GESÙ NON SI LASCIA CONTRAFFARE

*di don Mario Simula

GESÙ “RESPIRATO”
Gesù è entrato in me col latte di mia madre e col respiro della mia famiglia.
Il catechismo è stato dopo. La parrocchia è stata dopo. Anche i preti sono stati dopo. L’ho imparato come si apprende la lingua materna. Sillabando e ripetendo. Con i gridi affettuosi di quella comunicazione istintiva tra madre e bambino, che non sembra avere significato, eppure
possiede l’unico significato che resta indelebile nella vita: lo stupore dell’affetto e dell’amore. Oggi la fede non è più un “ambiente divino” che ci circonda e ci permea. Occorre che lo sappiamo e ne prendiamo atto, se vogliamo accostarci ai giovani e agli adolescenti col desiderio di far balenare davanti ai loro occhi e nelle corde del loro animo un Gesù, ormai sconosciuto alle loro tavolozze affettive ed esistenziali. Gesù sembra ormai desueto. Episodio obbligatorio di quella stagione poco simpatica della vita nella quale ci si sente costretti a sapere di Lui, ma non è necessario incontrare Lui. Diventando più grande ho trovato Gesù lungo i sentieri normali della vita di parrocchia, nel gruppo attraente, allora, come nessun’altra esperienza. Ho iniziato a smarrirlo successivamente, in contesti educativi che avevano il compito di insegnarmelo, ma dimenticavano che Gesù non si insegna. Si vive. Si testimonia. Si diffonde per contagio. Lievita nel cuore fino a suscitare attrattiva e desiderio. Cosa poteva importarmi di un Gesù degli obblighi e dei divieti, delle paure e delle nevrosi. Non impiegò infatti molto ad entrare in crisi come un personaggio scostante e fastidioso.

Ero troppo critico per accettarlo con le sue improponibili ricette. Un Gesù così non l’avrei scelto nemmeno per necessità di sopravvivenza.
Eppure vivevo la vita di seminario. C’è voluto un incontro che ha messo a soqquadro la mia esistenza inquieta di adolescente. Incontentabile. Borbottone come un vecchio. Un misto di affetti e di divieti. Un cuore libero e allo stesso tempo ancora condizionato dalle proibizioni: Non devi, non si fa, è peccato, non va bene, Gesù ti punisce. Notti di crisi a vuoto, per nulla. Crisi senza amore né passione.
Crisi da allontanarsi come il vento dalla possibilità di un incontro con una persona che mi era sembrata ed era meravigliosa,
soltanto nel linguaggio di mia madre. Gli altri linguaggi erano inquinati, scontati, professionali, luoghi comuni abbastanza invecchiati.
Quale è stato l’incontro che mi ha scombinato la pace e la tranquillità di una salvezza dovuta, visto che ero ritenuto, comunque,
un bravo ragazzo? Un padre gesuita, mia guida durante gli anni della più turbolenta delle adolescenze, combattuta tra il desiderio dirompente della trasgressione e il rigore incorruttibile del super-io, severo e fortissimo. Tirannico.

Sembrava che mi leggesse nell’anima. Sembrava che vedesse in me stoffa e vestito cucito addosso.
“Tu senti Gesù. Senti che è nella tua vita. Tu puoi seguire Gesù. Non lo hai fatto, fino a questo momento, per paura, perché temi di buttarti, perché non conosci la bellezza del rischio. Perché non ti rendi conto di quanto sia facile buttare al vento la vita”. Vedevo passare davanti ai miei occhi tanti miei coetanei, che, già allora, senza aspettare i “tempi moderni”, sprecavano il bello e il bene che era dentro di essi.
Chi dice che oggi gli adolescenti e i giovani sono diversi ha ragione per una piccola parte. In realtà come sono gli adolescenti e i giovani? Generosi: se li buttate nella mischia nessuno sa fare cose più grandi di loro. Sono radicali: se prendono un impegno lo portano fino in fondo, costi quel che costi. Son aperti alle relazioni o chiusi in un guscio di esclusività. Amano le bizzarrie, anche pericolose, del gruppo e le intimità di una relazione di coppia acerba. Amano male, impacciati e smarriti. Con un corpo ingombrante che non sa dove collocare mani, bocca, piedi, istinti, sentimenti. Si attorcigliano l’uno con l’altro perché pensano che amare sia una sorta di confusione di corpi senza controllo: un gioco a quel che viene e a quel che si prova. Questi adolescenti e questi giovani, che noi abbiamo deluso e abbandonato a se stessi, ai quali abbiamo fatto tante promesse e sui quali abbiamo scritto tanti libri, sentono il bisogno di Dio. Aspettano Gesù. Credo che, senza saperlo, vogliono che passi per la loro strada e li chiami per nome. Dove si è nascosto, però, l’educatore in grado di spezzare loro il pane della Bella notizia, grondante di gioia e di credibilità?
A questi adolescenti e a questi giovani meravigliosi e scomodi voglio dire, come educatore: “Ragazzi, il Vangelo che cercate è un libro di domande. Accettate la scommessa dell’inquietudine e del mettervi in discussione. Gesù che cercate ha interrogativi da proporvi, non per provocarvi, ma per scuotervi e far uscire da voi il meglio che siete”. Iniziamo l’avventura.

GESÙ UNO SCOMODO DA CERCARE
Se vai a cercare risposte nel Vangelo, trovi prevalentemente domande. omande poste da Gesù stesso. Provocatoriamente? Può darsi. Il fatto è che pone domande. A me ne ha poste tante. Molte volte ho fatto finta di non sentirle, come chi non vuole avere fastidi. Ho rimandato. Ho recalcitrato. Ho fatto una strada contorta e impervia. Ho rifiutato aiuti che non mi aiutavano nella ricerca del Signore. Una di queste domande è, tuttavia, risuonata nel mio cuore con un’insistenza che mi innervosiva e che, in fondo, mi faceva anche piacere. Era questa: “Chi cerchi?”. Non cercavo nessuno. E Gesù insisteva: “Chi cerchi?”. La mia guida viene a sapere che avveniva questo e un giorno mi dice: “Che cosa ti costa dirgli che stai cercando Lui, che lo senti nel tuo silenzio”.

E viene il giorno nel quale mi fermo in un misto di tremore e di gioia: “Gesù, dove abiti?”. Mi invita a stare con Lui. Nel subbuglio del cuore. Perplesso e incerto. Combattuto come un cavallo ribelle. Da allora non l’ho perso più di vista. Smarrito tante volte. Cercato sempre negli orizzonti delle mie pazzie e delle mie intemperanze. Dei miei pentimenti per averlo seguito, degli innamoramenti ogni volta che lo ho ritrovato. Tu senti Gesù passare per la tua strada, giocare d’azzardo puntando sulla tua vita, chiamarti e insistere nella chiamata. Insistere nella chiamata fino a sembrarti insolente e inopportuno. Sono sicuro che in molte ore delle tue notti, sballato dal non senso della tua giornata, ti sei intrattenuto con quel Gesù sconosciuto e gli hai parlato. Talvolta sei rimasto senza sapere con chi. Eppure era proprio Lui.
Gesù che da senso alla tua giovinezza altrimenti incompiuta, senza scopo, senza ideali, senza gioia. Un giorno devi metterti alla ricerca. Gesù ti vede camminare dietro di Lui e ti chiede se stai cercando proprio Lui. Se stai al gioco entri in confidenza, subito desideri saperne di più. Gesù non ti dà il recapito o il numero di cellulare. Ti chiama a fare esperienza con Lui. Resterai affascinato e stupito. Poi di corsa andrai a raccontare ad altri. Un incontro speciale non può rimanere relegato negli scrigni segreti. Occorre narrarlo. Ricordati che tutto inizia in questo modo. Se non lo incontri non riuscirai mai a sentirne il “sapore”. Io ne ho provato il “sapore”

GESÙ NON PUÒ FARTI PAURA
Quando lo hai sentito, forse hai provato esitazione a prenderlo sul serio. Noi davanti a Gesù siamo quelli che tergiversano, finché non ne rimaniamo conquistati. Non a caso Lui ci dice, con una sottile voce di sofferenza: “Perché avete tanta paura? Non avete ancora fede? (Mc 4, 40). Questa domanda è preceduta da una domanda da parte nostra naufraghi desiderosi di vita nel mezzo di una tempesta furibonda. Non sappiamo come uscirne. Temiamo di andare a fondo da un momento all’altro. Sei solo, nel silenzio della tua notte e del tuo baratro. Allora non ti vergogni di gridare: “Gesù, non t’importa nulla che muoia?”. Gesù dorme tranquillo nella barca. Ti mette alla prova. Mette alla prova la tua fiducia. Gridi per svegliarlo. Gesù si veglia. Sgrida il vento delle tue inquietudini senza soluzione. Mette a tacere la tempesta che ti imprigiona senza uscita e riporta la calma nel tuo cuore che sembra incapace di amare, di sentire le presenze. Un cuore al quale tutto viene a noia quando
si trova con se stesso. Mentre sembra spavaldo quando nasconde le sue fragilità nella bolgia del gruppo.
Gesù ti ama. Perciò non si risparmia la domanda: “Perché sei pauroso? Non hai ancora fede?”.
Amico adolescente, amica giovane. Rifletti. Che non sia proprio la tua paura a non farti incontrare Gesù? Forse temi l’impegno. Non te la senti perché non hai il coraggio di cambiare vita. Ti sembra troppo difficile seguirlo. Hai smarrito la tua fede? Senti la tua fede? O la tua fede non è stata mai così robusta da darti forza per amare Gesù e sceglierlo? Perché gli sto tanto a cuore? Cosa vede in me da sentire il bisogno di cercarmi, di parlarmi e di scegliermi? Fermati a riflettere su queste tue urgenze dell’anima. Se ci pensi, Gesù attraversa la tua vita. Se sperimenti burrasche di ogni tipo: solitudine, scoraggiamento, disamore alla vita, disperazione per la mancanza di attenzioni e di affetti, assenza di prospettive per il futuro, Gesù non ti butta via come un inutile oggetto di inciampo. Sperimenta nella calma, nel silenzio e nella solitudine che sembrano schiacciarti, il suo abbraccio, il suo sguardo, la sua preferenza.

CHI TOCCA IL MANTELLO DI GESÙ?
Chi ha toccato il mio mantello? (Mc 5, 30)
Se lo cerchi lo senti. Se sembra distratto, tocca ugualmente il suo mantello. Da Lui esce un’energia, una forza, una sicurezza che ti risulteranno altrettante risposte nelle tue incertezze di oggi e forse di domani. Prova a toccare il suo mantello. Nessuno se ne accorge. Poi senti che Gesù ti cerca guardandosi attorno: “Sei tu che mi hai toccato il mantello?”. Avrai paura di riconoscere la tua “debolezza”. Resti tremante e timoroso. Ti aspetti chissà quali parole di rimprovero. Invece fai la scoperta della tua vita. Quel Gesù che cerchi ti parla direttamente, in mezzo alla folla, come se ci fossi soltanto tu: “Amico mio, la tua fede ti ha salvato. Va’ in pace. Da questo momento potrai trovarti in qualsiasi difficoltà; sarai sempre guarito dal tuo male”.
E’ proprio il Gesù che cercavo. Che tu sia Michele o Giovanna gioca la tua vita per quello che vale. Il giorno nel quale, alla tua età, ho rischiato la carta Gesù, la mia vita è rimasta piena di limiti, di peccati, di contraddizioni. Eppure mi sono sentito diverso. Non ero più solo. Non mi sono sentito smarrito. Si era scatenata in me un’altra vita che mi permetteva di amare, di essere ragazzo o ragazza normale e speciale. Gioioso/a. Nuovo/a. Ritrovavo tutta la mia ricchezza, tutti i doni. Ritrovavo me stesso/a e sentivo che volevo donarmi anche agli altri.

