Matrix ed i suoi simboli

di Luigi Cioni*

Non è purtroppo infrequente, passeggiando tra letture quotidiane, incontrare analisi di un mondo giovanile che appare sconcertato e spesso frastornato, che si concludono con un’accusa, spesso superficiale e di maniera, diretta verso le nuove tecnologie; “stanno sempre a guardare quel telefonino!”, “non riflettono più!”.

Ed io non voglio negare i pericoli che un abuso, non solo delle TIC, ma di ogni cosa comporta nella vita e nella psiche degli adolescenti (e non solo!). rifiuto invece categoricamente l’idea che a soluzione di questo problema si possano invocare la proibizione o addirittura il ricatto.

Come in ogni campo credo che alla base di un uso ragionato e perfino virtuoso degli strumenti e delle risorse che abbiamo a disposizione stia sempre e comunque l’educazione.

Sicuramente questo ci impegna tutti in un cammino molto difficile che perché vedo adulti sempre meno educati a questo scopo e quindi del tutto inadeguati al loro compito trasmissivo e valoriale.

Eppure modi per riuscire a far leggere a dei ragazzi la loro realtà, trovando direttamente in essa i criteri di interpretazione per una esistenza più autentica e consapevole esistono! Basta saperli leggere (ancora una volta).

Mi permetto di suggerire un solo esempio, di enorme successo di pubblico, quindi molto conosciuto, anche se non recentissimo. Spero che, proprio per questo motivo, abbia fatto almeno un po’ di scuola!

Mi riferisco al celebre film “Matrix”, nella sua prima opera (considero la II e III parte di questa saga un abuso di segnali e simboli senza un coerente piano complessivo che invece, secondo me era presente nel primo film).

Certamente moltissimi dei nostri giovani avranno visto questa pellicola come un film di azione senza ulteriori sollecitazioni, ma basta approfondire appena un po’ lo sguardo per notare altre piste di lettura che cerco di riassumere schematicamente.

 

Una pista di lettura pedagogica: “Svegliati Neo!”; con questa frase si apre praticamente la storia. È una chiamata al risveglio, a seguire indicazioni anche altrui che cercano di rispondere alle esigenze interiori del protagonista. Deve seguire un cammino, il “coniglio bianco” in una evidente ed esplicita citazione dei celeberrimi libri di Carroll, ma anche con una meno esplicita citazione di un filosofo contemporaneo, Lean Baudrillard, nel cui libro Neo nasconde del software illegale. Si tratta di un filosofo totalmente impegnato proprio su una riflessione educativa rispetto al posto dell’uomo in un mondo ormai “televisivo” e “spettacolare”. La tana del bianconiglio è il luogo dove Neo deve immergersi per trovare se stesso. Questo fino all’incontro con Morpheus, che rinnova la metafora e che poi lo conduce dall’oracolo. Anzi lo conduce fino alla soglia: “tocca a Neo decidere se la vuole attraversare”.

 

Una pista di lettura filosofica: alla base di tutto c’è sicuramente una filosofia di stampo neoplatonico: non solo i due livelli di realtà richiamano immediatamente alla memoria il famosissimo mito della caverna della Repubblica di Platone, ma anche l’uso simbolico del numero non ci permette di sottrarci a suggestioni, appunto neoplatoniche, in cui la prospettiva numerica richiama all’idea del progresso, dell’ascesi, della necessita di raggiungere l’Uno, il Bene.

Il nome stesso Neo è anagramma di “one” (colui che viene cercato, anche se nella versione italiana si è preferito indicare questo con il nome di “Eletto”). Uno dei compagni si chiama Switch (che richiama al due). La donna di cui si innamora si chiama Trinity (sic!), ed il suo nemico, traditore, si chiama Cypher, che oltre ad essere abbreviazione di  Lu-cypher, il demonio, indica anche la cifra, cioè lo zero immettendo in maniera immediata nella mente di tutti l’opposizione del codice binario 0-1 a cui si può ricondurre l’intero universo informatico.

 

Ed infine la pista di lettura religiosa che completa ed unifica tutte le altre:

non solo la nave di Morpheus si chiama Nabucodonosor, il re babilonese che ha distrutto Gerusalemme; non solo la città rifugio si chiama Zion (la Sion biblica), non solo la targa dell’auto dell’Agente Smith rimanda ad un versetto biblico, ma il quadro complessivo dell’opera tende a suggerire una visione dell’uomo in cui il rapporto con Dio non è eliminabile.

L’uno, che è l’atteso e l’eletto, si innamora del “tre”, deve salvare l’umanità e lo fa morendo e risorgendo, proprio per amore, lo fa risvegliando tutti alla propria dignità e alla vita vera, lo fa mostrando loro tutte le loro potenzialità non nel dominio e nella potenza, ma con l’esempio e la guida. In poche parole attraverso una immersione, che definirei una vera e propri chenosi, nella realtà umana più profonda, al fine di creare una umanità nuova.

 

I riferimenti cristologici si sprecano, l’azione e le avventure di Neo tengono lo spettatore legato allo schermo attraverso la visione di un mondo in cui la tecnologia mostra anche il suo volto più pericoloso.

Potremmo dire anche che l’intero film può essere visto come una invocazione alla resistenza. Sicuramente sì, ma una resistenza fatta dal di dentro, dall’interno di una umanità povera ed indecisa che rischia di perdere la propria vita e la propria autenticità e che la può ritrovare soltanto imparando ad usare ogni mezzo in maniera critica, anche strumentale al proprio fine. Certamente l’appello iniziale viene rivolto anche a tutti gli spettatori: “Svegliatevi!”

