*di Luigi Cioni*
Riprendiamo da dove ci eravamo lasciati.
Una relazione si compone di molte realtà, di una infinità di piccoli gesti. In ognuno di essi possiamo realizzare il nostro dovere, la nostra eduzione tradizionale, la nostra cortesia formale.
“Ciao. Come stai?” “Bene e tu?”
Oppure possiamo inserire in tutto questo una intenzionalità diversa; possiamo cercare di rendere ogni gesto significativo, cioè “pieno di significato”.
Tutti sappiamo di cosa sto parlando; tutti abbiamo fatto esperienza di un piccolo evento apparentemente insignificante, ma che assunto senso e importanza nella nostra vita, l’emergere di un significato, di una volontà, di un inaspettato che ci sorprende, ci fa nascere dentro gioia e felicità.
Questo accade quando, in una relazione, esiste quella dimensione che non è solo sentimento, né solo intellettualità o ricerca, che generalmente si chiama “cura”.
Cura nel senso di “prendersi cura”, “avere a cuore”, “interessarsi”. In una parola un “I care” di Don Milani applicato alle persone e, come lui certamente intendeva, in senso forte, fortissimo.
Abbiamo già cercato di meditare insieme su questo, a proposito del dono; oggi mi piacerebbe vedere quanto questo sia vero anche in una piccolissima nostra comune esperienza: quella del saluto.
Non è un caso che, traducendo letteralmente i saluti delle varie lingue, troviamo significati veramente importanti: pace a te; stai bene; rinforzati; che tu possa risanarti; che tu possa essere salvo….
Il saluto poi è anche risposta a chi, a sua volta, ti ha salutato e ti è venuto incontro, chi ti ha cercato e chiamato; manifesta quindi non solo la relazione, ma anche la disponibilità a rinnovare la relazione stessa.
Ancora una volta: “Eccomi! Ci sono!”
Ed è sempre stato così. Basta leggere i racconti dei patriarchi, fino a Mosè: la risposta di questi grandi uomini, che la Sacra Scrittura ci riporta come esempi, è sempre la stessa: “Hinneni” Ecco me” eccomi!”
Sono qui! Ti ascolto! Non aspettavo altro che essere interpellato e ricevere la tua parola, la tua chiamata, il tuo saluto.
Sapere che sono stato importante per te, che mi hai cercato e rispondere per farti sapere che, senza questo tuo saluto, mi sarei sentito solo e incapace.
Sono qui! Non sono granchè, ma tutto quello che ho lo metto a disposizione di questo nostro incontro.
Non so se tutto questo avrà un futuro. Spero di sì, ma non lo so. Adesso però in questo preciso momento fai pure conto su di me: io ci sono! Sono pronto!
In una vecchissima serie televisiva su Mosè, interpretato Burt Lancaster la regia aveva fatto una scelta molto interessante: proprio nella scena del roveto ardente, quando anche Mosè esprime il suo “eccomi”, la voce di Dio (che si sente fuori campo) è la voce stessa, interna, del protagonista. Non è un dialogo con se stesso, ma un dialogo con Dio che però non è una cosa fuori di te, ma che entra dentro di te per prendersi cura della tua persona e del tuo futuro.
Che si tratti di Dio o di un tuo amico, che si tratti della persona con cui abbiamo deciso di condividere la vita, o un incontro occasionale, ma in cui abbiamo deciso di investire la nostra spiritualità, abbiamo un’unica parola da pronunciare:
Eccomi! Ci sono” sono pronto!
Abbiamo ascoltato in questo periodo un “eccomi” particolare.
È morto un grande poeta, che tutti conosciamo come l’autore del famosissimo Halleluja cantato da Jeff Buckley del film di animazione “Shreck”: Leonard Cohen.
Circa un mese prima di morire ha pubblicato il suo ultimo CD: You want it darker
La sua origine ebraica e la sua passione “religiosa” lo ha sempre contraddistinto anche se non sempre correttamente interpretata dalla critica. (nello stesso Halleluja il riferimento, nemmeno troppo implicito, è a 2Sam 11).
Il suo “Eccomi” (Hinneni) assume significato particolare, un monito anche per tutti noi, oltre i confini confessionali: “I’m ready, my Lord”. (nel testo ci sono anche riferimenti alla preghiera del Qaddish, la preghiera per i defunti della liturgia ebraica).
QUELLA PICCOLISSIMA PAROLA
Molte volte al giorno noi salutiamo e siamo salutati; in fretta senza fermarci, oppure scambiando due parole di circostanza. D’altro canto può accadere invece che ci fermiamo e guardiamo negli occhi chi ci sta di fronte, sapendo che in quella piccolissima parola mettiamo tutto noi stessi. Ci presentiamo e diciamo: “Eccomi; sono qui per te! Sono sempre stato al tuo fianco, anche prima, quando non potevamo vederci ed essere accanto; ma adesso ci sono!”