Argomenti tabù

È meglio defilarsi?
È meglio defilarsi?

*di Igino Lanforti*
Diciamocelo con franchezza: ci sono degli argomenti che come educatori abbiamo difficoltà ad affrontare con i nostri ragazzi. Sono tabù culturali autoimposti per evitare di andare a sbattere contro il pensiero dominante.
Preferiamo scantonare o quanto meno differire, fino a quando proprio non si può fare a meno, fedeli alla regola che le “rogne è meglio non andarsele a cercare”. Alcuni esempi: morte ed eutanasia, sessualità, fedeltà e verginità, aborto, contraccezione e regolazione delle nascite. Sono temi caldi sui quali il Magistero della Chiesa Cattolica si
è ripetutamente espresso per chiarire ed ha fornito insegnamenti, alla luce della Scrittura e della ragione umana, contenuti in documenti che dovremmo saper maneggiare – su tutti il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC). Di fronte ad essi, lo sappiamo, si è schierato un fuoco di fila molto violento, prodotto dalla quasi totalità dei Media e
da agenzie culturali, che hanno la loro radice in una filosofia relativista e radicale ben sostenuta e pubblicizzata
da un mix di interessi ideologici, economici e politici e che si fa rappresentare presso il mondo giovanile dal cantante, dal rapper o dal vip di turno.
Questo fuoco di fila umanamente ci intimorisce, ci sembra insormontabile, una partita persa in partenza e allora… allora scantoniamo, torniamo indietro o camminiamo lungo il muro in attesa di trovare prima o poi un varco per aggirarlo. Non è detto che ciò non possa accadere, ma neppure che il varco ci sia e che lo spostamento lungo il muro sia sempre la soluzione buona. Forse vale la pena di saggiare se il muro sia davvero così consistente come appare e se non si tratti di una “fata Morgana”.

Aprire un varco o camminare lungo il muro?
Aprire un varco
o camminare
lungo il muro?

Nei mesi scorsi era in corso il dibattito parlamentare sulle DAT (disposizioni testamentarie anticipate), momentaneamente sopito, ma pronto a riemergere alla luce dei riflettori televisivi e mediatici non appena verrà ridiscusso o si presenterà il prossimo caso eclatante di suicidio. Con un gruppo di ragazzi è stato affrontato, senza andare ad analizzare direttamente la proposta di legge, ma quello che vi sta dietro e/o sotto. Ho partecipato alla discussione in modo indiretto e ho dato ai ragazzi e ai loro educatori la possibilità di ascoltare la testimonianza di una donna che ha vissuto per undici anni insieme al marito ammalato di SLA (un report dell’incontro è leggibile sull’inserto di Toscana Oggi, Vita Apuana, del 18 maggio scorso). Hanno successivamente ascoltato anche
un medico anestesista. A distanza di alcuni mesi ho chiesto agli animatori del gruppo di poter sottoporre ai ragazzi un questionario anonimo con alcune domande alle quali dovevano rispondere con un punteggio da 1 a 10 per ciascuna di esse o con una scelta tra sì, no, non so. Propongo alcuni dei risultati ottenuti attraverso la media dei voti:
1. Hanno molto apprezzato (8.5) la discussione a l’approfondimento del tema.
2. Ritengono che i Media siano poco completi e obiettivi (5,8) e abbastanza sbilanciati a favore delle DAT (6.5).
1457955616-eutanasia_fmt3. Ritengono che l’approvazione di una legge in merito sia giusta solo al 5.25 e, con analogo punteggio, che lo Stato legiferi in materia.
4. Temono che, una volta approvata, possa indurre procedure e mentalità eutanasiche nei confronti di persone adulte gravemente malate (7).
5. Ritengono che il dolore fisico non sia la causa preponderante (5.5) che induce alla decisione di togliersi la vita,
ma piuttosto il senso di solitudine e abbandono (6.8) e che la presenza di cure amorevoli da parte dei familiari e di personale medico siano determinanti (8.5) per non decidersi alla scelta eutanasica.
6. Pensano che la fede sia importante nelle decisioni eutanasiche per evitarle (7.25) o, se assente, per prenderle (6).

L’IMPORTANTE E’ PARLARNE
Affrontare certi argomenti un po’ difficili e scomodi è il minimo che gli educatori possano fare per i ragazzi.
Parlarne insieme può aiutare a chiarirsi le idee, ad avere una visione più ampia delle cose e soprattutto a non omologarsi passivamente al pensiero comune. Se facessimo dei sondaggi forse ci renderemmo conto che i ragazzi la pensano diversamente su tanti argomenti. Proviamoci.