Teniamo il ritmo! L’incontro con i centennials

di Luca Paolini*

Il mondo dell’educazione, si trova oggi ad affrontare una sfida importante direi epocale, che è quella dell’incontro con i “centennials”, come vengono chiamati i giovani adolescenti nati dopo il 2000, che sono i principali soggetti dell’intervento educativo di scuole e parrocchie. Una sfida difficile perché in pochi anni le mode, il linguaggio, i gusti degli adolescenti sono cambiate radicalmente per l’arrivo nel panorama culturale ma soprattutto commerciale delle nuove tecnologie. Infatti, mentre nel passato le generazioni cambiavano al ritmo di 20-30 anni, oggi questi tempi si sono molto ristretti e ogni 3-4 anni ci sono nuove mode, nuove parole, nuove tendenze che richiedono da parte dell’educatore uno sforzo di aggiornamento e “inculturazione” non indifferente. Per fare un esempio, gli adolescenti di 20 anni fa avevano a disposizione solo il computer, la Tv, la Playstation e il cinema. In venti anni il “background digitale” degli adolescenti è cresciuto a ritmi vertiginosi e oggi comprende: Tv on demand (Youtube, Netflix ecc…), Smartphone, Tablet, Computer, Social Network, Cinema in 3D, Realtà virtuale, Realtà aumentata, Consolle di Gioco (XBox, ecc), Visori 360°, Film interattivi. La scienza ha cercato di andare di pari passo con questa evoluzione, basta pensare alle sale operatorie di 20 anni fa e a quelle di oggi, dotate di sofisticatissimi sistemi di intervento chirurgico robotizzato e comandato a distanza tramite joystick. La scuola sta cercando con grande fatica e grandi ritrosie da parte di molti docenti, di innovare la didattica ed ha introdotto nelle classi la LIM o un monitor interattivo, ha avviato numerose sperimentazioni, a partire dalle Classi 2.0 e Scuole 2.0, che hanno implementato l’uso dei devices a scuola, la robotica educativa, il coding e il gaming. Che dire invece della Catechesi? Le nostre aule di catechismo sono rimaste ancorate saldamente al passato, spesso molto lontane dal mondo degli adolescenti: ambienti freddi, spogli, senza nessuna connessione ad internet, nessuna LIM o videoproiettore, nessun tentativo (tranne rari casi) di usare i nuovi linguaggi per gettare le reti nel mare delle nuove generazioni per farne dei cristiani adulti e consapevoli. E non si tratta solo di usare la tecnologia, ma anche di conoscere il loro mondo, la loro lingua che spesso è già diversa anche da quella degli educatori più giovani. Parole come postare, taggare, tweetare, screenshot, selfie, linkare, loggare, baggato, spammare, spoilerare, hashtag, avatar, meme, bannare, trollare, youtuber, nabbo, pro, shoppare, bro, sis, sono sconosciute alla maggior parte dei catechisti di oggi. Eppure spesso basta pronunciarle per ottenere la loro attenzione e aprire un varco nel loro cuore! Purtroppo siamo in ritardo, gli stessi sussidi ufficiali per la catechesi risalgono agli anni ’70, niente a che vedere con i libri sui quali studiano oggi i ragazzi fatti di una grafica e di immagini accattivanti ma anche di realtà aumentata o realtà virtuale, visibile semplicemente con lo smartphone. C’è bisogno di un radicale ripensamento della catechesi oggi che non può prescindere da una attenzione costante e puntuale al mondo che circonda gli adolescenti. L’educatore di oggi deve essere come quel padrone di casa di cui ci parla il Vangelo di Matteo, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche.

 

Vediamo come muovere i primi passi verso un nuovo modo di fare catechesi oggi, più attento al mondo che gira e ai nuovi linguaggi. Premettiamo che un eventuale uso della tecnologia deve avere un suo senso nell’ora di catechesi: la trasmissione dei contenuti della fede con un linguaggio nuovo! Non deve essere dunque qualcosa di forzato o peggio ancora di giovanilistico per fare colpo sui ragazzi. Solo avendo ben chiaro questo concetto, si può provare a sperimentare i nuovi linguaggi che sicuramente toglieranno quella che i ragazzi sentono come un patina di vecchio nell’ora di catechesi e nel messaggio del Vangelo.

 

Per tutti coloro che volessero cominciare a creare momenti di catechesi più innovativi suggerisco innanzitutto di parlare con i ragazzi per farsi raccontare il loro mondo, i loro neologismi, dove insomma batte il loro cuore. E’ un lavoro che non si può fare una volta sola, ma deve diventare una attitudine dell’educatore, quella dell’ascolto continuo e appassionato. I ragazzi non sono vasi vuoti da riempire, hanno una loro vita, delle loro passioni spesso in continuo mutamento, che l’educatore deve saper accogliere in ogni momento. La “lezione” di catechesi deve poi uniformarsi al modo di apprendere dei ragazzi che oggi non è più solo verbale, ma è fatto di interattività, di autorialità, di continui input/output (provocazioni, domande, attività diversificate anche all’interno di una stessa ora). In questo senso si la tecnologia che i ragazzi hanno a disposizione ci può aiutare. Se la parrocchia ha la possibilità di dotarsi di un pc e di un videoproiettore o una LIM, esistono numerose applicazioni web oppure per smartphone che possono aiutare il catechista e rendere la “lezione” più interattiva. Vediamone qualcuna:

 

–        Mentimeter – permette di creare brainstorming con nuvole di parole che si creano instantaneamente, sondaggi, quiz ecc…

–        Hypersay – con Hypersay si possono creare presentazioni in stile powerpoint, che appariranno sullo smartphone dei ragazzi, i quali potranno interagire con il catechista

–        Padlet – Bacheca interattiva dove lasciare commenti, immagini, messaggi vocali…

–        Kahoot – applicazione per creare quiz interattivi

–        Steller – applicazione che permette di creare storie in stile Instagram

–        Minecraft, Fortnite – applicazioni molto amate dai ragazzi che permettono di creare mondi virtuali

–        Autorap – semplice applicazione che trasforma testi in musica Rap

–        Textingstory – semplice applicazione che simula i dialoghi in stile whatsapp

 

Queste applicazioni funzionano senza nessuna registrazione da parte dei ragazzi e sono quindi ben utilizzabili anche in una sola ora di catechesi. E’ importante però sottolineare che prima di lanciarsi in questa avventura il catechista deve capire bene il funzionamento di queste applicazioni, ma ancor di più deve valutare l’opportunità di inserirle all’interno dell’ora di catechesi magari gradatamente. Ci potrebbe essere il rischio ad esempio di un utilizzo improprio dello smartphone da parte dei ragazzi, che non gioverebbe certo all’immagine della catechesi in parrocchia. E’ bene perciò dosare il loro utilizzo, finalizzarlo ad uno scopo ben preciso e comunque subordinarlo ad un comportamento corretto e responsabile da parte dei ragazzi. Nel momento in cui i nostri ragazzi percepiranno che la tecnologia non è vista come un nemico da parte dell’educatore ma come una opportunità, apprezzeranno anche momenti di “deserto”, di dieta mediale, nel quale l’educatore immerso nel loro mondo e dalla loro parte, potrà far loro assaporare occasioni di disconnessione dei quali sicuramente i ragazzi apprezzeranno i benefici e la novità.

 

Usare Mentimeter per fare Braistorming.

