INTERNET: TROVI TUTTO È LA NUOVA BIBLIOTECA DI ALESSANDRIA?

*di Luigi Cioni

Nel giugno del 2002 le agenzie hanno battuto una notizia importante e destinata ad eccitare la nostra curiosità: “riapre la Biblioteca di Alessandria”. Dai nostri studi tut-ti conosciamo questo faro di cultura per il mondo antico, fino alla sua distruzione, perenne rammarico per tutti gli intellettuali e sapienti di allora e di oggi. Eppure nel 2002 questo annuncio non ha suscitato solo sorpresa e gioia, ma anche grandi perplessità: “Ma, oggi, a che serve? Abbiamo internet e lì troviamo tutto! Le enciclopedie che abbiamo in casa stanno diventando inutili, tra poco troveremo libri da leggere in digitale, gratis, notizie da tutto il mondo, comunicazioni non finire e informazioni in diretta, come non ne abbiamo mai avute.” Ed in effetti appena l’anno successivo la storia sembrò dare ragione a chi intravedeva un futuro luminoso: la nascita dell’ADSL ed il Web 2.0; Da quel momento noi tutti immettiamo quotidianamente in rete, noti-zie, foto, post, informazioni. Ma lentamente ci siamo resi conto che la nostra privacy viene violata, che i nostri figli corrono rischi ogni volta che guardano lo smartphone, che veniamo subissati continuamente di informazioni non richieste e pubblicità che rivelano una attenzione non alla nostra identità, ma al nostro essere solo, ancora una volta, consumatori.

No, internet non è esattamente una biblioteca! E nemmeno una fonte neutra di dati, come nemmeno un biblioteca lo è, nemmeno la Biblioteca di Alessandria che ambisce ad essere universale. Ma come? Internet è senza censure, è la democrazia assoluta, è la voce della gente, che può parlare senza costrizioni! Certamente! Ma siamo proprio certi che questo sia un bene?

Lungi da me l’idea di una censura e certamente lungi da me l’idea di voler porre la rete sul banco degli imputati. Chi come me, ha già diverse primavere sulle spalle, sa bene quanta fatica ha fatto per reperire materiale di studio all’università, quante ricerche per trovare i testi delle canzoni che voleva cantare, quanti soldi ha speso per vedere i film che la critica consigliava, e avrebbe benedetto (e benedice ancora oggi)
un mondo in cui tutto questo risulta essere a disposizione di tutti. Eppure devo esprimere delle riserve: quando leggo un libro so che quello che l’autore ha scritto passa attraverso una serie di revisioni, di letture competenti, di domande e risposte che il direttore editoriale rivolge all’autore, per essere sicuro che ciò che si troverà poi nelle pagine abbia un valore indubitabile, tale da affidare al testo il buon nome della casa editrice.
Quando leggo una rivista o un giornale, so che l’autore ha svolto inchieste e ricerche prima di stendere una sua opinione sui fatti, verificando le sue fonti e mettendo in gioco la sua credibilità personale, di fronte ad una platea di lettori. Ma chi scrive su internet chi è? Come è arrivato a mettere a portata di scroll le sue informazioni e le sue opinioni? Perché dovrei fidarmi di lui? Eppure, basta leggere un post su Facebook che le mie dita corrono a commentare; basta una news su Google perché io cominci a inveire contro tutti i responsabili di nefandezze varie o di presunte ingiustizie di cui, fino a quel momento, non avevo mai sentito parlare. E allora (senza arrivare agli estremi del bullismo digitale, delle offese gratuite, delle minacce a commento di post discutibili, cioè di cui si potrebbe discutere, senza offendere nessuno), ci troviamo alle fake news continue, alle foto ritoccate per un like in più, a titoloni altisonanti che annunciano eventi di cui poi non si parlerà minimamente
nel testo sotteso, ecc.
La deriva di questo comportamento è certamente quell’analfabetismo che non è più digitale, ma funzionale, di coloro che non sono più capaci di leggere oltre il titolo, che non riescono a distinguere il vero dal falso, che non riescono più a vedere la differenza tra opinione e la realtà oggettiva. Ed è così che dalla Biblioteca di Alessandra, dal grande faro di cultura, in cui mai mi immetterei senza una guida, siamo arrivati a parlare della spazzatura, del trash, non più solo digitale, ma spirituale, dell’immondizia che riempie le nostre giornate e le nostre anime, della acredine che viene suscitata ogni giorno da ciò che, anche distrattamente, leggiamo sui nostri schermi e che rende la nostra vita abbrutita e insoddisfatta. Ancora una volta la soluzione è una sola, né demonizzare né subire con passività, né proibire né rinunciare al controllo, né esaltare né vivere fuori dal proprio tempo. “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”! Quante volte questa massima ci porta fuori delle angosce di un apparentemente insolubile dilemma. Solo insieme ad altri possiamo intravedere oltre i nostri limiti, solo mettendoci in una posizione attiva, di controllo e di critica, di dialogo e ricerca, insieme e non da soli con il nostro schermo o il nostro pensare che spesso mai abbiamo confrontato con qualcuno, possiamo crescere e “sapere”. Mi verrebbe da dire, quando oltre agli schermi, riusciamo anche a guardare nel volto di chi ci sta vicino e scoprire che nella sua alterità c’è un qualcosa che io non sarò mai.
Per me, quindi, una benedizione.