INTERNET: TROVI TUTTO È LA NUOVA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA?

*di Luigi Cioni

Nel giugno del 2002 le agenzie hanno battuto una notizia importante e destinata ad eccitare la nostra curiosità: “riapre la Biblioteca di Alessandria”. Dai nostri studi tut-ti conosciamo questo faro di cultura per il mondo antico, fino alla sua distruzione, perenne rammarico per tutti gli intellettuali e sapienti di allora e di oggi. Eppure nel 2002 questo annuncio non ha suscitato solo sorpresa e gioia, ma anche grandi perplessità: “Ma, oggi, a che serve? Abbiamo internet e lì troviamo tutto! Le enciclopedie che abbiamo in casa stanno diventando inutili, tra poco troveremo libri da leggere in digitale, gratis, notizie da tutto il mondo, comunicazioni non finire e informazioni in diretta, come non ne abbiamo mai avute.” Ed in effetti appena l’anno successivo la storia sembrò dare ragione a chi intravedeva un futuro luminoso: la nascita dell’ADSL ed il Web 2.0; Da quel momento noi tutti immettiamo quotidianamente in rete, noti-zie, foto, post, informazioni. Ma lentamente ci siamo resi conto che la nostra privacy viene violata, che i nostri figli corrono rischi ogni volta che guardano lo smartphone, che veniamo subissati continuamente di informazioni non richieste e pubblicità che rivelano una attenzione non alla nostra identità, ma al nostro essere solo, ancora una volta, consumatori.

No, internet non è esattamente una biblioteca! E nemmeno una fonte neutra di dati, come nemmeno un biblioteca lo è, nemmeno la Biblioteca di Alessandria che ambisce ad essere universale. Ma come? Internet è senza censure, è la democrazia assoluta, è la voce della gente, che può parlare senza costrizioni! Certamente! Ma siamo proprio certi che questo sia un bene?

Lungi da me l’idea di una censura e certamente lungi da me l’idea di voler porre la rete sul banco degli imputati. Chi come me, ha già diverse primavere sulle spalle, sa bene quanta fatica ha fatto per reperire materiale di studio all’università, quante ricerche per trovare i testi delle canzoni che voleva cantare, quanti soldi ha speso per vedere i film che la critica consigliava, e avrebbe benedetto (e benedice ancora oggi)
un mondo in cui tutto questo risulta essere a disposizione di tutti. Eppure devo esprimere delle riserve: quando leggo un libro so che quello che l’autore ha scritto passa attraverso una serie di revisioni, di letture competenti, di domande e risposte che il direttore editoriale rivolge all’autore, per essere sicuro che ciò che si troverà poi nelle pagine abbia un valore indubitabile, tale da affidare al testo il buon nome della casa editrice.
Quando leggo una rivista o un giornale, so che l’autore ha svolto inchieste e ricerche prima di stendere una sua opinione sui fatti, verificando le sue fonti e mettendo in gioco la sua credibilità personale, di fronte ad una platea di lettori. Ma chi scrive su internet chi è? Come è arrivato a mettere a portata di scroll le sue informazioni e le sue opinioni? Perché dovrei fidarmi di lui? Eppure, basta leggere un post su Facebook che le mie dita corrono a commentare; basta una news su Google perché io cominci a inveire contro tutti i responsabili di nefandezze varie o di presunte ingiustizie di cui, fino a quel momento, non avevo mai sentito parlare. E allora (senza arrivare agli estremi del bullismo digitale, delle offese gratuite, delle minacce a commento di post discutibili, cioè di cui si potrebbe discutere, senza offendere nessuno), ci troviamo alle fake news continue, alle foto ritoccate per un like in più, a titoloni altisonanti che annunciano eventi di cui poi non si parlerà minimamente
nel testo sotteso, ecc.
La deriva di questo comportamento è certamente quell’analfabetismo che non è più digitale, ma funzionale, di coloro che non sono più capaci di leggere oltre il titolo, che non riescono a distinguere il vero dal falso, che non riescono più a vedere la differenza tra opinione e la realtà oggettiva. Ed è così che dalla Biblioteca di Alessandra, dal grande faro di cultura, in cui mai mi immetterei senza una guida, siamo arrivati a parlare della spazzatura, del trash, non più solo digitale, ma spirituale, dell’immondizia che riempie le nostre giornate e le nostre anime, della acredine che viene suscitata ogni giorno da ciò che, anche distrattamente, leggiamo sui nostri schermi e che rende la nostra vita abbrutita e insoddisfatta. Ancora una volta la soluzione è una sola, né demonizzare né subire con passività, né proibire né rinunciare al controllo, né esaltare né vivere fuori dal proprio tempo. “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”! Quante volte questa massima ci porta fuori delle angosce di un apparentemente insolubile dilemma. Solo insieme ad altri possiamo intravedere oltre i nostri limiti, solo mettendoci in una posizione attiva, di controllo e di critica, di dialogo e ricerca, insieme e non da soli con il nostro schermo o il nostro pensare che spesso mai abbiamo confrontato con qualcuno, possiamo crescere e “sapere”. Mi verrebbe da dire, quando oltre agli schermi, riusciamo anche a guardare nel volto di chi ci sta vicino e scoprire che nella sua alterità c’è un qualcosa che io non sarò mai.
Per me, quindi, una benedizione.