L’applicazione Mentimeter permette di fare brainstorming creando nuvole di tag, sondaggi, bacheche di messaggi, interagendo insomma in tempo reale con il cellulare dei nostri ragazzi. Se vogliamo creare una nuvola di parole che i nostri ragazzi andranno a riempire, colleghiamoci al sito www.mentimeter.com. Clicchiamo in alto a destra su “Get Started” e inseriamo i dati richiesti. Una volta fatto il log in clicchiamo sul pulsante “New presentation” e successivamente diamo un nome alla nostra presentazione. Nella schermata che segue abbiamo diverse opzioni disponibili, nel nostro caso scegliamo “Word cloud”.

A questo punto inseriamo il titolo della nostra nuvola di parole ad esempio “Definisci la Chiesa con una parola”. Per rendere la nostra presentazione interattiva clicchiamo in alto a destra sul pulsante “Present”. Ai nostri ragazzi dobbiamo dare solo il sito al quale collegarsi www.menti.com e il numero che apparirà in alto a destra. Con questi soli dati saranno in grado di interagire con il nostro computer, tablet, smartphone, LIM e inviarci le loro parole. Vedrete che immediatamente si comincerà a formare la nostra nuvola di Tag con le parole più grandi o più piccole a seconda della frequenza di utilizzo da parte dei ragazzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INCUBI VIRTUALI

*di Daniela Novi

Mille colori ruotavano intorno a Giorgio come schegge colorate di un arcobaleno impazzito. Non aveva mai visto tutti gli oggetti del suo desiderio, le cose e le persone a lui più care riunite intorno a sé nello stesso tempo.  I “cuori della vita” di Minecraft danzavano felici con i mostri del “livello difficile”, mentre i blocchi della “dimensione avventura” si componevano in meravigliose costruzioni dove finalmente ogni fame arrivava a “sazietà”. Il “drago dell’End” cantava felice:”Giorgio è il super vincitore, Giorgio è il super vincitore!”. Le foto dell’archivio di Facebook si posavano su quelle più recenti come foglie colorate su un prato grigio. Dal sorriso di mamma ritratta durante l’ultimo pranzo di famiglia in paese  sgorgavano all’improvviso miriadi di “like”, mentre l’indice e il medio di papà disposti a forma di “V”, per celebrare la vittoria della Juve, si allungavano paurosamente, fino a stringere nel mezzo tutti gli altri protagonisti del selfie: i cugini Maria e Andrea, zio Gino, il cane Bijoux  e persino la nonna, che, tentando di scampare a quella morsa mortale, si attorcigliava come un serpente intorno all’asta del cellulare, sibilando: “Voglio scattare io!”. Le vignette di WhatsApp si gonfiavano a dismisura fino a contenere parole su parole, emoticon tristi, felici, dubbiosi e arrabbiati; mani giunte, plaudenti, pollice in su, pollice in giù, saluti in bianco, nero e blu; torte,panini, barche, aerei, cani, gatti e cincillà; frecce a destra, a sinistra, in alto, in basso e poi di nuovo dromedari, ermellini, alberi, fiori, sole, luna, stelle, pioggia, pizza e macchinine, finchè un punto esclamativo con una capocchia grande quanto uno spillo faceva esplodere il baloon affollato e una pioggia di lettere silenziose ricopriva il volto di Giorgio incantato da quel disordinato discorso. Ed ecco, dal fondo più remoto di quella variopinta sarabanda, come una nuvola che dall’orizzonte preannuncia un temporale imminente, avanzava minaccioso capitan Netflix, che trascinava dietro di sé l’esercito delle fiction, dei film, delle serie più avventurose, interessanti e intriganti mai trasmesse. La Casa di carta, Sherlock Holmes, Gossip girl travolgevano Giorgio in un turbinio di emozioni e sentimenti, mentre non stava nelle pelle consumando uno dopo l’altro  i mille episodi dei suoi eroi dello schermo, incurante del tempo che passava e degli occhi che si stancavano. “Tu dimmi se pensavi solo ai soldi, soldi…”: le note del rap di Mahmoud si levavano sempre più alte, sovrapponendosi al volume dello schermo, mentre Omy e Giusy Ferrreri, Jovanotti ed Ed Sheeran, Bach, Chopin e Mozart, samba, zumba e cha cha cha intonavano uno strano concerto sotto la guida sapiente del grande maestro Spotify.  Ad un certo punto Giorgio sentiva gli zigomi della pelle distendersi fortemente sia a destra che a sinistra, inglobando fronte, narici e mento a formare un unico grande rettangolo, in cui gli occhi si spalancavano fino a diventare due video riceventi, su cui le immagini si susseguivano tumultuose, come un unico grande zapping, che trasmetteva di tutto senza mettere a fuoco niente. Le orecchie si trasformavano in due enormi antenne paraboliche, che captavano anche il minimo sussurro, il vibrato del vento e il fruscio delle foglie, senza capirne la provenienza . La parte inferiore del corpo si allungava e si approfondiva assumendo la forma di una grande cassa di risonanza, mentre dalla bocca uscivano suoni inarticolati, che racchiudevano tutte le lingue del mondo, senza parlarne nessuna. Un pubblico straordinario di persone in ascolto, distese su un unico grande divano guardava ammirato il Giorgio che fu e che è, cercando di toccarlo, posizionarlo, orientarlo, decodificarlo, stamparlo, replicarlo, abbracciarlo…AHHHH! BASTA! Giorgio si sveglia urlando nel sonno. La mamma accorre, temendo il peggio. Giorgio è seduto sul letto, madido di sudore, con le cuffiette nelle orecchie, il cellulare nella mano destra, l’ipad nella sinistra, il pc sulle ginocchia, senza sapere se il peso che lo opprime è più sul corpo, nella mente o dentro il cuore. “Hai fatto tardi anche stanotte, quante volte devo dirti che ti fa male stare davanti allo schermo per ore, perdi sonno e lucidità svegliandoti come uno zombie?”, sussurra la mamma nel silenzio della casa. “Sì, mamma, hai ragione, ora spengo tutto.” La mamma, per precauzione, stacca i fili della terapia virtuale di Giorgio e porta fuori della stanza ogni dispositivo elettronico. Giorgio, ancora affannato dal brutto sogno, torna a distendersi, ma fatica a riaddormentarsi.

