*di mons. Simone Giusti*
Dove risiede oggi la possibilità di un radicamento della fede cristiana nelle nuove generazioni, se non in belle esperienze di incontro personali con il Signore e in belle esperienze di appartenenza e di condivisione ecclesiale?
Afferma Pàvel Nikolàjevîc Evdokìmov: «Si dimostra l’esistenza di Dio con l’adorazione, non con le prove»[1]. Certo questa tesi può apparire alquanto radicale e svilente l’intelligenza dell’uomo a cui è dato, per grazia di Dio, di poter, dalla creazione in poi, contemplare con l’intelletto le sue perfezioni invisibili nelle opere da lui compiute (Rm 1,18-20), ma nella sua unilateralità ci richiama con forza alla via del cuore, alla via della preghiera, alla via della carità. È data certamente all’uomo la possibilità di una conoscenza di Dio grazie all’intelletto (Rm 1,1), ma ugualmente è donata a ogni persona la grazia di conoscerlo attraverso i sentieri del cuore. Prova ne è che la Chiesa annovera fra i suoi dottori teologi sommi come san Tommaso d’Aquino e illetterati come santa Caterina da Siena. In un tempo in cui la ragione, la verità, sembrano smarrite e l’intelligenza dell’uomo non arriva neppure più a riconoscere al proprio figlio il diritto alla vita, occorre, contemporaneamente agli itinerari catechistici, far vivere ai ragazzi e ai giovani, esperienze prettamente orientate all’educazione alla vita interiore, alla preghiera e alla vita di carità.
La razionalità occidentale oggi ha estremo bisogno di essere illuminata tramite l’esperienza mistica anche e soprattutto quella dei ragazzi e dei giovani. È questa la direzione indicata da Giovanni Paolo II quando ha affermato: «Non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità (…) sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religione superficiale (…). È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione (…). I percorsi della santità esigono una vera e propria pedagogia della santità. Per questa pedagogia della santità c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera» (Novo millennio ineunte 32). La grande tradizione mistica della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, può dire molto a tal proposito. Essa mostra come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona totalmente posseduta dall’Amore divino, vibrante tocco dello Spirito. Si fa allora l’esperienza viva della promessa di Cristo: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21). Si tratta di un cammino interamente sostenuto dalla Grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni (la «notte oscura»), ma approda in diverse forme possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come «unione sponsale». «Sì, carissimi fratelli e sorelle», ribadiva con forza Giovanni Paolo II, «le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole” di preghiera» (Novo millennio ineunte 30-33). Il giovane dovrà intuire, sperimentandola, la presenza e la bellezza di Dio. Solo dopo può avvenire la scelta di essere cristiano e quindi vivere appieno un percorso mistagogico verso la Solenne eucaristia della professione della fede. Occorre promuovere quindi una pastorale giovanile a partire dall’esperienza di Dio, da un’esperienza sacramentale del Signore, ovvero si dovrà promuovere una pastorale sempre più mistagogica.
ECCO LA STRADA
Giovanni Paolo II lo dice nella “Novo millennio ineunte”: mostrare Dio alle persone significa condurle attraverso percorsi di santità, attraverso la preghiera, l’esperienza mistica e sacramentale. Occorre partire dall’esperienza di Dio per colmare il vuoto lasciato dalla razionalità occidentale, solo dopo può avvenire la scelta.
[1] Cfr. Teologia della bellezza, EdP.