 

LʼERA DEI FIGLI DI INTERNET

*di mons. Simone Giusti

Gli adulti hanno costruito una società “fondata” su Internet, ma poi, se in Rete ci vanno i figli cominciano i problemi e scattano i
divieti. Una modalità educativa che non può funzionare.

1 «Vita reale e vita virtuale si sono talmente intrecciate che ormai parliamo di “onlife”. Oggi si nasce in una società dove sei certamente figlio dei tuoi genitori ma anche di una cultura pervasiva, più ampia, dove l’intreccio tra la vita reale e virtuale fa parte del modo di pensare e crescere i figli e costruisce modelli di identificazione. E quindi, se una volta eri più figlio dei genitori e anche della scuola, oggi la società che gli adulti hanno creato e che promuovono ogni giorno con i propri comportamenti,
è un contesto dove si è anche figli di modelli e realtà intrecciate con quella virtuale. Dove Internet e la verità sono la stessa cosa».

2
Ad esempio la mamma organizza separazioni molto precoci (diventando madre «virtuale») ma poi sta sempre in contatto col figlio attraverso il telefonino, con cui controlla i nonni e le tate che lo riprendono a scuola. I gruppi Whatsapp delle mamme governano il mondo scolastico e dell’associazionismo sportivo. Insomma: gli adulti si sono messi dentro Internet, hanno costruito un sistema fondato su di esso, poi quando lo usano i figli lo guardano con sospetto. Trovare un giusto equilibrio tra queste dimensioni diventa allora un’impresa ancora più ardua, soprattutto per i ragazzi. Visto che i primi a doversi mettere in discussione sarebbero proprio i genitori. Che, però, non ci pensano nemmeno, continuando a imporre modelli di comportamento che quando vedono concretizzarsi nei figli, fanno scattare campanelli d’allarme. La domanda centrale che si dovrebbe fare in famiglia, mentre si condivide la cena, è: «Come va sui social?». Invece, si parla di tutto tranne
che di questo. Che è poi la questione vera nell’educazione dei figli adolescenti. Chiedere come va in Internet è fondamentale per i genitori per raggiungere il figlio là dov’è.

