SINTONIZZATI CON IL SIGNORE!

*di don Matteo Giavazzi

I miei ragazzi sono speciali. Ascoltano davvero poco, a volte sono distratti e anche un po’ superficiali. Gli interessi quotidiani, molto spesso, non toccano il cuore. Certe sere, dopo una delle tante giornate trascorse insieme, improvvisamente sanno aprirsi e mostrare la loro umanità: le ferite, la gioia di essere giovani, l’amore, l’amicizia, il tradimento e il perdono. E, quasi alla fine di questo turbinio di emozioni, si interrogano su Dio. E la musica, in questo, è loro alleata.
Anche io, giovane e a volte maldestro parroco, cerco di stare al passo, studiando nuovi brani. E noto che, tra una canzone e l’altra, passa la vita. Per questo, spesso, chiedo a qualcuno di loro: “Oh, che si sente di nuovo in giro? Dimmi!”. La musica, infatti, come un linguaggio universale riesce a descrivere bene le domande di sempre: Chi sono io? C’è Dio? Che senso ha la mia vita? E, me ne accorgo sempre più spesso, sono proprio questi giovani amici ad aiutarmi a incontrare il Signore, a pregare, interrogandomi su come trasmettere alle giovani generazioni la straordinaria e luminosa bellezza che porta il nome di Gesù. E, allora, credo che con la musica sia possibile lasciarci educare dal bello, rispondendo alle domande di sempre.

Chi è Dio? (Lettera dall’Inferno, Emis Killa)

Quando l’ascolti, perlomeno se la leggi da una prospettiva cristiana, resti colpito dal tono graffiante delle parole di questo brano. Si tratta di uno sfogo, capace di dare sintesi ai dubbi che attraversano particolarmente questo difficile momento: Dio esiste? Qual è il vero volto di Dio? Eppure, penso che, proprio nel lavoro con le nostre comunità, sarebbe davvero bello fermarsi e domandarsi: ma io ci credo? O, meglio, come dice il testo: “caro Dio, mi scuso se sono sparito. È che, ultimamente, lo avevi fatto
anche te”. A volte anche a noi piace, con il Signore, tirare la sorte e sfidarlo. Insomma, come mi è capitato alcuni giorni fa con una persona, spesso la fede si basa solo su un “testa o croce” e, in alcune occasioni, fatica ad intercettare la vita quotidiana, trasformandola in un’occasione di cambiamento di se stessi. La speranza, però, vince sempre.
Il brano, infatti, continua: “detti legge nell’universo, perché prendi e dai”. Forse è questo il volto di Dio che tutti cerchiamo nella vita. Il Dio rivelato da Gesù si mostra diverso e sconvolgente rispetto alle nostre aspettative, anche a quelle di un giovane. Lui non prende nulla, dona solo. E il luogo dove avviene questo miracolo è la croce. Contemplando il Crocifisso, che sta lì, con le braccia spalancate, noi crediamo in un Dio che si è fatto amore. Solo così siamo liberi. Liberi perché figli amatissimi del Padre.

Chi sono io? (Sogni appesi, Ultimo)
“Provo a dimenticare scelte che fanno male. Abbraccio le mie certezze, provo a darmi da fare. Ma ancora non riesco a capire se il mondo un giorno io potrò amarlo. Se resto chiuso a dormire, quando dovrei incontrarlo”. Ultimo, un ragazzo prodigio con migliaia di fan, stupisce sempre per la profondità dei suoi testi, che parlano della sua vita, ricca di sofferenze, debolezze, fragilità ma anche forze, sogni e speranze. Una vita vera, piena di tante cose, come è la nostra vita di tutti i giorni. Egli ricorda, infatti, come spesso questa storia sia una sfida: non è facile da vivere ma, troppe volte, ci schiaccia. E verrebbe da chiedersi: cosa resta? Cosa rimane della mia vita e dei miei sogni? Serve un tu, un qualcuno per il quale valga la pena vivere. E, di tu in tu, la fede ci insegna che c’è un Tu con la T maiuscola: il Signore. La canzone continua: “E adesso tirando le somme, non sto vivendo come volevo ma posso essere fiero di portare avanti quello che credo. Da quando ero bambino solo un obiettivo: dalla parte degli ultimi, per sentirmi primo”. L’ideale è la scelta dell’ultimo, allora. Come ha fatto Gesù, dicendoci “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). Scopriamo, in questo modo, che le semplici parole di un ragazzo toccano il cuore del Vangelo. Ci parlano di quell’ultimo un po’ scomodo, di quell’ultimo che non vorremmo desiderare di essere e anche di quell’ultimo che non vogliamo conoscere. Farci ultimi significa scoprirci amati di un Dio che sulla croce si è fatto ultimo per noi. E solo la poesia di un giovane ce lo può insegnare.

GESÙ E LA SCUOLA: UN MESSAGGIO ANCORA POSSIBILE?

*di Martina Antognoli

Comunicare ai ragazzi il messaggio di Gesù oggi è innanzitutto una sfida: i numerosi e variegati spunti che il mondo offre loro porta sicuramente a un pregiudizio di fronte a determinati temi, ma anche una buona dose di curiosità. Spesso gli adolescenti sono considerati disinteressati, persi nel loro mondo virtuale, con pochi stimoli di senso e tanto tempo perso; e il rischio è che davvero diventino tali. Ma se si ha il coraggio di scavare un po’, si trova in loro una grande sensibilità, un interesse a ricevere alt(r)i messaggi, proposte profonde, che abbiano un contenuto solido e concreto. Insegnare Religione Cattolica oggi significa anche essere come i minatori, che non hanno paura del buio e dell’imprevisto: armati di elmetto, torcia e corde, scendono nelle miniere col coraggio e la voglia di scavare in profondità. Così è trasmettere il messaggio di Gesù Cristo oggi, avere il coraggio e la voglia di scendere nella profondità della mente e del cuore degli alunni che abbiamo di fronte, presentare un messaggio di coerenza e responsabilità, che arrivi a toccare le corde più sensibili di quelli che un domani saranno adulti, chiamati a compiere decisioni importanti per se stessi e per la società.