Il Dio dei vivi o dei morti?

Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali. A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!
Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali.
A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!

*di Igino Lanforti*
In questo anno che è passato nella nostra diocesi (Massa Carrara-Pontremoli) abbiamo assistito a momenti significativi. Mi riferisco alle tragedie nelle cave e alla morte improvvisa di alcuni giovani studenti per incidenti stradali o malattie. Questi ultimi casi mi hanno toccato direttamente perchè si è trattato anche di miei alunni. Tutti quelli che come me hanno vissuto questi momenti, hanno visto funzioni religiose con folle che le chiese non riuscivano a contenere. Mi ha colpito in particolare vedere giovani che hanno partecipato alla Liturgia come spaesati. Da una parte desiderosi di parteciparvi, dall’altra assolutamente impreparati a questi momenti così destabilizzanti. Quasi sempre gli amici hanno voluto salutare i morti dicendo alcune parole dall’ambone. Momenti certo toccanti, che mi hanno fatto riflettere. Ormai non citano più il Vangelo, ma canzoni di Mengoni o Emis Killa.. Eppure, non sono così lontani, vogliono essere qui, nella Chiesa, accanto ai loro cari defunti, ma anche non lontani da quel Dio che sembra averli così dolorosamente colpiti.
Mi sono messo nei panni di quei ragazzi e chiedermi cosa volessero…
A questi ragazzi basterebbe così poco… così tanto: un po’ di ascolto, un po’ di attenzione, il mettersi in sintonia con i loro linguaggi, con i loro modi di essere.
Questi giovani quasi si sarebbero accontentati di semplice ricordo, mera consolazione di chi non c’è più. Per questo don Luca, in una di queste celebrazioni, ha dovuto ricordare loro che il ricordo non basta, che l’offerta cristiana è infinitamente più alta, che va oltre quel così poco che sarebbe loro bastato.
E non se ne sono andati….

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Questi ragazzi splendidi, così fragili, così scossi, che nelle panche delle nostre chiese ormai non vediamo più se non in queste tristissime occasioni, sono ancora li, non se ne sono andati definitivamente, non si sono fermati a constatare la nostra autoreferenzialità, la nostra indifferenza, la nostra accidia, non si sono fermati ai campanelli delle canoniche suonati a vuoto all’ora della pennichella pomeridiana, o ai nostri troppi impegni che gli hanno tolto ogni spazio proprio quando magari trovano il coraggio di venirci a cercare, non si sono fermati alle frasi inopportune scritte sui social, ne hanno pensato che tutta la chiesa fosse come quella che si vede alle “Iene” ma ancora sperano in Dio, sperano nella Chiesa, non chiedono altro che di essere cercati, accolti, svegliati, rinfrancati.
Cosa altro ancora aspettiamo per rialzare la testa?
“ io sono l’acqua viva”
Alcuni di loro spesso sostano sugli scalini delle chiese con bottiglie di birra in mano, quasi vogliano provocatoriamente chiederci quale sia la bevanda che può veramente dissetarli. A noi infastidiscono e invece Gesù si sarebbe fermato con loro a parlare delle loro inquietudini, e magari da dar loro qualche carezza, noi invece magari siamo capaci solo di commenti che dovrebbero farci vergognare.
605c4ecb-8169-4fcd-9e0_optQuesta situazione ci interpella
Questi fatti mi turbano profondamente, sia come educatore, che come padre, che come semplice cristiano. Mi sono spesso chiesto se non sia il caso di chiedere perdono a Dio! Perdono per per la mia indifferenza, per la mia incapacità, perdono a tutti voi ragazzi che ci guardate e non vedete più la luce di quel Signore in cui splende la Vita e che anch’io ho offuscato.
Presto, siamo ancora in tempo, non perdiamoci nelle solite chiacchiere. Mettiamo al centro il nostro obiettivo: la persona! E quando dico questo intendo dire le famiglie, i giovani, con le loro storie, la loro vita!
Scuotiamoci dal nostro torpore, accettiamo la sfida del tempo presente! Scendiamo dalle nostre convinzioni e sporchiamoci le mani con i dubbi degli altri.
Forse, potrebbero essere proprio quei dubbi, a scrostare le nostre facciate, a farci riscoprire, insieme alla fragilità altrui, anche la nostra.
Forse solo allora potremo realmente metterci in cammino insieme a loro e sperimentare la meraviglia di SENTIERI che allontanano un po’ di più da noi stessi, ma avvicinano certamente a Dio.