E’ come non chiedergli come sta, che cosa sta facendo. Perché questa è la società che abbiamo creato noi adulti. Una contraddizione enorme come quella di vietare l’utilizzo dei social anziché educare a una saggezza nel loro utilizzo. I genitori devono mettere in guardia i ragazzi dai pericoli della rete come si faceva una volta dai pericoli esterni. Ma i figli non li puoi controllare per sempre. A un certo punto li devi delegare alla loro autonomia. A questa età devi allenare le tue capacità fuori dal controllo degli adulti, spesso con gli amici. È sempre stato e sarà sempre così. Per proteggere i figli dai pericoli del mondo di fuori li abbiamo costretti in casa. Ma siccome loro hanno esigenze continue, si sono adattati e sono andati in Internet. Dove si corrono rischi esattamente come si correvano quando si usciva di casa. Ma se prima
si metteva in guardia dai “malintenzionati” non si dice lo stesso per i rischi della Rete.

Dai 30 anni in poi bisognerebbe vietare Internet, mentre dai 30 anni in giù, fino ai 15, renderlo obbligatorio invece si fa esattamente il contrario. In Italia, poi, assistiamo a qualcosa che ha dell’incredibile: dai 19 anni in poi se non usi Internet sei spacciato in qualsiasi area (affettiva, personale, familiare, lavorativa). Dai 19 anni in giù se lo usi sei dipendente da Internet. Non è credibile e non funziona. Invece, bisogna che gli adulti si prendano carico della società in cui hanno chiesto di crescere i ragazzi. Che sono finiti in Internet non perché sono stati catturati ma perché lì, li ha condotti la società costruita dai genitori.

A PROPOSITO DI CHRISTIAN MUSIC…

*di Gipo Montesanto

La Christian Music in Italia forse non è ancora molto conosciuta mentre all’estero, soprattutto in Nord e Sud America, già da parecchi anni coinvolge milioni di appassionati. Questo genere musicale in Italia sta muovendo i primi passi o è un fenomeno “di nicchia”? Ogni giorno, girando sui social, mi imbatto in un nuovo cantautore che scrive e propone al pubblico brani di musica cristiana. All’interno della musica cristiana possono rientrare parecchi generi e sottogeneri. Si trovano infatti cantautori e band di Christian Rock, altri di musica pop, rap e addirittura trap. Altri ancora fanno esclusivamente musica di adorazione, la cosiddetta worship music. Tutti però sono hanno una cosa in comune: la fede in Gesù.