Nella mia esperienza triennale in un liceo di Genova ho incontrato questo desiderio di profondità in quasi tutti i miei alunni: molti, pur avvalendosi dell’IRC, conoscono poco la storia di Gesù, il contesto in cui viveva, il semplice messaggio che portava, così scontato oggi, ma ancora così rivoluzionario. Attraverso il confronto diretto con alcuni passi del Vangelo, il confronto con l’attualità è lampante e spesso l’ora settimanale non basta per esaurire il dibattito che ne scaturisce: dal Buon Samaritano al giovane ricco, sono tanti gli spunti che questo grande influencer propone, tra tutti amore per se stessi, riconoscersi dono per gli altri, avere uno sguardo ampio su chi ci circonda. Certo, non è un insegnamento facile: i pregiudizi e le false credenze da debellare sono tanti, ma il compito di un cristiano è essere sale e luce, chiamato a offrire una prospettiva diversa sul mondo. Colpisce i ragazzi la trasversalità di questa materia, tanto che incrociamo spesso brani di filosofia, testi latini e greci, storici e professori di italiano e soprattutto le grandi dichiarazioni e costituzioni che si esplorano nella neonata Educazione Civica. E allora come non rileggere la Dichiarazione Universale dei diritti umani, quando parliamo dell’amore per il prossimo perché persona come me, con pari diritti e dignità? Come non esplorare la Dottrina Sociale della Chiesa, partendo dall’enciclica Laudato Si’, quando si riflette su economia circolare, lotta alla povertà, ecologia? Come non guardare alla ribellione propria dei grandi Santi di fronte a ingiustizie precostituite, quando oggi riflettiamo sul lavoro degli Influencer e la loro capacità di esser portatori di un valore?
Riflettere sul messaggio di Gesù di Nazareth oggi è quanto mai importante, in una cultura dello scarto, come dice Papa Francesco, in cui lo sguardo verso l’altro è spesso schermato da molti fattori. Se l’educazione passa attraverso la scuola, essa non può esimersi dal narrare quella che per noi è la buona novella. È importante però che questa narrazione sia libera: l’ora di religione è un’ora di trasmissione di una cultura cristiana che ha avuto l’onore e l’onere di essere fondativa per l’Europa e non solo, ed è fondamentale che i ragazzi ricevano questo insegnamento senza l’imposizione o l’obbligo della fede. Molti alunni si dichiarano atei o agnostici, molti sono cristiani tiepidi, molti non si pongono domande, ma tutti accedono con curiosità e gioia a questo insegnamento, che richiede tempo da sottrarre a altro. Ma è proprio in questo sacrificio che si determina la profondità dei ragazzi e la loro voglia di mettersi in gioco, di essere stimolati, di saperne di più. E molti
scoprono che gli insegnamenti di quest’ora possono e devono essere applicati nel loro quotidiano, perché suscitano in loro domande, più che offrire risposte.
E come minatori, è importante che gli insegnanti non perdano l’entusiasmo e il desiderio di caricarsi di elmetto, torcia e corda, per scendere nel cuore degli alunni e far loro scoprire la loro dimensione interiore e spirituale che molto spesso, soprattutto oggi, è al buio e aspetta solo che qualcuno la porti alla luce. E d’altra parte, come scrisse Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi, «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata.»

L’INTERVISTA IMPOSSIBILE TRA UN DICIOTTENNE E IL NOBILE FIORENTINO

*di Dario Caturegli

Non tutto è possibile, neanche al giorno d’oggi pur con una scienza e una tecnologia che consentono, per esempio con il 5G e i robot, di guidare operazioni chirurgiche a distanza d’oceano… ma la fantasia ‘verosimile’, direbbe Manzoni, supera la scienza e lo rende già possibile. Proviamo così a immaginarci un dialogo tra un diciottenne e Dante mentre aspettano la metro in una stazione isolata o desolata…