Il giorno dopo si alza a fatica, ma ha compito in classe e deve andare a scuola. La prof sequestra i cellulari per non copiare. Nell’aula l’assenza di rumore taglia l’aria e ordina i pensieri: Giorgio attinge a quello che sa, distratto da ciò che ha visto e sentito nella notte agitata e nelle numerose ore di connessione. L’esito non è abbondante, ma il vero silenzio sa comunque di qualcosa. Alla fine delle lezioni torna a casa. Lungo la strada incontra Luca con la bici che lo invita a fare un giro. Sopraggiunge Tony: “Giorgio, oggi da me come sempre? Partita con la play e stasera  l’ultimo episodio di “Joint Venture”: sigla iniziale e pop corn sprofondati in poltrona. Te gusta?” Ha appena piovuto. Un timido sole fa capolino tra le nuvole, donando generoso un arco di luce e colori sull’orizzonte segnato dal mare. Il profumo della terra bagnata fa sentire che ci sei. “No, Tony, oggi non mi va. Luca, vado a prendere la bici e ti raggiungo.” Giorgio sente il cellulare nella tasca che vibra, mamma rientra tra due ore… un tempo sufficiente per respirare la vita vera e regalargliene il profumo.

Il Santo padre Francesco nell’esortazione Christus vivit scrive ai giovani

*di mons. Simone Giusti

La pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di
Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza d’incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento”. Molti giovani sono capaci di imparare a gustare il silenzio e l’intimità con Dio. Sono aumentati anche i gruppi che si riuniscono per adorare il Santissimo Sacramento e per pregare con la Parola di Dio. Non bisogna sottovalutare i giovani come se fossero incapaci di aprirsi a proposte contemplative.

Occorre solo trovare gli stili e le modalità appropriati per aiutarli a introdursi in questa esperienza di così alto valore. A loro piacciono molto anche altri incontri i festa, che spezzano la routine e aiutano a sperimentare la gioia della fede. Queste e altre diverse possibilità non devono farci dimenticare che, al di là dei cambiamenti della storia e della sensibilità dei giovani, ci sono doni di Dio che sono sempre attuali, che contengono una forza che trascende tutte le epoche e tutte le circostanze: la Parola del Signore sempre viva ed efficace, la presenza di Cristo nell’Eucaristia che ci nutre, il Sacramento del perdono che ci libera e ci fortifica. Possiamo anche menzionare l’inesauribile ricchezza
spirituale che la Chiesa conserva nella testimonianza dei suoi santi e nell’insegnamento dei grandi maestri spirituali.

Le diverse manifestazioni della pietà popolare, specialmente i pellegrinaggi come quello a Santiago de Compostela o quelli promossi
in occasione delle GMG, attirano giovani. Queste forme di ricerca di Dio, devono essere incoraggiate e stimolate. Perché la pietà popolare è
un modo legittimo di vivere la fede ed è espressione dell’azione missionaria spontanea del popolo di Dio.

Sentieri N.20

Lentius, suavius, profundius

di Luigi Cioni

Ma la smetti di guardarti allo specchio!? Non pensi ad altro?

Se tu usassi il tempo che perdi per curare il tuo aspetto esteriore per studiare, saresti un genio a scuola!

La finite di giudicarmi per quello che mi metto, per il mio piercing, per il mio tatuaggio!

Ritornelli nella nostra vita di adulti, accuse velate ed esplicite sempre più frequenti, scontri e giudizi sempre più aperti tra giovani e quelli che una volta si definivano i “matusa”.

Quelli della mia età ricorderanno una canzone che trasudava ingenuità e rivolta al tempo stesso, di un gruppo allora emergente e che adesso definiremmo storico, come quello dei Nomadi: “Come potete giudicar?”

“Tutta immagine e nessuna sostanza!” si dice da una parte; “ci guardate sempre con la misura del giudizio senza sapere nulla di noi!” si dice dall’altra.

E con queste, o simili, frasi sigilliamo a mo’ di epitaffio una pietra tombale sempre più pesante su ogni speranza che il mondo adulto, dopo che ha sottratto alla gioventù odierna tutti i più bei sogni ed utopie, smetta di considerarla un problema e cominci finalmente a guardare ad essa per ciò che veramente è, e cioè una risorsa.

Come adulti e come chiesa dobbiamo dirci con sincerità che non sono i giovani che hanno bisogno di noi, ma che siamo noi ad aver bisogno di loro, ma, per giustificare il fatto che ci stiamo appropriando della loro ricchezza, non troviamo nulla di meglio da fare che criticarli togliendo, allo stesso tempo, tutta quella autostima che renderebbe loro una speranza e una vita con maggior profumo di autenticità.

Cominciamo noi, togliendo dal nostro vocabolario le frasi fatte, i concetti abusati, i luoghi comuni del pensare e diciamo con franchezza: “certo che i giovani danno importanza alla loro esteriorità! In un mondo in cui lo sport nazionale è il giudizio impietoso, perché non dovrebbero curare ciò per cui inevitabilmente verranno inquadrati e misurati? Cioè la loro immagine pubblica?

È inevitabile: il presentarsi sulla scena del mondo, fornisce i simboli primordiali della comunicazione all’esterno di sé. Ed in questa società, che non è certamente propensa all’approfondimento, ad una evoluzione di pensiero, ad una dinamica di ripensamento o di conversione “la prima impressione è quella che conta!” e diventa determinante!

Che cosa sto cercando di sostenere? Che sono favorevole ad una vita tutta estetica ed esteriorità? Che i nostri giovani non debbano curare la loro spiritualità perché tanto nessuno la prenderà in considerazione? Che questa relazionalità effimera sarà, adesso e sempre, la modalità con cui dovranno confrontarsi e a cui, quindi, dovranno essere preparati?

Certamente ed inequivocabilmente NO!

Vorrei solamente andare oltre il luogo comune e cercare di affrontare la questione nella sua complessità.

Se (primo passo) la nostra dimensione simbolica è l’inevitabile linguaggio con cui ci presentiamo al mondo;

se (secondo passo) noi tutti ormai sappiamo che la “verità” sta nel rapporto tra un soggetto ed un oggetto e non è quindi solamente una proiezione dell’io, ma una relazionalità in cui la dimensione esteriore riveste un ruolo fondamentale;

se (terzo passo) non cominciamo a diffondere modalità di accesso al proprio io, un io fatto di dialogo, di rivelazioni, di profondità, allora…

non possiamo meravigliarci se in chi più si sente sottoposto al giudizio, in chi soffre preliminarmente di cedimenti nell’autostima, che non ha ancora preso autentica coscienza di sé, tutto si esaurisca nella pura e semplice esteriorità.