Approfondimento IL DESIDERIO DI DIO Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono lele coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti. è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.
Approfondimento
IL DESIDERIO DI DIO
Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono le coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti.
è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.

Felicità è camminare

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Un piccolo gruppo, una meta da raggiungere

*di Igino Lanforti*
La giornata prevedeva l’appuntamento alla Chiesa di San Martino in prossimità di un antico ponte che serviva per attraversare il fiume Frigido sulla via Francigena dove accanto alla chiesa esisteva un antico “ospitale” per i pellegrini. Il luogo era stato scelto perchè non molto Continua a leggere “Felicità è camminare”

Quando ti senti fregato

*di Igino Lanforti* Scusatemi se questa volta parlerò solo di me, e non dei nostri ragazzi, ma credo che possiamo condividere questa storia, perché ogni tanto ci fa anche bene vedere le nostre debolezze.

L’inizio di un anno di lavoro con i ragazzi è sempre stimolante. Quest’anno, dopo un’estate molto, molto rilassante,  mi sentivo un leone, pronto a qualsiasi impresa. Ma la fregatura era dietro l’angolo….

Come stavo dicendo, ero pronto a tutto, anzi, quasi a tutto, perché quella classe… quella quinta che nessuno voleva perché erano impossibili,  è toccata proprio a me.

Tutti, ma proprio tutti parlavano male di loro, e a ragione. Nessuno era sopravissuto con loro per più di un anno. Tutti erano scappati.

Anch’io mi ero già preparato il mio bel discorso da fare al Preside; perché ci sono classi con cui uno ha feeling e altre no. Quella no!. Innanzitutto erano troppi, trenta ragazzi scatenati ai quali interessava tutto meno che parlare di Dio, poi li avevo già tenuti lo scorso anno e con estrema fatica e quindi mi meritavo un po’ di riposo. C’erano anche evidenti ragioni logistiche e di orario a supportare la decisione. Insomma, il proposito era chiaro: quest’anno se li prenda qualcun altro!

Il Preside non mi aveva neanche lasciato parlare

Come un pugile che prende il colpo del KO quando meno se lo aspetta, il Preside non mi aveva neanche lasciato parlare e mi aveva comunicato la irrevocabile decisione. In pochi secondi, ad uno ad uno, mi passavano davanti agli occhi i volti di tutti e trenta quei disgraziati e ricordo perfettamente ogni loro smorfia di disappunto, ogni loro sbuffo di noia, ogni loro distrazione con i cellulari nascosti sotto il banco. Ma il peggio doveva ancora venire. Ero rimasto senza parole e avevo abbassato la testa cercando di contenere la rabbia. E’ stato allora che la vicepreside, mia collega di religione, se n’era uscita con la frase più infelice che potesse dire:<perché non vuoi questi ragazzi? Se credi sia una classe troppo difficile e pensi di non farcela ti passo i miei programmi e ti insegno il mio modo di lavorare, io con le altre quinte ho ottenuto risultati ottimi>.

Avrei voluto andarmene sbattendo la porta

Ricordo solo, frastornato com’ero che avrei voluto gridargli in faccia tutta la mia rabbia…ma chi si credeva di essere? Si credeva tanto migliore di me, o voleva solo umiliarmi agli occhi del Preside? E mi era passato per la testa l’idea che forse era meglio lasciar perdere tutto e andarmene sbattendo la porta! Invece, con un sussulto di dignità avevo guardato fisso negli occhi il Preside e gli avevo detto con fierezza che io non mi ero mai scelto i ragazzi con cui lavorare e non lo avrei fatto nemmeno ora, quindi, sarebbe andata bene quella sua decisione, punto e basta!

Cari amici, è facile tenere la schiena dritta per qualche minuto, difficile è tenerla dritta per tutto l’anno. Qualche giorno dopo sono venuto a sapere che il Preside non aveva preso da solo quella decisione, ma c’era stato lo zampino della mia cara collega.

La preghiera non delude mai

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Se vi è mai capitato di ritrovarvi la classe, o il gruppo di catechismo, o il gruppo giovani che nessuno voleva, e sapete benissimo che durante l’anno faticherete da pazzi, perché sono troppo agitati e se ne fregano di tutto e di tutti, e magari sapete già in partenza che il vostro lavoro sarà destinato a naufragare… bene, se vi è capitato e sta capitando questo, benvenuti nel “club”, siete in buona compagnia…. Poi se a farvi questo scherzetto è stato proprio il vostro collega di scuola o di catechismo, allora la cosa brucia….