 

IL VALORE DELL’ERRARE/ERRORE NELLA FORMAZIONE DEI GIOVANI

*di don Mario Simula

Credi di conoscerti? E’ la più “splendida illusione” della tua vita. Vivi ormai da diversi anni. Forse è venuto il momento per qualche domanda di senso: “Vivo o mi lascio vivere? Vivo intensamente oppure sbarco le giornate come un consumatore ossessivo di ore e di tempo? Sempre stressato anche quando non ho niente da fare?”.
Mai così indaffarato. Mai così annoiato. Scuotiti di dosso il sonno e inizia un’esistenza da sveglio. La vita è oggi, ma devi essere sveglio per accorgertene. Attento a non essere un manovale sfaccendato preso a caso all’angolo della strada. Gli si chiede: “Che cosa sai fare?”. “Un po’ di tutto”. La vita non è “un po’ di tutto”. La vita è tutto. E’ il respiro di ossigeno puro. E’ la lotta. E’ il rischio. E’ anche il limite. Se ci fermiamo davanti allo specchio di noi stessi ci rendiamo conto che non siamo la perfezione. Siamo il limite. Siamo un prodigio con tutti i segni di un inizio e di una fine. La fragilità che maggiormente ci identifica e ci configura è l’errore. Le persone anziane, nella loro saggezza quasi infantile, quando accusavano i peccati dicevano che ad ogni “alzata di occhio” si pecca. Ne erano coscienti. Non cercavano di camuffare dietro una formula generica le loro malefatte. Facevano un’onesta dichiarazione di fragilità. Ogni persona sbaglia e sbaglia molto. A tal punto che esiste un modo di dire: “errare è umano”. Ciò che sconcerta è la negazione dell’errore. Anzi l’indifferenza davanti all’errore. Di più, la giustificazione dell’errore. Dire: “Che male c’é. Tutti fanno così. Non voglio essere preso in giro. Questa è la maggioranza”, è prassi di ogni giorno. Dov’è il problema? Il problema è che non si coglie il valore dell’errore. Che strana contraddizione. L’errore ha un valore? Proprio così.
Dove sta il suo valore? Provo a dirlo in maniera semplice e veritiera. Per capire il valore dell’errore e della tendenza ad errare occorre prenderne coscienza. Se apprendi ad entrare dentro te stesso e inizi a percorrere, prima con paura e poi con maggiore serenità, il tuo labirinto avventuroso e inestricabile, ti accorgerai di chi veramente sei. Io sono un fascio di ricchezze. Ma sono anche un inaffidabile infedele alla vita e
al bene che la vita domanda di coltivare. Tutti i miei errori sono il rovescio di un bene che non ho scelto di vivere. Per disattenzione e per superficialità interiore: meglio non pensarci, meglio non mettersi troppi problemi, meglio non farsi troppe domande, meglio passarci sopra.

Per comodità. Se mi abbandono sul letto della mia camera e fantastico e corro dietro le illusioni, tutta l’esistenza è semplice. Si dimentica soltanto che la vita, inevitabilmente, passa il conto. Quando? Come? Non lo so.
Di una verità sono certo, che non basta dire: “Ci penserò dopo, sempre dopo”, credendo di esorcizzare le conseguenze dell’errore. Ama oggi la verità di te stesso. Forse non hai mai sperimentato la gioiosa sorpresa che prova chi, un giorno, ha il coraggio di dire a se stesso: “Io sono anche questo aspetto egoista di me. Io sono anche questa incoscienza che mi paralizza. Io sono questo soggetto schiavo di tante mode, di bisogni non necessari, di modi di fare e di dire che mi condizionano. Io non sono libero”. Se ti accorgi, inizi ad essere un altro. Inizi a comprendere che hai un ruolo e un compito. Non sei una sanguisuga della vita, dei sacrifici degli altri. Sei un giovane che guarda avanti. Che ha gli occhi sulla faccia. E quegli occhi perdono giorno dopo giorno le squame, per iniziare vedere con profondità e con chiarezza. Ogni giorno azzardo l’avventura di guardare nell’abisso del cuore con verità. Senza autoingannarmi, senza nascondermi per paura o per quieto vivere.
Per restare addormentato. Drogato dal terrore di raccontare la mia vita a me stesso, senza pieghe, senza angoli bui, senza scheletri. Il viaggio doloroso e felice nell’inferno del cuore è guardare in faccia la verità. “Chi riesce a fare quello che mi proponi!”.
Eppure questo deve avvenire. Apri il libro dei giorni vissuti, scorrendo riga dopo riga. Prova a discernere cioè a vagliare, cioè a passare al setaccio la vita monotona fatta di ore e minuti. Ritrova la franchezza dell’animo.

Nell’aldilà ogni uomo appare svelato nella sua realtà più intima e vera, come si è in parte rivelata quando eravamo in vita. Nell’aldilà ognuno è definitivamente se stesso. C’è un particolare che ritorna nella Divina Commedia. Tutti i personaggi che parlano con Dante manifestano una presa di coscienza di se stessi ormai chiarissima. Però immutabile. Ormai soltanto quella, perché è fissata da una condizione nuova e definitiva. Durante la vita ognuno di noi rimane imprigionato dalla mutevole interpretazione di se stesso. Qualche dettaglio rimane sempre e volutamente sfumato, grigio e non comunicato. Corrisponde a quella parte del nostro essere più disdicevole e umiliante.
Occorre scoprire il “valore dell’errore”. Perché l’errore, l’errare hanno un valore. Non devi sotterrarli. Li devi decifrare. Se ne hai il coraggio, devi raccontarli. Michele è un educatore coraggioso di giovani. Conosce i “ragazzi” del suo gruppo. A volte si dispera perché non sa che pesci pigliare. Vorrebbe mollare tutto. Non si sente pronto. Il don gli dice spesso: “Fai quello che puoi!”. Come, con questi giovani vivere
alla giornata? Vivere all’ombra dell’improvvisazione?
Michele ha bisogno di comprendere che il primo passo della formazione dei giovani e dei giovani oggi, è il passo della scoperta, con vergogna forse ma sempre con gioia, della verità, della propria storia. Mi viene da chiedere a Michele se lui ha già iniziato questo percorso. A che punto è arrivato. Se intende percorrerlo con gli altri giovani anche se hanno qualche anno in meno. La barca della crescita viaggia sullo stesso mare che attraversa la barca di chi vuole rimanere fermo. Michele deve crederci. Gli ho proposto un itinerario. Deve leggere
le sottolineature. Poi lavorare con passione.
Gli suggerisco una preghiera.
“Padre, non pentirti di avermi fatto. Padre nostro, non pentirti. Il tuo soffio vitale continua sempre a scorrere nelle mie vene, nelle vene di questi giovani che guardo negli occhi. Non tirarti indietro. Non stracciare il progetto. Continua a sognare su di me. Hai sempre bisogno di me. Senza le mie piccole forze fai poca strada. Senza le preghiere, i lamenti, le bestemmie, persino gli abbandoni, che riesco a collezionare,
di chi saresti Padre?”.

Decalogo in 11 punti


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*di don Mario Simula*
A Giorgio e Silvia, coppia vincente per adolescenti Giorgio e Silvia siete arrivati sani e salvi a fine anno? Tutti sani e salvi e pizzata, per far festa insieme. La meritate e ne valeva la pena. Giorgio sei sopravvissuto? Con Silvia, certamente. Riconoscilo che con una ragazza accanto si ha una marcia in più anche con i ragazzi.
Stiamo per arrivare in porto. L’attracco, probabilmente, avrà un’appendice estiva. Che sia all’insegna della gioia, dell’esuberanza, della freschezza. Abbiamo parlato tanto di amore e, proprio d’estate, ci dobbiamo ornare di un volto “serioso”, compunto, senza felicità? Se vi ritroverete durante l’estate potrete vivere un tempo di messa alla prova.
Basta organizzarsi bene. Fare patti chiari con i ragazzi. Aspettarli per le narrazioni a fine estate.

Intanto, occhio al DECALOGO IN UNDICI PUNTI.
Non sto ingaggiando una competizione con Mosè e tanto meno con Dio.
Il fatto sta che la parola Decalogo aiuta a ricordare cose importanti.
Il numero undici dice che avevo bisogno di undici, per dire pressappoco
tutto. Decalogo dieci più uno:
1. Guardiamo con la testa, guardiamo col cuore. Cerchiamo di avere le idee chiare. Quando entriamo nel mondo, ancora indefinito, dell’emotività, della sensibilità, degli affetti, dello sviluppo sessuale dei
ragazzi, non possiamo restare su alcune approssimazioni vaghe e
nebulose. Dobbiamo conoscere attentamente ciò che avviene di sconvolgente nei ragazzi: la trasformazione del corpo, le attrattive forti, le simpatie un po’ caotiche, i nascondigli nei quali si raccolgono le esperienze che non vengono raccontate. Dietro un’apparente spregiudicatezza essi vivono stati d’animo di paura, tentennamenti, pasticci
istintivi, tensioni inspiegabili. Né si può dire che, oggi, i ragazzi siano più disinvolti di prima. Forse hanno perso un tantino di pudore. Ma dentro se stessi vivono un guazzabuglio di turbamenti.
Occorre guardarli con la testa: ragionando, riflettendo, dialogando, documentandosi e parlando loro con chiarezza. Occorre guardarli col cuore: amandoli da adulti o da giovani. Ma sempre da educatori. L’attenzione affettuosa e robusta, scevra da sdolcinature e da preferenze affettive è essenziale. Il cuore sì, ma la testa sempre!

Il cellulare: magazzino di info
Il cellulare:
magazzino di info

2. Immaginiamo anche ciò che non si vede e che attraversa le vene, il cervello, i sentimenti dei ragazzi.
Non si può ridurre tutta l’osservazione degli adolescenti al loro comportamento. A volte ci indispongono. A volte ci strappano giudizi moralistici. A volte li emarginiamo perché il nostro modo di pensare e di vivere non coincide con il loro. A volte sono talmente “rompi” che faremmo a meno di questo e di quello, per ritrovare un po’ di calma.
Dovremmo chiederci: cosa passa in quel cervello, in quella fantasia, in quelle parole poco consuete al nostro linguaggio? A quale velocità viaggia il sangue in quelle vene? Quali sentimenti provano? Credo che sia funesto
pensare che in loro c’è sporcizia, cattiveria e basta. C’è una vita che sale verso il compimento. Per farlo si
serve di tutti i percorsi che sono a disposizione dei ragazzi. Riuscire ad osservare ogni fenomeno nell’armonia “disarmonica” tipica dell’età, è segno di acutezza educativa. Se parto dal bene che il fenomeno dell’adolescenza rappresenta, riesco a trasformare l’osservazione in contemplazione. Occorre prospettare grandi valori. Nella gradualità indispensabile, nella comprensione irrinunciabile, in un contesto complesso come quello che stiamo vivendo.

3. Occhio ai sogni! Il sogno è la realtà che si desidera. E’ la visione prospettica della vita. A chi appartengono i sogni se non agli adolescenti? Loro hanno diritto di sognare e Dio ci conceda ragazzi e ragazze capaci di sognare!
L’educatore non è un affossatore di sogni. E’ un “saggio” che aiuta ad interpretarli nelle promesse che portano con sé.
Non credo che possa esistere un compito altrettanto arduo quanto questo: non soffocare il futuro, anche se appare irreale, e leggerlo confrontandolo con la vita. Dire: “Hai la testa fra le nuvole! Tieni i piedi per terra! Sei sempre incantato!”, significa intonare continuamente canti funebri. I ragazzi amano l’esagerazione, puntano verso mete che non esistono, provano e provano nella speranza di trovare il percorso più adatto e soddisfacente. L’educatore è un compagno di viaggio. Senza troppe parole. Ha l’attitudine prevalente ad andare avanti. Di essere il capo cordata, non per imporre, ma per dare sicurezza. Il sogno può diventare un grigio scarabocchio di delusione o un pastello colorato di speranza. Ma se tu, educatore, sei una persona sbiadita, che sogno puoi essere e che sogno puoi alimentare?

