BEYOND BORDERS: UN INFERNO O UN PARADISO?

*di Luigi Cioni

Vorrei iniziare con una premessa e vorrei chiarire subito un elemento che oltre che teologico può, e deve, secondo me, diventare anche interpretativo: la storia ed il tempo non sono mai compiutamente totalmente buoni.
Non viviamo più nell’Eden, nel mondo di Dio in cui l’uomo eterno e “molto buono”(Gen 1,31) poteva sperare di vivere in totale armonia con se stesso e con il mondo; e nemmeno siamo arrivati al momento in cui Dio sarà “tutto in tutti” (1Cor 15,28), il momento in cui potremo vedere Dio faccia a faccia (1Cor 13,12), quello in cui la nostra umanità redenta da Cristo tornerà ad abitare il progetto di Dio, riconquistando la sua vera patria dopo una esistenza pellegrina. Ma d’altro canto non ci è nemmeno concesso dubitare del piano di Dio, della storia della salvezza, nullificando così la redenzione operata da Cristo guardando al mondo come avversario e nemico, luogo unicamente di male e di cattiveria. Detto molto in sintesi: se Dio non ha avuto schifo di questo mondo, ma nonostante tutto lo ha salvato, chi siamo noi per essere più schizzinosi di Dio? Lui ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio unigenito, come Salvatore; possiamo noi arrogarci il diritto di comportarci diversamente? Viviamo in un “frattempo”, in una realtà complessa, tra zizzania e grano buono. Guardare solo al seme cattivo forse ci fa correre il rischio che Gesù stesso paventava nella sua parabola (Mt 13,24-30), di distruggere il bene assieme al male.
Fatta questa premessa allora forse ci possiamo permettere di trovare nel nostro tempo e nel nostro mondo, elementi di bontà non solo occasionali, non solo eccezionali, o legati alla dimensione cristiana, ma anche nascosti, umili, oserei dire costitutivi e strutturali della realtà umana.
Mi permetto di consigliare, per una visione privata, ma eventualmente anche catechistica, un film che potrebbe essere anche visto come un “qualunque film hollywoodiano” (e certamente la traduzione italiana del titolo tende a concentrare l’attenzione unicamente sulla storia d’amore di due protagonisti), ma che nelle sue pieghe e nei suoi risvolti tende invece a suggerire altre dimensioni ed idee sicuramente più significative. La storia ci presenta due figure che scelgono l’attività di aiuto nelle varie tragedie epocali che l’umanità ha reso frequenti nel nostro tempo (anche se, dato il loro carattere periferico rispetto al centro del mondo ci fa parlare continuamente di “un secolo di pace”!!!). La loro vicenda si svolge tra Africa, Cambogia, Cecenia, in soccorso dei più disperati in un inferno di fame e sete, malattie e miseria che davvero va oltre i confini. Ma allora, sicuramente viene da pensare, dove troviamo il Paradiso? Se non guardiamo solo al contesto della narrazione, ma anche a ciò che fanno i vari personaggi (non solo i protagonisti) forse possiamo trovare una risposta.
Ciò che li muove non è solo l’amore reciproco che piano piano si disvela a loro stessi, ma davvero un “amore” che va oltre gli individui, che nasce anche in chi guarda il film, che fa porre domande e nega facili risposte, che li spinge a chiedersi disperatamente quali mezzi (leciti o non leciti) possano essere utilizzati per trovare una soluzione (fino a rubare un albero di trasmissione all’auto di un ministro per aggiustare la pompa dell’acqua, o peggio a scendere a compromessi con CIA e multinazionali per trovare fondi necessari. Anche in questi aspetti diventa chiaro il nostro vivere in un complesso “frattempo”). In poche parole diventa l’assumersi la responsabilità di un mondo che è comunque affidato all’essere umano (sia che lo guardiamo da una prospettiva cristiana sia che il nostro sguardo si fermi al limitare del cielo); una responsabilità che non si può arrestare alla enunciazione di astratti princìpi o comandamenti da osservare.
Viene qui immediatamente al nostro pensiero la famosa frase di Bonhoeffer: Evadere la colpa, può essere la più grave forma di peccato! Certamente questo Paradiso, per adesso, non è un luogo, né un tempo; è qui ed ora solo perché sta nel cuore di chi capisce che una Grazia ed una salvezza più grandi di noi ci sono state donate, che guarda (con Sant’Agostino) all’interno dell’uomo per trovare ciò che Dio ci ha messo, anche in chi non lo conosce o non lo prega. Davvero interessante nel film tutta la discussione sui nomi: “io non posso ricordarmi dei nomi – dice il medico protagonista – troppi sono i morti perché io possa sopportarne la memoria”. Se queste persone rimangono anonime diventa più facile sopportarne il peso. Come non ricordare la volontà di farsi un nome degli uomini di Babele (Gen 11) per concepire un progetto
alternativo a quello di Dio e all’altra parte il nome del Signore che diventa una assicurazione di eterna presenza e assistenza e per l’uomo? “Io sono con voi, io conosco il vostro nome e mi ricordo di voi, di tutti voi!”
Certamente è più facile contemplare le classiche figure dei santi e della grandi personalità che sicuramente vengono alla mente di tutti, San Francesco, Madre Teresa, Gandhi, Martin Luther King… Anche su di loro film e fiction possono essere ricordate.
Ma che cosa dicono queste figure oggi, non solo ai nostri figli, ma anche a noi? Che ci sono stati nella storia degli esseri eccezionali, che si potrebbe certamente fare qualcosa, ma io non sono come loro, ma chi me lo fa fare? Io non potrei riuscirci. Da questa storia invece emergono alcuni personaggi, la cui statura morale non è perfetta, non è assoluta (siamo tutti perfettamente in grado di trovare delle pecche nel loro comportamento e nelle loro scelte) ma sono stati capaci di andare oltre i loro confini ed i loro limiti. Senza scuse o giustificazioni in un continuo interrogare se stessi, sacrificando carriere e soldi, fino a mettere a repentaglio anche la loro stessa vita; fino a donarla per amore!
Certo, il limite fondamentale rimane la morte che nella proposta cinematografica viene superata soltanto da un “sogno” (più precisamente Il sogno di Robert Schumann); noi abbiamo una certezza in più: qualcuno prima di noi, e per noi, ha abbattuto anche questo ultimo confine! Per questo noi, noi tutti, abbiamo dentro un Paradiso!