L’affronto e l’umiliazione erano per me stati grandi e confesso che non ci ho dormito per giorni. Poi ho fatto l’unica cosa che potevo ancora fare, pregarci sopra. E la preghiera non ha deluso. Mi ha aiutato a guardare dentro me stesso, a chiedermi se ancora considerassi il mio, un semplice mestiere, un compito da assolvere per compiacere qualcuno, oppure… la mia vocazione. Si, questa e la parola giusta: non si parla di Dio se non per vocazione. E’ Lui che precede, chiama, incontra, invia. E allora ho ritrovato me stesso. Quell’incontro, è la mia motivazione per ogni compito. E guardate cari amici, tutto, tutto ruota intorno alle motivazioni. Quando queste vengono meno, perdiamo la rotta, ci stanchiamo, cerchiamo nient’altro che “gratificazioni”, economiche, di poca fatica, di plauso degli altri. Certo che si, ma vorrà dire che abbiamo dimenticato quell’Incontro!

Nella mattine successive nel Breviario mi è stata offerta questa parola:

“NON ASPIRATE A COSE TROPPO ALTE, PIEGATEVI INVECE A QUELLE UMILI. NON FATEVI UN’IDEA TROPPO ALTA DI VOI STESSI” Rm 12,16b

Chi mi ama e mi conosce, sa molto bene quanta considerazione ho di me stesso. Per questo mi ha ricordato con quanta “umiltà” si è accostato a me per potermi incontrare.

Lui non è scappato

Anche io, per Lui, ero come la classe peggiore, disinteressato, irriconoscente, ribelle, traditore, incostante, eppure… ha avuto pazienza, è stato umile, non si è scoraggiato, e, non è scappato!

Qualche giorno dopo un’altra parola mi è venuta in soccorso:

QUANDO SONO DEBOLE E ALLORA CHE SONO FORTE    2Cc 12, 9b-10r

Non ho pi avuto dubbi, non mi restava che rilanciare. Al primo consiglio, nessuno voleva portare in gita quei trenta ribelli, e non potrò mai dimenticare lo sguardo incredulo della vice preside quando mi ero offerto di accompagnarli io.

A scuola i ragazzi sembrano aver intuito tutto e a ogni lezione, mi aspettano con un sorriso di complicità…. e il mio risentimento piano piano si sta sciogliendo.

ESSERE EDUCATORE
L’affronto, l’umiliazione, le situazioni difficili, i contrasti… le fatica di ogni giorno insomma, costellano la vita di un educatore, ma se quello che si fa viene fatto per vocazione, allora tutto acquista un’altra luce e i ragazzi lo capiscono:
l’importante è non scoraggiarsi e pregarci su. In fondo anche noi uomini di fronte a Dio non siamo che ribelli, gente difficile, disinteressati, irriconoscenti… eppure lui con noi non si scoraggia mai!

Quando la morte ti taglia la strada

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*di Igino Lanforti*
La volta scorsa parlavamo di storie senza lieto fine. Questa seconda storia ha un fine tragico. E’ una di quelle storie che nessuno vorrebbe mai raccontare. Se vi è mai capitato di vivere l’amara esperienza di un ragazzo che muore, allora mi potrete certo capire. E’ la storia di Andrea e della sua famiglia.

Quando si parla della morte i ragazzi si arrabbiano

Non ho mai pensato che sia utile nascondersi la realtà, né tantomeno nasconderla ai propri allievi. Anche per questo nelle classi terze (quelle più ricettive) alla fine di un percorso su “l’uomo” affronto con i miei alunni il tema del morire. E se il tema è già di per sé problematico in generale, quando si parla della morte di giovani, si scatena una sorta di ribellione. Io lascio che si arrabbino, perché quando la rabbia si cheta, emerge pian piano la riflessione e il desiderio di speranza e, tutti, sono più disposti ad ascoltare.

Avevo consegnato ai ragazzi una scheda con delle frasi che avevo estrapolato da alcuni film visti insieme o da racconti, e chiedevo loro di commentarle. Quel martedì mattina dopo il ritiro della schede, avevo fatto vedere alla 3 B la prima parte del film di Nanni Moretti “la stanza del figlio”, fino al punto in cui il giovane Andrea di diciassette anni (quindi coetaneo dei miei alunni) muore per un incidente subacqueo.