4. La fretta di sperimentare, di toccare, di vedere e di gustare. La frenesia dell’esperienza rischia di prendere il sopravvento quando un adolescente si affaccia alle prime esperienze affettive. Non può che essere così. La turbolenza del desiderio, il gusto della soddisfazione, a prova di un brivido si impongono. Anche perché rappresentano l’aspetto più immediato e concreto della novità rivoluzionaria che si sta facendo strada nella sua vita. In un contesto sociale che difficilmente educa al dominio di sé e alla collocazione dei valori secondo una scala di priorità, arrivare con il manuale delle proibizioni e delle inibizioni è quanto di più controproducente si possa pensare. I ragazzi amano  vedere e hanno accesso, purtroppo, ad ogni genere di raffigurazione multimediale; hanno prurito di toccare e niente attorno a loro mette freno a questo impulso, soprattutto quando si trovano in gruppo o si separano dal gruppo e trovano l’avvallo degli amici più disparati. L’educatore ha la percezione di queste trasformazioni. Non le guarda con allarme. Non fa scattare il semaforo rosso. Piuttosto apre un dialogo. Crea un clima di rispetto e di delicatezza. Mette i fondamenti di una buona educazione che non è soltanto galateo, ma attenzione alla persona. Educare la sessualità e l’affettività è sempre un’arte che richiede l’equilibrio dell’educatore che lavora già intensamente su stesso, gli domanda la serenità davanti al manifestarsi e al fiorire di una nuova stagione della vita da parte dei ragazzi, esige

Come compagni di viaggio
Come compagni
di viaggio

garbo, osservazione, gradualità, piccoli passi. Richiede una proposta morale positiva. Si inizia presentando la bellezza di quanto l’età fa sentire come novità, per indicarne successivamente i rischi e arrivare ad una indicazione positiva di itinerario.

5. Ciò che conosce soltanto il cellulare
I ragazzi hanno un alleato sempre pronto a diventare complice dei desideri, delle curiosità e delle trasgressioni che la sessualità e l’affettività fanno balenare davanti agli occhi. Difficilmente il cellulare incriminato è accessibile agli adulti. D’altra parte rappresenta una specie di magazzino di informazioni, di esperienze narrate e di esperienze dirette. E’ già una trappola per gli adulti! Figuriamoci per gli adolescenti. I messaggi innanzitutto. Il linguaggio e il contenuto di questi messaggi è spesso senza remore e non è innocuo, perché crea modo di pensare e spesso di agire. Le immagini: tutte quelle che si trovano sul mercato e quelle che i ragazzi stessi producono, per gioco, per ostentazione, per spacconeria, per far valere la propria capacità di conquista. Il coinvolgimento di altri. Tutto ciò che si riceve sembra di proprietà, per cui i messaggi mancano di riservatezza.
Si mettono in piazza terze persone, con le conseguenze che spesso ne derivano. L’educazione all’uso prudente del cellulare è oggi uno dei modi più diretti ed efficaci per educare la sessualità e l’affettività. E’ chiaro che l’educatore non può diventare lui stesso il primo e peggiore schiavo di questo strumento.
Le banalità che educatori (preti in prima fila!), riversano nel cellulare è stellare. Se il tuo cuore è inquinato non può pretendere di educare alla bellezza del corpo, del cuore e della vita!

6. All’amica del cuore e all’amico di una vita non posso nasconderlo
Il segreto sembra essere un alleato sicuro delle esperienze degli adolescenti. Sembra, perché non lo è. Sia per la ragione che ogni cosa “confidata” è sicuramente destinata a diventare pubblica. Sia perché un coetaneo non potrà mai essere una guida di viaggio. Sia perché la curiosità interferisce nella relazione amicale come una sottile infezione virale. Non è utile parlare di tutto tra amici e nemmeno con un amico particolarmente fidato. Ogni cosa detta è scritta e pubblicata. È un’arma che si ritorce negativamente contro l’adolescente che sta facendo il suo percorso. Ci vuole un adulto. Che non abbia, però, la mentalità di un adolescente. Che non si senta importante perché ha ricevuto le confidenze. Che non si senta potente perché ha in mano la vita dell’adolescente. L’educatore che ascolta è segretissimo. Così diventa affidabilissimo. E’ veramente incredibile come certe notizie circolino; e quando si arriva a capire chi le ha messe in
circolazione, si risale all’educatore o al prete. Nemmeno il gruppo educatori può mai diventare un luogo privilegiato di pettegolezzo, di giudizi, di valutazioni approssimative, di ironia.

4923337-couple-image_opt7. Che non lo sappiano i genitori
I genitori difficilmente diventano addetti ai lavori in una materia educativa così personale per gli adolescenti. Sono patetici i genitori e specialmente le mamme che pretendono di essere amiche dei figli: “Così mi dicono tutto!”. Beata ingenuità, mi dicono tutto ciò che vogliono! Essere amici dei figli non paga. Si chiudono ancora di più. Gli adolescenti sanno scegliere gli amici: quelli che vogliono loro e come li vogliono loro. Offendersi perché i figli non parlano con i genitori è una bella pretesa, dovuta all’immaturità. Se c’è una precauzione che i ragazzi riescono a costruire con abilità, consiste nell’inventare strategie adeguate perché i genitori non sappiano. I ragazzi “si coprono” a vicenda. Inventano luoghi, esperienze, orari pur di non dire quanto veramente accade.
I genitori non si devono offendere. Mentre i ragazzi hanno diritto di non parlare. A meno che l’autorevolezza,  l’equilibrio,la saggezza di un genitore siano tali da far saltare le difese degli adolescenti. In quel momento ogni cosa diventa più semplice. Tuttavia, sommessamente e con modestia, mi permetterei di suggerire anche ai genitori la riservatezza. Non esaltate i vostri figli con gli amici di famiglia, rischiate di prendere cantonate solenni.
Non parlatene e basta. Evitate ai vostri ragazzi una brutta figura (perché loro non ci tengono proprio che voi li trasformiate in oggetto delle vostre conversazioni salottiere!) e gli permettete di esistere per quello che sono.
8. Desidero, desidero, desidero. Ma è giusto? Non basta che “mi piaccia” perché sia giusto. Non basta che “ci
provi gusto”, perché sia giusto. Non basta che “ci divertiamo un ……” perché sia giusto. Uno dei segreti più importanti dell’educazione affettiva è saper entrare con delicatezza nel “desiderio” dei ragazzi. Il desiderio è una
prospettiva a portata di mano. E’ un giocattolo intelligente e pericoloso. Appariscente e talvolta contraffatto. Di desideri si vive, comunque. Educare il desiderio è un’arte. Soprattutto lo è se non lo temo, se non lo classifico, se
non lo identifico subito col male, se non ne parlo in modo negativo. I ragazzi sono chiamati a passare
dall’istinto al desiderio, dal desiderio alla scelta consapevole, dalla scelta consapevole alla scelta buona. Un percorso arduo ma esaltante che richiede il confronto con una persona credibile che ne parli loro con entusiasmo, con la forza di chi va contro le mode, con la convinzione di chi vive già esperienze di valore.

Desideri, aspettative, scelte, linguaggi, comportamenti... Avere a che fare con gli adolescenti non è per niente facile, ma provarci con il cuore e con qualche attenzione si può e poi si può sempre parlare con Gesù. La nostra fede ci aiuta anche in questo.
Desideri, aspettative, scelte, linguaggi, comportamenti…
Avere a che fare con gli adolescenti non
è per niente facile, ma provarci con il cuore e con
qualche attenzione si può e poi si può sempre
parlare con Gesù. La nostra fede ci aiuta anche
in questo.

9. Le prime “prove”: riesce, non riesce? Agli educatori posso dirlo: loro mi capiscono!
Gli adolescenti possono essere presi subito dal bisogno di “pasticciare” l’amore. Sono impauriti, in un primo momento. Poi iniziano a dirsi l’un l’altro: “Forse dobbiamo aspettare. Non sono pronta, non sono pronto”.  L’apprensione comanda. E’ un segno evidente del fatto che ogni esperienza conosce il suo tempo e chiede la giusta maturazione. Tu, educatore, puoi cogliere i segnali di questa problematica, anche in ragazzi giovani. Quelli che hai nel gruppo. Sii attento, ispira fiducia. Accogli le confidenze. Fai con loro un patto di lealtà. Mettiti in gioco. Guardali con simpatia. Trasmetti pensieri veri e comprensivi. Accompagna. Senza manifestare curiosità o eccessivo interesse. Esserci nella vita di un ragazzo non è sinonimo di assillo, interrogatorio o altro.

10. E se ne parlassi con Gesù?
Chissà se gliene importa! Il dialogo con Gesù, fonte dell’amore, “fantasista” della vita degli adolescenti è sicuramente un momento di grande luce, di incoraggiamento, di gusto della vita. La turbolenza adolescenziale ha bisogno di una invocazione accorata: “Salvaci, Signore, andiamo a fondo!”, e allo stesso tempo: “Tutto posso con Te, Signore, che
mi dai la forza!”. Educare alla preghiera, quando la vita lo esige, è l’opportunità migliore per entrare in amicizia, in confidenza e in un faccia a faccia sereno col Signore. L’educatore deve saperlo ed è chiamato a diventare testimone.

11. E se gli educatori ne parlassero anch’essi con Gesù.
L’educatore per primo evita di trattare la vita affettiva dei ragazzi senza seguire passo dopo passo le indicazione dell’educatore stupendo e amorevole che è il Signore Gesù. Probabilmente la vita dei ragazzi diventerebbe per te la scuola più diretta e autentica per entrare “in affari” con Gesù che rimane il vero amico dei ragazzi, il loro primo estimatore, il loro progettista. Oh! Ma non siamo più in estate! Questo “supplemento” non è per caso fuori tempo massimo? Sarà pure. Ma credi che basti l’estate per fare tirocinio dentro il tuo cuore e soprattutto per passare
in rassegna i ragazzi, ad uno ad uno e parlarne Giorgio con Silvia e Silvia con Giorgio, tra di loro. E insieme con Gesù che, in questo tempo, ha iniziato a provare per i nostri due amici una simpatia incredibile!

APPROFONDIMENTO
Abbiamo scoperto che due è uguale a uno, se si lavora insieme. E che uno insieme è il massimo della sintonia. Si diventa irresistibili. Ci si aiuta. Se uno cade l’altro lo aiuta a rialzarsi. Se uno si perde l’altro va e lo cerca. Se uno è scoraggiato l’altro gli offre il ricostituente di un sorriso, di un silenzio amorevole, di una parola piccola ma molto efficace

Il bel pasticcio dell’amore

95fb09e6-ba7c-467f-a9c_opt*di don Mario Simula*
Giorgio non crede ancora a quello che è avvenuto con i ragazzi. Silvia è più sicura e il suo viso manifesta un’evidente soddisfazione.
Si guardano negli occhi, seduti uno davanti all’altra. Resistono bene lo sguardo reciproco. Non hanno nulla da rimproverarsi. Possono soltanto essere soddisfatti di quell’incontro, tanto temuto, con i ragazzi del gruppo.
“Siamo stati proprio coraggiosi”, dice Giorgio. “Coraggiosi perché? Stavamo parlando della nostra esperienza. Se non ci appartiene quella, cos’altro possiamo raccontare di efficace e di credibile!”.
“Hai ragione, Silvia, ma tu non sai quanti incontri sui ragazzi e le ragazze erano naufragati prima di giovedì scorso?”.
“Giorgio, sei proprio una persona con gli occhi dietro la nuca. Guarda avanti. Se devo sposare, domani, un giovane in retromarcia, non faccio proprio un grande affare. Hai notato come erano luminosi gli occhi di Ester quando tu prendevi la parola. Mi è sembrato, in certi momenti, che si fosse presa una sbandata nei tuoi confronti. Non parliamo di Tullio. Sempre timido e ragazzo di seconda fila, sembrava cresciuto di botto. Gli mancava proprio che qualcuno, finalmente, liberasse il suo cuore. Forse sta corteggiando, più con la fantasia che in realtà, Caterina che, spiritosa com’è, lo fa patire da matti. E lui ci prova, timidamente. Sembra terrorizzato al pensiero che lei possa, un giorno, manifestargli un po’ di attenzione”.
maxresdefault_opt“Ma che diavolo, Silvia. Tu hai notato tutte queste cose?”.
“Anche molte altre. Non posso dirtele adesso, in una sola volta, altrimenti ti lasci prendere dal complesso di inferiorità e vuoi sempre me come spalla per i tuoi incontri. E poi, Giorgio,
• se non sappiamo osservare la vita dei ragazzi
• e non proviamo per loro una simpatia a tutto campo
• e non affrontiamo i problemi che li appassionano e li sconvolgono
• e non entriamo nei labirinti della loro esperienza
• e non accogliamo la loro esuberanza
• che senso ha fare l’educatore?”.
“Non mi dire che vuoi essere educatrice con me? Non mi sembrerebbe vero. Sono sicuro che insieme saremo una bomba! Hai pensato questo?”.
“E no, bello mio! Io ti sono venuta in aiuto perché dovevamo parlare di noi due, di come ci siamo conosciuti, ahimè. Ma da qui ad accettare di fare la tua spalla, ne corre di strada!”.
“Ho capito. Me la devo sbrigare da solo! Anche se, prima o poi, ci cascherai. Sei troppo brava con i ragazzi e loro provano una grande simpatia”.
“Perché avevi dubbi? O ti sei dimenticato dei tempi del corteggiamento, quando ti trovavo ad ogni passo e mi mandavi centomila messaggi? Ogni tanto anche un fiore”.