GESÙ CRISTO: CHI SEI? DOVE SEI?

*di don Gianfranco Calabrese

Per essere discepoli di Gesù non è sufficiente dirsi cristiani; è necessario essere innamorati di Cristo, lasciarsi continuamente meravigliare dal suo Amore e dalla sua Persona, che ci stupisce sempre, anche oggi. Essere cristiano è un cammino, una scelta sempre nuova, da rinnovare e rimotivare. Per questo, occorre riscoprire la nostra adesione a Cristo, se si vuole testimoniare l’originalità, il valore significativo e la singolarità della sua persona e della sua salvezza. Questo è il senso di questo numero monografico della rivista e la ricchezza dei diversi
contributi che si riferiscono a svariati ambiti di vita e luoghi di annuncio. Una prima verità è che non è sufficiente – anche se è importante e oggi attuale- la sola conoscenza intellettuale e interiore della persona di Cristo e della sua rivelazione.
Il mistero pasquale di Cristo, che illumina l’intera sua missione e dà senso e valore all’annuncio cristiano, e rivela il mistero di Cristo, vero Dio e vero Uomo, e il mistero dell’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirto Santo, deve interpellare, illuminare, trasfigurare e trasformare la storia personale, ma anche la cultura, gli ambiti di vita e le scelte dell’intera comunità cristiana e della stessa società. Risuonano le parole
rivolte a Filippo da alcuni Greci che erano saliti a Gerusalemme per il culto durante la festa della Pasqua: “Signore, vogliamo vedere Gesù”. E Gesù risponde a Filippo e Andrea in modo articolato, ma conclude con alcune parole illuminanti: “… Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv. 12, 20-33). Non è una presentazione anche interessante che convince, ma una vita donata che stupisce e attrae. Questa è
la logica che la Chiesa e i cristiani devono continuare a mantenere: lo scandalo della Croce, il segno del Cristo Crocifisso e Risorto che salva il mondo. All’interno di questa prospettiva fondativa e irrinunciabile sono molteplici le possibili chiavi di lettura e gli aspetti che si possono privilegiare in un annuncio contestualizzato e significativo che ha come finalità la presentazione della persona e della missione di Gesù Cristo, rivolta soprattutto ai ragazzi e ai giovani di oggi e alle loro famiglie, soprattutto attraverso esperienze e testimonianze di vita che fanno toccare l’Amore di Dio e il Dono della Via nuova che trasfigura la vita del mondo. Per questo è necessario fare delle scelte, che procedano da una lettura di fede della situazione storica attuale e dalla mentalità culturale dominante in Europa e in Italia. La cultura è, infatti, la terra dalla quale veniamo, che ci nutre e ci alimenta, in modo cosciente o in modo inconsapevole ma sempre reale. Non tenerlo presente è un errore ingenuo che incide sull’annuncio di Cristo e lo rende meno attraente e significativo.
La dolorosa esperienza della pandemia, causata dal Covid-19, ha accentuato, anzitutto, un senso di smarrimento e di paura, la consapevolezza della fragilità e della precarietà umana che già la crisi socio-economica in precedenza aveva posto in evidenza privando le giovani generazioni della speranza nel futuro e nella possibilità della persona di poter gestire e costruire il domani, fondandosi sulle sole capacità imprenditoriali umane. La pandemia ha esteso nel campo sanitario ciò che già era presente in ambito socio-economico e anche affettivo e relazionale: il senso dell’incertezza, la precarietà elevata a sistema, la fluidità dei legami, personali, familiari, ecclesiali e sociali e la
