Gli adulti hanno costruito una società “fondata” su Internet, ma poi, se in Rete ci vanno i figli cominciano i problemi e scattano i
divieti. Una modalità educativa che non può funzionare.
1 «Vita reale e vita virtuale si sono talmente intrecciate che ormai parliamo di “onlife”. Oggi si nasce in una società dove sei certamente figlio dei tuoi genitori ma anche di una cultura pervasiva, più ampia, dove l’intreccio tra la vita reale e virtuale fa parte del modo di pensare e crescere i figli e costruisce modelli di identificazione. E quindi, se una volta eri più figlio dei genitori e anche della scuola, oggi la società che gli adulti hanno creato e che promuovono ogni giorno con i propri comportamenti,
è un contesto dove si è anche figli di modelli e realtà intrecciate con quella virtuale. Dove Internet e la verità sono la stessa cosa».
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Ad esempio la mamma organizza separazioni molto precoci (diventando madre «virtuale») ma poi sta sempre in contatto col figlio attraverso il telefonino, con cui controlla i nonni e le tate che lo riprendono a scuola. I gruppi Whatsapp delle mamme governano il mondo scolastico e dell’associazionismo sportivo. Insomma: gli adulti si sono messi dentro Internet, hanno costruito un sistema fondato su di esso, poi quando lo usano i figli lo guardano con sospetto. Trovare un giusto equilibrio tra queste dimensioni diventa allora un’impresa ancora più ardua, soprattutto per i ragazzi. Visto che i primi a doversi mettere in discussione sarebbero proprio i genitori. Che, però, non ci pensano nemmeno, continuando a imporre modelli di comportamento che quando vedono concretizzarsi nei figli, fanno scattare campanelli d’allarme. La domanda centrale che si dovrebbe fare in famiglia, mentre si condivide la cena, è: «Come va sui social?». Invece, si parla di tutto tranne
che di questo. Che è poi la questione vera nell’educazione dei figli adolescenti. Chiedere come va in Internet è fondamentale per i genitori per raggiungere il figlio là dov’è.
E’ come non chiedergli come sta, che cosa sta facendo. Perché questa è la società che abbiamo creato noi adulti. Una contraddizione enorme come quella di vietare l’utilizzo dei social anziché educare a una saggezza nel loro utilizzo. I genitori devono mettere in guardia i ragazzi dai pericoli della rete come si faceva una volta dai pericoli esterni. Ma i figli non li puoi controllare per sempre. A un certo punto li devi delegare alla loro autonomia. A questa età devi allenare le tue capacità fuori dal controllo degli adulti, spesso con gli amici. È sempre stato e sarà sempre così. Per proteggere i figli dai pericoli del mondo di fuori li abbiamo costretti in casa. Ma siccome loro hanno esigenze continue, si sono adattati e sono andati in Internet. Dove si corrono rischi esattamente come si correvano quando si usciva di casa. Ma se prima
si metteva in guardia dai “malintenzionati” non si dice lo stesso per i rischi della Rete.
Dai 30 anni in poi bisognerebbe vietare Internet, mentre dai 30 anni in giù, fino ai 15, renderlo obbligatorio invece si fa esattamente il contrario. In Italia, poi, assistiamo a qualcosa che ha dell’incredibile: dai 19 anni in poi se non usi Internet sei spacciato in qualsiasi area (affettiva, personale, familiare, lavorativa). Dai 19 anni in giù se lo usi sei dipendente da Internet. Non è credibile e non funziona. Invece, bisogna che gli adulti si prendano carico della società in cui hanno chiesto di crescere i ragazzi. Che sono finiti in Internet non perché sono stati catturati ma perché lì, li ha condotti la società costruita dai genitori.