Leggendo i testi ed ascoltando le canzoni degli artisti di musica cristiana, emerge sempre un fatto: al primo posto c’è sempre il “messaggio” che si vuole trasmettere, prima ancora di mettere sé stessi e i propri interessi sotto le luci della ribalta. Chi fa musica
cristiana sa già in partenza che (almeno qua in Italia) i suoi dischi venderanno poco o niente. Pochi giornali e webzine musicali dedicheranno loro dello spazio, e non parliamo delle radio perché nessuno passerà i loro brani, ma non importa. Credono in quello che cantano, credono in quello che fanno e un abbraccio del pubblico alla fine di un concerto per loro è il premio più grande, è quello che li fa continuare su questa
strada. Quali potrebbero essere le cause di questo poco spazio in Italia, paese che comunque racchiude una grande tradizione cristiana? Scarso interesse economico, scelta deliberata delle major del mainstream musicale?
Stiamo comunque parlando di canzoni che hanno davvero la forza di “sconvolgere la vita”. Chi ha scoperto questa musica, anche se non credente, rimane comunque folgorato, perché i messaggi cristiani sono forti, mentre i credenti trovano contenuti in cui si riconoscono e questo li fa sentire parte di qualcosa di più grande e forse anche meno soli. Forse anche per questo negli ultimi anni però, a differenza di quanto scritto poc’anzi, si nota un certo movimento di giovani legati particolarmente alla Christian Music. Al giorno d’oggi questa musica è facilmente identificata con il mondo degli Evangelici più che dei Cattolici. Infatti, mentre per gli Evangelici la musica più è coinvolgente meglio è, per i cattolici non è sempre così per vari motivi che non riesco ad approfondire all’interno di questo articolo. Cosa diversa la si ritrova durante gli incontri giovanili e di festa, le veglie di preghiera e come già citato, i momenti di adorazione.
Nelle Chiese locali si potrebbe, secondo il mio modestissimo parere, dare la possibilità ai giovani di creare più eventi musicali al di fuori delle celebrazioni liturgiche in modo che essi possano dare il giusto sfogo alla loro voglia di rock o di pop pur rimanendo nell’ambito della religiosità e spiegando il perché a Messa certe cose non si possono suonare.
Cari giovani però, se volete che qualcosa cambi all’interno della Chiesa, non siate passivi, ma propositivi. Siate voi i primi a tentare di creare eventi e concerti di Christian Music o a capire quali possono essere le celebrazioni dove poter inserire un brano di musica cristiana. Io sono certo che la Christian Music in Italia possa avvicinare moltissimi giovani (ma non solo) alla Chiesa e, se questi giovani sono ben preparati musicalmente, non sentiranno più la mancanza del rock durante le celebrazioni perché in ogni caso hanno a disposizione altri momenti in cui dedicarsi ad esso e sono certo che valuteranno e comprenderanno meglio il modo di suonare tradizionale. Come è successo anche a me.
Concludendo, degno di nota è quanto accaduto lo scorso anno. Un disco di musica cristiana italiana a un passo dallo scalzare Lady Gaga dal podio della top ten. La notizia ha stupito anche gli stessi artisti, autori dell’album: i Reale, una delle band di rock cristiano (cattolico) più popolari nel nostro Paese, quando il Greatest Hits che festeggia il loro decennale alla sua uscita pochi giorni fa ha raggiunto la seconda posizione nella classifica degli album più venduti di Amazon Music, dietro appunto a “Chromatica” della popstar americana.
Anche se i numeri contano poco in certi casi, essi parlano chiaro quando si parla di presenza ai concerti live. La Christian Music ha sempre stupito da questo punto di vista perché vede sempre piazze e palazzetti dello sport pieni di gente disposta a partecipare ad eventi di questo tipo. Certamente ciò che si porta a casa non è solo buona musica ma anche e soprattutto momenti di ascolto intensi, testimonianze profonde, racconti di vite che hanno saputo ricominciare a sbocciare dopo la tempesta. L’augurio per questo futuro imminente è proprio quello di tornare ai concerti e alle evangelizzazioni dal vivo, a cantare a squarciagola le nostre canzoni preferite di Christian Music.

SINTONIZZATI CON IL SIGNORE!

*di don Matteo Giavazzi

I miei ragazzi sono speciali. Ascoltano davvero poco, a volte sono distratti e anche un po’ superficiali. Gli interessi quotidiani, molto spesso, non toccano il cuore. Certe sere, dopo una delle tante giornate trascorse insieme, improvvisamente sanno aprirsi e mostrare la loro umanità: le ferite, la gioia di essere giovani, l’amore, l’amicizia, il tradimento e il perdono. E, quasi alla fine di questo turbinio di emozioni, si interrogano su Dio. E la musica, in questo, è loro alleata.
Anche io, giovane e a volte maldestro parroco, cerco di stare al passo, studiando nuovi brani. E noto che, tra una canzone e l’altra, passa la vita. Per questo, spesso, chiedo a qualcuno di loro: “Oh, che si sente di nuovo in giro? Dimmi!”. La musica, infatti, come un linguaggio universale riesce a descrivere bene le domande di sempre: Chi sono io? C’è Dio? Che senso ha la mia vita? E, me ne accorgo sempre più spesso, sono proprio questi giovani amici ad aiutarmi a incontrare il Signore, a pregare, interrogandomi su come trasmettere alle giovani generazioni la straordinaria e luminosa bellezza che porta il nome di Gesù. E, allora, credo che con la musica sia possibile lasciarci educare dal bello, rispondendo alle domande di sempre.