Affermato questo che costituisce una difesa, non d’ufficio, del mondo giovanile (che peraltro non mi pare che ne abbia particolare bisogno, dato che continua a vivere per la sua strada, incurante delle critiche e sempre più manovrato da chi sfrutta e gode delle sue carenze), ma che vuole soprattutto essere una presa di coscienza che mi appare indispensabile, facciamoci una domanda:

come proporre a noi tutti una maggiore attenzione alla dimensione spirituale ed interiore?

Ovviamente questo comporterebbe una rinascita della dimensione educativa, proprio quella che gli adulti di oggi hanno abbandonato, ma soprattutto un itinerario di conversione che convinca invece i giovani della assoluta necessità del rivolgersi dentro, alla ricerca del più vero, del più buono, del più bello.

Di quelle realtà che non scompaiono con gli anni, di quella responsabilità verso gli altri di cui spesso non sono stati oggetto, di quella libertà dal giudizio, dalle consuetudini, dalle voglie e dagli istinti che così ampiamente dominano.

La eliminazione del “tutto e subito” e la consapevolezza della necessità del tempo, dell’acquisizione graduale, della necessità che questo spesso vada oltre la soddisfazione e anche la consolazione spirituale, perché la responsabilità e il dono sono affari seri e difficili.

Cominciare col togliere alla nostra quotidianità la dimensione della competizione, la dimensione della forza e del machismo esistenziale, dell’”uomo che non deve chiedere mai”! Certo che dobbiamo chiedere, manifestando i nostri bisogni, i nostri limiti. Per questo ho intitolato questo breve intervento con l’adagio, se vogliamo anti-sportivo, di Alex Langer.

Una canzone del mio tempo mi sorge alla coscienza: Ahi Velasquez di Roberto Vecchioni.

Un testo che evocava la stanchezza e la sofferenza, ma anche la consapevolezza della necessità (se vogliamo anche egoistica) dell’impegno e della cura per l’altro, una musicalità che si ritmava con le onde di un mare in tempesta, una chitarra che struggente conduceva per mano l’ascoltatore al dubbio e alle certezze.

Come tutti i vecchi sto correndo il rischio di affermare: “Ai miei tempi…” c’erano anche di queste canzoni, si pensavano queste cose, si credeva in questi valori…

Non voglio cedere a questa tentazione, vorrei solo anche io diventare capace, di fronte ai giovani che frequento, “come siete belli! Adesso cerchiamo tutti, io e voi, di diventare sempre più interessanti e importanti l’uno per l’altro!

Come già detto; sono io ad averne bisogno!

La necessità di una pastorale integrale, armonica e aperta nell’educazione catechistica

Se la catechesi è un cammino d’iniziazione alla vita cristiana diventa importante non ridurre la stessa catechesi ad insegnamento dottrinale. La catechesi se è solo dottrinale, di fatto, finisce per manifestare una concezione ideologica della verità. Se si sottolinea la centralità solo dell’intelligenza e della conoscenza, si rischia di non dare il giusto peso all’esperienza e alla vita nell’educazione alla fede. Credere non è solo conoscere ma è anche applicare la verità alla vita concreta, personale, sociale ed ecclesiale. È un atto sapienziale: «il Verbo si fece carne». Allo stesso modo è una visione limitante ed illusoria considerare la catechesi un atto significativo ed efficace solo perché educa i credenti partendo dalla sola esperienza. Infatti, nella tradizione bimillenaria della Chiesa la dimensione conoscitiva come quella esperienziale sono aspetti essenziali e necessarie. La catechesi deve essere attenta alla persona umana nella su integralità ed armonia. È l’uomo, essere razionale ed aperto, bambino, ragazzo o giovane, il soggetto di ogni percorso catechistico l’uomo è un essere spirituale e carnale.

La sfida della catechesi, nel terzo millennio ed in occidente, è tentare di rispondere, in un contesto sociale e culturale secolarizzato, interreligioso, relativistico postmoderno, a tutte le domande e ai molteplici bisogni dell’uomo, secondo le diverse stagioni della vita e a partire dalle differenti esigenze individuali. Coloro che iniziano e continuano il percorso catechistico, di fatto sono chiamati a conoscere, sperimentare e condividere l’unica Verità, che è Cristo e in Cristo il mistero dell’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirito santo, per vivere nella libertà il dono dello Spirito santo come pienezza della propria della propria vita. Il Vangelo illumina l’intelligenza dell’uomo, la Parola di Dio risponde ai molteplici e profondi bisogni dell’uomo, la condivisione delle diverse esperienze e delle differenti conoscenze conducono nella fraternità universale a vivere la comunione tra i credenti e tra tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà. Per questo l’evangelizzazione illumina la conoscenza e spinge a trasformare secondo l’annuncio di salvezza del Vangelo la stessa vita umana. Ogni cristiano, come singolo e come comunità, è di fatto un messaggio di Dio. Tutti i credenti sono in Gesù Cristo per opera dello Spirito santo il messaggio di Dio al mondo di oggi. Questa è la santità. Questa è la ragione che giustifica la necessità di una sempre più profonda collaborazione e di una concreta relazione tra la catechesi, la pastorale parrocchiale e diocesana, e l’esperienza delle associazioni e dei movimenti nell’unica Chiesa di Cristo, nei diversi ambiti di vita dei ragazzi, dei giovani e delle loro famiglie.

Cercare di collegare gli itinerari catechistici con le attività delle associazioni e dei movimenti permette alla catechesi di formare i ragazzi ad una fede matura e concreta e a introdurli alla sapienza della Croce, all’Amore incarnato nella storia degli uomini. Solo in questo modo sarà possibile acquisire una mentalità di fede, elaborare atteggiamenti e comportamenti, opportuni ed idonei, sperimentare la potenzialità salvifica e liberante del messaggio evangelico e testimoniare la bellezza e la gioia dell’essere discepoli del Signore risorto nella vita quotidiana. Nelle parrocchie e nelle diocesi dove si realizza questa circolarità, provvidenziale e virtuosa, tra la catechesi parrocchiale, l’esperienza associativa e la vita liturgica e caritativa della Chiesa è possibile cogliere alcune interessanti prospettive. Anzitutto si verifica una continuità dopo la celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana nel proprio cammino di formazione cristiana. Inoltre si constata una reale responsabilizzazione dei cresimandi alla stessa vita parrocchiale e diocesana. Coloro che sono educati all’interno della collaborazione tra i catechisti e gli educatori/formatori delle associazioni e dei movimenti a loro volta continuano con maggiore facilità il proprio percorso di formazione alla vita cristiana ed alcuni spesso scelgono di diventare formatori ed educatori nelle stesse associazioni e, in generale, nelle parrocchie e nei diversi ambienti di vita. Dove si realizza una maggiore collaborazione tra i catechisti e gli educatori/formatori dei differenti gruppi e associazioni, gli stessi genitori si lasciano con facilità coinvolgere e, in alcune occasioni, essi stessi diventano protagonisti e collaboratori nell’annuncio evangelico e catechistico. Per questo motivo diventa sempre più urgente, in un contesto culturale e sociale frammentato e secolarizzato, valorizzare la collaborazione tra le diverse agenzie educative e cercare di integrare i molteplici e differenziati percorsi catechistici all’interno di una reale pastorale integrata e armonica. Essa spinge, sollecita e valorizza la sinergia tra l’annuncio evangelico del regno di Dio, la celebrazione della salvezza cristiana e la testimonianza della salvezza in Cristo Gesù. La sfida della catechesi dei ragazzi e dei giovani nel terzo millennio è di cercare di creare un collegamento significativo tra le differenti esperienze di fede, la vita ecclesiale e sociale dei ragazzi e dei giovani e la relazione tra i credenti nella comunità cristiana, parrocchiale e diocesana.