paura della morte biologica, ma soprattutto civile e sociale. Con la pandemia questi aspetti hanno messo in evidenza il nostro essere creature, certamente libere e responsabili, ma anche fragili e incapaci di “darsi” la salvezza e la vita. Gesù è il Cristo, il Messia, il Salvatore e il Redentore. Alla domanda di Tommaso: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” Gesù risponde: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv. 14, 5-6). Sapersi affidare a Cristo, che è la Verità di Dio sull’uomo, è l’unica via che induce e conduce alla Vita piena e beata. Una seconda emergenza che la pandemia ha accentuato e fatto emergere in modo drammatico è quella dell’isolamento determinato dalla necessità di rispettare le norme di sicurezza per il bene personale e degli altri, soprattutto delle persone fragili e anziane, di rallentare le relazioni ed evitare la vicinanza e la frequentazione.
Se si vuole frenare la diffusione del virus ed evitare di infettare le persone che ci sono care e più vicine, è fondamentale rispettare alcune regole, anche di distanziamento, che limitano le libertà personali e civili. Questo ha ripresentato una verità, che di fatto la nostra società e cultura avevano dimenticato o in modo illusorio e ideologico rifiutato: non esiste la libertà assoluta, ma ogni forma di libertà è regolata dal bene e dalla verità, che è l’altro e che non limita la mia libertà, ma la rende possibile, umana e civile.
L’affermazione di una libertà assoluta distrugge la stessa convivenza civile ed ecclesiale e, in definitiva, la stessa persona. Per questo, in questo contesto, non possiamo che annunciare e valorizzare la verità essenziale della fede cristiana. Non siamo noi che ci diamo la libertà né siamo misura della libertà, ma è Cristo che ci rende liberi perché l’amore di Dio, la carità, anima, misura, regola e indirizza la libertà di ogni uomo. Gesù stesso si è lasciato limitare dall’Amore, ha dato la vita per Amore e in questo modo ci ha salvato, indicandoci la strada della vera liberazione da ciò che conduce alla schiavitù e alla morte: l’egoismo e la volontà di fare tutto per il proprio interesse slegati dagli altri e dal loro bene.
Cristo è il Salvatore e il Redentore, ha scelto di limitare nel dono di sé la propria vita per la salvezza e il bene degli altri, ci ha indicato che l’unica Verità che rende liberi e felici e che ci dà la Vita è l’Amore per-dono. La libertà è vera solo se è vissuta nell’Amore di Dio Padre, che “ha tanto amato il mondo da dare il proprio Figlio per noi” (Gv 3, 16), solo se si realizza nell’Amore del Figlio di Dio, fatto uomo, che “avendo amato i suoi li amò sino alla fine” (Gv 13, 1), e solo nell’Amore dello Spirito Santo, che “ è stato riversato nei nostri cuori” come ci ricorda l’apostolo Paolo (Rm 8, 14-17), che dall’Amore del Crocifisso risorto presente nella Chiesa e nell’Amore dei cristiani che lo hanno accolto ha trovato la propria libertà e la propria felicità, nonostante le difficoltà, le incomprensioni, le persecuzioni e le catene. Contro l’individualismo, che ha falsificato il senso comunitario della fede e che la pandemia non ha che accentuato, Gesù Cristo con il dono dello Spirito Santo e nella partecipazione nel battesimo alla comunione divina, spinge i cristiani a realizzare loro stessi nel “noi” della Chiesa, nella fede condivisa e annunciata: uniti nell’Amore possiamo vivere la vera pace e costruire la vera comunione fraterna.