Un giorno o l’altro ci cascherai: sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero, sarà il messaggio inatteso. Ma ci cascherai. Attento però a: - non cascare dalle nuvole - guarda con gioia la novità di un’età che cresce - diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare - anche con i brufoli - l’amore non è una controindicazione - l’amore è una grazia - viverlo bene è un dono - preparalo perché diventi una vocazione
Un giorno o l’altro ci cascherai:
sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero,
sarà il messaggio inatteso.
Ma ci cascherai. Attento però a:
– non cascare dalle nuvole
– guarda con gioia la novità di un’età che cresce
– diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare
– anche con i brufoli
– l’amore non è una controindicazione
– l’amore è una grazia
– viverlo bene è un dono
– preparalo perché diventi una vocazione

COSA PENSANO I RAGAZZI?
Intanto i ragazzi si incontrano in piazza e fanno i loro commenti. O credevate che rimanessero zitti?
Angelo è rimasto folgorato e continua a dire: “Quella Silvia è proprio fighissima. Avete visto come non si impapera mai. Parla chiaro. Sorridente. Poi dice cose giuste. Sembra una tutta d’un pezzo, che sa il fatto suo!”.
• Educatrice in pectore dal portamento tranquillo, rassicurante e luminoso.
• L’opposto rispetto all’educatore musone, brontolone, sempre scontento, capace soltanto di rimproverare e di fare prediche.
Michele che guardava Silvia con occhi intensi: “Ne sa, quella! E non teme a rispondere a tono. Non si perde davanti a nessuna domanda. E’ proprio fortunato Giorgio ad averla incontrata.
A me piacerebbe una ragazza come lei”.
• Educatrice non arrogante, ma sicura di sé.
• Capace di non smarrirsi e di non entrare in crisi se le sembra di aver fatto una figura così così.
• Educatrice che compensa bene la sua vita personale e il suo servizio agli altri.
Claudia che da tempo ci sta provando con Alberto: “A me sembrano la fine del mondo insieme. E’ come se si fossero conosciuti da sempre”.
• Educatore ed educatrice che sanno essere autorevoli anche nella loro vita personale.
• Non la sentono come un peso, soltanto perché è coerente. La sperimentano come una chiamata.
Corrado fa un’osservazione molto acuta: “Stanno insieme eppure sanno ragionare ciascuno con la propria testa. Sono diversissimi. Non ci tengono ad essere incollati uno all’altra. Quando devono dire la loro sono molto autonomi. Si devono essere proprio allenati a stare insieme in quel modo”.
• Educatore ed educatrice che hanno idee originali, le condividono ma non le sovrappongono.
• Diversi e per questo ricchissimi. Le fotocopie non sono utili per educare.
• Mai vicini, non perché non gli piace, ma soltanto perché quello non è il momento.
• Sanno vivere come persone non come fratelli siamesi.
• Hanno iniziato un buon tirocinio per stare insieme.
Elisabetta “Vedete, loro hanno vissuto per anni l’esperienza del gruppo. Nel gruppo è nata la loro amicizia e il loro amore. Nel gruppo hanno imparato a stare con tutti, a non isolarsi, a non dipendere l’uno dall’altra”. Soltanto Elisabetta poteva fare un’osservazione così saggia e acuta.
• Educatori che nel gruppo sono cresciuti.
• Nel gruppo hanno scoperto la loro vita.
• Con gli altri hanno appreso l’arte di creare unità e comunione.
• In gruppo, cioè stando insieme, sono diventati capaci di autonomia.

I ragazzi
tutti a una voce:
“Cosa ne dite se arruoliamo anche Silvia come educatrice? Se glielo dice Giorgio dirà certamente di no, ma se glielo diciamo noi …?”

“Ci proviamo. Speriamo che si lasci corrompere!”.

 

Stupendo e impegativo  Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.
Stupendo e impegativo
Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.

LA VERIFICA DI GIORGIO E SILVIA
Anche Giorgio e Silvia, fanno la verifica dell’incontro.
Da tempo hanno capito che:
• Non si archivia ogni incontro, dicendo: “Anche questo è fatto!”.
• Bisogna ritornarci su.
Giorgio è il più esperto su quel gruppo di ragazzi. Parla a ruota libera.
“Hai notato? Luigi è proprio imbranato. Ad ogni accenno un po’ delicato, diventa rosso e vorrebbe scomparire. Bisognerà incontrarlo da parte, non per fargli la romanzina o la lezione di recupero, ma per incoraggiarlo a credere in se stesso. So che si fida di me. Cosa ne dici se ci provo?”
“Va benissimo, attento, però, a non diventare rosso tu. Sarebbe un brutto affare. I ragazzi si accorgono subito come si fa a mettere in difficoltà il loro educatore. Anche se sono ragazzi timidi”.
• Se un ragazzo si trova a disagio, non lo emargino; lo incoraggio e lo aiuto.
• Davanti a temi più delicati alcuni ragazzi aspettano un soccorso. Non insistiamo su di lui. Passiamo oltre con molta delicatezza. Troveremo dopo il momento giusto per avvicinarlo.
• Non si rimprovera un ragazzo perché non parla. Non conosciamo la ragione. Dobbiamo aspettare.
• Lo incontriamo da solo, con naturalezza, per parlare del più e del meno. Da lì si inizia.
“Mi ha molto colpito Luisella. La conosco da piccola. Adesso si è fatta talmente grande e carina che talvolta mi viene da chiedermi come stia vivendo questa stagione della sua adolescenza. Si cura nei dettagli. Cerca di mettersi in mostra. Se un amico sta pensando ad altro, appena la vede la nota e la scruta. Lei rimane molto compiaciuta. Forse dobbiamo avere verso di lei un’attenzione particolare, da persone mature”.
“Non te ne sarai innamorato?!”.
“Scema. Non sai pensare ad altro? Allora tu sei gelosa!”.
• La bellina del gruppo ci permette di rifarci gli occhi. Non colpevolizziamola chiamandola “oca giuliva” o accusandola di “civetteria”.
• Forse vive un’adolescenza più turbolenta. Accorgiti di lei, senza prenderla sotto le tue ali. Non preferirla a nessuno. Non ne ha bisogno per esistere, le servirebbe soltanto per farsi notare.

TIRIAMO LE SOMME

“Facciamo i seri. Hai proprio ragione, Giorgio. Noi abbiamo tra le mani un’età affascinante e problematica. In questi due o tre anni i ragazzi si giocano molte carte del loro futuro. E la dimensione affettiva è quella più delicata e fragile”.
Rimangono pensosi. A un certo punto sempre Silvia aggiunge:”Io non voglio fare l’educatrice, ma voglio darti una mano. Poi si vedrà. Proviamo a pensare ad una specie di prontuario del “primissimo amore”, quello tenero e acerbo sul quale si misurano questi ragazzi”.

A Giorgio non sembra vero. Nelle sue aspettative c’è sempre un “SI!” di Silvia come futura educatrice. D’altra parte, se si vuole educare in maniera completa, matura ed efficace, ci vuole un ragazzo e una ragazza. Se poi stanno insieme come coppia e bellini come sono loro, Giorgio e Silvia …
Non perdetevi la prossima puntata sul DECALOGO IN UNDICI PASSI

Quando viene l’ora di Giorgio e della sua dolce Silvia. Dai l’esempio e hai fatto bingo

giovani20001_fmt*di don Mario Simula* Giorgio, educatore di oggi e del futuro, di che cosa hai paura? Di farti vedere innamorato? Di metterti in graticola sotto le forchette dei ragazzi? Di portare la tua Silvia in gruppo?
Ti assicuro:
1. I ragazzi non vedono l’ora di sfidarti
2. I ragazzi te lo fanno apposta, ma sono buoni e desiderosi di crescere
3. Se vedono Silvia, te la rubano con gli occhi, con i sorrisini, con le battutine e tu vorresti sotterrarti
4. I ragazzi vogliono farti cadere nella loro trappola.
Allora non se ne parla nemmeno di andare da loro in gruppo. Anche con le migliori intenzioni. E’ molto meglio stare sulla difensiva.
Se avessi davanti dei nemici, ti darei ragione.
Giorgio bello, non ti sei ancora accorto di quanto ti vogliono bene, i ragazzi? Ormai sei il loro “educatore”. E siccome sei giovane e simpatico, anche se qualche volta un po’ “imbranatino”, parlano di te con i compagni di scuola, con i genitori, tra di loro.
Ormai conti. Sei un punto di riferimento: “L’ha detto Giorgio!”.
Tu, però, devi tirare fuori da te la carica più esplosiva di simpatia.
Sei chiamato a trovare sicurezza.
Certamente hai qualcosa da raccontare, e qualcosa di bello e di valore.
Ti presenti col ”valorissimo aggiunto” di Silvia. Con un’esperienza al tuo attivo.
Cosa vuoi di più?
In attesa del battesimo di fuoco
Giovedì ore 19: incontro ragazzi. Tutto inizia con l’annuncio che per Giorgio è importante e impegnativo.
“Ragazzi, al prossimo incontro verrò con Silvia. La conoscete di sicuro. Almeno perché l’avete vista a messa assieme a me”.
“La tua ragazza?”, grida subito Guglielmo.
“Sì, la mia ragazza!”.
“Bravo, Giorgio, non vediamo l’ora”.
“Ho pensato così, se siete d’accordo”. “Sìììììììììììììììììììììììììììììììììììì!”.
Ormai Giorgio si è compromesso. La settimana sarà per lui un po’ agitata: “Chissà cosa chiederanno quei ficcanaso. Perché non resteranno senza domande”.
20141226_165124_fmtNon manca nessuno all’incontro. Giorgio con Silvia, fanno una bella coppia. Anche a vedersi. Sia l’uno che l’altra, non c’è male! A vederli insieme Giorgio sembra più bello del solito, oggi un po’ insicuro. Silvia è sempre quella che è: alta, bionda, carina, piacevole. Un bel sorriso, spontaneo e accattivante.
Un dialogo davvero fuori programma
Luigi non dà tempo alle introduzioni. E’ quello che parla sempre per primo. Anche perché non mette domande originalissime.
“Senti Gio’, come vi siete conosciuti?”.
“Non è avvenuto al tramonto di una giornata di sole. In spiaggia. Due ragazzi romantici che si specchiano nel fuoco di quei colori e si guardano ancora soltanto negli occhi, perché non riescono nemmeno a sfiorarsi la mano. Ti ricordi, Silvia. Io stavo sulle mie. Iniziavi a piacermi talmente che stavo alla larga. Intanto frequentavamo il gruppo giovanissimi: io di qua e tu di là. Ma sempre su punti strategici, per poterci almeno sbirciare e gettare le prime intese.
Io ero pronto a scherzare, ad organizzare giochi e scherzi. Silvia era una delle più brave coriste della parrocchia. A lei non piaceva tanto giocare. A me interessava così così cantare. Agli incontri eravamo, però sempre presenti e attivi.
Di domenica, a messa, lei era sempre a destra. Io cercavo il posto più vicino. Qualche volta avevo la testa per aria. Stavo solo pensando a lei. Ci pensava Antonello a portarmi con i piedi per terra. Mi affibbiava certe gomitate!
Tutto è nato in parrocchia, nel gruppo.
Giorno dopo giorno. Senza forzare i tempi.
Senza abbandonare gli amici. Senza chiuderci.
Un giorno è stata proprio Silvia a dirmi, diventando rossa: “Sai, stanotte ho pregato Gesù per noi due. Mi è venuto spontaneo farlo. Non ricordo che cosa ho detto. Sicuramente cose belle. Desideri grandi. Ho avuto l’impressione che Lui mi guardasse con simpatia, sorridendo. Come se fosse compiaciuto”.
In quel momento ho capito che eravamo in due a provare gli stessi sentimenti e abbiamo iniziato a stare insieme, un po’ alla volta”.
“Tu dici un po’ alla volta. O ci state o non ci state!”, protesta Stefano. “A me non sarebbe sembrato vero che una ragazza come Silvia stesse al mio fianco. Mi sarei divertito da morire. Sono proprio curioso di sapere che cosa avete fatto voi”.