GIOVANE: Senti, Dante, visto che siamo soli e la nostra conversazione non sarà oggetto
d’interrogazione, me la togli una curiosità che mi porto dietro dalla terza, da quando ti ho  conosciuto: ma come sei riuscito a riveder le stelle, e per ben tre volte, con tutte queste tenebre? In fondo sei tu che sei stato esiliato in contumacia, giovane a 36 anni; sei tu che non hai più rivisto tua moglie Gemma, nei lunghi anni dell’esilio, sei tu che sei finito isolato anche dai tuoi compagni di partito, i ‘bianchi’; sei tu che hai dovuto sopportare l’ospitalità cordiale, ma sempre donata e precaria, dei Signori del ‘300; e sei sempre tu che hai rivisto i figli solo nell’ultimo anno della tua vita, figli che certo non ti hanno nemmeno riconosciuto, avendoli tu lasciati quando erano bambini: proprio una vita da sfigato, permetti!
DANTE: Ma sempre in piedi, sì sempre in piedi! Senza genuflessioni a caccia di consensi, e al tempo stesso senza perder la speranza! Come ho fatto? Eh.. mi verrebbe da dire: sono stato un duro, non mi sono piegato a costo di pagarla cara.. ma sarei presuntuoso (d’altra parte ti ricordi che anche l’avo Cacciaguida nel Paradiso allude al peccato di superbi per gli ‘Aldighieri’..); no il fatto è che, a parte un primo momento
-isolato- nella selva oscura, non sono stato mai solo; anzi, ho avuto un’infinità d’aiuti, compagni di poesia, esempi di virtù e.. le tre Donne che mi hanno acciuffato per i capelli mentre ero nella selva (e lo sai che ognuno di noi prima o poi incontra nella vita.. la selva: del traviamento, del fallimento, o anche semplicemente dell’abbandono..).
GIOVANE: Le tre Donne? Ti riferisci a Beatrice, Gemma e le altre dei compagni Guido (Cavalcanti) e Lapo (Gianni)?
DANTE: No, lascia perdere quel sonetto, qui in ballo non c’è la letteratura, ma la vita, la mia ma anche la tua: ascolta! La prima cosa che ho imparato è che quando sei ‘fritto’ (dite così, vero, voi giovani?) e io lo ero davvero: morta Beatrice, la politica a Firenze così convulsa che mi aveva portato anche a punire il miglior amico..; nel disorientamento più cupo, proprio quando non sai dove batter la testa, è lì che ho trovato
luce e guida. Sì, ricordalo anche tu, è proprio quando sei nel mezzo di una crisi che sei più disponibile a ricevere l’aiuto che il Buon Dio non ti fa mai mancare. Anzi: nel mio caso, ma potrebbe essere anche il tuo, Dio ha proprio esagerato!
GIOVANE: Ma se ti sei trovato.. all’inferno!
DANTE: Ma è proprio qui che è successo il primo miracolo, e Dio ha.. esagerato! Di fronte a me pieno di sconforto, senza meritarlo e senza chiederlo, si è mossa la Vergine, che ha coinvolto Santa Lucia, che a sua volta si è recata da Beatrice; e Beatrice mi ha dato la miglior guida che fosse sul mercato: Virgilio! Non solo da me studiato e amato, ma una delle più grandi autorità nel Medio Evo. Diciamo come se tu, quando hai da scrivere un tema, ti facessi aiutare da Manzoni e a matematica da Einstein! Capito?
Non siamo mai soli ed è proprio nel buio che si intravedono meglio i bagliori dell’alba! E’ così che è incominciato il mio lungo percorso dall’Inferno al Paradiso: quanta fatica (e a volte anche quanta paura) ma quando lo scopo è definito e ben chiaro, allora si va avanti, comunque! Tu ce l’hai, vero, uno scopo nella tua vita? E poi è buffo: a volte Dio si serve anche del ‘diavolo’ per farti capire alcune cose e incoraggiarti: sai chi mi ha dato una delle prime certezze che avrei superato l’inferno e mi sarei salvato? Proprio Caronte che non voleva traghettarmi e nell’opposizione (poi superata comunque da Virgilio) mi anticipò che sarei stato traghettato con una imbarcazione
piccola e veloce: che capita proprio a chi si salva e accede al Purgatorio. Quindi, ricorda, tutto è guidato da Dio, e la speranza non deve mai mancare!
GIOVANE: Incredibile, quello che tu come uomo hai incontrato (sei un uomo come me in fondo, anche se io a volte capisco poco le tue terzine…). Ma dimmi: quali sono gli incontri più difficili o belli che hai fatto?
DANTE: Sono così tanti che ho dovuto scrivere 14.233 versi! Ma, certo, alcuni sono stati davvero coinvolgenti!
GIOVANE: Quali?
DANTE: Come non ricordare quando, in una bufera che mai si placa, ho incontrato ancora abbracciati Paolo e Francesca? Pensa: morti trucidati e ancora abbracciati! Ed erano ancora tutti imbevuti di quei racconti d’amore che allora andavano molto: le storie di Lancilloto e Ginevra e anche la mia poetica del Dolce Stil Novo, dove tutto è amore, la forma è secondaria, tutta la poesia è come una fiamma che si accende dal cuore! .. fiamma, ahimè, questo l’ho capito bene per la prima volta proprio lì davanti a Francesca, che può portati alla morte: a peccare non rispettando la fedeltà del matrimonio e alla violenza omicida generata da emozioni d’amore assolutizzate!
GIOVANE: Detto così sembra un film macabro: amore e morte insieme!
DANTE: Non scherzarci: lo sai che l’amore, i sentimenti, le emozioni, le passioni, sono forze che possono portati in cielo come i santi o nel baratro della vita? Ma altri incontri sono stati esperienze fortissime. Che sconforto quando ho trovato tra i sodomiti il mio maestro Brunetto Latini, sì ‘“sor Brunetto” il maestro che mi ha avviato alla letteratura: che peccato quando la cultura e la letteratura non riescono
a fornirti anche una prospettiva forte di maturazione nelle relazioni! O pensa anche quando ho visto tra i suicidi Pier delle Vigne: pensa a quali gesti orrendi può portare la maldicenza da una parte (ti ricordi che ingiustamente viene accusato di tradimento) e il basare la propria vita solo sul successo (professionale o politico), al punto che se poi questo manca, si arriva suicidio! E io che sono stato in esilio ingiustamente per venti anni!
Ma devo ricordarti anche l’incontro con Ulisse: che racconto, il suo! Quando convince i suoi compagni a compiere l’ultima sfida, andare oltre le colonne d’Ercole per perlustrare il mondo sconosciuto, con quel suo famoso discorso: “fatti non fuste a viver come bruti, ma a seguire virtute e canoscenza..”. Che sete di sapere, quella di Ulisse, e come descrive bene proprio l’essenza dell’uomo fatto per conoscere cose sempre nuove.. ma anche la conoscenza umana, questo è il messaggio, che ho raccolto da questo incontro, deve essere sempre guidata dalla Grazia, deve avere un fine più alto che la conoscenza per la conoscenza. Capito? Non basta andare bene a scuola e sapere tutto, se anche la cultura non serve per fare il percorso che Dio assegna a ciascuno e a salvarci tutti insieme! Ma non posso poi non ricordare anche Catone all’inizio del Purgatorio: un suicida, capisci?
GIOVANE: Scusa Dante, questa non la capisco: ma come, mi hai ricordato la fine orrenda del suicida Pier delle Vigne, e ora ricordi un altro suicida come Catone?