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Andrea, un ragazzo speciale che andava pazzo per Mengoni

In classe c’era un ragazzo che si chiamava come il personaggio del film, Andrea. Era un ragazzo speciale, con una piccola malformazione che gli impediva di parlare come gli altri, ma, nonostante le sue difficoltà, partecipava attivamente alle lezioni, non senza interventi anche sorprendenti. Quella mattina, era particolarmente su di giri perché la sera il suo papà e la sua mamma, lo avrebbero portato a Firenze, con suo fratellino, al concerto del suo cantante preferito, il cantante Marco Mengoni.  Quando mi aveva riconsegnato la scheda non smetteva di ricordarmelo, tanto che avevo cominciato a prenderlo in giro cercando di sminuire il suo idolo.

La sera, stavo partecipando ad un incontro in parrocchia, quando una telefonata mi arrivò come una lama gelida che ti entra nella carne. “Sono il papà di Andrea, siamo disperati, nostro

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Andrea

figlio sta morendo”. A pochi metri dall’ingresso allo spettacolo, Andrea aveva avuto un arresto cardiaco. A me e a mia moglie era sembrato naturale correre a Firenze all’ospedale, ma quei cento chilometri erano sembrati interminabili. Siamo stati con loro quando sono venute meno tutte le speranze, quando gli abbiamo dato l’estrema unzione, quando è stata dichiarata la morte cerebrale, quando abbiamo fatto avanti e indietro per accompagnarli a casa perché mai avrebbero voluto che la terribile notizia arrivasse al fratellino magari via whats app… siamo stati con loro quando dopo lunghe ore di attesa hanno staccato il respiratore e quando c’è stata la decisione per la donazione degli organi. Siamo stati lì, ma io non avevo detto una parola, l’esperienza mi aveva insegnato che di fronte alla morte il silenzio è la prima risposta. Ma i genitori distrutti mi avevano incalzato.

Io ero l’insegnate di Religione, e mi avevano rovesciato addosso i giusti mille perché?!

Sentieri N5_High_Affiancate_Pagina_07_Immagine_0003Ma dalle loro bocche non era uscita alcuna bestemmia e mai avevano imprecato contro Dio. E poi Andrea gli aveva detto che io gli volevo bene, che lo trattavo per quello che era, non fermandomi sulle sue difficoltà. Anche per questo avevo trovato poche parole:  «Non so dirvi perché, ma un cosa la so, che Andrea se n’è andato con la felicità nel cuore. La gioia di essere con la sua famiglia, e l’emozione per il concerto di Mengoni. Quest’ultimo istante di felicità Andrea si è portato nell’eternità» e ci eravamo abbracciati forte forte.

All’alba, mentre guidavo in autostrada per rientrare a casa, mi passavano per la testa mille cose. Ripensavo agli strani interventi di Andrea, ai suoi sorrisi, al suo sguardo così strampalato, così intenso, così comunicativo. Al rammarico di non avergli voluto sufficientemente bene e forse, di non averlo compreso come meritava. Alla strana coincidenza del film che avevamo visto la mattina. Al fatto che di li a poche ore avevo lezioni in un’altra scuola, con altri ragazzi e… avevo gli occhi gonfi e nessuna voglia di parlare…

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A volte non vorresti essere così importante per i tuoi allievi. E vorresti mantenere un certo distacco, che ti preserva da emozioni, da coinvolgimenti. Ma per un insegnante non è possibile questo antidoto. I nostri allievi ci guardano, ci cercano, capiscono se con loro fai il mestierante o se ti lasci coinvolgere. Così si sperimenta che è possibile costruire con loro una relazione speciale, piena di soddisfazioni, ma non senza delusioni e sofferenza

Poi il mio pensiero era andato a quei genitori, babbo Luigi e mamma Angela, e ho pensato alla infinita dignità con la quale avevano affrontato questa tragedia, al profondo amore che li aveva spinti a parlare col fratellino Lorenzo per la morte di Andrea, al loro eroismo, in ogni scelta. E avrei voluto gridarglielo a squarciagola: «non vorrei mai essere nei vostri panni, ma siete certamente i miei eroi! Vi ammiro!».

Al perché avevano telefonato a me… già io ero il suo insegnante di Religione e quindi suo amico.

Costruiamo una relazione del tutto speciale

Come tutti i miei colleghi, ero quello che con i ragazzi costruiamo una relazione del tutto speciale, che va al di là della disciplina scolastica, una relazione che spesso va al di là dell’allievo stesso e che investe anche le nostre famiglie, e le famiglie di nostri ragazzi. Scuola, educazione, formazione, per noi di Religione, significano anche tutto questo!

