A PROPOSITO DI CHRISTIAN MUSIC…

*di Gipo Montesanto

La Christian Music in Italia forse non è ancora molto conosciuta mentre all’estero, soprattutto in Nord e Sud America, già da parecchi anni coinvolge milioni di appassionati. Questo genere musicale in Italia sta muovendo i primi passi o è un fenomeno “di nicchia”? Ogni giorno, girando sui social, mi imbatto in un nuovo cantautore che scrive e propone al pubblico brani di musica cristiana. All’interno della musica cristiana possono rientrare parecchi generi e sottogeneri. Si trovano infatti cantautori e band di Christian Rock, altri di musica pop, rap e addirittura trap. Altri ancora fanno esclusivamente musica di adorazione, la cosiddetta worship music. Tutti però sono hanno una cosa in comune: la fede in Gesù.

Leggendo i testi ed ascoltando le canzoni degli artisti di musica cristiana, emerge sempre un fatto: al primo posto c’è sempre il “messaggio” che si vuole trasmettere, prima ancora di mettere sé stessi e i propri interessi sotto le luci della ribalta. Chi fa musica
cristiana sa già in partenza che (almeno qua in Italia) i suoi dischi venderanno poco o niente. Pochi giornali e webzine musicali dedicheranno loro dello spazio, e non parliamo delle radio perché nessuno passerà i loro brani, ma non importa. Credono in quello che cantano, credono in quello che fanno e un abbraccio del pubblico alla fine di un concerto per loro è il premio più grande, è quello che li fa continuare su questa
strada. Quali potrebbero essere le cause di questo poco spazio in Italia, paese che comunque racchiude una grande tradizione cristiana? Scarso interesse economico, scelta deliberata delle major del mainstream musicale?
Stiamo comunque parlando di canzoni che hanno davvero la forza di “sconvolgere la vita”. Chi ha scoperto questa musica, anche se non credente, rimane comunque folgorato, perché i messaggi cristiani sono forti, mentre i credenti trovano contenuti in cui si riconoscono e questo li fa sentire parte di qualcosa di più grande e forse anche meno soli. Forse anche per questo negli ultimi anni però, a differenza di quanto scritto poc’anzi, si nota un certo movimento di giovani legati particolarmente alla Christian Music. Al giorno d’oggi questa musica è facilmente identificata con il mondo degli Evangelici più che dei Cattolici. Infatti, mentre per gli Evangelici la musica più è coinvolgente meglio è, per i cattolici non è sempre così per vari motivi che non riesco ad approfondire all’interno di questo articolo. Cosa diversa la si ritrova durante gli incontri giovanili e di festa, le veglie di preghiera e come già citato, i momenti di adorazione.
Nelle Chiese locali si potrebbe, secondo il mio modestissimo parere, dare la possibilità ai giovani di creare più eventi musicali al di fuori delle celebrazioni liturgiche in modo che essi possano dare il giusto sfogo alla loro voglia di rock o di pop pur rimanendo nell’ambito della religiosità e spiegando il perché a Messa certe cose non si possono suonare.
Cari giovani però, se volete che qualcosa cambi all’interno della Chiesa, non siate passivi, ma propositivi. Siate voi i primi a tentare di creare eventi e concerti di Christian Music o a capire quali possono essere le celebrazioni dove poter inserire un brano di musica cristiana. Io sono certo che la Christian Music in Italia possa avvicinare moltissimi giovani (ma non solo) alla Chiesa e, se questi giovani sono ben preparati musicalmente, non sentiranno più la mancanza del rock durante le celebrazioni perché in ogni caso hanno a disposizione altri momenti in cui dedicarsi ad esso e sono certo che valuteranno e comprenderanno meglio il modo di suonare tradizionale. Come è successo anche a me.
Concludendo, degno di nota è quanto accaduto lo scorso anno. Un disco di musica cristiana italiana a un passo dallo scalzare Lady Gaga dal podio della top ten. La notizia ha stupito anche gli stessi artisti, autori dell’album: i Reale, una delle band di rock cristiano (cattolico) più popolari nel nostro Paese, quando il Greatest Hits che festeggia il loro decennale alla sua uscita pochi giorni fa ha raggiunto la seconda posizione nella classifica degli album più venduti di Amazon Music, dietro appunto a “Chromatica” della popstar americana.
Anche se i numeri contano poco in certi casi, essi parlano chiaro quando si parla di presenza ai concerti live. La Christian Music ha sempre stupito da questo punto di vista perché vede sempre piazze e palazzetti dello sport pieni di gente disposta a partecipare ad eventi di questo tipo. Certamente ciò che si porta a casa non è solo buona musica ma anche e soprattutto momenti di ascolto intensi, testimonianze profonde, racconti di vite che hanno saputo ricominciare a sbocciare dopo la tempesta. L’augurio per questo futuro imminente è proprio quello di tornare ai concerti e alle evangelizzazioni dal vivo, a cantare a squarciagola le nostre canzoni preferite di Christian Music.

GESÙ CRISTO: CHI SEI? DOVE SEI?