IL PECCATO COME PIT STOP PER UNA RI..PARTENZA ALLA GRANDE

*di Daniela Novi

La nostra vita è un percorso ad ostacoli, che prevede ritmi di marcia regolari, improvvise accelerazioni, battute d’arresto, partenze e ripartenze. Lungo il cammino si possono trovare aree di sosta salutari, dove riprendere forza e fiato e altre un po’meno, dove più alto è il rischio di restare impantanati o di tornare indietro, perché l’orizzonte si fa oscuro.
Durante il gran premio di Formula 1 mi ha sempre colpito l’arrivo della macchina da
corsa al PIT STOP: un team di meccanici esperti inizia una danza magica dal sincronismo perfetto, al fine di sostituire i pneumatici, rifornire il carburante, valutare il rendimento delle parti viaggianti o addirittura le condizioni di salute del pilota. Una frenetica e affascinante frazione di tempo che può decidere le sorti di una gara: è infatti durante la sosta ai box che può avvenire il sorpasso degli avversari.
Il vangelo dei discepoli di Emmaus (Lc, 24,13-35) è antesignano di uno dei PIT STOP
più efficaci ed efficienti della storia dell’uomo, ben oltre l’automobilismo di ottima qualità.
START. La bandierina della partenza si apre sui due discepoli in fuga da Gerusalemme, subito dopo la morte di Gesù… “Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus”. L’aria si fa pesante nella città che doveva accogliere l’incoronazione del Messia. I due amici vedono fallite le loro speranze e scappano, rompendo il patto di amicizia con Gesù, lui che non aveva saputo difendere se stesso e i suoi discepoli con
lui. Il peccato spesso non ha connotazioni oscure, non si manifesta con conseguenze devastanti, ma solo con una retrocessione, un cedimento dalle proprie posizioni, abbandonate ancor prima di essere verificate. Meglio, poi, se a credere nello stesso comportamento si è in due: la partenza dei discepoli non contempla la POLE POSITION, nel peccato spesso si viaggia in tandem. I due, però, vengono accostati in fuga
da un terzo incomodo, sotto le mentite spoglie di un compagno di viaggio: Gesù. Egli, però, non è una MONOPOSTO che SPANCIA, non si accosta facendo scintille, non fugge avanti, non taglia la strada, accompagna, si fa vicino: “Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro”. Come al solito l’uomo, quando è nel peccato o semplicemente in posizione di difesa, non si accorge del bene che gli viene incontro, “Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, e preferisce condividere con il prossimo l’amarezza che lo abita, come se il suo peccato fosse un male ingiustamente subito e l’altro, che vuole sapere, un colpevole ignorante: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Chissà se a questo punto del cammino, la strada si è fatta in salita oppure ai tre si è presentato davanti un tornante. Sta di fatto che “la fuga” rallenta, la macchina STACCA, e i due iniziano a raccontare tutto quello che è successo a Gerusalemme, quasi a giustificare il proprio dolore o, forse più verosimilmente, l’abbandono del fronte: “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute.”
Il verbo “sperare” coniugato al passato è il segno più grande della disillusione collettiva e della disperazione personale. Il peccato è dilagato nel loro cuore e nemmeno l’annuncio delle donne, che hanno trovato il sepolcro vuoto, nemmeno la conferma da parte degli uomini, corsi dopo le donne, li ha convinti: “Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”. Il passo deve essersi fatto lento, ma costante, come i giri di un motore, il ritmo del respiro e i battiti del cuore. Quando hai toccato il fondo di te stesso, della tua storia, l’unico rimedio per risalire in superficie è ricordarsi di quello che si è stati, della bellezza vissuta, dell’attimo in cui ti sei innamorato, di una serata allegra con gli amici, di un abbraccio che ti ha placato. Gesù fa fare memoria ai discepoli e rammenta loro le parole masticate insieme davanti al fuoco, intorno ad una mensa, parole che riecheggiano le narrazioni dei profeti e l’attesa dei padri: “… E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.” La macchina in fuga ha finito la benzina, i comandi non rispondono più alla spinta iniziale, le ragioni di un tempo hanno lasciato il posto alle sensazioni brucianti di ora, è necessario fermarsi: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino».