Poi improvvisamente mi era venuto in mente la scheda che mi aveva consegnato quella mattina.

A scuola, all’intervallo, ero rimasto solo in classe, e avevo trovato il coraggio di sfilarla dal pacco delle altre schede e, quasi con un sacro pudore, gli avevo dato un’occhiata. Andrea aveva scelto di commentare una frase: “ci sono dei sogni che vanno oltre la morte…” e li i miei occhi si sono bagnati, e, così sicuro come ero che non bisognava nascondersi la realtà, non sono stato capace di leggere oltre.

 

Quando non c’è il lieto fine

Dollarphotoclub_72956005Non tutte le storie hanno un lieto fine. Per ogni formatore la possibilità del “fallimento” è sempre molto concreta. E quando le cose vanno male, mettono in discussione tutto. Non solo le capacità del formatore, ma quel che è peggio, incrinano anche la speranza che alla fine il bene trionferà sempre

Chi ha letto questa rubrica fino ad ora, può aver avuto l’impressione che  io abbia aperto soltanto finestre luminose. Forse che quelle che si affacciano sui temporali o nel buio non facciano parte della mia esperienza. Affatto!

Ogni educatore, insegnante, catechista, animatore, ha ben presente l’esperienza o la possibilità del “fallimento”. Questa esperienza che brucia, demoralizza, spesso mette in discussione la tua presunta bravura, o tutto quello che credi di aver fatto di buono, questa esperienza, la conosco molto bene, non ne sono certo esente, e non dimentico mai di inserirla nel mio orizzonte di possibilità. Casomai rimugino spesso se si tratta di veri fallimenti oppure se sono solo mazzate al mio orgoglio, ma su questa riflessione meglio tornare più avanti.

Le prossime due storie che voglio raccontare non hanno un lieto fine. La prima riguarda una esperienza educativa che ho condiviso con mia moglie. Perché parlarne? Perché la realtà è il nostro campo di battaglia, non il mondo delle favole, e spesso è dura… molto dura.

idea-success-failureRAYAN CONOSCEVA SOLO LA LEGGE DEL PIU’ FORTE

Mia moglie Barbara collabora con una comunità di recupero dalle tossicodipendenze. Non di rado sono ospitati anche adolescenti, che oltre al problema delle sostanze, hanno anche quello dell’abbandono scolastico e quindi dell’ignoranza. Qui il compito è quello di fornirgli motivazioni che li spingano non solo al recupero fisico, ma anche a completare gli studi. Il tutto è possibile solo con una buon dose di pazienza e tanto, tanto amore per le persone e il lavoro che si fa con loro.

Barbara,  aveva il compito di preparare all’esame di terza media, Rayan, un ragazzo di quindici anni, adottato da una famiglia italiana. Non era facile, non era per niente facile, perché Rayan non aveva nessuna voglia  di affrontare quell’impegno. Troppo profonde le ferite che la vita gli aveva già inferto, e poi, molto semplicemente la riteneva fatica inutile. Questi pensava infatti che tutte le cose si potessero semplicemente avere con l’uso della forza. Prenderle e basta! Il suo interesse era concentrato sui cani da combattimento o sulle armi. Paziente l’opera degli educatori che, con mia moglie che si occupava più propriamente della parte scolastica, cercavano quotidianamente di insegnargli il senso della conquista delle cose attraverso il lavoro, nelle stalle o nei campi, o la soddisfazione di apprendimenti che lo facevano sentire sempre più uomo.

6990768-flowers-garden-wallpaperIL SOGNO DI RIUNIRSI AI FRATELLI

Rayan aveva altri due fratelli che non abitavano con la sua famiglia adottiva. Vado a prenderli in sud america e li porto in Italia, ripeteva spesso e Barbara gli faceva capire che questo suo sogno doveva avere delle gambe. Studiare e avere un lavoro, ecco l’unica possibilità per poster realizzare il desiderio di Rayan. Insieme avevano anche trovato gli argomenti per la tesina da presentare all’esame. Il marmo e la sua lavorazione e Barbara gli portava campioni, video, materiale su cui appassionarsi e informarsi. Dietro quella scorza da finto duro Rayan era un anima gentile. Amava i fiori di campo che coltivava con grande cura nel giardino della grande casa. Insieme a Barbara avevano preparato una specie di erbario dove catalogare piante e fiori. Un giorno non si era presentato a lezione  e mia moglie c’era rimasta molto male,  e quando alla fine della giornata era salita in auto per tornarsene a casa, Rayan l’aveva aspettata sul cancello per salutarla con un sorriso, con un fiore in mano. Lei non me lo ha mai detto espressamente, ma io sono certo che si era affezionata a quel ragazzo molto difficile. Lo capivo dalla cura con cui preparava le lezioni a casa e dal modo con cui mi raccontava di lui durante le nostre riflessioni.