Pazienza, stima, ascolto... si inizia così
Pazienza, stima, ascolto…
si inizia così

Questa volta è Silvia a prendere la parola, senza farsi impaurire dal tono aggressivo di Stefano.
“Noi abbiamo cercato di conoscerci. Avevamo capito subito che non può esistere un amore forte e vero senza sapere chi è l’altra persona che ho accanto.
Abbiamo scoperto tanti aspetti del nostro carattere. I molti pregi, le qualità e anche i limiti e i difetti di ciascuno di noi.
Ogni scoperta ha rappresentato un passo avanti pieno di gioia e qualche volta di fatica. Sai, Stefano, quanto è facile stare a lungo insieme senza sapere con chi mi trovo?
Ci siamo raccontati le nostre storie, a partire dalle famiglie alle quali apparteniamo.
Intanto cresceva l’affetto, la stima reciproca, la pazienza, l’ascolto, la capacità di perdonarci. Iniziavamo anche a stare più vicini, con gioia. Riuscivamo a parlarci con tanti gesti di amore e di delicatezza. Non c’era bisogno di bruciare le tappe. Tuttavia il nostro amore cresceva e si vedeva crescere. Ci cercavamo di più, ma sapevamo stare anche qualche giorno in silenzio. Non per dispetto, ma per far crescere il desiderio l’uno dell’altro. L’abitudine è una malattia mortale per l’amore. Il desiderio sempre vivo, è l’acqua fresca che lo alimenta.

...E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...
…E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...

Abbiamo litigato più di una volta. Ricordo che l’ultimo scontro risale a qualche mese fa. Giorgio voleva a tutti i costi che stessimo molto di più da soli. Noi due. Come due piccioncini. A rischio di costruirci il nido caldo. Due cuori una capanna. A me la proposta sembrava fuori posto. Chiedere una cosa simile a me che amo molto stare con gli altri, essere allegra, uscire con le amiche significava rinchiudermi in una prigione. E lui ad insistere. Non so se per gelosia o per egoismo. Non ne volli proprio sapere. Capì subito che su questo punto ero irremovibile.
Seguì qualche giorno di lontananza. Fino al momento nel quale ricevetti un messaggio tenero: “Silvì, sono stato sciocco. Che motivo c’è di blindare il nostro rapporto? Ci si può conoscere anche stando insieme con gli altri. E un gesto di amore è bene che lo vedano anche gli altri. E’ così bello! Noi troveremo i momenti che appartengono a noi”. Non credevo ai miei occhi, mentre leggevo. Non risposi con messaggino. Ci voleva una telefonata senza tempo. Fu lunga quella telefonata, carica di verità, di chiarezza e di affetto. Fece bene a tutti e due”.
Andrea sembrava poco convinto di tutte queste storie belle. A bruciapelo butta la sua: “Quando mai non avete sentito il desiderio di fare qualche cosa di più. I miei amici raccontano che subito si fanno avanti con la loro ragazza: Ci stai? A me sembra impossibile che Giorgio così maschiaccio e Silvia così piacevole non ci abbiano provato mai!”.
Credo che non fosse soltanto Andrea a voler fare questa domanda.
Giorgio e Silvia si guardano esitanti, per prendere una decisione tacita: parli tu o parlo io? Con la speranza che parlasse il tu invece che l’io.

Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi! Non immagini il terremoto del mio cuore e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu, che hai immaginato questo cataclisma. Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi. Hai visto come si incollano alle nostre parole. E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza forse ci scapperà qualche altra notizia. Non pensare male mi raccomando!
Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi!
Non immagini il terremoto del mio cuore
e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu,
che hai immaginato questo cataclisma.
Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso
come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi.
Hai visto come si incollano alle nostre parole.
E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza
forse ci scapperà qualche altra notizia.
Non pensare male mi raccomando!

“Ragazzi – inizia Giorgio – la domanda è molto personale, però sono contento che sia venuta fuori. Quando si inizia a stare insieme da un certo tempo, un po’ alla volta l’attrattiva reciproca inizia a farsi sentire sempre più forte. Piacciono i gesti affettuosi che consolidano l’intesa tra noi due. Si scopre la bellezza di ritrovarsi da soli per parlare stando vicini, abbracciati e scambiandosi quelle attenzioni tenere e delicate che danno sicurezza e felicità.
Siamo, però, anche attratti con maggiore forza, a sperimentare l’intimità di coppia. Lo si sente nel corpo che entra in subbuglio. Si sperimenta una forza che, al primo momento sembra incontrollabile. Come se volesse travolgerti.
A questo punto occorre guardarsi negli occhi ed avere la semplicità di dirsi quello che si prova. E domandarsi: è proprio quello che vuole Dio? Non è forse impulsivo questo bisogno? Può esser rimandato al momento giusto, quello che coincide con la scelta di tutta la vita?
Noi abbiamo cercato di vivere questa esperienza. Lottando, ma senza sentirci costretti.
Silvia è stata bravissima con il suo equilibrio”.
“E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine. Ho voluto dire a Giorgio che andava bene la conoscenza graduale, anche da questo punto di vista. Conosco tante amiche che si sono fidate del ragazzo e ragazzi che si sono abbandonate a ragazze intraprendenti. Non hanno avuto che delusioni. Con Giorgio abbiamo parlato a lungo. Ci siamo capiti. Abbiamo colto ciò che ciascuno provava in certi momenti, ma io gli ho assicurato che per me era già una risposta importante l’intimità che stavamo raggiungendo, con l’aiuto reciproco, con la vigilanza gioiosa di chi non vuole sprecare un dono.
Da allora ci ritroviamo spesso a pregare insieme. L’amore ce lo insegna soltanto Gesù. Lui ci ascolta e noi lo ascoltiamo. E’ una forza incredibile la sua presenza.
Oltre a questo percorso, ci siamo impegnati a dare sempre il meglio di noi stessi a favore degli altri. Questa è l’altra faccia dell’amore. Ci è chiaro che, donando, si impara ad amare, ad attendere. Il desiderio l’uno per l’altra, non fa altro che accrescere il nostro amore reciproco. Stiamo bene insieme. Anche se in certi giorni le nostre scelte costano e ci bruciano”.
Lorenzo, che non ha peli sulla lingua, sbotta: ”Silvia, tu avrai pure ragione. Ma a noi certe cose piacciono. Se le possiamo fare, perché non le dobbiamo fare? Una prova, un gusto …”.
“Lorenzo, volevi dire un piccolo “pasticcio emotivo”? Questo è molto facile da combinare. Ma l’amore anche per un ragazzo è proprio questo?”. Il dialogo rimane a questo punto. E’ stato intenso, seguito dai ragazzi che sanno essere seri quando la vita è messa in gioco. Sono talmente contenti che aspettano tutti di poterlo continuare. Certo che Silvia ha quattro idee chiare in testa.

Stiamo iniziando a capire che il gruppo nelle mani di tutti e due: Giorgio e Silvia, potrebbe fare passi da gigante. Si potrebbe aprire alla confidenza. Costruirebbe legami di amicizia. Magari farebbe entrare fra i membri di diritto anche Gesù, che non guasterebbe!

shutterstock_69882811 _fmtCommento solitario dei ragazzi
“Giorgio hai avuto un’idea da schianto.
Tu non hai visto le espressioni della tua faccia, i colori, gli sbiancamenti.
Sicuramente hai sentito il sudore scendere!
Non parliamo di Silvia. E’ davvero in gamba. Sa il fatto suo. E’ una dritta, la tua Silvia.
Abbiamo capito che se gli educatori riescono a raccontare la loro vita, come hanno fatto oggi parlando di amore, anche i nostri amori incipienti di ragazzi troverebbero la loro bussola”.

Se non ti racconti, che cosa racconti?
I manuali? Le pie esortazioni? Le morali a poco prezzo o terroristiche?
Quando con i ragazzi si entra nel vivo della loro vita, bisogna avere occhio a:
1. Catturare l’interesse
2. Anche su temi impegnativi come quello dell’amore, interesse non è curiosità
3. Voglia di apprendere dalla vita e dai testimoni con la loro vita
4. Credibilità di una vita vissuta con gioia e impegno, anche quando costa per primo all’educatore
5. Essere veritiero. Non voler sembrare un angelo, uno che vive ad un metro da terra. Di’ quello che sperimenti e dillo a misura dei ragazzi che hai davanti
6. Non ti chiedono molte cose, nonostante sembri che loro ne conoscano sempre una in più di te. Ti chiedono cose di qualità, dette bene, testimoniate con passione, senza reticenze sulla fatica che costano
7. E poi, fidati dei ragazzi, fidati di te e fidati di Gesù che a tutti voi tiene più che ad ogni altra creatura.

 

Dio le pensa tutte in fatto di amore: “ne sa una più del diavolo”

Attractive-couple-romantic-moods-hot-pics*di don Mario Simula*
La fantasia di Dio è incredibile. Poteva uniformare tutto, semplificare tutto, ridurre tutto ad un medesimo progetto.
Niente da fare. Una moda al maschile e una al femminile. Un taglio di capelli per uomini e uno per donne. Due timbri di voce. Due arrangiamenti del corpo: con la barba e senza barba, con ombretto e non, con unghie costellate di stelline o volgarmente al naturale. Fianchi diversi, petto diverso, sorrisi e atteggiamenti diversi. Anche i temperamenti diversi. Per non parlare della loquacità.
E se vogliamo sorridere con ironia diciamo: “Quella donna è baffuta. Quell’uomo si concia come una donna!”.
A ciascuno sta bene il “suo”.
Eh! La fantasia di Dio!
A proposito di Giorgio e della sua Silvia
State proprio bene insieme! Tu bruno e slanciato. Lei snella e bionda, con gli occhi chiari. La ragazza che gli altri ti invidiano! Devi starci attento. Ma Silvia è affidabile. Non ti tradirebbe per nessun altro al mondo. Dove lo troverebbe uno come te: educato, buono, generoso, impegnato, anche educatore? Poi sei forte. Sai prendere decisioni. All’università prometti bene. La tua diversità la fa andare in estasi. La sorprendi, a volte, mentre ti guarda incantata. Le devi dare un pizzicotto per riportarla alla realtà. Chissà come ti sogna la notte! Ti chiama più volte, mentre si gira e rigira nel letto.