*di don Gianfranco Calabrese

Per essere discepoli di Gesù non è sufficiente dirsi cristiani; è necessario essere innamorati di Cristo, lasciarsi continuamente meravigliare dal suo Amore e dalla sua Persona, che ci stupisce sempre, anche oggi. Essere cristiano è un cammino, una scelta sempre nuova, da rinnovare e rimotivare. Per questo, occorre riscoprire la nostra adesione a Cristo, se si vuole testimoniare l’originalità, il valore significativo e la singolarità della sua persona e della sua salvezza. Questo è il senso di questo numero monografico della rivista e la ricchezza dei diversi
contributi che si riferiscono a svariati ambiti di vita e luoghi di annuncio. Una prima verità è che non è sufficiente – anche se è importante e oggi attuale- la sola conoscenza intellettuale e interiore della persona di Cristo e della sua rivelazione.
Il mistero pasquale di Cristo, che illumina l’intera sua missione e dà senso e valore all’annuncio cristiano, e rivela il mistero di Cristo, vero Dio e vero Uomo, e il mistero dell’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirto Santo, deve interpellare, illuminare, trasfigurare e trasformare la storia personale, ma anche la cultura, gli ambiti di vita e le scelte dell’intera comunità cristiana e della stessa società. Risuonano le parole
rivolte a Filippo da alcuni Greci che erano saliti a Gerusalemme per il culto durante la festa della Pasqua: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. E Gesù risponde a Filippo e Andrea in modo articolato, ma conclude con alcune parole illuminanti: “… Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv. 12, 20-33). Non è una presentazione anche interessante che convince, ma una vita donata che stupisce e attrae. Questa è
la logica che la Chiesa e i cristiani devono continuare a mantenere: lo scandalo della Croce, il segno del Cristo Crocifisso e Risorto che salva il mondo. All’interno di questa prospettiva fondativa e irrinunciabile sono molteplici le possibili chiavi di lettura e gli aspetti che si possono privilegiare in un annuncio contestualizzato e significativo che ha come finalità la presentazione della persona e della missione di Gesù Cristo, rivolta soprattutto ai ragazzi e ai giovani di oggi e alle loro famiglie, soprattutto attraverso esperienze e testimonianze di vita che fanno toccare l’Amore di Dio e il Dono della Via nuova che trasfigura la vita del mondo. Per questo è necessario fare delle scelte, che procedano da una lettura di fede della situazione storica attuale e dalla mentalità culturale dominante in Europa e in Italia. La cultura è, infatti, la terra dalla quale veniamo, che ci nutre e ci alimenta, in modo cosciente o in modo inconsapevole ma sempre reale. Non tenerlo presente è un errore ingenuo che incide sull’annuncio di Cristo e lo rende meno attraente e significativo.
La dolorosa esperienza della pandemia, causata dal Covid-19, ha accentuato, anzitutto, un senso di smarrimento e di paura, la consapevolezza della fragilità e della precarietà umana che già la crisi socio-economica in precedenza aveva posto in evidenza privando le giovani generazioni della speranza nel futuro e nella possibilità della persona di poter gestire e costruire il domani, fondandosi sulle sole capacità imprenditoriali umane. La pandemia ha esteso nel campo sanitario ciò che già era presente in ambito socio-economico e anche affettivo e relazionale: il senso dell’incertezza, la precarietà elevata a sistema, la fluidità dei legami, personali, familiari, ecclesiali e sociali e la
paura della morte biologica, ma soprattutto civile e sociale. Con la pandemia questi aspetti hanno messo in evidenza il nostro essere creature, certamente libere e responsabili, ma anche fragili e incapaci di “darsi” la salvezza e la vita. Gesù è il Cristo, il Messia, il Salvatore e il Redentore. Alla domanda di Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14, 5-6). Sapersi affidare a Cristo, che è la Verità di Dio sull’uomo, è l’unica via che induce e conduce alla Vita piena e beata. Una seconda emergenza che la pandemia ha accentuato e fatto emergere in modo drammatico è quella dell’isolamento determinato dalla necessità di rispettare le norme di sicurezza per il bene personale e degli altri, soprattutto delle persone fragili e anziane, di rallentare le relazioni ed evitare la vicinanza e la frequentazione.
Se si vuole frenare la diffusione del virus ed evitare di infettare le persone che ci sono care e più vicine, è fondamentale rispettare alcune regole, anche di distanziamento, che limitano le libertà personali e civili. Questo ha ripresentato una verità, che di fatto la nostra società e cultura avevano dimenticato o in modo illusorio e ideologico rifiutato: non esiste la libertà assoluta, ma ogni forma di libertà è regolata dal bene e dalla verità, che è l’altro e che non limita la mia libertà, ma la rende possibile, umana e civile.
L’affermazione di una libertà assoluta distrugge la stessa convivenza civile ed ecclesiale e, in definitiva, la stessa persona. Per questo, in questo contesto, non possiamo che annunciare e valorizzare la verità essenziale della fede cristiana. Non siamo noi che ci diamo la libertà né siamo misura della libertà, ma è Cristo che ci rende liberi perché l’amore di Dio, la carità, anima, misura, regola e indirizza la libertà di ogni uomo. Gesù stesso si è lasciato limitare dall’Amore, ha dato la vita per Amore e in questo modo ci ha salvato, indicandoci la strada della vera liberazione da ciò che conduce alla schiavitù e alla morte: l’egoismo e la volontà di fare tutto per il proprio interesse slegati dagli altri e dal loro bene.
Cristo è il Salvatore e il Redentore, ha scelto di limitare nel dono di sé la propria vita per la salvezza e il bene degli altri, ci ha indicato che l’unica Verità che rende liberi e felici e che ci dà la Vita è l’Amore per-dono. La libertà è vera solo se è vissuta nell’Amore di Dio Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il proprio Figlio per noi” (Gv 3, 16), solo se si realizza nell’Amore del Figlio di Dio, fatto uomo, che “avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 13, 1), e solo nell’Amore dello Spirito Santo, che “ è stato riversato nei nostri cuori” come ci ricorda l’apostolo Paolo (Rm 8, 14-17), che dall’Amore del Crocifisso risorto presente nella Chiesa e nell’Amore dei cristiani che lo hanno accolto ha trovato la propria libertà e la propria felicità, nonostante le difficoltà, le incomprensioni, le persecuzioni e le catene. Contro l’individualismo, che ha falsificato il senso comunitario della fede e che la pandemia non ha che accentuato, Gesù Cristo con il dono dello Spirito Santo e nella partecipazione nel battesimo alla comunione divina, spinge i cristiani a realizzare loro stessi nel “noi” della Chiesa, nella fede condivisa e annunciata: uniti nell’Amore possiamo vivere la vera pace e costruire la vera comunione fraterna.

IL PECCATO COME PIT STOP PER UNA RI..PARTENZA ALLA GRANDE

*di Daniela Novi

La nostra vita è un percorso ad ostacoli, che prevede ritmi di marcia regolari, improvvise accelerazioni, battute d’arresto, partenze e ripartenze. Lungo il cammino si possono trovare aree di sosta salutari, dove riprendere forza e fiato e altre un po’meno, dove più alto è il rischio di restare impantanati o di tornare indietro, perché l’orizzonte si fa oscuro.
Durante il gran premio di Formula 1 mi ha sempre colpito l’arrivo della macchina da
corsa al PIT STOP: un team di meccanici esperti inizia una danza magica dal sincronismo perfetto, al fine di sostituire i pneumatici, rifornire il carburante, valutare il rendimento delle parti viaggianti o addirittura le condizioni di salute del pilota. Una frenetica e affascinante frazione di tempo che può decidere le sorti di una gara: è infatti durante la sosta ai box che può avvenire il sorpasso degli avversari.
Il vangelo dei discepoli di Emmaus (Lc, 24,13-35) è antesignano di uno dei PIT STOP
più efficaci ed efficienti della storia dell’uomo, ben oltre l’automobilismo di ottima qualità.
START. La bandierina della partenza si apre sui due discepoli in fuga da Gerusalemme, subito dopo la morte di Gesù… “Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus”. L’aria si fa pesante nella città che doveva accogliere l’incoronazione del Messia. I due amici vedono fallite le loro speranze e scappano, rompendo il patto di amicizia con Gesù, lui che non aveva saputo difendere se stesso e i suoi discepoli con
lui. Il peccato spesso non ha connotazioni oscure, non si manifesta con conseguenze devastanti, ma solo con una retrocessione, un cedimento dalle proprie posizioni, abbandonate ancor prima di essere verificate. Meglio, poi, se a credere nello stesso comportamento si è in due: la partenza dei discepoli non contempla la POLE POSITION, nel peccato spesso si viaggia in tandem. I due, però, vengono accostati in fuga
da un terzo incomodo, sotto le mentite spoglie di un compagno di viaggio: Gesù. Egli, però, non è una MONOPOSTO che SPANCIA, non si accosta facendo scintille, non fugge avanti, non taglia la strada, accompagna, si fa vicino: “Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro”. Come al solito l’uomo, quando è nel peccato o semplicemente in posizione di difesa, non si accorge del bene che gli viene incontro, “Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, e preferisce condividere con il prossimo l’amarezza che lo abita, come se il suo peccato fosse un male ingiustamente subito e l’altro, che vuole sapere, un colpevole ignorante: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Chissà se a questo punto del cammino, la strada si è fatta in salita oppure ai tre si è presentato davanti un tornante. Sta di fatto che “la fuga” rallenta, la macchina STACCA, e i due iniziano a raccontare tutto quello che è successo a Gerusalemme, quasi a giustificare il proprio dolore o, forse più verosimilmente, l’abbandono del fronte: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.”
Il verbo “sperare” coniugato al passato è il segno più grande della disillusione collettiva e della disperazione personale. Il peccato è dilagato nel loro cuore e nemmeno l’annuncio delle donne, che hanno trovato il sepolcro vuoto, nemmeno la conferma da parte degli uomini, corsi dopo le donne, li ha convinti: “Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Il passo deve essersi fatto lento, ma costante, come i giri di un motore, il ritmo del respiro e i battiti del cuore. Quando hai toccato il fondo di te stesso, della tua storia, l’unico rimedio per risalire in superficie è ricordarsi di quello che si è stati, della bellezza vissuta, dell’attimo in cui ti sei innamorato, di una serata allegra con gli amici, di un abbraccio che ti ha placato. Gesù fa fare memoria ai discepoli e rammenta loro le parole masticate insieme davanti al fuoco, intorno ad una mensa, parole che riecheggiano le narrazioni dei profeti e l’attesa dei padri: “… E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.” La macchina in fuga ha finito la benzina, i comandi non rispondono più alla spinta iniziale, le ragioni di un tempo hanno lasciato il posto alle sensazioni brucianti di ora, è necessario fermarsi: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino».

