Sulle orme di San Francesco

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*di Abramo Reniero*
Come è noto, il cammino è metafora della vita e il pellegrinaggio rappresenta in forma ancora più particolare l’esistenza dell’uomo. Il rischio insito nel cammino, come d’altronde nella vita, è quello di perdersi e di ripercorrere passi già fatti e ritrovarsi in una sorta di labirinto. Non così se invece si ha una meta che orienta e dà senso al cammino, come appunto avviene in un pellegrinaggio.

Tranquilli! Non è qui il luogo per un dotto excursus di antropologia culturale e/o di storia delle religioni che dimostri la potenza simbolica del camminare. Voglio piuttosto raccontare un’esperienza vissuta durante la seconda settimana del mese di agosto con un gruppo di giovani tra i 17 e i 21 anni seguendo la via di San Francesco che da Nord, partendo dalla Verna, giunge ad Assisi.

Il gruppo era composto di 21 persone: 15 ragazzi uno dei quali – Jonathan – disabile, 6 adulti e un cane – ogni riferimento al lupo di Gubbio, che poi abbiamo scoperto trattarsi di una lupa, è puramente casuale. Sono i ragazzi di una parrocchia della diocesi di Massa Carrara che durante l’anno – da alcuni anni – seguono un percorso formativo con una metodologia a metà tra scoutismo e oratorio

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Camminare: se c’è una meta tutto è più facile

Per motivi organizzativi e di tempo non abbiamo potuto percorrere l’intero cammino ma solo una parte: da Gubbio a Biscina, poi Valfabbrica e Assisi per un totale di crica 45 Km supportati da un pulmino gentilmente prestato da un parroco. Il mezzo di supporto, che può far storcere il naso ai “puristi” del cammino, si è reso necessario perché non tutti i ragazzi sono dei camminatori in grado di percorrere lunghe distanze con lo zaino in spalla, ma soprattutto perché ci ha consentito di trasportare la joelette, una specie di carriola con sedile e manubrio, indispensabile per permettere a Jonathan di percorrere sterrati e sentieri.

Come animatori abbiamo prima preparato il gruppo nei mesi di maggio-giugno fornendo le coordinate per interpretare la figura di san Francesco e poi, per il cammino, ci siamo divisi i compiti con i ragazzi: fare la spesa, preparare un libretto con dei testi a tema, individuare il percorso e i punti di sosta.

Non entrerò nei dettagli delle giornate, del cammino sotto il sole e il vento, del pomeriggio di pioggia battente e di grandine in mezzo a una natura stupenda e ridente, dei piccoli borghi, castelli e chiese, antichi testimoni del passaggio di Francesco e dei suoi frati, degli incontri con altri pellegrini, delle persone che ci hanno direttamente e indirettamente parlato del Santo… Vi dico solo che se siete già stati ad Assisi, come me, altre volte: beh… scordatevela! E’ tutt’altra cosa.

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Arrivare ad Assisi a piedi è un’esperienza unica

Giungere ad Assisi a piedi lungo la via nord è un’esperienza unica.

La fatica del cammino si scioglie nello stupore e nella gioia di trovarsi improvvisamente davanti alla mole della basilica e allo scarno profilo delle mura che la uniscono al castello posto in alto. E mano a mano che scendi dalla collina e ti avvicini, essa coinvolge e domina lo sguardo ed il pensiero. L’ultimo strappo di un chilometro e mezzo in salita lo voli, con il desiderio di entrare giù nella cripta dov’è il corpo di Francesco, inserito in un grosso pilastro di pietra che, sotto l’altare, sorregge il presbiterio della basilica inferiore. E il ricordo va alle parole del crocifisso “ripara la mia Chiesa” e al sogno profetico di papa Innocenzo III magistralmente illustrato da Giotto.

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Il cammino, metafora della vita

Non ho dimenticato i ragazzi, ma non tocca a me parlare per loro. Quello che posso sicuramente dire è che ciascuno di loro si è portato a casa parole, silenzi, preghiere, emozioni, riflessioni, esperienze, fatica, qualche vescica, gioia di condividere e… un sasso. Alla chiusura del percorso, prima della visita all’Eremo delle carceri, ciascuno di noi ha scritto su un sasso poche essenziali parole frutto dell’esperienza del cammino, quello che ti porti a casa, e in incognito lo ha condiviso mettendo il proprio sasso in un sacchetto dal quale ognuno ha pescato il “succo” di un altro. A me è toccato “Vivere l’essenziale è vivere liberi”. Li ringrazio per quanto ho ricevuto, come loro ringraziano noi – me, mia moglie e gli altri animatori – per quanto abbiamo dato.

In tutti è rimasto il fascino di un santo che a distanza di quasi mille anni continua, e non certo per caso, ad attirare nella sua piccola città umbra folle di fedeli che con fede accolgono la benedizione a frate Leone: “Il Signore ti benedica e ti custodisca, mostri a te il suo volto e abbia misericordia di te. Rivolga verso di te il suo sguardo e ti dia pace.”

CAMMINARE PER CRESCERE
A volte basta un’esperienza di convivenza, di cammino, di condivisione per riscoprirsi parti di un unico tutto. Allora il confine tra animatori e animati sembra non esistere più e quello che ti porti a casa è una grande ricchezza. Il fascino di un santo come Francesco attira i giovani anche dopo quasi mille anni: vivere L’essenziale è vivere liberi.