*di don Mario Simula*
Ho visto tutto, da infiltrato. Incuriosito e pronto ad apprendere ogni cosa. Guardando quei giovani, ho imparato che le mangiate non fanno crescere né la fede, né la vocazione educativa, né, tanto meno, la competenza. Sobri: un cesto di panini, quattro patatine, un po’ di affettato, un bicchiere di cocacola. Il menù è servito. Quel tanto per iniziare a rompere il ghiaccio e capire che è bello stare insieme. Prima regola del metodo giovani: creare il clima giusto. Passo nel chiostro. Tanti piccoli stand raccontano storie di esperienze e di ragazzi, di campiscuola e di avventure vissute a fiato perduto. Tutto da vedere. Tutto da ascoltare. Tutto da custodire nella cassa forte della propria vita di educatori. Seconda regola del metodo giovani: si impara vivendo e raccontando. I manuali li studio a casa, per conto mio. Devo rimanere intrappolato dai ragazzi, dai loro volti, dalle loro crisi di volubilità, dalle loro domande, dalle loro paranoie, senza che nessun dettaglio mi sfugga. Diventeranno un capitolo irrinunciabile della nostra vita.
Vedo uno strano movimento nel salone degli incontri. Ci si andrà fra qualche momento e si tolgono tutte le sedie. Com’è? Lo capisco in ritardo. Tutti quei giovani trovano posto sedere per terra. Uno appiccicato all’altro. Come avviene nel bosco, quando si entra in confidenza. Terza regola del metodo giovani: non ti complicare la vita con l’organizzazione, con la ricerca delle poltroncine, col c’è freddo, c’è caldo. E’ importante la fraternità. A volte si muore di efficienza e i ragazzi scappano. Anche un semplice incontro, può diventare un’avventura intelligente, organizzata con cura e tremendamente efficace, se non ci si arriva distrutti dal logorio delle cose da fare. Finalmente la platea è a misura di incontro. Qualcuno presenta la scaletta di ciò che avverrà. I gruppi si presentano. In questo modo gli ingredienti essenziali sono Quarta regola del metodo giovani: ognuno di noi ha un nome. Nessuno deve sentirsi fuori posti, tutti devono sapere quel che deve avvenire. Non si inizia: Allora, ragazzi, di che cosa volete parlare, oggi? Quando un gruppo diventa un’ammucchiata di anonimi, fa disastri. Indispone. Risulta indigesto. Ma se conto qualcosa e sono qualcuno. Se la mia vita raccontata è un pezzo fondamentale della strada da percorrere insieme, ogni attimo prende un altro gusto.
Parla un vescovo! Chissà che pizza. Prendiamo, per precauzione, una posizione da catalessi. Niente di tutto questo. Parla un vescovo e ha qualcosa da dire. Si fa ascoltare. Chiama in causa Francesco, Giuliana, Angela: volti prima che nomi; storie prima che teoria; cammini di vita prima che slogan. Tutti ascoltano: Chi sono io? Ci sono anche io fra quei nomi, con la mia storia, con la mia faccia, col mio cuore, con i successi e i fallimenti? Quinta regola del metodo giovani: parlare ai giovani dei giovani, delle cose vere della loro vicenda umana. Farlo con efficacia, con trasporto, con convinzione, con rispetto. Dare norme non serve. Raccontare brani o brandelli di vita aiuta a riconoscersi. Da queste narrazioni scaturiscono le norme per la vita. Come se le scrivessi io, insieme agli altri e condotti insieme da un amore che ci avvolge: quello di Gesù, passione del nostro cuore.
Il Vescovo sta alla consegna: quindici minuti. Quante cose importanti si possono dire in quindici minuti e quanti fuochi si possono attizzare!
Ce n’è uno che circola cercando di incendiare gruppi e parrocchie. E’ una Lettera sui giovani e destinata anche ai giovani. Tutti dovrebbero accorgersene e leggerla e iniziare a viverla. I ragazzi si dividono per gruppo, senza manco alzarsi da terra. Spostando semplicemente il baricentro del loro corpo. Devono confrontarsi per mezz’ora. Questa Lettera è arrivata a destinazione o si è perduta lungo i corridoi di un ufficio, nello scaffale di una sacrestia? Sesta regola del metodo giovani: I care. La cosa mi interessa. Ce lo diciamo guardandoci negli occhi, faccia a faccia, in un piccolo gruppo, venendo allo scoperto. Se non ci diciamo le cose come stanno e se non ci creiamo le occasioni per dirle, che gruppo è il nostro. Qui facciamo il pieno, sapendo che siamo destinati ad andare, ad uscire. I più dei nostri amici, non bazzicano da queste parti. Il piccolo gruppo mi carica per andare senza vergogna a cercarli. Senza prediche, senza bigotterie, senza trucchi. Da giovane a giovane. Sembra che non ci si debba stancare mai. Di nuovo tutti insieme, compatti, come un unico corpo, a dare conto delle nostre riflessioni talvolta non pacifiche. Domande su domande. Settima regola del metodo giovani: mettersi domande e non dare per scontate le risposte. Mettersi domande e cercare insieme le risposte di vita. Mettersi domande e non sapere a volte che cosa rispondere.
E ciò che avviene alle 22 di una sera di autunno, quando 130, duemila diecimila giovani sparsi per le innumerevoli diocesi d’Italia e provenienti da una o dieci o mille parrocchie d’Italia, decidono di incontrarsi, disarmati e decisi per iniziare un cammino nuovo. Alla ricerca prima di tutto di Gesù che dorme dentro la barca del nostro cuore e aspetta che noi lo svegliamo di soprassalto, gridando: Salvaci, Signore, perché stiamo per andare a fondo. E Lui, pieno di sorriso e di vita: “Perché avete paura? Non vi fidate ancora?”