DANTE: Sì, il discorso sarebbe lungo, ma vado al sodo. Ebbene, che cosa c’è di più caro che la propria vita? Niente! Eppure quest’uomo ha messo al primo posto la propria libertà dalla tirannide che pensava stesse per compiersi con la vittoria di Cesare.
Esagerato, forse! Da non imitare, certo! Ma pensa al desiderio di essere libero fino al punto di mettere in discussione la sua vita. E noi, forse, oggi perdiamo la libertà solo per il conformismo o il consumismo .. o per la quiete!

GIOVANE: Una domanda, visto che la nostra attesa è finita: tu sei credente, vero? Ed eri allora un uomo di Chiesa, anche se – diciamo – con qualche problema con il Papa Bonifacio VIII, giusto? Ed hai continuato ad andare comunque in Chiesa?
DANTE: Lo scopo del mio viaggio, ricordalo, era salvarmi e veder Dio; e ricorda anche il mio sforzo titanico nel cercare di distinguere, proprio alla fine del viaggio in Paradiso, il volto di Cristo nel cerchio della Trinità. Senza la Grazia non ce l’avrei fatta, ma che bello essermi perso poi nell’Amore di Dio e nella sua armonia universale! Vedi, la Chiesa è stata donata agli uomini per accompagnarci in questo viaggio verso Dio. Certo, a volte è opaca o i suoi uomini non solo all’altezza del suo compito ma Dio sa comunque donarle -la Grazia – e guide, riformatori, santi che costantemente la rinnovano: pensa a San Francesco e San Domenico. Ma pensa che tutto il mondo ha bisogno di rinnovarsi: per cos’altro ho parlato del “Cinquecento diece e cinque”, ricordi? Un riformatore più forte di tutta la corruzione che c’è nel mondo. Ecco, nel mio Viaggio ho capito che Dio non abbandona mai la sua creatura: il mondo, l’uomo e la chiesa: se grandi sono le loro fragilità e i loro limiti tanto più grandi sono i Suoi doni!

 

Che cosa vuol dire essere animatore oggi?

Cosa vuol dire essere animatori al giorno d’oggi? È una domanda che accompagna il mio cammino di consacrata da diversi anni. Facendo esperienza in diverse realtà dell’Italia, ho avuto la fortuna di poter conoscere molte persone e luoghi, ognuno con caratteristiche diverse.

Stare con i giovani è da sempre la cosa che più mi attira.

Prima di intraprendere il cammino di consacrata nel mio Istituto, ho avuto la gioia di incontrare diverse persone con una profonda passione per la realtà giovanile. Mentre nel mio cuore si faceva sempre più spazio la chiamata di Dio, sentivo fortemente di voler donare ai ragazzi che avrei incontrato, tutta la bellezza ricevuta da quei piccoli ma grandi testimoni che avevo conosciuto e che mi avevano accompagnata nella mia adolescenza. Mi ripetevo che quei sorrisi veri, quell’amore che riuscivano a trasmettermi (che veniva da un Amore più grande) lo dovevo ridonare, non potevo tenerlo per me. In questo modo il Signore ha iniziato a farsi spazio nella mia vita.

Penso che possiamo fare tanti corsi belli e preziosi per poter imparare ma credo che la cosa fondamentale per essere animatori oggi, secondo la mia piccola esperienza, vuol dire questo: ESSERCI!

I giovani hanno bisogno di presenze vere, pazienti, coerenti, che diano testimonianza che vale la pena vivere in pienezza, senza accontentarsi di ciò che la società impone e propone come alternativa più “facile” e meno impegnativa da scegliere. L’animatore deve voler spendere il suo tempo che a volte può sembrare perso e non portare, apparentemente, nessun frutto. Ci si deve saper sporcare le mani.  Essere animatori significa mettersi a servizio dei ragazzi per aiutarli a crescere.

Dentro ciascuno di noi c’è una grande capacità che ci apre alla bellezza della vita: la capacità di amare. Stare con i ragazzi per poter conoscerli il più possibile e amarli per poterli capire.

Ma tutto questo non lo si può imporre. Essere e fare l’animatore non è un obbligo, ma una scelta.

Bisogna avere la volontà di stare a contatto con i più giovani e di viverci in mezzo.

È un modo di trasmettere un’esperienza: è dire con l’esempio che bisogna essere innamorati della vita, vivendola con serenità e gioia, con la voglia di mettersi in gioco, puntando al positivo.

Non bisogna mai mollare con i giovani, la vita non è una passeggiata senza ostacoli per nessuno, i tempi di crescita e di maturazione non sono mai gli stessi.  L’animatore deve tirar fuori il bene che c’è dentro ogni ragazzo. Non esistono ragazzi “totalmente” cattivi: in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al bene. È questo punto che l’animatore deve scovare per far divenire i giovani a lui affidati “buoni cristiani e onesti cittadini”.

L’animatore è cosciente del compito che gli è stato affidato e fa di tutto per non deludere chi ha avuto fiducia in lui. Sa che ogni suo comportamento può avere conseguenze sui ragazzi quindi agisce sempre con coscienza e intelligenza.

Una condizione indispensabile per essere animatori in parrocchia è testimoniare l’amore di Cristo: è questo ciò che ci distingue dagli animatori dei villaggi turistici. Il fuoco che arde nel cuore di un animatore è l’amore per Lui! È questo fuoco che accompagna l’animatore in ogni momento del suo servizio! Non siamo animatori da spiaggia, quello è bellissimo a tanto faticoso a volte, ma chi è chiamato a farlo in determinati contesti come quello della Parrocchia, deve esserne convinto perché i giovani che ci vengono affidati sono molto attenti e critici verso chi li guida. Non si può “predicare bene e razzolare male”.