Chi è Dio? (Lettera dall’Inferno, Emis Killa)

Quando l’ascolti, perlomeno se la leggi da una prospettiva cristiana, resti colpito dal tono graffiante delle parole di questo brano. Si tratta di uno sfogo, capace di dare sintesi ai dubbi che attraversano particolarmente questo difficile momento: Dio esiste? Qual è il vero volto di Dio? Eppure, penso che, proprio nel lavoro con le nostre comunità, sarebbe davvero bello fermarsi e domandarsi: ma io ci credo? O, meglio, come dice il testo: “caro Dio, mi scuso se sono sparito. È che, ultimamente, lo avevi fatto
anche te”. A volte anche a noi piace, con il Signore, tirare la sorte e sfidarlo. Insomma, come mi è capitato alcuni giorni fa con una persona, spesso la fede si basa solo su un “testa o croce” e, in alcune occasioni, fatica ad intercettare la vita quotidiana, trasformandola in un’occasione di cambiamento di se stessi. La speranza, però, vince sempre.
Il brano, infatti, continua: “detti legge nell’universo, perché prendi e dai”. Forse è questo il volto di Dio che tutti cerchiamo nella vita. Il Dio rivelato da Gesù si mostra diverso e sconvolgente rispetto alle nostre aspettative, anche a quelle di un giovane. Lui non prende nulla, dona solo. E il luogo dove avviene questo miracolo è la croce. Contemplando il Crocifisso, che sta lì, con le braccia spalancate, noi crediamo in un Dio che si è fatto amore. Solo così siamo liberi. Liberi perché figli amatissimi del Padre.

Chi sono io? (Sogni appesi, Ultimo)
“Provo a dimenticare scelte che fanno male. Abbraccio le mie certezze, provo a darmi da fare. Ma ancora non riesco a capire se il mondo un giorno io potrò amarlo. Se resto chiuso a dormire, quando dovrei incontrarlo”. Ultimo, un ragazzo prodigio con migliaia di fan, stupisce sempre per la profondità dei suoi testi, che parlano della sua vita, ricca di sofferenze, debolezze, fragilità ma anche forze, sogni e speranze. Una vita vera, piena di tante cose, come è la nostra vita di tutti i giorni. Egli ricorda, infatti, come spesso questa storia sia una sfida: non è facile da vivere ma, troppe volte, ci schiaccia. E verrebbe da chiedersi: cosa resta? Cosa rimane della mia vita e dei miei sogni? Serve un tu, un qualcuno per il quale valga la pena vivere. E, di tu in tu, la fede ci insegna che c’è un Tu con la T maiuscola: il Signore. La canzone continua: “E adesso tirando le somme, non sto vivendo come volevo ma posso essere fiero di portare avanti quello che credo. Da quando ero bambino solo un obiettivo: dalla parte degli ultimi, per sentirmi primo”. L’ideale è la scelta dell’ultimo, allora. Come ha fatto Gesù, dicendoci “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22, 27). Scopriamo, in questo modo, che le semplici parole di un ragazzo toccano il cuore del Vangelo. Ci parlano di quell’ultimo un po’ scomodo, di quell’ultimo che non vorremmo desiderare di essere e anche di quell’ultimo che non vogliamo conoscere. Farci ultimi significa scoprirci amati di un Dio che sulla croce si è fatto ultimo per noi. E solo la poesia di un giovane ce lo può insegnare.