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Dio, che scherzi mi fai?Mi sconvolgi e mi rallegri con le tue imprevedibili folate di amore. Poi capisco che l’amore non è un gelato. Non è un’invasione di campo. È occhio aperto che scruta e cerca di comprendere. È cuore che cerca di rispondere. È saggezza che sa aspettare.

E tu per Silvia hai perso la testa, non a prima vista, ma a seconda vista. Quando l’hai incontrata le prime volte, ti infastidiva quella bellezza esuberante. Non ti rassicurava. Come avresti fatto ad averla per te, unica e tu unico?
A seconda vista, però, il cielo si è aperto. A dire il vero lei un po’ di cielo azzurro lo aveva già negli occhi e un raggio di sole era disegnato nei suoi capelli.
Guardandovi, avvicinandovi. Vivendo sempre più a contatto avete iniziato a sperimentare il bisogno di stare più spesso insieme. A ciascuno di voi piaceva ciò che l’altro possedeva di diverso. Che strana cosa! Che sensazione mai provata!
A Giorgio, un bruno mediterraneo, piaceva una bionda celestiale. A Silvia, con gli occhi d’acqua limpida, piaceva un bruno segnato come un quadro di Caravaggio.
A Silvia disinvolta e garbatamente civettuola, piaceva un ragazzo a modo, controllato e bello nella sua mascolinità.
Dài Giorgio, dài Silvia, che siate la coppia giusta?
Intanto provate a cercare insieme, a capire le vostre ricchezze, i doni che potete scambiarvi come maschio e femmina creati da Dio a sua Immagine e Somiglianza.
A Giò … ritorniamo sulla terra
Tu e Silvia siete tu e Silvia. Ma quei malnati di adolescenti del tuo gruppo, chi può trattenerli?
Riempiti d’amore gli occhi questa sera, quando la pizza è soltanto una scusa e Silvia lo scopo e siete uno davanti all’altra a confermare un amore misterioso che vi lega!
Domani sarà un’altra cosa.
Ti chiederanno: perché diversi?
E tu cadrai dentro la fossa dei leoni. Chi ti salverà? Certamente quell’angelo di Silvia. Basta?
Vediamo quali passi dobbiamo fare, per non scivolare sulla prima buccia di banana che incontriamo.
Punto uno: non prepararti sul libro di scienze. E nemmeno su quello di anatomia umana.
Punto due: non sei chiamato a fare un incontro di informazione sessuale. Non è tuo compito e non ne hai la competenza.
Punto tre: non esordire dicendo: “Ragazzi, oggi, dobbiamo parlare di una cosa seria”. Li faresti ridere prima ancora di iniziare.
Punto quattro: non fare il “figo” dando a credere che sei uno che se ne intende. Ti guardano in faccia e fanno le smorfie. Un colore sale e un altro scende. E il fuoco divampa. Il tuo corpo dice che sei imbarazzato. E quindi un uomo morto. Quelli non sanno nulla di preciso, di chiaro; ma figurati se te lo dicono. Ci tengono a farsi sentire “esperti”. Magari hanno fatto qualche esperienza. Forse hanno combinato qualche piccolo pasticcio. Ma cosa sanno loro dell’amore, se non quello che imparano dalla più grande psicologa che ci sia in circolazione! Si chiama Maria De Filippi. Una donna così così, che poteva piacere soltanto a Maurizio Costanzo. Lei sconcia amori, li rammenda, li costruisce, li destreggia.
Una vera maga delle relazioni di coppia.

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L’amore è un’arte. Tutti ci provano. Con alterne fortune. Amare rimane sempre un’arte. Per pochi o per tutti? Per chi vuole apprenderla. Con pazienza. Giorno dopo giorno. Si impara ad amare tutto. Se, però, non conosci chi sei e chi sono, come puoi amare tutto? Dio va nel dettaglio e ogni particolare della mia persona mi ricorda la sua fantasia. Devo imparare ad andare dall’amore all’Amore. Da Carmela a Dio. Da Luigi a Dio. Quando vuoi iniziare l’avventura dell’amore ricorda che stai scalando una montagna. Non è straordinario prendere per mano l’amore che è in affanno? Non ti entusiasma essere in cordata, legati (in relazione) per essere più forti e sicuri, stretti perché l’altro non precipiti? Non ti commuove cadenzare lo stesso passo, un passo più lento per aspettare, il fiatone condiviso in salita? Non è felicità contemplare gli stessi orizzonti di vita: inattesi, immensi, rarefatti come l’aria purissima che respirate? Chi ama è pronto alla fatica. Perché vuole sperimentare la gioia. È pronto a stringere mani (in relazione) per sempre. Anche quando sono fredde e hanno bisogno di essere accarezzate perché si riscaldino. Tu e i tuoi ragazzi: tutti pronti ad imparare, ogni giorno. E chi cerca di amare meglio, pronto ad accompagnare i ragazzi nella turbolenta strada dell’amore.

Qualche punto fermo
Non siamo fatti a caso e nemmeno in serie. Non siamo tre teste, due nasi, quattro bocche. Siamo quello che vediamo.
Un corpo maschile e un corpo femminile. Una sensibilità maschile e una femminile. Un pianto di uomo e un pianto di donna. Anche le voci e il tono e il timbro sono diversi. Le reazioni, poi, sono una opposta all’altra. Lei ti sommerge sotto una pioggia di parole “offese”. Lui ti innervosisce, perché se la cava con qualche mugugno. Il resto lo lascia alla tua fantasia.
Lui ti abbraccia fino a stritolarti. Lei ti abbraccia con calore e ti fa vibrare.
L’estetica, le preferenze, i gusti: percorrono via diverse. Anche se dici: “Ci piace lo stesso cantante, mangiamo il panino farcito alla stessa maniera”.
Maschio e femmina li creò. Queste due parole semplici semplici costituiscono la grammatica dell’amore. Poi si impara la sintassi e il vocabolario.
La meraviglia sta proprio qui. Maschio e femmina vuol dire tutto: ciò che siamo, le nostre diversità, ciò che ci attrae, ciò che ci pare bello.
Sogniamo un incontro, una intimità perché siamo maschio e femmina.
La cosa più sorprendente è che come maschio e femmina rassomigliamo a Dio, siamo sua immagine. Specchio di Dio. Se custodisci lo specchio, tra te, ragazzo e la ragazza che ti sta davanti, si crea una relazione.
Vi guardate negli occhi e sussultate. Vi tenete per mano ed è come se trasmetteste una corrente non solo di simpatia, ma di amore. Vi abbracciate ed è una cosa “tutta diversa” da ogni altro abbraccio. Vi baciate e vi accorgete che avete raggiunto un traguardo impossibile. State vicinissimi e non vi dà fastidio. Occupate lo stesso metro quadro ed è quello che vi piace. Parlate e nessuna parola è altrettanto bella. Fate silenzio e vi leggete nel cuore. Il ragazzo rivela la forza e la ragazza regala la tenerezza
Li creò perché fossero due in una sola carne. Diversi, ma fatti l’uno per l’altro. Chiamati a quella intimità che fa nascere la vita e che spesso i ragazzi e i giovani non capiscono.
È più facile dire: “Stiamo insieme per divertirci!”. In questo modo sciupate un dono. Ognuno dei due usa l’altro. Non lo ama. Anche se nasconde l’egoismo sotto il velo di parole dolci.
Si dice guardandosi teneramente negli occhi e con un certo imbarazzo: “Sai, è la prima volta!”-“Anche per me è la prima volta”. Le emozioni scoppiano, il sesso predomina. Non a caso l’espressione tanto comune: “Facciamo sesso?”. Come se si dicesse facciamo footing. Ci facciamo una pizza. Perché non ci facciamo una birretta?
All’inizio della vita di una coppia esiste la comunicazione. Il sapersi raccontare. Il conoscersi. La relazione. Ci lasciamo legare dallo stesso vincolo dell’amore.
Al centro non ci sono io e il mio benessere. Ci siamo noi e la nostra relazione.
Altrimenti raccolgo soltanto elementi per trascorrere qualche ora di divertimento con gli amici, raccontando soddisfatto, da buon maschio, che cosa è avvenuto. Magari allegando un pezzo di filmato in You Tube.
Credimi: l’innamoramento non basta. Vivere tutta la vita con la testa attraversata da stelline, da fantasie, da sogni, significa rassomigliare a quel Narciso che si specchia nell’acqua del pozzo e che, per non perdere l’immagine, si butta dentro.
Quando si inizia ad amare:
Da solo non basta
Pensare unicamente a me stesso non basta
Avere fretta e cercare tutto e subito non basta
Il piacere non basta
Il toccare tutto non basta
Quando si inizia ad amare occorre essere convinti che:
Non esiste soltanto il corpo
Ma anche le parole
Lo scambio di storie personali
Il dialogo
La conoscenza
Il fare un passo per volta
La pazienza
Il rispetto.

Ti diranno: “Quanto è vecchio il nostro educatore Giorgio!”. Giorgio non scoraggiarti. Ripensa a Silvia e all’esperienza che vivi assieme a lei. Non può essere una “cosa privata”. Si deve vedere. Nella tua felicità. Nei momenti di crisi. Nell’orgoglio quando i ragazzi ti vedono insieme con lei e vi guardano con invidia e con qualche desiderio segreto.
Forse, quando si sarò rotto il ghiaccio nel gruppo, qualcuno ti chiederà: “E tu, Giorgio, che esperienza stai facendo?”. Non avere paura di rispondere. Sarebbe il più bell’incontro che possa immaginare.
Poi, a te lo posso dire: “Butta qualche preghiera per te e per Silvia ai piedi di Gesù: gli farebbe immensamente piacere. Certo non chiederlo ancora ai ragazzi. Preparali un po’ alla volta e magari spiazzali pensando tu una preghiera per tutti nella quale chiedi a Gesù che ci insegni ad amare come sa amare lui”.

Sottovoce: “Quando andrai insieme con la tua dolce Silvia, nel gruppo dei ragazzi, per fare le presentazioni? Muoiono dalla voglia di incontrala. Stai tranquillo, non te la ruberanno!”.

Quando l’amore si complica

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…un maschietto una femminuccia, una femminuccia un maschietto. L’attrattiva è questa. E ognuno guarda le diversità…

*di don Mario Simula*
Che strana sensazione …
Giorgio, non ce l’ho con te. Anzi. Mi sei simpatico e ti ammiro per il coraggio di essere animatore (giovane!) di adolescenti.
Ho notato che, da un po’ di tempo, Eufemia e Nicoletta si guardano con occhi da triglia, vuol dire “intriganti”. Mano nella mano, intrecciate, si riconoscono soltanto loro due. Le altre amiche e gli amici hanno perso colore.
Stanno bene insieme. Una scossa emotiva le attraversa. Quando si salutano sembrano due innamoratine alle prime armi. Si sentono “tenere”. Si abbracciano e si baciano una e due volte e anche tre. “Ciao Eu, ciao Nic”. Si separano guardando indietro, fino a quando l’angolo della strada non le nasconda.

Sorridono felici tra sé e sé. Il primo cuoricino che balbetta nel cellulare. Poi si anima di vibrazioni elettriche.

A casa. “Finalmente sei ritornata”, urla mamma, ignara. “Questa figlia tua, ha ritrovato la strada dell’albergo”, protesta babbo.

Stessa musica in due case. Nic si chiude in camera. Eu si chiude in bagno. WhatsApp  a ritmo serrato. Dichiarazioni di amore. Qualcosa sta nascendo.

Se ti fanno la domanda a bruciapelo
Giorgio rischia di rimanere bruciato. Non ha ancora messo nel conto questo quesito micidiale ed esplosivo: “Se io Eufemia (Eu) voglio bene a Nic cosa devo fare?”. E sì! La domanda arriva, come una bomba d’acqua. Senza far nomi. Ma senza far mistero sui nomi.