Stando con i ragazzi, bisogna essere sempre pronto ad ascoltare i loro problemi, senza mai banalizzarli. Ma saremo persone veramente disposte ad ascoltare gli altri solamente se saremo capaci di fermarci, nella continua corsa delle innumerevoli cosa che abbiamo da fare, per metterci in ascolto della Parola che Dio ci vuole comunicare ogni giorno.

È un’avventura meravigliosa, quella dell’animatore perché è meraviglioso il mondo giovanile.  Non è facile perché la società cambia continuamente e così anche tutti noi ma credo che ce ne sia davvero bisogno. Se si dice che i giovani sono il futuro… beh, allora su questo futuro ci si deve credere e investire sul serio e con tutta la passione che si ha nel cuore!

Sr Giulia De Luca

La Parrocchia comunità educante

Nella tradizione educativa ecclesiale e non, ci troviamo sempre a confrontarci con figure di educatori molto carismatici e con forti personalità: da don Bosco a Baden-Powell, da don Milani a don Oreste Benzi, … quello che emerge è sempre la loro eccezionale individualità, messa al servizio di tanti, ma con un carisma personale incontenibile.

Se pensiamo alla nostra esperienza personale e pensiamo alle figure che ci hanno formato, pensiamo subito ai nostri catechisti; eppure nel Nuovo Testamento e in particolare negli Atti appare con chiarezza che l’unico soggetto che agisce è la Chiesa accompagnata dallo Spirito Santo o, se vogliamo (ma non cambia), lo Spirito Santo attraverso tutta intera la Chiesa.

In un contesto culturale di tipo individualista qual è il nostro, infatti, non appare immediatamente il ruolo specifico e il contributo che la comunità porta alla formazione dell’identità personale.

Nel Nuovo Testamento sono molti i richiami all’unità e a pensarsi come un unico organismo, perché fin dalle origini si è sempre presentato il rischio che alcune individualità prevalessero sulla comunità o addirittura l’appello ad alcune individualità fosse il pretesto per dividere la Chiesa.

Soffermandoci sulla Parola di Dio, emergono dei punti, che messi in ordine ci vengono in aiuto alla nostra riflessione:

– è la Chiesa che ti chiama e che ti manda; è la Chiesa che ti affida una missione; non esistono auto-candidature; chiunque esercita un servizio, è per il bene comune e a nome della Chiesa (Cfr. At 6; Ef 4; 1Cor 12)

– l’affidamento di un servizio nella Chiesa ha una radice vocazionale e non corrisponde al bisogno, non è un servizio funzionale; è nella comunità che io ritrovo la sorgente del mio servizio (At 20 – discorso di Paolo ai presbiteri di Efeso)

– è la Chiesa che mi aiuta nel discernimento ed è a Lei che devo rendere conto dello svolgimento del mio servizio (non agli utenti); Cfr. At 11,1-18.

– da parte della comunità cristiana è necessaria una presa in carico, una capacità di ascolto e la cura per la formazione di coloro a cui viene affidato un servizio; i formatori agiscono a nome della comunità.

Per tanto non basta una catechista e un animatore, che sappia fare un bel discorso, perché l’educazione cristiana non si può ridurre a una lezione da spiegare. Nessuno deve agire in proprio. L’educatore deve essere espressione della comunità, deve agire e parlare a nome di una comunità.

Questo è forse il punto più delicato perché richiede un chiarimento  delle figure di Chiesa che si prendono cura dell’educazione. È necessario proporre cammini di corresponsabilità; educare non prevede nessun tipo di delega.

Certamente prevede e richiede una competenza umana, di fede ed ecclesiale.

Va anche sottolineato il fatto che il cammino educativo della comunità cristiana deve, da un lato, fornire forme di vita cristiana provocanti e dall’altro fornire gli spazi di crescita che favorisca la formazione di una coscienza morale libera e consapevole.

Nella Chiesa non vi sono figure solitarie preposte all’educazione, ma è la Chiesa tutta chiamata ad educare. Questo perché tutta la Chiesa è discepola dell’unico Signore. In questo senso la Chiesa potrà essere presentata, anche e non certamente solo, come una comunità educante che sa mettersi in ascolto del suo grande educatore che è Cristo Signore. E da questa stessa opera nasce la Chiesa, ne è come generata.

Anche il prologo della prima lettera di Giovanni, ci presenta la Chiesa non come una “cosa” davanti al credente, ma come un evento che genera e alimenta la vita del discepolo; come il “grembo” in cui nasce l’esperienza cristiana.

È possibile conoscere il Vangelo solo in una comunità che vive nella carità, nella fraternità. Ogni attività educativa porta frutti se introduce nella vita della comunità cristiana.

Pertanto occorre una comunità di persone che vivendo la vita cristiana la rendano desiderabile e attraente per gli altri. È necessario che ogni educatore, si senta parte della comunità educante e agisca a nome di essa.

Ecco l’impresa che ci aspetta: favorire gli incontri, la conoscenza, la condivisione. Bisogna seminare un tessuto comunitario che ha il suo centro nella Messa alla quale è importante trovarsi insieme.

Occorre far riscoprire alle parrocchie la loro capacità educativa e la consapevolezza che non possono che essere comunità educanti, con la catechesi, con la liturgia e con la carità.

Per fa ciò si deve ripartire dalla riscoperta della vocazione educativa.