UN RAP D’A… MARE

*di Daniela Novi

Vento di esami di stato. Samuele a scuola non ha fatto molto in passato, il Covid in quest’ultimo anno e mezzo ha fatto il resto. In terza è stato bocciato, ma ancor prima lo aveva fatto la vita: genitori separati, soldi facili, una nonna rassicurante, un fisico ingombrante gonfiatosi a dismisura, il rendimento a scuola decisamente calante. Il ritorno in presenza dopo il lockdown? Una doccia fredda. L’unica salvezza? Solo e
sempre la nonna. Un certificato medico attesta la dichiarazione di convivenza con soggetto fragile: per Samuele la DAD continua. Segue da casa qualche spiegazione fatta in classe, dà ogni tanto qualche risposta con lo schermo rigorosamente chiuso, insomma alla fine ce la fa. Supera gli scrutini finali, mentre una sfilza di non ammessi in classe taglia l’aria a fette e fa presagire che forse la maturità è una cosa seria. La prof di italiano ce l’ha messa tutta: anche in seconda classe era una delle poche che credeva in lui. Deve dargli una mano anche ora, per l’esame, altrimenti cadrà un’altra volta, come il poeta solitario in ”Nevicata” di Carducci, la poesia assegnatagli per il colloquio orale di italiano, cadrà come i passeggeri della Moby Prince, su cui il prof di navigazione ha fondato il tema dell’elaborato finale. E se collegassimo i due argomenti, gli suggerisce? Come, prof? Come hai fatto con Dante. Una canzone!? No, un rap.

Solo lei sa che a lui piace sintetizzare la musica. Più o meno una idea per la melodia ce l’ha, più o meno anche per le parole, forse molto meno che più. E’ una impresa assurda e poi davanti avrà non solo la “sua”prof, ma una intera commissione, il presidente esterno… è da pazzi, ma forse Samuele lo è o quella può essere la sua unica saggezza: giocarsi tutto, per essere sempre.

17/06/2021: è il grande giorno, è il terzo, è il suo turno. Allo schermo due frequenze colorate di onde musicali e la musica va. Il ritmo parte da dentro, come il movimento delle gambe e quello delle braccia. E’ fatta: io sono, io sarò…
“Nanananaiiii, iaiaiaia, eieieieieiiii…
La neve cade lenta
Il cielo color cenere
Dentro un senso di morte
Attorno solo tenebre

Non c’è babbo natale con la slitta
Ma attorno solo il silenzio di quella città
Non sento più rumori broda in questa city
Gli uccelli alla finestra e ripenso ai miei amici
Non sento suonare manco le campane
Un po’ come la Moby si è lasciata andare
Senza più un respiro, senza più un lamento
Un po’ come me che porto tutto dentro
Ma non guardo indietro
Indietro non ci torno
Saluto i miei amici, ci rivedremo un giorno
La Moby e la nevicata
Entrambe una bellezza
Non c’ è un lieto fine, c’è solo la tristezza
A volte ho fatto male
Lo sai e me ne pento
Non sono Carducci
Ma scrivo ciò che sento
Io sono cresciuto ne ho subiti sgarri
Supero i bersagli, broda, andando avanti
Se cade la neve fuori l’aria è fresca,
se conosco Carducci ringrazio la Baldi
Mi sono salvato mi hanno ammesso a stento
Thank you very much missis corvino
Un po’ dispiaciuto per un anno in video
Chiedo scusa se negli anni ho dato un po’ fastidio
Ma giuro vado avanti
no che non mi fermo
Ringrazierò per sempre
Il nautico di Salerno.
Nanananaiiii, iaiaiaia, eieieieieiiii…”