Il PIT STOP
sulla strada di Emmaus dura più del previsto, perché ha il sapore dell’intimità del riposo desiderato e del cibo che nutre. E sarà il ventre ad aprire loro gli occhi, vincendo le resistenze dello snobismo intellettuale dei due pellegrini disorientati e di tutti noi “malpensanti”. Gesù conosce i suoi uomini e i loro punti deboli, sa bene quale fianco lavorare: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. “Come sarebbe stato bello essere lì in quel momento e percepire la pazienza e la capacità di raccontare di Gesù, ma soprattutto il calore di quei cuori che ardevano, resi puri, giovani e vivi da una parola che salva. “Ma lui sparì dalla loro vista…” Gesù non è un sentimentale, non vuole che l’uomo sosti nell’incanto così come nel disincanto, per questo decide di sparire quando il nostro continuo bisogno di prove vuole trasformare la semplice fede in una dorata chimera. I due amici non hanno più bisogno di indugiare nelle seduzioni del peccato, nei bastioni delle loro paure, si sono sufficientemente ri…posati,
ovvero ri…posizionati nel loro cammino: ora sanno che bisogna rifare la strada per guardare al futuro: “E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro…” STOP AND GO è la penalità assegnata al pilota che ha commesso un’ infrazione al regolamento di gara e consiste nel fermarsi ai box per 10 secondi senza poter effettuare riparazione e rifornimento: un’ eternità. Solo con Dio lo STOP del peccato può diventare un’occasione preziosa per una ri…partenza alla grande, solo con Dio, sempre presente ai BOX di partenza e di arrivo, il tempo della lontananza e dell’arresto forzato si recupera con gli interessi, solo con Dio il cammino interrotto non perde mai la speranza dell’orizzonte e l’invito ad un oltre, che ti chiama per nome, che ti chiama per sempre: GO, GO, GO!

 

L’educazione è cosa di cuore

L’espressione “L’educazione è cosa di cuore” è sempre stata attribuita a don Bosco, prete torinese del 1800 che ha fatto dell’educazione un mezzo per attrarre i giovani all’oratorio per poi indicargli strade nuove in cui incamminarsi per il bene della società.

Non sappiamo dalle fonti in quale momento don Bosco avesse pronunciato questa frase, ma siamo certi che rimane una sintesi sapienziale sul suo stile educativo che punta direttamente al centro, arrivando al bersaglio della persona. Dovessimo citarla per esteso, la frase suonerebbe in questo modo: “Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi”.

Si inizia con un ricordo. La nostra bravura ad educare parte non dalla capacità di guardare avanti, fondamentale per chi sta con i giovani, ma dalla nostra capacità di ricordare. Due cose sono importanti quindi: ricordarci del cuore e di Dio.

Questi capi saldi, in campo educativo, manifestano tutta la loro lungimiranza se considerate insieme alle parole di Papa Francesco sul nostro tempo: “ Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. Questo nostro tempo richiede di vivere i problemi come sfide e non come ostacoli: il Signore è attivo e all’opera nel mondo.”

In questo “cambiamento di epoca”, il passo avanti è fare memoria, ossia ricordarci che non siamo soli in questa opera di evangelizzazione e che il Signore non vive nell’attesa di ricevere un cuore disponibile ma opera con noi stipulando un “patto educativo”,  meglio ancora un’alleanza educativa.

Potremmo dire quindi che l’educazione del cuore è un lavoro “a due”; il Signore ha le chiavi per accedere ai nostri giovani e a noi viene chiesto  il compito entusiasmante di apprendere l’arte da Lui, “ imparare a girare le chiavi nel cuore dei nostri giovani”. Questo è il primo suggerimento che fa da premessa alle nostre programmazioni, alle nostre intuizioni giovanili e alle tecniche di animazione.

Ora possiamo iniziare a parlare di “cuore”. Lo facciamo con le parole di Papa Francesco, che dice in merito: “Essere giovani, più che un’età è uno stato di cuore” (Esortazione Apostolica Cristus Vivit). Arriva a questa espressione spinto dalla Sacra Scrittura, in cui i giovani si presentano: sinceri come Gedeone, capaci di scoprire la forza del proprio cuore come Davide, audaci come Geremia e in grado di cambiare il proprio cuore come accade nella parabola del padre misericordioso, in cui il giovane figlio fa ritorno a casa del padre.  Il “cuore del giovane” continua Papa Francesco, “deve essere considerato terra sacra, portatore di semi di vita divina e davanti alla quale dobbiamo toglierci i saldali per poterci avvicinare ad approfondire il mistero”.

Il cuore giovanile presentato così da Papa Francesco, si presenta come un dono che richiede dei compiti specifici da eseguire. Possiamo quindi tracciare un cammino di accompagnamento del cuore dei giovani che prende le mosse da un passo del Vangelo di Luca: “L’incontro dei discepoli con Gesù mentre si incamminano verso Emmaus”.

Le tappe sono le seguenti. “Gesù in persona si avvicinò a loro” (Lc 24, 15b) l’importanza del silenzio per ascoltare il battito cardiaco del giovane;  “Disse loro: che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?” (Lc 24, 17) in riferimento al compito di capire “per cosa” batte il loro cuore;  “Alcuni dei nostri sono andati alla tomba …, ma lui non l’hanno visto” (Lc 24,24) l’importanza di “accordare il cuore con gli altri”; ed infine, “furono vicini al villaggio dove erano diretti” (Lc 24,28) la costanza di monitorare le frequenze del cuore dei giovani.

Ascoltare il battito cardiaco:  Il cuore va ascoltato. Il battito cardiaco va udito per capire in quale stato si trova. Ci sono giovani che viaggiano con ritmi accelerati distratti dalle molteplici attività usando il cuore come fosse una “pompa meccanica”. Entriamo nel tema del silenzio e non dell’ascolto anche se affini e collegabili. Potremo dire con decisione che l’educatore può imparare l’arte dell’ascolto solo se precedentemente ha appreso l’arte del silenzio. Il silenzio rende possibile l’ascolto. I giovani in tali circostanze posso essere vicini o lontani, bravi o cattivi, educati o scalmanati, il silenzio ci consente di comprendere da quale punto noi stiamo accanto agli altri e siamo pronti ad accoglierli senza pregiudizio. Potremo dire che mentre il silenzio ci illumina sul nostro modo di accostare i giovani, l’ascolto è il frutto di un silenzio maturo che orienta la vita vero ascolto del giovane.