 

Don Gianfranco Calabrese

Direttore dell’UCD di Genova, parroco e teologo

Bulli si diventa. La storia

di Daniela Novi

Davide guardava con soddisfazione il rivolo di sangue che colava dalla bocca di Marco disteso per terra, con gli occhiali sgangherati al lato della testa, sulle scale del palazzo vicino al bar dove ogni giorno comprava il cornetto per la merenda. Le nocche della mano destra esercitata a sferrare pugni contro il sacco della boxe gli bruciavano ancora. Dentro si sentiva una forza disumana e coraggio da vendere: prese il fazzoletto di carta che aveva in tasca e lo gettò per terra, mentre la sua voce sorda, quasi irriconoscibile, si rivolse decisa alla sua vittima: “E ora pulisciti!”. Un grido dall’alto lo riscosse: “Davide che fai? Fermati!”Dalle finestre del primo piano i compagni di Marco avevano visto tutto e ora stavano scendendo; i professori al suono della campanella si erano distribuiti chi a far entrare i più pigri, chi a prestare aiuto al malcapitato. Davide era tra i primi, diretto verso la sua classe, mentre le voci attorno a lui facevano meno rumore di quelle dentro di lui:”Cosa hai fatto, perché lo hai fatto, potevi ammazzarlo, ed ora che succederà, ti sei giocato l’anno, già ne hai perso uno, che diranno i tuoi genitori?” La forza, che poco prima aveva reso le sue mani più dure dell’acciaio, a poco a poco stava fuoriuscendo da ogni poro della pelle, il guizzo della mascella indurita dalla rabbia si era allentato come le ragioni del suo gesto: “Gli avevo chiesto più volte se fosse stato lui ad attaccarmi la gomma da masticare sui pantaloni due settimane fa durante la partita del torneo interscolastico. Mi ha risposto di no, ma poi mi ha provocato ridendomi addosso e dicendomi che tremava tutto dalla paura. A quel punto non ci ho visto più.” La notizia si era ormai diffusa, Marco era andato in ospedale, dove i medici avevano ricucito il labbro, dandogli una prognosi di dieci giorni: era vivo e incombente il timore di una reazione da parte dei compagni di Marco. I genitori di Davide vennero a prenderlo prima della fine delle lezioni. Nella macchina il silenzio era pesante e più eloquente di mille discorsi. La madre cercava tra le poche parole sopravvissute alla vergogna quelle più giuste per chiedere scusa ai genitori di Marco; il padre, riservato come sempre, scrutava dallo specchietto retrovisore il volto di Davide. Davide, perso nel paesaggio che scorreva veloce oltre il finestrino della macchina, si perdeva nei ricordi…Due anni prima alle scuole medie, nel bagno, tre contro uno, tre contro di lui: sputi, schiaffi, insulti e solo per avere i soldi di quella dannata merenda, per quei cinque euro, di cui doveva portare il resto ai suoi. A casa non aveva detto nulla per mesi, poi una notte, dopo l’ennesimo incubo, lo sfogo con la madre. Solo un attimo di smarrimento e poi la decisione che non avrebbe più subito nulla da nessuno. La palestra, il ring, lo sguardo deciso, la volontà coinvolta fino a dimenticare lo studio: un prezzo modesto per un cambio di rotta, per una vita nuova. Dopo qualche giorno la sanzione scolastica arrivò inesorabile: sospensione con obbligo di servizio alla mensa dei poveri. Sapeva di quella strana usanza nel suo istituto, ma non aveva mai pensato che gli sarebbe toccata. Non ci voleva, costretto ad espiare la colpa nel regno della debolezza, per lui che desiderava essere forte tra i forti, il “più “ tra i tanti meno della terra. Gli convenne piegarsi, le alternative possibili erano di gran lunga peggiori. La mattina si presentò all’appuntamento. La mensa corrispondeva alle sue aspettative: lunghi tavolacci con tovaglie di plastica, ortaggi, frutta e carne sparsi sui tavoli del piano cottura, un odore penetrante assorbito dai muri, lo stesso odore dei volti e delle storie seduti lì ogni giorno per saziare la fame del corpo. Volontari affaccendati nell’organizzare il da farsi lo accolsero con premura, assegnandogli compiti vari. Gli dava fastidio quella propaganda di bontà, quella disponibilità a piene mani, quelle mani che sapevano di cucinato, quegli occhi che brillavano di una calma sconosciuta. A mezzogiorno, prima che si aprisse la mensa, il momento della preghiera: questa poi proprio no. In un angolo, da lontano, ascoltava il suono sommesso delle labbra: “Padre nostro…”, mentre il suono del campanello all’ingresso annunciava l’arrivo degli ospiti. Un corteo di uomini, donne e bambini si precipitò ad occupare una sedia per consumare il desiderato pasto. “Ehi tu, vattene, questo posto è mio”, urlò un uomo grande e grosso a Davide, che aveva l’unica colpa di trovarsi a fianco al tavolo più vicino alla cucina, da cui uscivano i piatti ancora fumanti. La sua prima reazione fu quella di gettare per aria lui e la sua fame e di fuggire via da quel luogo di sporca miseria: al diavolo la sospensione! Sandro, il responsabile della mensa, intuendo che il movimento della mascella del ragazzo stava uscendo fuori dal suo binario, posò una mano su quella di Davide: sarà stato quel calore o forse quello delle pentole traboccanti di pasta… Il battito del suo cuore si placò, arretrò verso la cucina, lasciando libero il posto conteso. Un sussulto lo scosse, la debolezza fece nuovamente capolino, intimandogli di cedere a quella pressione della mano e di non ribellarsi, almeno non subito. Sandro gli si accostò e gli raccontò la storia di quell’ospite urlante: infanzia dolorosa, genitore violento, depressione, la malattia mentale, l’isolamento, la solitudine, la fame. Di nuovo gli si parò dinanzi l’immagine di lui nel bagno mentre i tre compagni lo bullizzavano, però questa volta il viso non era il suo, ma quello dell’uomo grande e grosso di fronte a lui, un po’ più giovane, un po’ più triste. “Ed ora se vuoi, puoi andartene via”, gli disse Sandro alla fine del suo racconto, “non c’è posto per altra violenza qui, nè per la tua, nè per quella degli altri.” Davide si alzò e si sentì finalmente leggero, come se il peso del pugno dato a Marco gli fosse tornato indietro e non avesse trovato nulla contro cui infrangersi. Lentamente si avviò all’uscita deciso a non fare più ritorno. Fu un attimo, poi si voltò, si avvicinò all’ospite pienamente concentrato nel piatto della pasta al sugo, pose la sua mano su quella dell’altro libera dalla forchetta, intenta a stringere il tovagliolo, ultimo lembo di una calda premura. L’ospite alzò lo sguardo, come a difendere un territorio minacciato, incrociò gli occhi di Davide e poi sorrise. Un incontro di fragilità, un passato recuperato, una scintilla di speranza, un nuovo modo di vedere le cose, la capacità di andare oltre la fame fino a toccare il desiderio del cuore. Quel sorriso decise per lui: certamente il giorno dopo sarebbe ritornato.