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Un bagaglio misterioso di ingredienti dentro un corpo indecifrabile

Michele non si fa pregare, come se la cosa lo interessasse direttamente: “Per me quando due persone si vogliono bene: due ragazzi, due ragazze … che male c’è?”. Tutto semplice per lui. A Michele piacciono le ragazze, da morirne. E solo le ragazze! Ma Lui è liberale, aperto.
“Ognuno è fatto come è fatto. Se si sente così …!”, incalza Angelino.

“Basta, basta, ragazzi”, urla Giorgio appena si accorge che la conversazione sta per prendere una brutta piega. Per lui!

Che ne sa, lui. Questi cannibali se lo vogliono pappare in un boccone. Meglio andare verso la conclusione. “Ragazzi, giovedì prossimo riprendiamo l’argomento”. “No, no. Adesso che avevamo iniziato”. “Basta. Non facciamo storie. A giovedì. Adesso devo andare”.

Giorgio, per questa volta se l’è scampata. Ma giovedì prossimo?

Quando l’amore è “omo”
Un maschietto una femminuccia, una femminuccia un maschietto. L’attrattiva è questa. E ognuno guarda le diversità. Che “figheria”! Che forme! I fianchi: non se ne parla. Gli occhi, i cappelli, le mani lisce, la pelle invitante. Eppure mi piace lui anche se è un maschietto come me. Mi piace lei anche se siamo tutte e due femminucce. Scherzi dell’amore!

Rear view of a young male couple holding each other

Però è strano, se ci penso. Ancora una volta tra due lui e tra due lei piace la differenza. Perché uno ha un ruolo molto amabile e tenero, l’altro è più intraprendente e forse aggressivo, senza esagerare. Uno accetta le tenerezze, l’altro è più attivo e forte nel regalarle. Due modi per dirsi “ti amo”, anche se sono lui e lui, lei e lei.

Cosa è avvenuto?

Noi abbiamo un bagaglio misterioso di ingredienti dentro un corpo stupendo e indecifrabile. A volte si nasce fatti in modo tale che ti piace un maschietto come sono io e non una femminuccia diversa da me.

Qualche volta ci mette lo zampino l’educazione.

Maschi e femmina si nasce, con tutte le differenze, visibili, chiare. A diventare maschio e femmina si impara da una mamma che ama essere donna, si piace come donna, sa svolgere il suo compito di donna.

Happy Valentine's DaySi impara da un papà che sa essere maschio, conosce le sue caratteristiche, le affina, le rende belle e amabili. Si impara da un papà e da una mamma che sanno amarsi così come sono e sono felici di quello che sono e riescono a dirselo e a manifestarlo.

Cosa farà, senza nemmeno accorgersi il bambino che cresce? Se è un maschietto guarderà con attenzione come è il padre. Lo imita, lo guarda con orgoglio, vuole essere come lui. D’altra parte papà sta proprio bene con la mamma. Si cercano, si accarezzano; ha notato che con naturalezza si baciano e si abbracciano.

“Voglio essere un bel maschietto come mio padre”.

Se è una femminuccia scoprirà un po’ alla volta la bellezza della mamma. Il suo volto dolce. I suoi tratti delicati e generosi. Il suo bisogno continuo di donarsi. Vede come accetta di essere guardata con piacere e con rispetto da papà. E’ felice quando arrivando a casa diventa subito la persona più cercata, da accogliere in una stretta fortissima. Si accorge che papà le fa tanti complimenti semplici ma molto affettuosi e la cerca con gli occhi, con il desiderio, con l’affetto, con i gesti.

“Voglio essere una meravigliosa femminuccia come mamma”.

Se questo non avviene, in quella casa i figli sperimentano “la confusione”. Non capiscono niente: cosa debba fare papà maschio, che cosa debba fare mamma femminuccia.

“Chi devo guardare? Chi devo imitare? Come faccio a crescere?”. Un bell’affare. Sarò mai un maschietto di valore? Sarò mai una femminuccia deliziosa?

Young couple at sunset.
La sfida dell’amore è sempre un rischio senza paracadute. Ma Dio è Amore e ci tiene che noi non ci facciamo male. Lo vedi guardare dietro le Quinte, come un suggeritore che non ama vederti sbagliare. Accetta questa sfida e buttati!

Che genitore sei
C’è un momento nella vita di ogni ragazzo nel quale il suo orientamento verso la fisionomia della sessualità non è ben definito. Resta vago. E’ come se fosse guidato da una bussola che vede i punti cardinali sfasati.

La soluzione dello smarrimento e dell’incertezza, l’orientamento chiaro verso l’essere maschio o femmina dipende molto dalla qualità della vita di coppia dei genitori.

Sono i genitori che devono imparare ad amarsi nel modo più maturo possibile. Con gioia. Con disponibilità, con apertura dell’uno verso l’altro. Pronti al dono reciproco.  Capaci di amarsi e di onorarsi. Architetti creativi e impegnati del loro progetto di vita. Sempre decisi a riprendere in mano le loro esistenze intrecciate da una promessa e da un impegno e rese stabili da un amore saldo che non teme la fatica quotidiana, la sofferenza, le incomprensioni. Una coppia che elabora ogni giorno atteggiamenti di perdono, di pazienza, di dialogo.

Una vita coniugale vissuta con questi valori, diventa peri figli in ricerca, la risposta più credibile, sicura e rassicurante.

Voi genitori, vi chiedete mai che cosa significhi per i vostri figli la rivoluzione ormonale, caratteriale, affettiva, emotiva che ad un certo momento della loro vita li sconvolge.

Non ve ne parlano perché voi non gliene date l’opportunità e perché avete paura delle domande che vi metterebbero.

Guardate, osservate, incuriositevi per i cambiamenti dei vostri figli. State all’erta per cogliere parole e sensazioni. Tenetevi pronti ad ascoltarli, con serenità e gioia.

Intanto amatevi tra voi da adulti, in ogni momento, con bellezza di atteggiamenti, con la freschezza di una scelta che vi soddisfa.

maxresdefaultGiorgio, che grana, tra capo e collo!
Sta’ sereno, Giorgio. Non spetta a te affrontare con i genitori dei ragazzi questo problema. C’è un don nella tua parrocchia? Tiralo in ballo. Purché sia uno intelligente, senza paraocchi, senza complessi. Chiedi a lui che ti insegni, provando, ad affrontare un tema così caldo e urgente. Imparerai anche tu come fare una prossima volta. Magari l’anno prossimo.

Intanto voglio dirti sottovoce che ho saputo che fili con Donatella. E’ una notizia meravigliosa. Allenati già da adesso ad un amore giovane e bello. Chiedi al tuo amico Gesù come si impara ad amare bene. Anche tu puoi fare la tua parte perché i terribili del giovedì siano felici di essere maschietti straordinari e leggiadre femminucce.

E con Nic ed Eu sii buono, delicato, vicino. L’amore di qualità sa accogliere la loro vita.

don Mario
Scialuppa a mare per giovani educatori in affanno

 

linguistics1PRIMA O POI
Prima o poi ci inciampi nella domanda e nella realtà di ragazzi che vivono una propensione o un’esperienza di omosessualità. 1. Non morirne; 2. Informati con verità e intelligenza; 3. Impara a parlarne con serenità e saggezza; 4. Armati di amore e di accoglienza; 5. Non imbarcarti dentro una questione così delicata da solo; 6. Cer
ca il sostegno e l’aiuto diretto del prete; 7. Non trascurare i genitori dei ragazzi che non sanno che pesci prendere; 8. E poi: via! Gesù è il nostro timoniere. Quando essere educatore vuol dire generare ogni giorno figli d’altri! Ma tant’è…

Quando ti ammali d’amore

shutterstock_57921664*di don Mario Simula*
L’incontro è stato una bomba. Finalmente si è parlato della nostra vita. E di quella parte della nostra vita che non si può raccontare a tutti. Se mamma sapesse che Nicola mi aspetta tutte le sere alla porta di casa e da lì si parte per vivere la solita avventura sentimentale. Se mio padre dovesse incontrarmi per caso durante uno di questi momenti speciali, scatenerebbe la guerra Continua a leggere “Quando ti ammali d’amore”

Mi presento da solo. A scanso di equivoci

Sentieri N5_High_Affiancate_Pagina_04_Immagine_0002 *di don Mario Simula*

Mi sono trovato fra le mani – non so se per caso o per fortuna o per disgrazia – un selfie di mio padre che si rotola per terra col figlio – che sarei io! – ancora piccolo.

Siccome è una foto che non metterei mai in circolazione su face-book senza “crepare” di vergogna, mi sono detto: ”La strappo? La distruggo? La faccio scomparire dalla faccia della terra?”.

Eppure quel babbo tenero, un po’ di tenerezza me la stava scatenando nel cuore. Per un momento ho lasciato che gli occhi strizzassero qualche lacrimuccia: in fondo, povero babbo, qualche problemino doveva averlo pure lui.

Sentendomi figlio “buono” anche se molto “adirato”, ho dato sfogo alla mia ribellione e alla mia protesta. E dalla foto è nata la lettera. Quasi autobiografica.

Caro babbo, ti scrivo

Sì, caro babbo, ti scrivo perché sei tu che le spara più grosse di tutti e hai sempre ragione. Soprattutto quando la ragione te la inventi e tutto si risolve nelle solite paternali: “L’ho detto io; si fa così; zitto, che non capisci nulla, tu!”.

Non è di te, però,  che voglio parlare, ma di me. Quindi, ascoltami, almeno una volta, con attenzione, senza pensare ai fatti tuoi, scappando di qua e di là. Altrimenti mi obblighi a pensare che hai paura di me. Non sono malato!

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Se affronti il rebus mi trovi, se scappi mi perdi. Se mi osservi mi conosci, se mi giudichi ammattisci e ti penti di avermi incontrato.

Se la malattia è crescere, avere qualche idea, essere, talvolta, un po’ strafottente. Allora sono “malatissimo”!

Eppure mi sento in ottima salute. La testa funziona a meraviglia. Sono un vulcano di idee. Alcune pazzesche. Io stesso mi meraviglio di produrle. Qualcuno dice: “Che diavolo gli passa per la testa, adesso!”.

Una malattia so di averla: il “morbo della diversità”.

Babbo, che stupore! Io non sono te e tu non sei me. Mi piace così. E’ bello così.

Dopo tanti “ricoveri” nei consigli di classe, nelle riunioni di genitori disperati, negli incontri di catechisti ed educatori rassegnati, finalmente sono stato dichiarato  clinicamente “sano”!

Siamo ragazzi. Siamo fatti così. Siamo costruiti con questi ormoni. Proviamo questi sentimenti. Cambiamo d’umore. Siamo indecifrabili, nonostante  tutte le vostre riunioni dotte e ripetitive.  E quello che siamo oggi non lo saremo domani. Nemmeno in chiesa.

A proposito: per chi è fatto quel posto? non ci voglio più ritornare. Che tristezza. Non c’è allegria e passione. Ma io le passioni le sento forti dentro di me. Dove sono capitato? Il Dio di cui mi parlano non mi attira. Mi sembra un “Dio ridotto in miseria”. Lui stesso muore di noia in questo posto e sbadiglia e non vede l’ora che qualcuno la smetta di parlare a sproposito di Lui. Quell’omelia: che pizza, che paranoia: sono malato io oppure il don?

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Un giorno ho sognato che mio padre e il mio animatore mi fissassero negli occhi come ha fatto Gesù col Giovane del Vangelo. Sono ancora sconvolto. Anche se ritardo a decidermi!

Caro babbo, fattene una ragione! O mi prendi con simpatia, nonostante le “rogne” che riesco a darti (e che qualche volta voglio darti apposta!) o non ci sarò mai nella tua vita. Eppure ho bisogno della tua vita, anche se non te lo dico.

Babbo, non siamo malati. Siamo dei brutti bellissimi. Anche quando ti chiamano a rapporto a scuola. Anche quando, dopo la cresima, scappiamo via di chiesa. Tu non puoi capirlo.

