me. Mi piace così. E’ bello così.

Dopo tanti “ricoveri” nei consigli di classe, nelle riunioni di genitori disperati, negli incontri di catechisti ed educatori rassegnati, finalmente sono stato dichiarato  clinicamente “sano”!

Siamo ragazzi. Siamo fatti così. Siamo costruiti con questi ormoni. Proviamo questi sentimenti. Cambiamo d’umore. Siamo indecifrabili, nonostante  tutte le vostre riunioni dotte e ripetitive.  E quello che siamo oggi non lo saremo domani. Nemmeno in chiesa.

A proposito: per chi è fatto quel posto? non ci voglio più ritornare. Che tristezza. Non c’è allegria e passione. Ma io le passioni le sento forti dentro di me. Dove sono capitato? Il Dio di cui mi parlano non mi attira. Mi sembra un “Dio ridotto in miseria”. Lui stesso muore di noia in questo posto e sbadiglia e non vede l’ora che qualcuno la smetta di parlare a sproposito di Lui. Quell’omelia: che pizza, che paranoia: sono malato io oppure il don?

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Un giorno ho sognato che mio padre e il mio animatore mi fissassero negli occhi come ha fatto Gesù col Giovane del Vangelo. Sono ancora sconvolto. Anche se ritardo a decidermi!

Caro babbo, fattene una ragione! O mi prendi con simpatia, nonostante le “rogne” che riesco a darti (e che qualche volta voglio darti apposta!) o non ci sarò mai nella tua vita. Eppure ho bisogno della tua vita, anche se non te lo dico.

Babbo, non siamo malati. Siamo dei brutti bellissimi. Anche quando ti chiamano a rapporto a scuola. Anche quando, dopo la cresima, scappiamo via di chiesa. Tu non puoi capirlo.

Lo capirà almeno il nostro bravo animatore Giorgio?

Che tipo strano. E’ insopportabile come me, eppure si comporta come “un grande”. Giorgio, dati una mossa: è troppo presto per rimanere contagiato dal ruolo. Ti ricordi come eri trentasei mesi fa?

Ho bisogno di esagerare

Lo capirà mai, il “vecchio”?

Mi sento e ci sentiamo come un recipiente nel quale è stata versata troppo acqua. E l’acqua trabocca. Siamo una pentola a pressione. State alla larga!

Urla da foresta. Complimenti a mano piena, pesanti e dolorosi. Parolacce, parolacce: ci sembrano sempre giuste e al posto giusto. Ci buttiamo addosso alle ragazze, e loro non sono da meno. Usiamo il tabacco al minimo costo, matti nel “farci la sigaretta”, se non ci sono anche le aggiunte.

Siamo una tempesta!

Ti suggerisco, caro babbo (e lascia che lo dica anche a te simpatico Giorgio), di attrezzarti con un antidoto che si chiama: “prendo le  distanze”. Dose massima: sempre. Nessuna controindicazione fino a questo momento rilevata, se non  quella di “friggere!” nell’olio della pazienza.

Io ti provoco e tu ci caschi. Voglio soltanto mettere alla prova la tua capacità di non vedere ma di osservare, di non ascoltare ma di registrare tutto, di non parlare, subito, ma al momento opportuno.

La mia amica Elisabetta mandava in bestia tutti: padre, madre, parentela, insegnanti, educatori. Poi nel compito in classe aveva la spudoratezza di scrivere: “Mia mamma non sa,  cara prof. ogni giorno  la ringrazio dentro di me perché è una grande “rompi” e   mi richiama sempre, anche quando la mando…. Capisco che mi vuole bene. Ma io non le darò mai la soddisfazione di farle capire che lo capisco”.

Se non sfido le tue punizioni, facendo il contrario di ciò che mi dici, che adolescente sono?