Capire per cosa batte: Il cuore è stato plasmato affinché potesse battere per qualcuno e non per qualcosa. Per comprendere cosa vuol dire “recuperare” il battito cardiaco donando la giusta frequenza, possiamo usare due termini: eccesso ed eccedenza. La prima parola “eccesso”, è molto evocativa, richiama la nausea tipica dei giovani che si concentrano in un’esperienza, esaurendola e spegnendosi in essa completamente. E’ il caso di un cuore che batte per tutto ciò che lo illude: la droga, il successo facile, la ricerca estenuante delle scorciatoie. Questa strada spinge il giovane ad esperienze forti, purtroppo eccessivamente forti da essere classificate come disumane.

La seconda parola è evocativa per noi cristiani che siamo cercatori di esperienze forti contrassegnate dall’ “eccedenza”. Il termine eccedenza non si spiga con “l’eccesso” ma con “’abbondanza”. Il nostro cuore batte quando il flusso del sangue è abbondante e può spingersi verso esperienze che mettono a confronto con la vita e con la quotidianità, senza scorciatoie e mezze misure. La frase di Pier Giorgio Frassati “vivere e non vivacchiare” è molto più esaustiva di altre spiegazioni.

Accordare il cuore con gli altri: Emmaus è la storia di due discepoli visitati dal Signore, insieme, in cammino e verso una meta. Inoltre i discepoli erano parte di una comunità che tentava di ri-costruire l’annuncio del Risorto. Ogni giovane è portatore di un tassello dell’Annuncio del Signore Risorto. Qui la necessità di battere il cuore dei giovani all’unisono: insieme appunto. Ancora il Papa ci aiuta in questo tema: “molti giovani distratti, volano sulla superficie della vita, addormentati e incapaci di coltivare le relazioni profonde e di entrare nel cuore delle cose” (n°19 Chritus Vivit). Occorre far ricoprire ai giovani il gusto di nutrirsi di relazioni vere e sincere, propedeutiche all’incontro con il Signore della vita. Questa rotta di cammino ci viene suggerita direttamente da loro quando li cogliamo perennemente presi dai social e dai loro smart phone: inseguono così la vita dei compagni, le loro “storie”, si mostrano affamati di ogni segmento della vita degli altri. Proprio qui noi dovremo far scaturire l’annuncio del Vangelo, in continuità con la loro sete di umanità, potremo dire in continuità con la fame e sete di umanità che Gesù ha di noi.

L’ultimo punto fa emergere la nostra fede, la nostra “tenuta sulla strada di Emmaus”: la costanza di monitorare le frequenze del cuore dei giovani. La costanza per un animatore è determinante proprio perché i giovani si stanno affacciando alla vita e hanno bisogno di comprendere che essa è fatta di riferimenti. Approfondendo l’immagine del cuore e di Emmaus potremo dire: l’educatore deve continuare a far battere il cuore dei giovani senza fargli mancare il terreno sotto i suoi piedi. Solo una fede adulta può generare passi adulti nella fede. I ragazzi si sentono smarriti nel cammino se fanno del disorientamento il “leitmotiv” della loro vita: il costante disorientamento. Noi come educatori è chiesto di disattivare la “geoloaclizzazione” facile dei loro movimenti e optare per la prossimità nel quotidiano in possono avere le chiavi per poi leggere la prossimità di Gesù che nel Vangelo sembrava inseguire i poveri, i giovani e gli esclusi.

A conclusione di questo piccolo percorso possiamo rifarci ad una frase di San Francesco di Sales, che ha sempre seguito con passione l’umanità disseminata della sua diocesi che guidò con amorevolezza. “Conquistato il cuore dell’uomo conquistato tutto l’uomo”, in altri termini, conquistato  il “cuore dei giovani conquistato tutto il giovane”. A noi la grande sfida che parte oggi, chiedendoci “dove è il nostro cuore” e “per chi batte”, per poi andare sicuri verso i cuori dei più giovani dove Dio ci attende.

Don Stefano Casu

LE COSE DI CUI T’INNAMORI SONO FRUTTO DI UN’ESPERIENZA

di padre Francesco Gusmeroli*

Non è la stessa cosa parlare di carità o vederla all’opera, come non è la stessa cosa parlare del Vangelo o incontrarlo nella concretezza della
vita. Le cose più belle, quelle di cui ti innamori e appassioni, hanno sempre a che fare con un’esperienza vissuta in prima persona.
La Caritas diocesana da anni propone percorsi che possano avvicinare le nuove generazioni alle esperienze di carità della diocesi, offrendo
una formazione mirata, arricchita da esperienze concrete di servizio nei luoghi in cui questo viene svolto quotidianamente, allo scopo di
suscitare una trasformazione della mente, del cuore e delle mani nei giovani partecipanti.
I ragazzi sono invitati a partecipare a una serie di incontri che confluiscono poi nella visita a un’opera di carità, possibilmente facendo anche
servizio. Gli incontri seguono il metodo laboratoriale che prevede:

1. fase espressiva: partire dalla vita. La prima tappa consiste nel mettersi
in gioco, dando spazio alla vita dei ragazzi, alle sue esperienze, conoscenze e precomprensioni sul tema.
2. fase analitica: ascoltare una novità. È la fase dell’approfondimento tematico che parte dalle precomprensioni del gruppo per orientarle
o correggerle. È il momento di dar voce ai formatori.
3. fase riappropriativa: interiorizzare il messaggio. In questa fase, le conoscenze vengono collocate nel proprio bagaglio del sapere, i
nuovi criteri divengono stimoli a nuove idee, le esperienze vissute entrano a far parte del proprio modo di sentire e percepire.
Come ogni metodo, anche questo è legato ad una precisa idea di persona, di formazione e di Chiesa: la persona è vista come un essere in
divenire, ricco di esperienza, capace di elaborazione e di apprendimenti, portatore di doni.
La formazione è intesa quindi come una trasformazione che si innesta in ciò che ciascuno è per ridisegnare il suo modo stesso di percepire la
realtà. Colui che si forma è coinvolto attivamente nel processo di crescita.
All’interno del gruppo si sperimenta una Chiesa che è luogo di scambio delle ricchezze di ciascuno per la crescita di tutti. Nel rispetto
delle competenze e dei ruoli di ognuno, si instaura una collaborazione che rende protagonisti tutti.
Il percorso finora più richiesto è stato “Povero è chi non ama”, sviluppato in 2 incontri più la visita al Villaggio della Carità, prevede:
1. Fase espressiva: Riflettiamo con i ragazzi sulle povertà presenti nel nostro territorio a partire dal loro punto di vista, cercando di identificare quali siano le cause di tali povertà attraverso la realizzazione di un disegno che rappresenti l’albero delle povertà di oggi, con
l’indicazione delle cause della povertà alle radici e i frutti della povertà sui rami.
2. Fase analitica: Presentazione dei dati reali ricavati dal rapporto delle povertà e introduzione di quelle che sono le reali cause della povertà
nel nostro territorio. Spiegazione del Centro di Ascolto e dello stile della Caritas nell’intervento a favore dei più disagiati, i valori di
riferimento, la spiritualità.
3. Fase riappropriativa: con i ragazzi interveniamo sull’albero delle povertà, andando ad inserire atteggiamenti, proposte, idee, per rispondere con efficacia alle sfide della nostra società.
Al termine degli incontri, la visita al Villaggio della Carità rappresenta l’opportunità per vedere con i propri occhi, toccare con mano, attraverso l’incontro con gli operatori e i volontari, visitando gli uffici e scoprendo il cuore della Caritas, lì dove parte l’impulso che sostiene i numerosi servizi, più di 30 sul nostro territorio. Per poter fare bisogna prima imparare ad essere, questo il messaggio, questa la proposta per chi si avvicina a questa realtà, luogo di promozione, educazione e servizio.