 

A cura di Don Federico Mancusi

UN GIOVANE A SERVIZIO DI ALTRI GIOVANI

di Gian Maria Daveti*

L’aridità a volte si presenta sotto forma di luci sfarzose che illuminano occhi troppo impegnati a cercare una verità momentanea istantanea,
che si perde in una brezza leggera lasciando ciottoli di banale allegria sulla battigia della nostra anima. Oppure può manifestarsi vestendo i panni di una ribellione schiamazzante che urla verso il cielo e la terra ma rimane rasoterra senza decollare mai, annebbiata da trasgressioni
che incatenano più che liberare facendo sentire molta stanchezza. Fu con questo mantello di percezioni che appena diciottenne ricevetti un
invito particolare, senza nemmeno rendermene conto mi trovai a casa di Simone “un bimbo” come diciamo a Livorno (termine utilizzato per
definire l’età dagli 0 ai 126 anni) che durante la giornata ha bisogno di compiere semplici esercizi di fisioterapia per allungare i propri arti.
Là trovai altri ragazzi e ragazze più o meno della mia età, successori di una buona e sana abitudine ormai trentennale che aveva visto  susseguirsi nei decenni centinaia di giovani che, come uniti in una sacra ruota del bene, si erano passati il testimone.
Quel pomeriggio fu come una boccata d’ossigeno dopo secoli di apnea, mi resi conto che non mi ero mai affacciato a guardare il mirabolante
paesaggio della diversità, ma avevo sempre indossato gli occhiali dell’indifferenza. Sentivo che qualcosa nell’aridità del mio giardino stava
germogliando e come risucchiato da una forza centrifuga mi ritrovai a far parte come volontario della Caritas, nei servizi per l’handicap,
pian piano iniziai a dedicare quasi tutto il mio tempo libero al volontariato e qualcosa nella mia percezione stava cambiando.
Tutta quella rabbia che rivolgevo verso il cielo e la terra si stava trasformando in una intima e profonda quiete che appariva tutte le volte che
ero in mezzo e immerso ai miei amici, non potevo e non riuscivo più categorizzarli con un’etichetta che avevo introiettato, per me erano e sono amici che mi indicano qualcosa di ancora più forte e profondo che per anni avevo prima ignorato e poi maledetto. È tramite queste esperienze che ho iniziato a sentire Dio ed a riutilizzare quel prezioso talento che è la fede, il cambiamento in me è arrivato tramite sorrisi e risate da parte di chi per una visione annebbiata di una società cieca all’amore, pone ai margini ma da quei margini si può vedere l’enorme
vastità di bellezza con cui Dio ci ha creato e quel senso di verità che zoppicanti proviamo sempre a rincorrere. Le mie incoerenze e
contraddizioni purtroppo o per fortuna ancora fanno di parte di me e quella sensazione di aridità a volte soffia nel giardino della mia vita, ma trova sempre piante e fiori profumati di pace che l’accolgono, seminati da quegli amici che Dio ha portato sulla mia strada e che non
finirò mai di ringraziare.

Argomenti tabù

È meglio defilarsi?
È meglio defilarsi?

*di Igino Lanforti*
Diciamocelo con franchezza: ci sono degli argomenti che come educatori abbiamo difficoltà ad affrontare con i nostri ragazzi. Sono tabù culturali autoimposti per evitare di andare a sbattere contro il pensiero dominante.
Preferiamo scantonare o quanto meno differire, fino a quando proprio non si può fare a meno, fedeli alla regola che le “rogne è meglio non andarsele a cercare”. Alcuni esempi: morte ed eutanasia, sessualità, fedeltà e verginità, aborto, contraccezione e regolazione delle nascite. Sono temi caldi sui quali il Magistero della Chiesa Cattolica si
è ripetutamente espresso per chiarire ed ha fornito insegnamenti, alla luce della Scrittura e della ragione umana, contenuti in documenti che dovremmo saper maneggiare – su tutti il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC). Di fronte ad essi, lo sappiamo, si è schierato un fuoco di fila molto violento, prodotto dalla quasi totalità dei Media e
da agenzie culturali, che hanno la loro radice in una filosofia relativista e radicale ben sostenuta e pubblicizzata
da un mix di interessi ideologici, economici e politici e che si fa rappresentare presso il mondo giovanile dal cantante, dal rapper o dal vip di turno.
Questo fuoco di fila umanamente ci intimorisce, ci sembra insormontabile, una partita persa in partenza e allora… allora scantoniamo, torniamo indietro o camminiamo lungo il muro in attesa di trovare prima o poi un varco per aggirarlo. Non è detto che ciò non possa accadere, ma neppure che il varco ci sia e che lo spostamento lungo il muro sia sempre la soluzione buona. Forse vale la pena di saggiare se il muro sia davvero così consistente come appare e se non si tratti di una “fata Morgana”.

Aprire un varco o camminare lungo il muro?
Aprire un varco
o camminare
lungo il muro?

Nei mesi scorsi era in corso il dibattito parlamentare sulle DAT (disposizioni testamentarie anticipate), momentaneamente sopito, ma pronto a riemergere alla luce dei riflettori televisivi e mediatici non appena verrà ridiscusso o si presenterà il prossimo caso eclatante di suicidio. Con un gruppo di ragazzi è stato affrontato, senza andare ad analizzare direttamente la proposta di legge, ma quello che vi sta dietro e/o sotto. Ho partecipato alla discussione in modo indiretto e ho dato ai ragazzi e ai loro educatori la possibilità di ascoltare la testimonianza di una donna che ha vissuto per undici anni insieme al marito ammalato di SLA (un report dell’incontro è leggibile sull’inserto di Toscana Oggi, Vita Apuana, del 18 maggio scorso). Hanno successivamente ascoltato anche
un medico anestesista. A distanza di alcuni mesi ho chiesto agli animatori del gruppo di poter sottoporre ai ragazzi un questionario anonimo con alcune domande alle quali dovevano rispondere con un punteggio da 1 a 10 per ciascuna di esse o con una scelta tra sì, no, non so. Propongo alcuni dei risultati ottenuti attraverso la media dei voti:
1. Hanno molto apprezzato (8.5) la discussione a l’approfondimento del tema.
2. Ritengono che i Media siano poco completi e obiettivi (5,8) e abbastanza sbilanciati a favore delle DAT (6.5).
1457955616-eutanasia_fmt3. Ritengono che l’approvazione di una legge in merito sia giusta solo al 5.25 e, con analogo punteggio, che lo Stato legiferi in materia.
4. Temono che, una volta approvata, possa indurre procedure e mentalità eutanasiche nei confronti di persone adulte gravemente malate (7).
5. Ritengono che il dolore fisico non sia la causa preponderante (5.5) che induce alla decisione di togliersi la vita,
ma piuttosto il senso di solitudine e abbandono (6.8) e che la presenza di cure amorevoli da parte dei familiari e di personale medico siano determinanti (8.5) per non decidersi alla scelta eutanasica.
6. Pensano che la fede sia importante nelle decisioni eutanasiche per evitarle (7.25) o, se assente, per prenderle (6).

