Educare significa donarsi come lui si donò

“Sullo stile di Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo chiederci se e fino a che punto il nostro impegno al servizio dell’educazione sia fatto di compagnia, memoria e profezia. O si è capaci di generare testimoni liberi e convinti di ciò per cui vivono o si fallisce lo scopo. Chi educa non crea dipendenze ma suscita cammini di vita in cui costruire nella luce che sola illumina il cuore.”[1] Una sfida al processo educativo viene dalla penuria di speranze in grande che sembra caratterizzare la cultura post-moderna: tramontato il sole dell’ideologia, il futuro non appare più certo e affidabile, come volevano rappresentarlo i ‘méga-recits’ ideologici delle più diverse matrici. Uscire dal buio degli orizzonti verso cui andare è sfida decisiva, tanto per l’esistenza personale, quanto per l’impresa collettiva. Su questo punto il racconto di Emmaus svela ricchezze sorprendenti: Gesù schiude ai due discepoli un nuovo futuro, aprendo il loro cuore a una speranza affidabile; egli accende la profezia, contagiando il coraggio e la gioia. È scopo dell’educazione schiudere orizzonti, raccogliere le sfide e accendere la passione per la causa di Dio tra gli uomini, che è la causa della verità, della giustizia e dell’amore. Chi educa non deve pretendere di dominare l’altro, ma deve aspirare a liberarlo per la sua libertà più vera. Gesù procede così: si fa vicino, spiega le Scritture, alimenta il desiderio, si fa riconoscere e offre ai due l’annuncio di sé, della sua vittoria sulla morte, rendendoli liberi dalla paura e provocandoli alla libertà della missione: «Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro… E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (vv. 15 e 27). «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista» (vv. 30-31). Si accende nei cuori dei due una ‘grande gioia’ (v. 41). È da questa gioia che scaturisce l’urgenza di partire subito per portare agli altri la buona novella di cui sono ormai testimoni: «E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone» (vv. 33-34). L’incontro vissuto esige di essere testimoniato: non puoi fermarti a ciò che hai avuto in dono. Devi a tua volta donarlo, camminando sulle tue gambe e facendo le scelte della tua libertà. L’educazione o genera testimoni liberi e convinti di ciò per cui vivono, o fallisce il suo scopo. Chi educa non deve creare dipendenze, ma suscitare cammini di vita, in cui ciascuno giochi la propria avventura al servizio della luce che gli ha illuminato il cuore. «Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane » (v. 35). L’educazione ha raggiunto il suo fine quando chi l’ha ricevuta è capace di irradiare il dono che lo ha raggiunto e cambiato: «Ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento della storia – affermava – sono uomini che, attraverso una fede illuminata, rendano Dio credibile in questo mondo… Uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando di lì la vera umanità, uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore… Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini».[2]

Educare, insomma, non è clonare, ma accogliere la vita col dono della vita, suscitando i cammini di libertà di un’esistenza significativa e piena, spesa al servizio della verità che sola rende e renderà liberi. L’educatore o è testimone di una speranza affidabile, contagiosa di verità e trasformante nell’amore o non è. L’icona biblica di Emmaus ci consente così una descrizione dell’azione educativa: educare è accompagnare l’altro dalla tristezza del non senso alla gioia della vita piena di significato, introducendolo nel tesoro del proprio cuore e del cuore della Chiesa, rendendolo partecipe di esso per la forza diffusiva dell’amore. Chi vuol essere educatore deve poter ripetere con l’apostolo Paolo queste parole, che sono un autentico progetto educativo: «Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia» (2 Corinzi 1, 24). Sullo stile educativo di Gesù, quale emerge dal suo rapporto con i discepoli di Emmaus, dobbiamo esaminarci tutti, chiedendoci se e fino a che punto il nostro impegno al servizio dell’educazione sia fatto analogamente di compagnia, memoria e profezia. Questo vale tanto per la quotidiana comunicazione vitale fra le generazioni, quanto per l’impegno educativo, quanto per l’azione pastorale della Chiesa e il servizio alla causa dell’evangelizzazione. Dio, che ha educato il suo popolo nella storia della salvezza, continua a educarci e a educare: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Giovanni 14, 26). Non rinunciamo dunque a raccogliere la sfida educativa, qualunque sia il livello di responsabilità che ci è dato di vivere. E confidiamo nel divino Maestro. A Lui vorrei rivolgermi in conclusione, dicendogli con semplicità e fiducia a nome di tutti coloro che vogliano accettare e vivere la sfida educativa: Signore Gesù, ti sei fatto compagno di strada dei discepoli dal cuore triste, incamminati dalla città di Dio verso il buio della sera. Hai fatto ardere il loro cuore, aprendolo alla realtà totale del Tuo mistero. Hai accettato di fermarti con loro alla locanda, per spezzare il pane alla loro tavola e permettere ai loro occhi di aprirsi e di riconoscerti. Poi sei scomparso, perché essi – toccati ormai da te andassero per le vie del mondo a portare a tutti l’annuncio liberante della gioia che avevi loro dato. Concedi anche a noi di riconoscerti presente al nostro fianco, viandante con noi sui nostri cammini. Illuminaci e donaci di illuminare a nostra volta gli altri, a cominciare da quelli che specialmente ci affidi, per farci anche noi compagni della loro strada, come tu hai fatto con noi, per far memoria con loro delle meraviglie della salvezza e far ardere il loro cuore, come tu hai fatto ardere il nostro, per seguirti nella libertà e nella gioia e portare a tutti l’annuncio della tua bellezza, col dono del tuo amore che vince e vincerà la morte.

 

 

[1] BRUNO FORTE, Avvenire del 6 settembre 2018

[2] Il Card. Ratzinger pochi giorni prima della sua elezione a successore di Pietro, parlando a Subiaco il 1 Aprile 2005