Coach-Walking-AwayLA LETTERA A PAPA FRANCESCO

Rayan era convinto che la sua vita non interessasse a nessuno. Certamente si sentiva solo, lontano dai suoi genitori adottivi e dai suoi fratelli. Fu allora che Barbara gli cominciò a parlare dell’amore che lega le persone e di Gesù. Così come nascono i fiori di campo, nacque l’idea di scrivere una lettera al Papa. Voglio raccontare la mia storia a Papa Francesco, disse, voglio invitarlo qui nella nostra comunità, che mi venga a trovare. Barbara lo assecondò e un giorno imbucò quella lettera scritta a Papa Francesco, Città del Vaticano, Roma.

Dopo le vacanze di Natale Rayan si era mostrato sempre più insofferente allo studio. Spesso fermava le lezioni e chiedeva a Barbara di terminare in anticipo. Lei acconsentiva a patto che la portasse a vedere i suoi fiori. Ma un sabato Rayan aveva chiuso di colpo il libro di storia: Non serve a niente sapere la seconda guerra mondiale e poi… io questo esame non lo voglio fare! Barbara non si era scomposta. Io ho intenzione di portare in fondo il mio impegno, gli aveva detto accarezzandolo, quindi io lunedì torno, se tu ci hai ripensato bene, facciamo lezione, altrimenti vengo in giardino a salutarti e mi fai vedere i tuoi fiori. Rayan si era alzato di scatto e se n’era uscito dall’aula.

Domenica arrivò una telefonata. Avvisavano di non andare perché Rayan era scappato! Qualcuno lo ha visto prendere il treno.

In comunità non è più tornato. Mia moglie ancora oggi ne parla con tristezza, non riesce a farsi una ragione che ci possano essere delle vite già segnate a quindici anni. Chissà se quel treno lo avrà portato a destinazione. E quando Papa Francesco risponderà  alla sua lettera …

Igino Lanforti

Incontrare Cristo? Come mostrare le proprie nike nuove

shema2I giovani vanno ascoltati di più. Non solo perché hanno cose straordinarie da dire, ma hanno anche una straordinaria originalità, con modi che rimandano alla schiettezza, all’autenticità, alla fantasia, al non preoccuparsi del giudizio. A volte, la loro assoluta mancanza di ipocrisia li assimila ai “piccoli” amati da Gesù e li rende teneramente amabili e straordinariamente interessanti.

L’occasione si è presentata quando il Preside ha autorizzato nella scuola il progetto “dona cibo”. Si trattava di una iniziativa di sensibilizzazione per la raccolta di alimenti a lunga conservazione da distribuire a fine mese alle famiglie bisognose della città. Francamente non credo che il nostro Dirigente fosse a piena conoscenza di come si sarebbero mossi gli incaricati del progetto, e credo che qualche mio collega particolarmente avverso all’insegnamento della religione nelle scuole avrebbero trovato di che scandalizzarsi, ma per me è stata una sorpresa. Devo ammetterlo, una piacevole sorpresa!

Gli incaricati del progetto erano giovani che avevano da poco terminato le superiori. Tutta gente dai diciannove ai ventisei anni. Ben presto la raccolta di cibo si era rivelata un pretesto, perché quei ragazzi avevano impiegato la gran parte del tempo a loro disposizione per spiegare cosa li avesse spinti a questa iniziativa: “andiamo verso gli altri perché Qualcuno è venuto verso di noi”. In altre parole dei giovani stavano testimoniando ad altri ragazzi quasi loro coetanei, che avevano incontrato Dio nella loro vita e che questa era cambiata e ora non potevano che andare verso il prossimo. Devo dire che mi è capitato spesso di assistere a testimonianze di conversione o di ritrovata vita di fede, ma quello che mi ha colpito, e che voglio comunicare anche ai lettori, è la modalità, il linguaggio, la lunghezza d’onda di questa testimonianza.