 

Cristo non è mai virtuale

di don Gianfranco Calabrese*

Prima di ascendere al cielo Gesù risorto ha inviato in tutto il mondo i suoi discepoli, per annunciare il Vangelo e battezzare nella fede: «Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno”. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16, 19). Per questo motivo non si può che accogliere con atteggiamento positivo e propositivo lo sviluppo tecnologico e i new media che caratterizzano la società contemporanea e che hanno una grande ed incisiva influenza sulle nuove generazioni, al punto che alcuni sociologi hanno affermato che sono «nativi digitali». In effetti se si osservano con attenzione le abitudini delle nuove generazioni e degli adulti ormai influenzati dalle nuove tecnologie, non si può che confermare che l’uso e l’abuso dei nuovi media secondo le diverse forme hanno ormai modificato antropologicamente, culturalmente e praticamente il costume e le consuetudini personali, familiari, sociali ed anche ecclesiali. Non si può e non si deve demonizzare né condannare questo sviluppo, ma come in altre epoche storiche, anche in questa la chiesa è chiamata con sapienza e prudenza a servirsi dei social network per comunicare, annunciare e costruire ponti per un’efficace evangelizzazione, soprattutto degli adolescenti e dei giovani. Per raggiungere questo scopo occorre conoscere le nuove tecnologie, la loro influenza sull’uomo e sulla vita sociale ed ecclesiale, le potenzialità ed i limiti. Ma soprattutto è necessario conservare alcuni principi che nella storia bimillenaria della chiesa hanno permesso di annunciare il Vangelo e offrire la salvezza in Cristo con rispetto delle diverse epoche storiche e, al tempo stesso, in modo profetico e libero senza tradire il contenuto dell’evangelo e, al tempo stesso, trasmettendolo in modo vitale e significativo. D’altronde nella catechesi e nella pastorale per gli adolescenti e per i giovani insieme alle famiglie, l’accoglienza, l’uso e lo sviluppo delle nuove tecnologie di comunicazione e di dialogo non possono che permettere e favorire, in modo unico, originale e provvidenziale, la missione della chiesa di Cristo. La chiesa è cattolica sia in senso spazio- temporale sia intergenerazionale e culturale. La velocità dei collegamenti e dei contatti permette alla chiesa cattolica e ai cristiani di raggiungere tutti in modo comprensibile ed efficace per annunciare la salvezza in Cristo.

Per accogliere le nuove tecnologie e al tempo stesso non tradire l’originalità del Vangelo occorre riaffermare che il dono della salvezza deve essere sempre gratuito, rispettando la libertà dell’ascoltatore e la generosità dell’annunciatore. Inoltre non è possibile condurre al Vangelo di Gesù Cristo se lo si riduce ad una verità semplicemente virtuale, che non sollecita in chi annuncia e in chi riceve il coinvolgimento personale e vitale, la conversione e il discepolato. Non è sufficiente essere collegati e leggere le verità, in maniera puramente teorica, ma è necessario incontrare i testimoni, la loro vita trasformata e desiderare diventare, nel dono dello Spirito santo, testimoni ed icone della nuova ed eterna alleanza. In qualche modo l’illusoria neutralità e la falsa presunzione di non voler influenzare coloro che utilizzano i new media deve esser smascherata; è opportuno combattere la tentazione di volersi sostituire a Dio, creando nuovi linguaggi che si allontanano di fatto dall’annuncio e dall’ascolto autentico della Parola. Questa tentazione può essere arginata se non ci si lascia affascinare dai mezzi e dagli strumenti, ma si conserva l’intenzione di incontrare le persone “in carne ed ossa” e se si lascia il tempo per meditare, riflettere e rimodulare il messaggio senza esagerare nell’imporre il proprio contatto e la propria presenza. La rete è il nuovo ambiente simbolico della missione apostolica ed ecclesiale. I pastori, gli educatori, gli animatori sono invitati a rileggere la chiamata che il Signore Gesù ha rivolto sul lago di Galilea ai primi apostoli (cfr. Lc 5, 1-11) e a fidarsi del Signore e della sua Parola sulla quale si fonda ogni possibile cammino di conversione e di salvezza. Tutto può servire per incontrare il Risorto e i suoi testimoni viventi, ma è sempre necessario raggiungere l’uomo e il suo cuore nella concretezza della propria storia e del proprio vissuto. Per questo motivo le nuove tecnologie aiutano il cammino pastorale della chiesa, ma rendono sempre più urgente una formazione virtuosa e spirituale, per conservare la libertà, sconfiggere ogni forma di dipendenza e senso di onnipotenza ed intraprendere un vero e costante percorso di discepolato. Anche grazie ai new media e ai social network tutti i cristiani possono non solo incontrare il Vangelo, ma diventare annunciatori e messaggeri della buona novella del Regno di Dio.

La necessità di una pastorale integrale, armonica e aperta nell’educazione catechistica

Se la catechesi è un cammino d’iniziazione alla vita cristiana diventa importante non ridurre la stessa catechesi ad insegnamento dottrinale. La catechesi se è solo dottrinale, di fatto, finisce per manifestare una concezione ideologica della verità. Se si sottolinea la centralità solo dell’intelligenza e della conoscenza, si rischia di non dare il giusto peso all’esperienza e alla vita nell’educazione alla fede. Credere non è solo conoscere ma è anche applicare la verità alla vita concreta, personale, sociale ed ecclesiale. È un atto sapienziale: «il Verbo si fece carne». Allo stesso modo è una visione limitante ed illusoria considerare la catechesi un atto significativo ed efficace solo perché educa i credenti partendo dalla sola esperienza. Infatti, nella tradizione bimillenaria della Chiesa la dimensione conoscitiva come quella esperienziale sono aspetti essenziali e necessarie. La catechesi deve essere attenta alla persona umana nella su integralità ed armonia. È l’uomo, essere razionale ed aperto, bambino, ragazzo o giovane, il soggetto di ogni percorso catechistico l’uomo è un essere spirituale e carnale.