L’IMPORTANTE E’ PARLARNE
Affrontare certi argomenti un po’ difficili e scomodi è il minimo che gli educatori possano fare per i ragazzi.
Parlarne insieme può aiutare a chiarirsi le idee, ad avere una visione più ampia delle cose e soprattutto a non omologarsi passivamente al pensiero comune. Se facessimo dei sondaggi forse ci renderemmo conto che i ragazzi la pensano diversamente su tanti argomenti. Proviamoci.

Il Dio dei vivi o dei morti?

Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali. A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!
Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali.
A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!

*di Igino Lanforti*
In questo anno che è passato nella nostra diocesi (Massa Carrara-Pontremoli) abbiamo assistito a momenti significativi. Mi riferisco alle tragedie nelle cave e alla morte improvvisa di alcuni giovani studenti per incidenti stradali o malattie. Questi ultimi casi mi hanno toccato direttamente perchè si è trattato anche di miei alunni. Tutti quelli che come me hanno vissuto questi momenti, hanno visto funzioni religiose con folle che le chiese non riuscivano a contenere. Mi ha colpito in particolare vedere giovani che hanno partecipato alla Liturgia come spaesati. Da una parte desiderosi di parteciparvi, dall’altra assolutamente impreparati a questi momenti così destabilizzanti. Quasi sempre gli amici hanno voluto salutare i morti dicendo alcune parole dall’ambone. Momenti certo toccanti, che mi hanno fatto riflettere. Ormai non citano più il Vangelo, ma canzoni di Mengoni o Emis Killa.. Eppure, non sono così lontani, vogliono essere qui, nella Chiesa, accanto ai loro cari defunti, ma anche non lontani da quel Dio che sembra averli così dolorosamente colpiti.
Mi sono messo nei panni di quei ragazzi e chiedermi cosa volessero…
A questi ragazzi basterebbe così poco… così tanto: un po’ di ascolto, un po’ di attenzione, il mettersi in sintonia con i loro linguaggi, con i loro modi di essere.
Questi giovani quasi si sarebbero accontentati di semplice ricordo, mera consolazione di chi non c’è più. Per questo don Luca, in una di queste celebrazioni, ha dovuto ricordare loro che il ricordo non basta, che l’offerta cristiana è infinitamente più alta, che va oltre quel così poco che sarebbe loro bastato.
E non se ne sono andati….

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Questi ragazzi splendidi, così fragili, così scossi, che nelle panche delle nostre chiese ormai non vediamo più se non in queste tristissime occasioni, sono ancora li, non se ne sono andati definitivamente, non si sono fermati a constatare la nostra autoreferenzialità, la nostra indifferenza, la nostra accidia, non si sono fermati ai campanelli delle canoniche suonati a vuoto all’ora della pennichella pomeridiana, o ai nostri troppi impegni che gli hanno tolto ogni spazio proprio quando magari trovano il coraggio di venirci a cercare, non si sono fermati alle frasi inopportune scritte sui social, ne hanno pensato che tutta la chiesa fosse come quella che si vede alle “Iene” ma ancora sperano in Dio, sperano nella Chiesa, non chiedono altro che di essere cercati, accolti, svegliati, rinfrancati.
Cosa altro ancora aspettiamo per rialzare la testa?
“ io sono l’acqua viva”
Alcuni di loro spesso sostano sugli scalini delle chiese con bottiglie di birra in mano, quasi vogliano provocatoriamente chiederci quale sia la bevanda che può veramente dissetarli. A noi infastidiscono e invece Gesù si sarebbe fermato con loro a parlare delle loro inquietudini, e magari da dar loro qualche carezza, noi invece magari siamo capaci solo di commenti che dovrebbero farci vergognare.
605c4ecb-8169-4fcd-9e0_optQuesta situazione ci interpella
Questi fatti mi turbano profondamente, sia come educatore, che come padre, che come semplice cristiano. Mi sono spesso chiesto se non sia il caso di chiedere perdono a Dio! Perdono per per la mia indifferenza, per la mia incapacità, perdono a tutti voi ragazzi che ci guardate e non vedete più la luce di quel Signore in cui splende la Vita e che anch’io ho offuscato.
Presto, siamo ancora in tempo, non perdiamoci nelle solite chiacchiere. Mettiamo al centro il nostro obiettivo: la persona! E quando dico questo intendo dire le famiglie, i giovani, con le loro storie, la loro vita!
Scuotiamoci dal nostro torpore, accettiamo la sfida del tempo presente! Scendiamo dalle nostre convinzioni e sporchiamoci le mani con i dubbi degli altri.
Forse, potrebbero essere proprio quei dubbi, a scrostare le nostre facciate, a farci riscoprire, insieme alla fragilità altrui, anche la nostra.
Forse solo allora potremo realmente metterci in cammino insieme a loro e sperimentare la meraviglia di SENTIERI che allontanano un po’ di più da noi stessi, ma avvicinano certamente a Dio.

Approfondimento IL DESIDERIO DI DIO Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono lele coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti. è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.
Approfondimento
IL DESIDERIO DI DIO
Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono le coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti.
è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.