Sant’Agostino: una parrocchia livornese dove convivono realtà giovanili diverse

La parrocchia di S. Agostino ha una caratteristica unica, un dono prezioso rispetto alle altre parrocchie della nostra Diocesi: la presenza di un’associazione parrocchiale di Azione Cattolica numericamente significativa. La presenza dell’AC in questi ultimi 30 anni ha donato alla comunità parrocchiale un bel numero di adulti corresponsabili nella pastorale e tutt’oggi gode della collaborazione e del servizio di un bel gruppo di adulti e giovani. Tra i vari servizi che svolge l’AC è di particolare importanza quello dell’ACR (Azione Cattolica Ragazzi), un percorso formativo per i ragazzi dai 6 ai 14 anni, e quello dei Giovanissimi (15-18 anni). I soci adulti e i giovani si mettono al servizio dei più piccoli per far fare anche a loro esperienza associativa, ovvero per farli crescere in uno stile di collaborazione e corresponsabilità nell’annuncio del Vangelo. Dai primi anni ’90, a livello nazionale, all’AC è stata data la possibilità anche di proporre percorsi di iniziazione cristiana. Ecco che a s. Agostino, grazie alla presenza dell’AC, esiste un percorso di iniziazione cristiana che dalla prima elementare accompagna i ragazzi fino ai 18-20 alla Solenne Professione di Fede! Quest’anno, per la prima volta, un gruppetto di “superstiti” del gruppo Giovanissimi giungerà al termine del percorso: in agosto andremo in pellegrinaggio a Santiago de Compostela e sulla tomba dell’apostolo Giacomo saranno chiamati a dire il loro sì definitivo a Cristo recitando solennemente il Credo.

A fianco della proposta dell’AC si va ricostituendo un percorso di catechesi parrocchiale non associativo e dall’ottobre 2016 in parrocchia è presente anche l’AGESCI con il gruppo Livorno 7, autorizzato dal Vescovo a proporre un cammino di iniziazione cristiana con un progetto proprio che si conclude con la famosa Partenza. Per i genitori c’è così la possibilità di scelta tra tre percorsi formativi diversi, ma tutti di iniziazione cristiana, ovvero con l’obiettivo comune di accompagnare il ragazzo verso i 18-20 anni a prendere la decisione di essere cristiano.

Quest’ultimo punto è un nodo cruciale e non possiamo nascondere la difficoltà che anche a s. Agostino si ha nel far comprendere ai ragazzi, ma soprattutto ai genitori, che il catechismo non “serve” per prepararsi alla Comunione e alla Cresima. Questo è un retaggio del Concilio di Trento e così andava bene fino a 50 anni fa: il catechismo, come lo intendiamo comunemente, nasce davvero come un periodo breve in cui qualcuno, di solito il parroco che aveva una certa preparazione teologica, preparava i ragazzi alla Comunione e alla Cresima, ma si inseriva all’interno di un’educazione cristiana solida che si riceveva in famiglia ed era sostenuto da una società cristiana. Oggi non è più così! Si rende necessario un percorso integrale di educazione alla vita cristiana, alla vita di preghiera, alla carità, senza certamente dimenticare l’aspetto dottrinale. Perché questo si realizzi è necessario dunque un tempo più lungo, durante il quale non solo essere costanti al catechismo, ma anche e soprattutto acquisire la “buona abitudine” di non mancare mai alla Messa domenicale ed essere educati a vivere la carità. Nel percorso rivestono un ruolo fondamentale i campi estivi ed invernali, momenti nei quali si può sperimentare la bellezza del vivere insieme nell’amicizia del Signore Gesù, si possono fare esperienze forti, si possono creare relazioni e si può maturare così un senso di appartenenza al gruppo, prima, e alla comunità parrocchiale, poi.

Non è facile rompere questo legame catechismo-sacramenti e far comprendere che i sacramenti sono solo delle tappe del percorso. A s. Agostino ci stiamo provando, con qualche difficoltà, ma anche con qualche frutto. Nel rispetto delle indicazioni del Vescovo, che prevedono almeno 4 anni di catechismo prima della Comunione e 6 prima della Cresima con tutta una serie di requisiti, e d’accordo col Vescovo, già da qualche anno non celebriamo un’unica Messa di Prima Comunione a maggio tutti insieme! Non si riceve più la Comunione ad una certa età! Ogni ragazzo ha il suo percorso personale e il suo tempo per le tappe sacramentali. Questa sperimentazione è favorita e sta dando frutti in particolare nell’ACR, perché il percorso prevede una suddivisione dei ragazzi in fasce (6-8; 9-11; 12-14) e non in classi, spesso troppo simili alle classi scolastiche. All’inizio dell’anno vengono presentate ai genitori alcune date (un paio in autunno, un paio in inverno e una in primavera). I genitori dei ragazzi che stanno frequentando il 4° anno di catechismo (non importa l’età, dipende da quando si è cominciato!) in un rapporto di confronto col parroco e con gli educatori decidono quando è arrivato il momento e chiedono di fare la Comunione in una determinata data. Quando abbiamo cominciato molti si sono quasi scandalizzati: “Cosa c’entra la Comunione a dicembre!”. Perché tanta meraviglia? La Comunione non si fa tutte le domeniche? Tale sperimentazione rende anche la celebrazione della Prima Comunione, che è un evento straordinario, al tempo stesso ordinaria: i ragazzi sono un piccolo gruppetto e non c’è la folla dei parenti, la comunità parrocchiale non viene avvisata (altrimenti i fedeli vanno ad altre Messe per evitare la confusione) e la celebrazione è davvero vissuta come un qualcosa di ordinario, non che si fa una volta sola nella vita, ma che si comincia a fare oggi e ci si augura di farlo per tutta la vita!