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SENZA BUSSOLA  Come mi smarrisco l’adolescente preferito! Sei proprio scombussolato, senza bussola, quando mi incontri. Non sono una tigre. Un mangio uomini. Ho un cuore. Conosco le burrasche. Solo tu cadi dalle nuvole. “Cala Trinchetto!”. E qualche volte fa’ un pò di silenzio per pensa-re a me. Farai scoperte impreviste. Magari ti verrà voglia di pregare Dio per me. E anche per te che non sai che pesci prendere con questo “brutto bellissimo” ragazzo.

 

 

Se conosco soltanto i compiti, il gruppo, le preghiere della sera divento immediatamente un soggetto. Antipatico. Insopportabile. Per questo motivo tante cose le faccio di nascosto!

Ama più il “dopo” che non il “subito”, le reazioni ritardate più che quelle impulsive,  babbino mio, mio caro Giorgio. Se parti lancia in resta, sei un donchisciotte. E io, dentro di me, sono tutto soddisfatto. Perché ancora una vota ho vinto. ancora una volta ti ho fatto……

Ma se, quando meno me l’aspetto, in un momento di calma, ti fermi con me a parlare, spunti tutte le mie armi, senza farmi sentire sconfitto.

Che debba essere io a dare i consigli giusti a questo grandone di mio padre e all’animatore col patentino, è proprio una strana cosa. In questi casi mi vergogno di avere la testa con la cresta blu e i tatuaggi. Da domani metto la cravatta, per darmi un tono.

Anche noi abbiamo paura

Sfrecciamo per le strade come matti. Ci crediamo onnipotenti. Proviamo tante esperienze con spavalderia, come cavalli pazzi. Ci risulta proprio difficile misurare il rischio. Ci piace rischiare.

Eppure quante paure ci assalgono.

Temiamo le nostre persone scalpitanti. I malumori che ci assalgono, improvvisi e terribili. Anche i sentimenti ci sconvolgono. A volte investiamo tanto sul cuore. Ma che paure! Noi mangiamo con gli occhi la persona che “amiamo”. La notte, però, tutto ci appare sfigurato, eccessivo. Un incubo: “Se n’è andata. Mi ha lasciato. E adesso come faccio! E nel sogno mi taglio le vene! Ma era soltanto un sogno!”.

Caro babbo, io conosco le tue paure: te le vedo disegnate in viso, nel nervosismo delle mani, nella voce che si altera. nella porta che sbatti, nelle urla inutili e fuori posto che lanci a mamma.

Anche tu, Giorgio. quando vieni per  l’incontro non sai dove mettere le mani e i piedi. non sai da dove iniziare. Alla fine anche tu ci fai la predica e ci proponi il gioco che conosco da quasi un secolo. Meglio al bar. Eppure basterebbe poco. Sai quanto prurito mi dà il poter parlare di me, delle mie avv-disavventure. Proprio ieri  mi sono chiuso in stanza a tempo indeterminato, Giovanna mi ha raccontato i problemi di casa sua…

Di quante cose potremmo parlare. Su quanti temi potremmo confrontarci. Ma tu hai preparato l’incontro e se esci dalla “carta” non sai proprio come cavartela.

Prendi in mano le nostre paure: sono il nostro pane quotidiano. Sono anche delle bombe a mano da disinnescare, insieme.

Cosa si può fare? Anzi, datti da fare!

Al posto tuo prenderei un pezzo di diario da buttare sul tavolo, in modo che ciascuno, indifferente, se lo trovi fra le mani e magari gli dia una sbirciatina. Oppure preparerei l’ultima canzone di…e la fare trovare in canna all’arrivo di tutti noi. Secondo me susciterebbe la curiosità di qualcuno. Oppure inventerei una storia “vera” che contenga tutti gli ingredienti della nostra vita “spericolata” e mi tufferei dentro con un racconto avvincente e “fastidioso”, che provochi reazioni, un po’ di rabbia  e tanta voglia di dire il contrario.

 

Cari babbo e Giorgio!

Giocatevela questa vostra vita con noi. Senza stampini, senza paternali, senza andare in bestia. con simpatia. Se sapeste quanto di buono c’è in noi, ben sigillato, perché un adulto e un animatore hanno perso la chiave di ingresso?