Cosa muove i pellegrini?

Un-gruppo-di-viandanti_fmt*di Abramo Reniero* Vivo lungo il tragitto della via Francigena nel tratto che congiunge Massa e Pietrasanta. E’ il passaggio inevitabile sulla statale Aurelia. Per necessità geografiche determinate dalla conformazione del territorio, il pellegrino è costretto a percorrerlo, nonostante il traffico abbondante di auto e mezzi pesanti. Le alternative, segnalate, lo obbligherebbero a salire sulle colline con la conseguenza di allungare e rendere più faticoso, anche se panoramicamente molto più bello, il percorso.

Bene, da qualche anno ho notato un crescente aumento dei pellegrini. Il fenomeno ha poi assunto dimensioni significative durante l’anno santo appena concluso. Non ho un “contapellegrini” a disposizione, ma ho chiesto informazioni ad un amico sacerdote che, indirettamente, gestisce l’ospitalità ai viandanti nell’ex convento dei frati francescani di Pontremoli e mi ha confermato la tendenza in crescita, con un autentico “boom” di circa 2200 presenze, con pernottamento nella struttura, negli ultimi dieci mesi da gennaio a ottobre di quest’anno.

La Via Francigena, Franchigena, Francisca o Romea, è parte di un fascio di vie, dette anche vie romee, che conducevano dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia, a Roma.
La Via Francigena, Franchigena, Francisca o Romea, è parte di un fascio di vie, dette anche vie romee, che conducevano dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia, a Roma.

Un analogo movimento da anni in aumento viene segnalato anche sul cammino di Santiago de Compostela. Conosco diverse persone che lo hanno percorso, minimo per una settimana; recentemente mi è stato riferito anche di una conoscente, ex moglie di un amico, che mai avrei immaginato, diciamo per sensibilità culturale, sul Cammino.

Il fenomeno, che già mi incuriosiva, ha sollecitato in me ulteriori riflessioni dopo l’esperienza di quest’estate sulla via di San Francesco, dove gli incontri sono stati abbondanti. Chi sono queste persone che si mettono in strada per un viaggio così faticoso? Dove vanno e che cercano? Cosa li spinge? Ne conosco la meta fisica, Roma, ma qual è la meta esistenziale che li chiama e li fa muovere al centro della cristianità? Banalizzando potremmo rispondere: un’esperienza turistica diversa, alternativa. Banalizzando… appunto.
Sono per lo più, almeno quelle che incrocio sulla Francigena, persone adulte over 50 che viaggiano da sole o in due. Qualche anno fa, proprio a Pontremoli, ebbi l’occasione di scambiare due chiacchere con un pellegrino inglese, partito quasi due mesi prima da Canterbury, come il suo conterraneo vescovo Sigerico che circa mille anni prima aveva fatto il medesimo viaggio, dandocene un resoconto cronachistico.
Dunque, cosa li muove? Cosa è successo nella loro testa? Quale voce della coscienza ha smosso un’esistenza quotidiana ad uscire dagli schemi? Le mete – Roma, Assisi, Santiago – ci rispondono: hanno avvertito un bisogno spirituale. Per qualcuno probabilmente molto chiaro e identitario, una esperienza di fede cattolica, magari appena ritrovata, da sancire con un gesto netto oppure l’assolvimento di un voto per una grazia, quale-che-sia, ricevuta. Per altri e forse per i più, un bisogno ancora indistinto di Dio e quindi la scelta del cammino verso mete ben definite dalla loro storia secolare, quelle di un nascosto retaggio religioso cristiano che ancora rimane come sostrato in una società secolarizzata o, comunque sia, avvertite come piene di energie spirituali.

Approfondimento CAMMIN FACENDO A guardare i pellegrini moderni viene in mente la pastorale francese dei “revenantes”, l’esperienza di ricondurre alla fede quanti, da anni, se ne erano allontanati, oppure le tante persone che hai incontrato e che hanno percorso un cammino di conversione. A quel punto scatta anche un’altra domanda: ma non è che ai miei ragazzi sto facendo proposte di fede al ribasso? Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno? Non è che forse ci vuole qualcosa di più ampio, di più forte, di più caratterizzante per aiutare a crescere nella fede? Sono in grado, io, animatore, di intercettare le emergenze dello Spirito?
CAMMIN FACENDO
A guardare i pellegrini moderni viene in mente la pastorale francese dei “revenantes”, l’esperienza di ricondurre alla fede quanti, da anni, se ne erano allontanati, oppure le tante persone che hai incontrato e che hanno percorso un cammino di conversione. A quel punto scatta anche un’altra domanda: ma non è che ai miei ragazzi sto facendo proposte di fede al ribasso?
Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno? Non è che forse ci vuole qualcosa di più ampio, di più forte, di più caratterizzante per aiutare a crescere nella fede?
Sono in grado, io, animatore, di intercettare le emergenze dello Spirito?

Allora, tu che sei genericamente un operatore pastorale della parrocchia o membro di qualche movimento, ti domandi se sai intercettare questo bisogno, se sai leggere i fenomeni sociali e le emergenze dello Spirito. Ti viene in mente la pastorale francese dei revenantes – l’esperienza di ricondurre alla fede quanti da anni se ne erano allontanati – o il cammino di conversione di persone che hai conosciuto e ti domandi: ma non è che sto facendo proposte di fede al ribasso? Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno?

Felicità è camminare

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Un piccolo gruppo, una meta da raggiungere

*di Igino Lanforti*
La giornata prevedeva l’appuntamento alla Chiesa di San Martino in prossimità di un antico ponte che serviva per attraversare il fiume Frigido sulla via Francigena dove accanto alla chiesa esisteva un antico “ospitale” per i pellegrini. Il luogo era stato scelto perchè non molto Continua a leggere “Felicità è camminare”