Non tutte le storie hanno un lieto fine. Per ogni formatore la possibilità del “fallimento” è sempre molto concreta. E quando le cose vanno male, mettono in discussione tutto. Non solo le capacità del formatore, ma quel che è peggio, incrinano anche la speranza che alla fine il bene trionferà sempre
Chi ha letto questa rubrica fino ad ora, può aver avuto l’impressione che io abbia aperto soltanto finestre luminose. Forse che quelle che si affacciano sui temporali o nel buio non facciano parte della mia esperienza. Affatto!
Ogni educatore, insegnante, catechista, animatore, ha ben presente l’esperienza o la possibilità del “fallimento”. Questa esperienza che brucia, demoralizza, spesso mette in discussione la tua presunta bravura, o tutto quello che credi di aver fatto di buono, questa esperienza, la conosco molto bene, non ne sono certo esente, e non dimentico mai di inserirla nel mio orizzonte di possibilità. Casomai rimugino spesso se si tratta di veri fallimenti oppure se sono solo mazzate al mio orgoglio, ma su questa riflessione meglio tornare più avanti.
Le prossime due storie che voglio raccontare non hanno un lieto fine. La prima riguarda una esperienza educativa che ho condiviso con mia moglie. Perché parlarne? Perché la realtà è il nostro campo di battaglia, non il mondo delle favole, e spesso è dura… molto dura.
RAYAN CONOSCEVA SOLO LA LEGGE DEL PIU’ FORTE
Mia moglie Barbara collabora con una comunità di recupero dalle tossicodipendenze. Non di rado sono ospitati anche adolescenti, che oltre al problema delle sostanze, hanno anche quello dell’abbandono scolastico e quindi dell’ignoranza. Qui il compito è quello di fornirgli motivazioni che li spingano non solo al recupero fisico, ma anche a completare gli studi. Il tutto è possibile solo con una buon dose di pazienza e tanto, tanto amore per le persone e il lavoro che si fa con loro.
Barbara, aveva il compito di preparare all’esame di terza media, Rayan, un ragazzo di quindici anni, adottato da una famiglia italiana. Non era facile, non era per niente facile, perché Rayan non aveva nessuna voglia di affrontare quell’impegno. Troppo profonde le ferite che la vita gli aveva già inferto, e poi, molto semplicemente la riteneva fatica inutile. Questi pensava infatti che tutte le cose si potessero semplicemente avere con l’uso della forza. Prenderle e basta! Il suo interesse era concentrato sui cani da combattimento o sulle armi. Paziente l’opera degli educatori che, con mia moglie che si occupava più propriamente della parte scolastica, cercavano quotidianamente di insegnargli il senso della conquista delle cose attraverso il lavoro, nelle stalle o nei campi, o la soddisfazione di apprendimenti che lo facevano sentire sempre più uomo.
IL SOGNO DI RIUNIRSI AI FRATELLI
Rayan aveva altri due fratelli che non abitavano con la sua famiglia adottiva. Vado a prenderli in sud america e li porto in Italia, ripeteva spesso e Barbara gli faceva capire che questo suo sogno doveva avere delle gambe. Studiare e avere un lavoro, ecco l’unica possibilità per poster realizzare il desiderio di Rayan. Insieme avevano anche trovato gli argomenti per la tesina da presentare all’esame. Il marmo e la sua lavorazione e Barbara gli portava campioni, video, materiale su cui appassionarsi e informarsi. Dietro quella scorza da finto duro Rayan era un anima gentile. Amava i fiori di campo che coltivava con grande cura nel giardino della grande casa. Insieme a Barbara avevano preparato una specie di erbario dove catalogare piante e fiori. Un giorno non si era presentato a lezione e mia moglie c’era rimasta molto male, e quando alla fine della giornata era salita in auto per tornarsene a casa, Rayan l’aveva aspettata sul cancello per salutarla con un sorriso, con un fiore in mano. Lei non me lo ha mai detto espressamente, ma io sono certo che si era affezionata a quel ragazzo molto difficile. Lo capivo dalla cura con cui preparava le lezioni a casa e dal modo con cui mi raccontava di lui durante le nostre riflessioni.
LA LETTERA A PAPA FRANCESCO
Rayan era convinto che la sua vita non interessasse a nessuno. Certamente si sentiva solo, lontano dai suoi genitori adottivi e dai suoi fratelli. Fu allora che Barbara gli cominciò a parlare dell’amore che lega le persone e di Gesù. Così come nascono i fiori di campo, nacque l’idea di scrivere una lettera al Papa. Voglio raccontare la mia storia a Papa Francesco, disse, voglio invitarlo qui nella nostra comunità, che mi venga a trovare. Barbara lo assecondò e un giorno imbucò quella lettera scritta a Papa Francesco, Città del Vaticano, Roma.
Dopo le vacanze di Natale Rayan si era mostrato sempre più insofferente allo studio. Spesso fermava le lezioni e chiedeva a Barbara di terminare in anticipo. Lei acconsentiva a patto che la portasse a vedere i suoi fiori. Ma un sabato Rayan aveva chiuso di colpo il libro di storia: Non serve a niente sapere la seconda guerra mondiale e poi… io questo esame non lo voglio fare! Barbara non si era scomposta. Io ho intenzione di portare in fondo il mio impegno, gli aveva detto accarezzandolo, quindi io lunedì torno, se tu ci hai ripensato bene, facciamo lezione, altrimenti vengo in giardino a salutarti e mi fai vedere i tuoi fiori. Rayan si era alzato di scatto e se n’era uscito dall’aula.
Domenica arrivò una telefonata. Avvisavano di non andare perché Rayan era scappato! Qualcuno lo ha visto prendere il treno.
In comunità non è più tornato. Mia moglie ancora oggi ne parla con tristezza, non riesce a farsi una ragione che ci possano essere delle vite già segnate a quindici anni. Chissà se quel treno lo avrà portato a destinazione. E quando Papa Francesco risponderà alla sua lettera …
Igino Lanforti