Quest’anno stiamo provando una sperimentazione simile anche con la tappa della Cresima. Il Vescovo Simone si è reso disponibile a venire due volte l’anno ad amministrare questo sacramento. Così, tra i ragazzi del gruppo 12-14 dell’ACR, con lo stesso spirito di collaborazione coi genitori, si cerca di capire per chi è arrivato il momento di celebrare questa tappa. Per la Cresima si richiede che sia assodata la partecipazione alla Messa domenicale e che ci si impegni a svolgere un piccolo servizio nella comunità parrocchiale.

Non è semplice la via che stiamo sperimentando, ma penso che il Signore ci stia guidando e sostenendo col suo Spirito in questa direzione. I frutti non mancano. Non mancano anche delle difficoltà, ma ci proponiamo di verificare continuamente il cammino intrapreso e di riuscire a comprendere come migliorare il tutto per riuscire davvero a generare cristiani!

Don Valerio Barbieri

IL SINODO DEI GIOVANI: la vita liturgica come via privilegiata per l’incontro con Cristo

di mons. Simone Giusti
IL SINODO DEI GIOVANI ha indicato come la vita liturgica sia da ritenere una via privilegiata per l’incontro con Cristo. Ecco i passi del documento finale che ne parlano:

La ricerca religiosa

  1. In generale i giovani dichiarano di essere alla ricerca del senso della vita e dimostrano interesse per la spiritualità. Tale attenzione però si configura talora come una ricerca di benessere piscologico più che un’apertura all’incontro con il Mistero del Dio vivente. In particolare in alcune culture, molti ritengono la religione una questione privata e selezionano da diverse tradizioni spirituali gli elementi nei quali ritrovano le proprie convinzioni. Si diffonde così un certo sincretismo, che si sviluppa sul presupposto relativistico che tutte le religioni siano uguali. L’adesione a una comunità di fede non è vista da tutti come la via di accesso privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da ideologie o dalla ricerca di successo sul piano professionale ed economico, nella logica di un’autorealizzazione materiale. Rimangono vive però alcune pratiche consegnate dalla tradizione, come i pellegrinaggi ai santuari, che a volte coinvolgono masse di giovani molto numerose, ed espressioni della pietà popolare, spesso legate alla devozione a Maria e ai Santi, che custodiscono l’esperienza di fede di un popolo.

 

L’incontro con Gesù

  1. La stessa varietà si riscontra nel rapporto dei giovani con la figura di Gesù.

Molti lo riconoscono come Salvatore e Figlio di Dio e spesso gli si sentono vicini attraverso Maria, sua madre e si impegnano in un cammino di fede. Altri non hanno con Lui una relazione personale ma lo considerano come un uomo buono e un riferimento etico. Altri ancora lo incontrano attraverso una forte esperienza dello Spirito. Per altri invece è una figura del passato priva di rilevanza esistenziale o molto distante dall’esperienza umana. Se per molti giovani Dio, la religione e la Chiesa appaiono parole vuote, essi sono sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace. In tanti modi anche i giovani di oggi ci dicono: «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21), manifestando così quella sana inquietudine che caratterizza il cuore di ogni essere umano: «L’inquietudine della ricerca spirituale, l’inquietudine dell’incontro con Dio, l’inquietudine dell’amore»[1].

 

Il desiderio di una liturgia viva

  1. 51In diversi contesti i giovani cattolici chiedono proposte di preghiera e momenti sacramentali capaci di intercettare la loro vita quotidiana, in una liturgia fresca, autentica e gioiosa.

In tante parti del mondo l’esperienza liturgica è la risorsa principale per l’identità cristiana e conosce una partecipazione ampia e convinta. I giovani vi riconoscono un momento privilegiato di esperienza di Dio e della comunità ecclesiale, e un punto di partenza per la missione. Altrove invece si assiste a un certo allontanamento dai sacramenti e dall’Eucaristia domenicale, percepita più come precetto morale che come felice incontro con il Signore Risorto e con la comunità. In generale si constata che anche dove si offre la catechesi sui sacramenti, è debole l’accompagnamento educativo a vivere la celebrazione in profondità, a entrare nella ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti.

 

La centralità della liturgia

  1. La celebrazione eucaristica è generativa della vita della comunità e della sinodalità della Chiesa. Essa è luogo di trasmissione della fede e di formazione alla missione, in cui si rende evidente che la comunità vive di grazia e non dell’opera delle proprie mani. Con le parole della tradizione orientale possiamo affermare che la liturgia è incontro con il Divino Servitore che fascia le nostre ferite e prepara per noi il banchetto pasquale, inviandoci a fare lo stesso con i nostri fratelli e sorelle. Va dunque riaffermato con chiarezza che l’impegno a celebrare con nobile semplicità e con il coinvolgimento dei diversi ministeri laicali, costituisce un momento essenziale della conversione missionaria della Chiesa. I giovani hanno mostrato di saper apprezzare e vivere con intensità celebrazioni autentiche in cui la bellezza dei segni, la cura della predicazione e il coinvolgimento comunitario parlano realmente di Dio. Bisogna dunque favorire la loro partecipazione attiva, ma tenendo vivo lo stupore per il Mistero; venire incontro alla loro sensibilità musicale e artistica, ma aiutarli a comprendere che la liturgia non è puramente espressione di sé, ma azione di Cristo e della Chiesa. Ugualmente importante è accompagnare i giovani a scoprire il valore dell’adorazione eucaristica come prolungamento della celebrazione, in cui vivere la contemplazione e la preghiera silenziosa.

 

[1] Papa Francesco, Santa Messa per l’inizio del Capitolo Generale dell’ordine di sant’Agostino, 28 agosto 2013