Lo capirà almeno il nostro bravo animatore Giorgio?

Che tipo strano. E’ insopportabile come me, eppure si comporta come “un grande”. Giorgio, dati una mossa: è troppo presto per rimanere contagiato dal ruolo. Ti ricordi come eri trentasei mesi fa?

Ho bisogno di esagerare

Lo capirà mai, il “vecchio”?

Mi sento e ci sentiamo come un recipiente nel quale è stata versata troppo acqua. E l’acqua trabocca. Siamo una pentola a pressione. State alla larga!

Urla da foresta. Complimenti a mano piena, pesanti e dolorosi. Parolacce, parolacce: ci sembrano sempre giuste e al posto giusto. Ci buttiamo addosso alle ragazze, e loro non sono da meno. Usiamo il tabacco al minimo costo, matti nel “farci la sigaretta”, se non ci sono anche le aggiunte.

Siamo una tempesta!

Ti suggerisco, caro babbo (e lascia che lo dica anche a te simpatico Giorgio), di attrezzarti con un antidoto che si chiama: “prendo le  distanze”. Dose massima: sempre. Nessuna controindicazione fino a questo momento rilevata, se non  quella di “friggere!” nell’olio della pazienza.

Io ti provoco e tu ci caschi. Voglio soltanto mettere alla prova la tua capacità di non vedere ma di osservare, di non ascoltare ma di registrare tutto, di non parlare, subito, ma al momento opportuno.

La mia amica Elisabetta mandava in bestia tutti: padre, madre, parentela, insegnanti, educatori. Poi nel compito in classe aveva la spudoratezza di scrivere: “Mia mamma non sa,  cara prof. ogni giorno  la ringrazio dentro di me perché è una grande “rompi” e   mi richiama sempre, anche quando la mando…. Capisco che mi vuole bene. Ma io non le darò mai la soddisfazione di farle capire che lo capisco”.

Se non sfido le tue punizioni, facendo il contrario di ciò che mi dici, che adolescente sono?

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SENZA BUSSOLA  Come mi smarrisco l’adolescente preferito! Sei proprio scombussolato, senza bussola, quando mi incontri. Non sono una tigre. Un mangio uomini. Ho un cuore. Conosco le burrasche. Solo tu cadi dalle nuvole. “Cala Trinchetto!”. E qualche volte fa’ un pò di silenzio per pensa-re a me. Farai scoperte impreviste. Magari ti verrà voglia di pregare Dio per me. E anche per te che non sai che pesci prendere con questo “brutto bellissimo” ragazzo.

 

 

Se conosco soltanto i compiti, il gruppo, le preghiere della sera divento immediatamente un soggetto. Antipatico. Insopportabile. Per questo motivo tante cose le faccio di nascosto!

Ama più il “dopo” che non il “subito”, le reazioni ritardate più che quelle impulsive,  babbino mio, mio caro Giorgio. Se parti lancia in resta, sei un donchisciotte. E io, dentro di me, sono tutto soddisfatto. Perché ancora una vota ho vinto. ancora una volta ti ho fatto……

Ma se, quando meno me l’aspetto, in un momento di calma, ti fermi con me a parlare, spunti tutte le mie armi, senza farmi sentire sconfitto.

Che debba essere io a dare i consigli giusti a questo grandone di mio padre e all’animatore col patentino, è proprio una strana cosa. In questi casi mi vergogno di avere la testa con la cresta blu e i tatuaggi. Da domani metto la cravatta, per darmi un tono.

Anche noi abbiamo paura

Sfrecciamo per le strade come matti. Ci crediamo onnipotenti. Proviamo tante esperienze con spavalderia, come cavalli pazzi. Ci risulta proprio difficile misurare il rischio. Ci piace rischiare.

Eppure quante paure ci assalgono.

Temiamo le nostre persone scalpitanti. I malumori che ci assalgono, improvvisi e terribili. Anche i sentimenti ci sconvolgono. A volte investiamo tanto sul cuore. Ma che paure! Noi mangiamo con gli occhi la persona che “amiamo”. La notte, però, tutto ci appare sfigurato, eccessivo. Un incubo: “Se n’è andata. Mi ha lasciato. E adesso come faccio! E nel sogno mi taglio le vene! Ma era soltanto un sogno!”.

Caro babbo, io conosco le tue paure: te le vedo disegnate in viso, nel nervosismo delle mani, nella voce che si altera. nella porta che sbatti, nelle urla inutili e fuori posto che lanci a mamma.

Anche tu, Giorgio. quando vieni per  l’incontro non sai dove mettere le mani e i piedi. non sai da dove iniziare. Alla fine anche tu ci fai la predica e ci proponi il gioco che conosco da quasi un secolo. Meglio al bar. Eppure basterebbe poco. Sai quanto prurito mi dà il poter parlare di me, delle mie avv-disavventure. Proprio ieri  mi sono chiuso in stanza a tempo indeterminato, Giovanna mi ha raccontato i problemi di casa sua…

Di quante cose potremmo parlare. Su quanti temi potremmo confrontarci. Ma tu hai preparato l’incontro e se esci dalla “carta” non sai proprio come cavartela.

Prendi in mano le nostre paure: sono il nostro pane quotidiano. Sono anche delle bombe a mano da disinnescare, insieme.

Cosa si può fare? Anzi, datti da fare!

Al posto tuo prenderei un pezzo di diario da buttare sul tavolo, in modo che ciascuno, indifferente, se lo trovi fra le mani e magari gli dia una sbirciatina. Oppure preparerei l’ultima canzone di…e la fare trovare in canna all’arrivo di tutti noi. Secondo me susciterebbe la curiosità di qualcuno. Oppure inventerei una storia “vera” che contenga tutti gli ingredienti della nostra vita “spericolata” e mi tufferei dentro con un racconto avvincente e “fastidioso”, che provochi reazioni, un po’ di rabbia  e tanta voglia di dire il contrario.

 

Cari babbo e Giorgio!

Giocatevela questa vostra vita con noi. Senza stampini, senza paternali, senza andare in bestia. con simpatia. Se sapeste quanto di buono c’è in noi, ben sigillato, perché un adulto e un animatore hanno perso la chiave di ingresso?

Ci mancava solo il corpo

IMG-20160522-WA0004Giorgio sta combattendo con un dilemma profondo e quasi insolubile. Deve parlare del corpo con i ragazzi del gruppo. Lo vuol fare in modo efficace, sorprendente, coinvolgente, incisivo, indelebile.

Non sa da dove iniziare. Giorgio, l’animatore in questione, e’ lui stesso alla prese con  questo irrequieto compagno di viaggio.

Non può scaricalo, né lasciarlo a metà strada. Il corpo lo segue dappertutto, meraviglioso e sconcertante, attraente ed elettrico. Povero Giorgio quando il corpo si scatena! Chi lo controlla.

Vuole tutto e lo vuole subito. È’ difficile trovare un arrogante altrettanto esigente.

 

Sarà rompi ma vale!

 Dio ha fatto dono a ciascuno di noi di un corpo.

Pensa alla sua impareggiabile bellezza. Percepisce, si muove, comunica, cresce, si ammala, guarisce. Corre e aiuta a pensare. Ne devi essere entusiasta per poter trasmettere ai ragazzi lo stupore del dono. Pensa per un momento.

Gli altri, prima di ogni altra cosa incontrano il nostro corpo. È Il primo impatto con la nostra persona. La sensazione più immediata delle nostre reazioni passa attraverso questo straordinario computer mega potente che incamera dati, li conserva in memoria, li sfodera ad ogni occasione.

IMG-20160522-WA0003 IMG-20160522-WA0001Non si dice “a pelle”, per indicare la sensazione più’ immediata che sperimentiamo quando incontriamo gli altri?

A pelle Giovanna ti piace oppure no. La prof ti strappa un apprezzamento e inizi a guardarla o bene o male. Bruno ti fa’ arrabbiare e lo mandi a quel paese. Di Giovanna ti colpiscono le forme  e senza manco volerlo  gli occhi corrono lì. E la fantasia immagina e si scatena.

Dio, che strumento! Lo porto sempre con me. E guai se non lo portassi. Chi mi riconoscerebbe più?

“Mi sembravi tu. Ed eri proprio tu”. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Le presentazioni sono finite. Ci siamo conosciuti a prima vita. Proprio col corpo.

 

Guardare. Mo non troppo! 

Non è un oggetto misterioso e nemmeno un labirinto o un tabù’.

È la tua carta di identità tridimensionale. È la tua scheda multimediale.

Entra dentro l’oggetto misterioso cliccando sulla voce: chi sono?

Corpo umano: mani, piedi, naso, bocca, occhi, organi genitali, orecchie, pelle.

Se vai col mouse su ogni singola voce ti attende una sorpresa inaudita.

Non dire: lo sapevo già. Piuttosto meravigliati: io sono tutto questo?

Un animatore conosce il suo corpo e ha quella buona relazione con lui che gli permette di esistere. Lo cura. Lo adorna con sobrietà. Lo tiene avvicinabile e bello. Ma sempre a debita distanza. A meno che non si tratti di Eleonora!

Armati di una buona attrezzatura e … …  occhio ai ragazzi!

Osserva con occhi acuti e limpidi come si muove il corpo dei tuoi ragazzi.  Ho detto occhi acuti. Attenti. A tutto campo. L’animatore mentre partecipa alla vita del gruppo osserva. Si accorge, annota, collega per rendersi conto di come è composta  la clip dei comportamenti.

Mentre osserva ha gli occhi limpidi. Non è malizioso oppure incuriosito. Non attribuisce ai ragazzi atteggiamenti e intenzioni che invece appartengono a lui. Contempla il miracolo di Dio.

Chi educa conosce, anima e serve è padrone della proprio vita. È capace di non copiarla da quella dei “suoi” ragazzi.

Non può essere un perenne ragazzino, indagatore morboso e ficcanaso, che gioca col bell’oggetto e scatena il desiderio!

Dio ci hai fatto poco meno degli angeli, come un prodigio.

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Zoomata sul corpo

Avvicinalo per farlo diventare familiare il corpo.  Non è una torta sulla quale affondare le dita e nemmeno un pupazzetto da schiacciare con  i polpacci. È una macchina perfetta fatta di ingranaggi studiati al computer in modo tale che nessuno vada per conto suo. E quando nasciamo con qualche limite anche allora niente è a caso, ma ogni pezzo  trova il suo posto e la sua bravura. Non si può parlare di handicap. Si parla di abilità diverse. Il miracolo diventa allora stupendo e sorprendente.

 

Sorrisi e battute

E allora, dai.

Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi.

Giorgio metti nelle mani di Dio il tuo corpo . Impara a pregare stamane. Nel pomeriggio incontrerai i ragazzi. Non avere paura. Metti nelle mani di Dio la tua straordinaria opera d’arte. Inventa una preghiera del mattino bella e fresca come la rugiada. Incantevole come i fiori che iniziano a risvegliarsi luminosi come il sole che aprirà le prime corolle. Cantalo con gioia: questo è il mio corpo. Grazie, Signore!

Mi metto il gel. Vesto i pantaloni lisi, ma strettamente di moda. Mi regalo qualche stravaganza: una di quelle che piacciono anche te. Un piccolo tatuaggio occhieggia sotto la camicia. Voglio che un piccolo spazio per Gabriella sia sempre evidente.

 

Ragazzi, oggi vi faccio vedere… 

Balotelli, la figa di classe, il più soggetto, la bella addormenta, Pasquale l’intraprendente, la segretaria della scuola, la prorompente Arturi …

Attenzione: non c’è niente da ridere, possiamo solo parlare seriamente. Si accettano smorfie. Al prossimo incontro: cartelloni, You tube. Tutto senza s………

 

Stasera  prima di dormire! 

Ti prego, Signore. Meraviglioso inventore dei nostri corpi così ingombranti. Non riescono a trovare tutto lo spazio nemmeno dentro il letto!

don Mario Simula

giugno 2016