La Parrocchia comunità educante

Nella tradizione educativa ecclesiale e non, ci troviamo sempre a confrontarci con figure di educatori molto carismatici e con forti personalità: da don Bosco a Baden-Powell, da don Milani a don Oreste Benzi, … quello che emerge è sempre la loro eccezionale individualità, messa al servizio di tanti, ma con un carisma personale incontenibile.

Se pensiamo alla nostra esperienza personale e pensiamo alle figure che ci hanno formato, pensiamo subito ai nostri catechisti; eppure nel Nuovo Testamento e in particolare negli Atti appare con chiarezza che l’unico soggetto che agisce è la Chiesa accompagnata dallo Spirito Santo o, se vogliamo (ma non cambia), lo Spirito Santo attraverso tutta intera la Chiesa.

In un contesto culturale di tipo individualista qual è il nostro, infatti, non appare immediatamente il ruolo specifico e il contributo che la comunità porta alla formazione dell’identità personale.

Nel Nuovo Testamento sono molti i richiami all’unità e a pensarsi come un unico organismo, perché fin dalle origini si è sempre presentato il rischio che alcune individualità prevalessero sulla comunità o addirittura l’appello ad alcune individualità fosse il pretesto per dividere la Chiesa.

Soffermandoci sulla Parola di Dio, emergono dei punti, che messi in ordine ci vengono in aiuto alla nostra riflessione:

– è la Chiesa che ti chiama e che ti manda; è la Chiesa che ti affida una missione; non esistono auto-candidature; chiunque esercita un servizio, è per il bene comune e a nome della Chiesa (Cfr. At 6; Ef 4; 1Cor 12)

– l’affidamento di un servizio nella Chiesa ha una radice vocazionale e non corrisponde al bisogno, non è un servizio funzionale; è nella comunità che io ritrovo la sorgente del mio servizio (At 20 – discorso di Paolo ai presbiteri di Efeso)

– è la Chiesa che mi aiuta nel discernimento ed è a Lei che devo rendere conto dello svolgimento del mio servizio (non agli utenti); Cfr. At 11,1-18.

– da parte della comunità cristiana è necessaria una presa in carico, una capacità di ascolto e la cura per la formazione di coloro a cui viene affidato un servizio; i formatori agiscono a nome della comunità.

Per tanto non basta una catechista e un animatore, che sappia fare un bel discorso, perché l’educazione cristiana non si può ridurre a una lezione da spiegare. Nessuno deve agire in proprio. L’educatore deve essere espressione della comunità, deve agire e parlare a nome di una comunità.

Questo è forse il punto più delicato perché richiede un chiarimento  delle figure di Chiesa che si prendono cura dell’educazione. È necessario proporre cammini di corresponsabilità; educare non prevede nessun tipo di delega.

Certamente prevede e richiede una competenza umana, di fede ed ecclesiale.

Va anche sottolineato il fatto che il cammino educativo della comunità cristiana deve, da un lato, fornire forme di vita cristiana provocanti e dall’altro fornire gli spazi di crescita che favorisca la formazione di una coscienza morale libera e consapevole.

Nella Chiesa non vi sono figure solitarie preposte all’educazione, ma è la Chiesa tutta chiamata ad educare. Questo perché tutta la Chiesa è discepola dell’unico Signore. In questo senso la Chiesa potrà essere presentata, anche e non certamente solo, come una comunità educante che sa mettersi in ascolto del suo grande educatore che è Cristo Signore. E da questa stessa opera nasce la Chiesa, ne è come generata.

Anche il prologo della prima lettera di Giovanni, ci presenta la Chiesa non come una “cosa” davanti al credente, ma come un evento che genera e alimenta la vita del discepolo; come il “grembo” in cui nasce l’esperienza cristiana.

È possibile conoscere il Vangelo solo in una comunità che vive nella carità, nella fraternità. Ogni attività educativa porta frutti se introduce nella vita della comunità cristiana.

Pertanto occorre una comunità di persone che vivendo la vita cristiana la rendano desiderabile e attraente per gli altri. È necessario che ogni educatore, si senta parte della comunità educante e agisca a nome di essa.

Ecco l’impresa che ci aspetta: favorire gli incontri, la conoscenza, la condivisione. Bisogna seminare un tessuto comunitario che ha il suo centro nella Messa alla quale è importante trovarsi insieme.

Occorre far riscoprire alle parrocchie la loro capacità educativa e la consapevolezza che non possono che essere comunità educanti, con la catechesi, con la liturgia e con la carità.

Per fa ciò si deve ripartire dalla riscoperta della vocazione educativa.

 

A cura di Don Federico Mancusi