SHEKINAH E RADIO INCONTRO: PROGRAMMI PER MEDITARE

*di Elisa De Marco

Il 19 ottobre 2020, grazie ad un’idea di Mons. Giusti Vescovo di Livorno, i giovani della Segreteria della Pastorale giovanile, guidati dal loro Direttore Don Federico Mancusi, si sono lanciati in una nuova avventura, sbarcando su YouTube e sulle altre piattaforme social, improvvisandosi come speaker di una nuova stazione radiofonica: “Radio Shekinah Giovani”. Il progetto è sempre stato molto ambizioso, alle sue radici infatti c’è il desiderio di riuscire ad utilizzare un nuovo canale di comunicazione per poter raggiungere tutti i giovani e non soltanto quelli presenti nelle nostre parrocchie.
Questo nobile intento ha da subito fatto superare tutte le paure e le difficoltà dei giovani della segreteria che non si erano mai misurati in un’esperienza simile, e ha permesso loro di trovare il coraggio di rischiare, per provare a raggiungere un bene più grande.
Ma partiamo con ordine! Il nome della radio racchiude in sé l’obiettivo finale di questo progetto, “shekinah” in ebraico vuol dire “tenda” ed era la tenda dove dimorava la presenza di Dio, e dove quindi il popolo di Israele, aveva la possibilità di fare questo preziosissimo incontro con Dio (Yhwh). Questo infatti rimane il principio e il fine di ogni puntata della radio: condurti all’incontro con Dio, non necessariamente parlandoti di Lui in maniera diretta, ma piuttosto facendoLo trasparire dalle testimonianze di vita dei conduttori e degli ospiti.
Andiamo adesso a scoprire le rubriche di questa nuova radio:

– “Chiamati fidati” è una rubrica che prova a rispondere a moltissime tematiche giovanili, attraverso le testimonianze degli speaker e dei loro ospiti;
– “Music Line” è un programma dedicato interamente alla musica raccontata attraverso
le interviste di cantanti, deejay, cantautori e cover band;
– “Una parola e una canzone” è una rubrica curata da Gipo Montesanto che con una
piccola riflessione approfondisce il significato di una parola, e lo rende ancora più
profondo associandoci una canzone da ascoltare;
– “In ascolto” è uno spazio dedicato a tutte le realtà presenti sul nostro territorio,
per adesso hanno partecipato a questo programma l’ufficio missionario, e la Caritas
con una puntata dedicata al servizio civile;

– “Chiedilo al Don” è stata la novità del 2021, è uno spazio diretto e curato dal Direttore dell’ufficio Don Federico Mancusi, che risponde in maniera profonda ma allo stesso tempo molto comprensibile, a tutte le domande che i suoi giovani gli pongono.
Dal 12 Aprile due giovani dell’equipe di Radio Shekinah sono approdati a Radio Incontro, la radio della Diocesi di Pisa che trasmette in FM alla frequenza 107.75. Anche questo salto in qualcosa di sconosciuto è stato vissuto da Gipo Montesanto ed Elisa De Marco, con la stessa fiducia con cui avevano iniziato a Radio Shekinah, ovvero la fiducia in un bene più grande.
Le rubriche che conducono sono:
– “Per una gioia più grande” è una rubrica bisettimanale condotta da Gipo Montesanto
che intervista tantissime persone che con la loro vita testimoniano fino in
fondo la bellezza di vivere sentendosi amati da Dio ed amandolo a loro volta. Il titolo
di questa rubrica è inoltre il titolo di un inedito di questo cantautore.
– “Per Elisa” è condotta settimanalmente da Elisa De Marco che racconta i segreti e
le storie nascoste all’interno delle sue canzoni, cercando sempre di lanciare messaggi
positivi e di speranza.
Grandi novità attendono tutta l’equipe della segreteria, per scoprirle rimanete aggiornati sul nostro sito e sulle nostre pagine social.
Canale Youtube: Pastorale Giovanile Livorno
Radio Incontro: FM 107.75
sito web: http://giovani.diocesilivorno.it/