La sfida della catechesi, nel terzo millennio ed in occidente, è tentare di rispondere, in un contesto sociale e culturale secolarizzato, interreligioso, relativistico postmoderno, a tutte le domande e ai molteplici bisogni dell’uomo, secondo le diverse stagioni della vita e a partire dalle differenti esigenze individuali. Coloro che iniziano e continuano il percorso catechistico, di fatto sono chiamati a conoscere, sperimentare e condividere l’unica Verità, che è Cristo e in Cristo il mistero dell’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirito santo, per vivere nella libertà il dono dello Spirito santo come pienezza della propria della propria vita. Il Vangelo illumina l’intelligenza dell’uomo, la Parola di Dio risponde ai molteplici e profondi bisogni dell’uomo, la condivisione delle diverse esperienze e delle differenti conoscenze conducono nella fraternità universale a vivere la comunione tra i credenti e tra tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà. Per questo l’evangelizzazione illumina la conoscenza e spinge a trasformare secondo l’annuncio di salvezza del Vangelo la stessa vita umana. Ogni cristiano, come singolo e come comunità, è di fatto un messaggio di Dio. Tutti i credenti sono in Gesù Cristo per opera dello Spirito santo il messaggio di Dio al mondo di oggi. Questa è la santità. Questa è la ragione che giustifica la necessità di una sempre più profonda collaborazione e di una concreta relazione tra la catechesi, la pastorale parrocchiale e diocesana, e l’esperienza delle associazioni e dei movimenti nell’unica Chiesa di Cristo, nei diversi ambiti di vita dei ragazzi, dei giovani e delle loro famiglie.

Cercare di collegare gli itinerari catechistici con le attività delle associazioni e dei movimenti permette alla catechesi di formare i ragazzi ad una fede matura e concreta e a introdurli alla sapienza della Croce, all’Amore incarnato nella storia degli uomini. Solo in questo modo sarà possibile acquisire una mentalità di fede, elaborare atteggiamenti e comportamenti, opportuni ed idonei, sperimentare la potenzialità salvifica e liberante del messaggio evangelico e testimoniare la bellezza e la gioia dell’essere discepoli del Signore risorto nella vita quotidiana. Nelle parrocchie e nelle diocesi dove si realizza questa circolarità, provvidenziale e virtuosa, tra la catechesi parrocchiale, l’esperienza associativa e la vita liturgica e caritativa della Chiesa è possibile cogliere alcune interessanti prospettive. Anzitutto si verifica una continuità dopo la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana nel proprio cammino di formazione cristiana. Inoltre si constata una reale responsabilizzazione dei cresimandi alla stessa vita parrocchiale e diocesana. Coloro che sono educati all’interno della collaborazione tra i catechisti e gli educatori/formatori delle associazioni e dei movimenti a loro volta continuano con maggiore facilità il proprio percorso di formazione alla vita cristiana ed alcuni spesso scelgono di diventare formatori ed educatori nelle stesse associazioni e, in generale, nelle parrocchie e nei diversi ambienti di vita. Dove si realizza una maggiore collaborazione tra i catechisti e gli educatori/formatori dei differenti gruppi e associazioni, gli stessi genitori si lasciano con facilità coinvolgere e, in alcune occasioni, essi stessi diventano protagonisti e collaboratori nell’annuncio evangelico e catechistico. Per questo motivo diventa sempre più urgente, in un contesto culturale e sociale frammentato e secolarizzato, valorizzare la collaborazione tra le diverse agenzie educative e cercare di integrare i molteplici e differenziati percorsi catechistici all’interno di una reale pastorale integrata e armonica. Essa spinge, sollecita e valorizza la sinergia tra l’annuncio evangelico del regno di Dio, la celebrazione della salvezza cristiana e la testimonianza della salvezza in Cristo Gesù. La sfida della catechesi dei ragazzi e dei giovani nel terzo millennio è di cercare di creare un collegamento significativo tra le differenti esperienze di fede, la vita ecclesiale e sociale dei ragazzi e dei giovani e la relazione tra i credenti nella comunità cristiana, parrocchiale e diocesana.

 

Don Gianfranco Calabrese

Direttore dell’UCD di Genova, parroco e teologo

Educare al senso della storia per scoprire Dio che si rivela

1462210683_108502467_opt*di don Gianfranco Calabrese* La fede cristiana anima la vita quotidiana degli uomini La vita degli adolescenti è molto ricca di sollecitazioni e di occasioni, che però rischiano di rimanere eventi sporadici senza una continuità e una logica educativa, se non  vengono collocati all’interno di un progetto da realizzare. Alcune volte il sensazionalismo e le esperienze singolari possono accentuare la ricerca spasmodica di momenti forti, che però incidono sulle emozioni e che lasciano gli adolescenti non solo spaesati, ma li collocano in un contesto “fluido”, senza alcuna continuità educativa e progettuale. Bisogna stare attenti a non trasmettere una visione distorta della realtà, che è impastata di storia, di quotidianità e di ordinarietà. Educare gli adolescenti a vivere la quotidianità in modo straordinario significa

aiutarli a scoprire che in ogni atto e in ogni scelta c’è la possibilità di vivere nell’Amore, dono di Dio, nell’obbedienza della fede, come discepoli del Signore, e nella vocazione dell’essere figli di Dio e fratelli in Cristo. Questo è il
disegno di Dio che si è manifestato in pienezza nella vita di Gesù Cristo e che è custodito dalla chiesa come un perla preziosa e come un tesoro nascosto: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità, predestinadoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà»
(Ef. 1, 3-6). Un animatore che aiuta un adolescente a scoprire la propria vocazione all’interno di un progetto concreto e quotidiano, come quello che si è manifestato in Gesù Cristo, è sorgente di benedizione e di pace.
Per questo la storia per i cristiani è un insieme di eventi alcune volte straordinari, ma più spesso normali , come l’aria che si respira, come l’acqua che disseta e come i minuti che formano le ore e i giorni, ma che sono elementi che compongono il meraviglioso quadro della vita e della storia umana. Dio ci rivela il suo disegno di salvezza
childs-faith-christian_optUn ulteriore rischio che caratterizza la cultura liquida e frammentata contemporanea, che deve essere tenuto presente da un animatore attento e prudente, è la riduzione del tutto all’attimo: le esperienze religiose, umane,
sociali, culturali, diventano momenti rapidi e passaggi veloci, che sono intensi ma precari, senza alcuna progettualità condivisa e comunitaria. Un bravo animatore del gruppo deve tentare di far percepire ai giovani che per vivere la beatitudine e la vita nell’Amore è fondamentale riscoprire la chiamata di Dio. Il tempo senza progetto è insignificante e senza senso, ma soprattutto è povero e vuoto. Le esperienze “fast food” e le relazioni “usa e getta” non aiutano a crescere nella pazienza e nella costanza.

È essenziale aiutare i ragazzi a desiderare “mete alte”, a voler assimilare valori fondamentali, ma soprattutto ad impostare la propria esistenza all’interno di un disegno di salvezza. Cristo è la nostra salvezza. Egli è il progetto che si trova nella rivelazione e nell’annuncio della Chiesa. L’ascolto della Parola di Dio e la condivisione della comune vocazione cristiana sono il luogo dove è possibile conoscere il disegno di Dio e comprendere il mondo, se stessi e gli altri. Sognare con Dio la propria vita. Occorre creare e far scoprire momenti che possano aiutare i giovani a formarsi nel profondo e in modo permanente alla luce del disegno di Dio, per superare il rischio dell’immediatezza senza futuro e per animare la quotidianità. Sognare con Dio rende capaci di lottare per Dio, ma soprattutto di combattere per il bene, per il bello e per il vero, in nome della propria dignità e della propria vocazione. Il tempo è un dono di Dio. In Cristo se ne disvela il valore e il senso. Il tempo nella prospettiva cristiana non è un semplice scorrere anonimo di attimi, ma è l’espressione di ciò che si è e di ciò che si desidera essere, della chiamata di Dio e della risposta dell’uomo. Per questo la preoccupazione fondamentale degli animatori non deve riguardare semplicemente la programmazione e l’organizzazione delle attività, ma la condivisione del disegno comune, del modo di concepire l’uomo, la famiglia, la chiesa e la società.