AVER INCONTRATO IL SIGNORE E’ COME MOSTRARE CON ORGOGLIO LE NIKE NUOVE

Avevo avuto la felice intuizione, di farmi da parte e quindi avevo fatto entrare in classe i ragazzi del “dona cibo” e avevo semplicemente introdotto l’incontro chiedendo alla classe di sentire cosa avevano da dire. Poi mi ero andato a shemasedere all’ultimo banco, lasciando a loro la cattedra e piena libertà di impostazione per la presentazione del progetto.

Straordinario, impagabile e di grande insegnamento l’assistere a quei modi e ascoltare quelle testimonianze. Quale sincerità, quale freschezza, quali approcci innovativi! Ben presto ero rimasto affascinato da quei tipi. Perché erano tutto il contrario di ogni stereotipo. Il primo che aveva parlato era un ragazzo bassetto, cicciotello, con l’orecchino, studente universitario di informatica. Si era seduto sulla cattedra e parlava con i miei alunni come fanno tra loro i ragazzi in piazzetta seduti sugli schienali delle panchine, senza alzare la voce, e senza preoccuparsi troppo se qualcun altro stesse chiacchierando girato da un’altra parte. “ Ragazzi, vi sono venuto a dire che la mia vita scorreva via liscia, tra bevute e videogiochi. Poi un giorno ho trovato Qualcuno che mi ha guardato con gli occhi della misericordia, cioè un giorno qualcuno mi ha parlato di Dio e mi ha detto vieni anche tu nel nostro gruppo, ma non mi aveva detto che c’era anche da pregare, altrimenti col cavolo che ci sarei andato,  mi avevano solo parlato di un campeggio un po’ particolare. Amici, non ci crederete, ma alla fine di quel campeggio, dove pregavamo ogni giorno, io mi sono messo a piangere perché non avrei voluto che finisse mai. Ho incontrato il Signore e ora non posso stare zitto, voglio dirlo a tutti, perché è come quando uno fa orgogliosamente vedere le sue scarpe Nike nuove: è una cosa bella che voglio dire a tutti!”.

IL CRISTIANESIMO NON E’ UNA COSA DA SFIGATI, MA E’ COME UN ABBRACCIO

shema 3Mentre io strabuzzavo gli occhi dalla sorpresa, i miei alunni per la verità non ne rimasero particolarmente colpiti, anzi, probabilmente consideravano quello strano ragazzo un po’ esaltato, ma la cosa straordinaria era stata che questo, con i suoi amici, non si erano scoraggiati affatto, e anzi non preoccupandosi minimamente dei loro sguardi di perplessità, li avevano incalzati chiedendo loro se non credevano che fosse bello sentirsi tanto amati da qualcuno. E avevano cominciato a chiedere: ma tu sei felice? Sai ascoltare il tuo cuore? Pensi che sia una cosa tanto normale che ti venga a dire che l’amore di Dio ti può cambiare?

Pian piano la discussione si accendeva, prendeva vita e le domande si facevano serie, sempre più interessate. Ecco allora che qualcuno chiedeva cosa significasse per loro l’incontro con Gesù. “Il cristianesimo non è una cosa da sfigati, ma è come un abbraccio” aveva risposto un ragazzo di ventitre anni, “…e ora che ho incontrato Gesù, ho capito cosa voglio nella vita e ho chiesto alla mia ragazza se mi vuole sposare, e non perché sono impazzito, ma perché ho cominciato a capire cos’è l’amore”. Anche un altro aveva testimoniano il cambio di vita e con una semplicità disarmante stava raccontando che adesso non poteva fare più a meno di andare alla Messa, cosa questa che aveva suscitato il disgusto ironico generale, ma lui aveva ribadito: amici, sapete perché mi comporto così? Perchè ho capito che io non sono le mie cazzate, ma un bisogno infinito di amore. E così aveva costretto i ragazzi a prenderlo sul serio.

“DAI  DIAMANTI NON NASCE NIENTE, DAL LETAME NASCONO I FIOR”

Li avevo osservati compiaciuto, e ripetevo dentro di me “grazie a Dio , grazie a Dio” ed ero molto meravigliato di queste testimonianze perché mi trovavo in una città tradizionalmente di cultura anarchica e anticlericale e mi venivano in mente le parole di De Andrè “dai diamanti non nasce niente… dal letame nascono i fior”.

Quella lezione, che non feci io, è stata una lezione anche per me. Ho capito che la fiducia nei giovani non deve mai venire meno, e che noi adulti, ogni tanto, dovremmo ascoltarli di più.