UNA SORPRESA AL SUPER BOWL

*di mons. Simone Giusti*

Stati Uniti: Springsteen, il sogno americano ritrovato in una chiesa La rock star tratteggia la sua idea di America: strada, fede e il valore dell’accoglienza. “La nostra luce ha sempre trovato la sua strada nell’oscurità”. The Middle, realizzato per il marchio Jeep e andato in onda durante il Super Bowl – l’evento che tiene incollato alla tv l’intero Paese – è una summa visiva dell’intera produzione del cantante americano.
Una piccola enciclopedia iconografica (e poetica) ricca di rimandi, attraverso la quale Springsteen, ancora una volta, si propone come il cantore di un’America che, orfana della sua identità, è chiamata ora a ritrovarla nell’unità.
La libertà. Il viaggio. I cavalli. La purezza perduta e da riconquistare L’eroe solitario che entra ed esce dalla storia e dal mito. C’è tutto
l’universo retorico che Springsteen ama e restituisce da anni. Il viaggio dei Joad, la strada desolata di Cormac McCarthy, i film
di John Ford, l’eterna frontiera che lo stesso Springsteen non ha mai smesso di cantare. “Il centro – recita la voce dell’artista durante
lo spot – è stato un posto difficile da raggiungere ultimamente. Tra il rosso e il blu. Tra servo e cittadino. Tra la nostra libertà e la
nostra paura. Ora, la paura non è mai stata la parte migliore di ciò che siamo. Quanto alla libertà, non è proprietà di pochi fortunati,
appartiene a tutti noi. Chiunque tu sia, ovunque tu sia. È ciò che ci collega. E abbiamo bisogno di quella connessione. Abbiamo bisogno
del centro”.

Quel centro – a cui Springsteen ha dato voce nello spettacolo a Broadway recitando il Padre Nostro – è qualcosa che, paradossalmente, l’America ha sempre declinato nel movimento. Un movimento assieme fisico, spirituale ed escatologico.

Come nel brano Land of hope and dreams, che Springsteen ha eseguito in occasione della festa per l’inaugurazione della presidenza di Joe Biden. La canzone lega alcuni motivi tipici della sua produzione: un uomo e una donna, un viaggio, un treno,
la redenzione. Che il brano abbia un’apertura escatologica lo conferma il verso conficcato nella seconda strofa: “Questo giorno sarà l’ultimo”.
La luce che splenderà “domani”, “l’oscurità che retrocederà”, la fede che “sarà ricompensata” immettono in un territorio religioso, dentro una semantica religiosa. “La terra di sogni e speranza” verso le quale corrono le “grandi ruote di ferro”, non è appannaggio della sola coppia.
“La terra della speranza e dei sogni” non ammette tagli o esclusioni, fratture o pedaggi. L’America, cantata da Springsteen, è inclusiva, chiama tutti, interpella tutti, accoglie tutti. L’America ha una “qualità” redentiva, l’idea stessa di America è religiosa.

In The Middle ritroviamo lo stesso linguaggio, le stesse polarità. Oscurità, luce, montagne, deserto, redenzione.
Basta riascoltare le parole di Martin Luther King per capire quanto l’immaginario di Springsteen sia radicato nella visione americana: “Con questa fede – scrive Martin Luter King, siamo nel 1963 – uscirò e scaverò un tunnel di speranza attraverso la montagna della disperazione. Con questa fede uscirò con te e trasformerò gli oscuri ieri in luminosi domani”. “La nostra luce – dice a sua volta Springsteen – ha sempre trovato la sua strada nell’oscurità. E c’è speranza sulla strada… più avanti”. C’è sempre uno scarto, una distanza, una ferita che separa l’America dalla sua identità. La promessa dalla sua realizzazione. Il sogno dalla realtà. Springsteen ne è consapevole. Non c’è America senza fede. Non solo canzonette per un’estate. Tanti sono gli autori pop e rock che scrivono musica che fa pensare, possiamo ricordare Franco Battiato recentemente scomparso, occorre conoscerli, ascoltarli e con essi percorrere strade di ricerca del “centro di gravità”, del senso del vivere, amare, soffrire, morire. La musica ci accompagna e ci illumina come le sonate per piano di Ezio Bosso. La musica accompagna tutti, in particolare i giovani. C’è tanta musica, ogni canzone comunica sensazioni, atteggiamenti. Impariamo ad ascoltare e a trovare anche nel mercato della musica, la perla preziosa.

*ripreso da un articolo di Luca Miele pubblicato su Avvenire del 8 febbraio 2021