IL TEMPO E’ UN DONO
Viviamo in un’epoca dove tutto è ridotto all’attimo: la vita, le esperienze, i rapporti umani, la cultura…tutto diventa un passaggio veloce e precario, per questo l’animatore ha il compito di riportare nella vita dei ragazzi la bellezza del tempo, del futuro, dei progetti. Deve necessariamente aiutare questi ragazzi a proporsi mete “alte”, a riempire il loro tempo di cose belle, buone, che riempiono l’esistenza e fanno parte di un disegno completo, che Dio ha su ognuno di loro. Scoprire la propria vocazione è riappropriarsi di se stessi; è maturare come cristiani e come uomini e donne; è vivere felici.

Come educare i giovani alla conversione e alla libertà

Il peccato spezza la comunione tra Dio e l’uomo
Il peccato spezza la comunione tra Dio e l’uomo

*di don Gianfranco Calabrese*
Non aver paura di riconoscere il proprio peccato: educare al perdono nell’incontro con Cristo
L’incontro con il Signore Gesù non conduce i credenti a vivere semplicemente in modo giusto, onesto e solidale la quotidianità, ma li trasforma, rendendoli figli di Dio nel battesimo e li spinge ad assumere e fare propri gli stessi sentimenti di Cristo: «Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, divenendo simile agli uomini» (Fil. 2,6-7). Per questo il peccato non si riduce ad un semplice senso di colpa, ma riguarda il rapporto di amicizia e di alleanza con Dio: il seguire Cristo e il diventare, per il dono dello Spirito Santo, come il Figlio di Dio fatto uomo. Il peccato, invece, allontana gli uomini da Dio e dalla sua volontà, nella presunzione di trovare nella propria auto-realizzazione e nella propria volontà la piena e completa felicità. Il peccato spezza la comunione e l’amicizia tra Dio e l’uomo. In questo senso la conversione non nasce dalla percezione di un sentimento di delusione verso se stessi perchè non si è stati capaci di mantenere gli impegni che ci si era assunti, ma è frutto di un rifiuto di una proposta di amore e di comunione con Dio: l’unica via che può rendere gli uomini capaci di vivere la gioia, la pace e la beatititudine «in pienezza». Il peccato, come si può cogliere nei primi capitoli del libro della Genesi, è un rifiuto. Esso è un atto di orgoglio e di superbia. È frutto di una caduta e di una tentazione demoniaca: credere e pensare che Dio non è alleato ma nemico e padrone dell’uomo e dell’umanità.

La morte di Cristo sulla croce ha ristabilito la verità su Dio e sull’uomo. Gesù con la sua parola e con la sua vita ha rivelato a tutti gli uomini il mistero di Dio: Dio è Amore e non lo si deve pensare contro l’uomo ma per l’uomo. Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva. Gesù Cristo con la forza dello Spirito Santo può guidare i giovani nel loro cammino di liberazione dalle false immagini religiose e condurli alla piena comunione con il Padre e alla fraternità universale. In questo senso le regole, le norme e i comandamenti non sono legami per tenere gli uomini schiavi della divinità, ma strade per essere e vivere in amicizia, per partecipare alla vita divina di amore e di comunione. Questa divinizzazione è un dono gratuito di Dio. Non è una presuntuosa e titanica rapina fatta dagli uomini ma un incontro e un’alleanza con il Padre in Cristo Gesù per opera dello Spirito Santo. Il credente, in questo modo, potrà scoprire che la realizzazione piena non è nello scontro e nella disobbedienza, ma nell’alleanza con Dio, gioia eterna e definitiva. Per questo occorre educare al vero volto di Dio. Egli è il Misericordioso che perdona. È necessario formare i giovani al senso del peccato e guidarli al valore della conversione. La conversione non nasce dalla paura, ma dal desiderio di ritornare alla casa del Padre come ci racconta la parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32). Non bisogna avere paura di riconoscere il proprio peccato, perchè alla fine della conversione c’è la libertà e la comunione con il Padre e con i fratelli.

LA SALVEZZA? UN DONO! Convertirsi è sempre possibile e gli animatori devono ricordarlo continuamente ai ragazzi. La conversione serve ad essere felici oggi, ora, non a morire in pace. La salvezza è un dono che permette di realizzarsi in questa vita. L’esperienza del perdono offre già un’opportunità per capire il concetto di salvezza. Tutti gli uomini possono sperimentarla: è l’abbraccio misericordioso del Padre.
LA SALVEZZA? UN DONO!
Convertirsi è sempre possibile e gli animatori devono ricordarlo continuamente ai ragazzi.
La conversione serve ad essere felici oggi, ora, non a morire in pace. La salvezza è un dono che permette di realizzarsi in questa vita.
L’esperienza del perdono offre già un’opportunità per capire il concetto di salvezza.
Tutti gli uomini possono sperimentarla: è l’abbraccio misericordioso del Padre.

La conversione come dono e come realizzazione della comunione con Dio e con i fratelli

L’animatore del gruppo giovani deve sentire la responsabilità di aiutare i propri ragazzi ad abbandonare le loro schiavitù e a ritrovare la strada del ritorno alla casa del Padre. Per realizzare questo percorso di conversione occorre rinnovare la mente e il cuore secondo gli insegnamenti del Vangelo e la volontà di Dio. La conversione è possibile in ogni momento, anche nella situazione culturale giovanile attuale, che è frammentaria, fluida, frenetica, lontana e indifferente agli insegnamenti cristiani. La prospettiva consumistica, tecnocratica e secolare non facilita il servizio degli animatori della pastorale giovanile, perchè i giovani sono così immersi, in modo incosapevole e inconscio, nel mondo che non si rendono conto della perdita della libertà e della verità. Le sirene mondane della pubblicità e del conformismo dilagante inibiscono e drogano la capacità critica e la volontà dei giovani e dello stesso mondo degli adulti, Non ci si rende conto della forza del denaro, del potere e del possedere. Solo un’attenta e vigile capacità critica, una fede radicata nella pazienza e nell’amore di Cristo, la forza del Vangelo e della grazia possono contribuire ad aprire gli occhi dei giovani alla Verità, a Cristo, e aiutarli a cogliere l’importanza della conversione, del rinnovamento interiore, della testimonianza di vita secondo gli insegnamenti del Vangelo. Se non ci si converte, si rischia non solo d’indurire il proprio cuore e di diventare ciechi davanti alle difficoltà e alle povertà dei fratelli, ma anche di non riuscire a capire e scegliere la via giusta e vera per realizzare la propria vita. La conversione non è per la morte e la mortificazione, ma per la vita e la felicità. La presunzione e la superbia non aiutano la crescita della persona e giustificano le false sicurezze. La casa costruita sulla roccia pone le proprie fondamenta sulla conversione e sul perdono, sulla fedeltà e sulla misericordia di Dio, sulla fragilità umana e sul perdono di Dio. Non sulla solitudine dell’egoismo, ma sulla compagnia e sulla forza della carità.

8149-creazione-di-adam_optL’esperienza del perdono e l’abbraccio della misericordia

Nella pastorale giovanile si devono tener sempre presenti alcune dimensioni fondamentali, che caratterizzano ogni uomo, la fragilità, la dimensione creaturale e la realtà del peccato. Per questo non ci si deve scoraggiare quando i govani rifiutano la proposta evangelica e la sequela del Signore. L’esperienza del peccato, infatti, non è legata ad una particolare età né ad una specifica situazione. Tutti gli uomini in ogni momento della propria vita possono sperimentare la propria fragilità e peccare. Per questo è necessario che il cuore di ogni uomo, in ogni tempo e in ogni luogo, possa sperimentare l’abbraccio misericordioso del Padre che è nei cieli. Gli animatori devono stare attenti a non trasmettere un’idea sbagliata di Dio e della stessa fede cristiana. Gesù Cristo ci ha rivelato il volto misericordioso del Padre, che perdona e accoglie sempre, che responsabilizza e chiama in modo gratuito alla verità e alla libertà della fede. L’annuncio e la chiamata del Signore non si rivolge ai giusti, ma ai peccatori. La salvezza non è un premio per una vita buona, ma è un dono che permette di realizzarsi in una vita buona, bella e vera.

Educare al silenzio: la forza dell’amore

20150109_134756_fmt*di don Gianfranco Calabrese* Il silenzio nasce da un cuore che ama e pensa
L’amore non è un semplice sentimento, né un’emozione istintiva, ma un atto libero e volontario. È un atto responsabile che ha radici profonde: la volontà e l’intelligenza. L’amore umano profuma di libertà. Nessuno può essere obbligato o costretto ad amare. Non è sufficiente legare l’amore ai sentimenti e alle sensazioni che si possono provare nei riguardi di un persona. La volontà non si identifica sempre con il sentimento, con la passione o con l’istinto, ma trova la propria ragione nell’intelligenza e nel pensiero umano. Sono le motivazioni della mente e le ragioni del cuore, che confortano la volontà, illuminano il cammino della libertà e permettono di vivere relazioni e rapporti che fanno crescere e maturare ciascuna persona.

love_fmtPer vivere la forza dell’amore è necessario, dunque, educare i giovani a comprendere se stessi e gli altri, a pensare e ragionare con calma, a scegliere senza impulsività, non nella logica del tutto e subito. Il cuore, fonte dell’amore, si rinforza amando in modo intelligente e libero. Per raggiungere questa meta diventa fondamentale educare i giovani al silenzio e al raccoglimento. Risuonano sempre profonde ed attuali le riflessioni di S. Anselmo d’Aosta nel suo libro Proslogion: «Esortazione della mente a contemplare Dio».
Rivolgendosi all’uomo che cerca Dio, egli afferma che il desiderio dell’amore e l’intelligenza della fede non possono essere separate, ma devono essere unite. Il silenzio dell’accoglienza dell’altro si rivela e si manifesta nella libertà e nella gratuità dell’amore e conduce chi cerca ad incontrare colui che si cerca, Dio o l’altro: «Insegnami a cercarti, e mostrati a me che ti cerco. Io non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti, che ti desideri cercandoti, che ti trovi amandoti, e che ti ami trovandoti». É un meraviglioso cammino che deve essere proposto ai giovani. Il silenzio in una società del rumore, la forza dell’amore in un mondo nel quale dominano i sentimenti deboli, la bellezza di relazioni stabili contro la paura verso tutto quello che è impegnativo e costante, sono le sfide di una seria pastorale giovanile. Per scoprire le ragioni dell’amore è fondamentale scavare dentro di sé, nella ricerca faticosa del tesoro nascosto e della perla preziosa.
fields_of_glory_by_hel_fmtNon avere paura della verità
Il silenzio non è semplicemente un modo utile per spogliarsi delle tante preoccupazioni che affollano la nostra mente, per liberarsi dalle diverse occupazioni che impediscono di pensare o di entrare in noi stessi. Il silenzio ci permette di capire ciò che ci può rendere veramente felici. I veri valori non passano e non sono mai superficiali, ma profondi e richiedono un’attenzione che solo il silenzio interiore può far scoprire. Quando un velocista deve affrontare una gara, trova sempre un po’ di tempo per raccogliersi nel silenzio e concentrarsi. Il silenzio è la porta per entrare nella verità di sé e per cogliere la verità degli altri. Se non si riesce a fare silenzio si rischia di lasciarsi affascinare da ciò che è apparenza e che ci conduce lontano dalla verità. Non bisogna avere paura del silenzio. L’abbondanza delle parole e la frenesia delle azioni, di fatto nascondono la paura della verità. Parlare tanto non significa dire cose importanti o comunicare valori o idee essenziali per la vita. Spesso l’incapacità di fare silenzio copre una debolezza dell’animo umano, nasconde le false sicurezze spacciate per verità assolute. L’animatore che cerca di educare i giovani al silenzio e al raccoglimento, li prepara non solo a scoprire le verità che albergano nell’intimo del loro cuore, ma anche i valori che sono la roccia sulla quale è possibile costruire la loro casa. Dal silenzio nasce il dialogo, si supera il rischio del monologo e dell’isolamento. Nel silenzio il gruppo dei giovani si consolida nella verità delle relazioni e si rafforza nonostante le differenze e le difficoltà. Se si cerca la verità e non si ha paura dei propri errori e dei propri limiti, se si vuole crescere nel bene e si è disponibili a cambiare, allora non si ha paura del silenzio, anzi lo si cerca come l’acqua nel deserto.

L’incontro... La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio. L’incontro avviene nella vita quotidiana, nella dolcezza dei sorrisi e dei volti che incrociamo: la vita spirituale degli animatori nasce ogni giorno, semplicemente scoprendo quello che abbiamo intorno.  
L’incontro…
La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio.
L’incontro avviene nella vita quotidiana, nella dolcezza dei sorrisi e dei volti che incrociamo: la vita spirituale degli animatori nasce ogni giorno, semplicemente scoprendo quello che abbiamo intorno.

Il silenzio e l’incontro con Dio: la tenerezza dell’amore
Nell’antico testamento il racconto dell’incontro tra Dio e il profeta Elia è fondamentale per comprendere il valore del silenzio, per educare dei giovani alla preghiera e all’incontro con Dio: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spazzare le rocce danati al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna» (1 Re19,11-13). In questa narrazione c’è tutta la potenza dell’amore di Dio che si rende presente nella brezza leggera e che chiede agli uomini l’ascolto, attento e vigilante. La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio. Per questo motivo si può affermare che l’incontro con Dio può avvenire nel silenzio e nella tenerezza dell’amore. Si manifesta nelle vicende quotidiane della vita e nella dolcezza dei sorrisi e dei volti di coloro che si lasciano abbracciare dall’amore di Dio e dalla forza dello Spirito Santo. La vita spirituale degli animatori della pastorale giovanile e degli stessi giovani cresce e matura se, nel silenzio e nella preghiera, si riesce a cogliere la presenza del Signore non nel clamore degli eventi, ma nella semplicità degli incontri. L’animatore, prima di sviluppare le capacità e le doti proprie di un bravo comunicatore, deve lasciarsi plasmare dal silenzio, dal raccoglimento e dalla tenerezza dell’amore di Dio. In questo modo, egli sarà capace di introdurre i giovani nell’esperienza contemplativa del silenzio, nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nell’incontro sacramentale e nella celebrazione della liturgia eucaristica.