Il PIT STOP
sulla strada di Emmaus dura più del previsto, perché ha il sapore dell’intimità del riposo desiderato e del cibo che nutre. E sarà il ventre ad aprire loro gli occhi, vincendo le resistenze dello snobismo intellettuale dei due pellegrini disorientati e di tutti noi “malpensanti”. Gesù conosce i suoi uomini e i loro punti deboli, sa bene quale fianco lavorare: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. “Come sarebbe stato bello essere lì in quel momento e percepire la pazienza e la capacità di raccontare di Gesù, ma soprattutto il calore di quei cuori che ardevano, resi puri, giovani e vivi da una parola che salva. “Ma lui sparì dalla loro vista…” Gesù non è un sentimentale, non vuole che l’uomo sosti nell’incanto così come nel disincanto, per questo decide di sparire quando il nostro continuo bisogno di prove vuole trasformare la semplice fede in una dorata chimera. I due amici non hanno più bisogno di indugiare nelle seduzioni del peccato, nei bastioni delle loro paure, si sono sufficientemente ri…posati,
ovvero ri…posizionati nel loro cammino: ora sanno che bisogna rifare la strada per guardare al futuro: “E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro…” STOP AND GO è la penalità assegnata al pilota che ha commesso un’ infrazione al regolamento di gara e consiste nel fermarsi ai box per 10 secondi senza poter effettuare riparazione e rifornimento: un’ eternità. Solo con Dio lo STOP del peccato può diventare un’occasione preziosa per una ri…partenza alla grande, solo con Dio, sempre presente ai BOX di partenza e di arrivo, il tempo della lontananza e dell’arresto forzato si recupera con gli interessi, solo con Dio il cammino interrotto non perde mai la speranza dell’orizzonte e l’invito ad un oltre, che ti chiama per nome, che ti chiama per sempre: GO, GO, GO!

 

TI VOGLIO INCONTRARE

*di don Simone Barbieri

COME PIETRO, COME PAOLO…
SUL LAGO DI GALILEA, SULLA VIA DI DAMASCO

Come Pietro, come Paolo
Due dei tanti personaggi che nel Nuovo Testamento hanno incontrato Gesù. Pietro ha conosciuto Gesù anche durante la sua vita terrena, ma ciò che li accomuna è l’aver incontrato il Cristo Risorto, come ci testimonia lo stesso Paolo: «apparve a Cefa… ultimo fra tutti apparve anche a me» (1Cor 15,5.8). I testimoni della resurrezione hanno sicuramente avuto un dono grande. Talvolta i ragazzi si domandano perché Gesù non ci appaia a noi risorto come apparve a Pietro, Paolo e tante altre persone. Sarebbe più facile credere. La sfida sta nel far comprendere loro che Cristo, seppur in modalità diverse, lo si può davvero incontrare anche oggi. Non ci apparirà risorto, nel senso che non lo percepiremo con i cinque sensi, ma possiamo avvertire la sua presenza con i sensi spirituali. Noi adulti sappiamo bene cosa voglia dire incontrare Cristo, ma non riusciamo a spiegarlo ai più giovani, perché non è spiegabile: è un’esperienza interiore così particolare, unica e bella che non ci sono le parole per descriverla. L’unica prova indiretta di questo incontro che possiamo e dobbiamo offrire ai ragazzi è la
nostra testimonianza di vita. Un adulto, un educatore che ha incontrato il Risorto lo si riconosce. La stessa testimonianza degli apostoli è la prova indiretta più importante della Resurrezione: pur di non negare di aver visto il Risorto hanno preferito morire.
Sul lago di Galilea, sulla via di Damasco La testimonianza dell’adulto, quella in particolare dell’educatore, non è però sufficiente a suscitare la fede nei giovanissimi. Sicuramente ne rimangono incuriositi e si rendono più disponibili ad una ricerca, ma è indispensabile che facciano esperienza diretta del Signore. In qualche momento e in qualche luogo preciso, così come fecero Pietro sul Lago di Galilea, Paolo sulla via di Damasco e tutti gli altri. Così come abbiamo fatto noi adulti.

Quali sono i luoghi in cui si può incontrare il Signore? Direi essenzialmente tre: la liturgia e l’adorazione eucaristica; l’ascolto della Parola di Dio; il servizio. La liturgia è il momento solenne in cui cielo e terra si congiungono e noi possiamo pregustare la bellezza della vita eterna. Una liturgia ben curata, senza troppi orpelli, che faccia percepire il sacro può essere davvero il luogo dell’incontro col Risorto. Così come l’adorazione eucaristica, che della liturgia è un’appendice: non manchino mai per i giovani momenti di adorazione, soprattutto nei campi estivi ed invernali e in particolari occasioni come i ritiri. La Parola di Dio, se letta e pregata con fede, è un altro luogo in cui Dio ci parla e parla al cuore dei giovani. Importante offrire dei momenti di meditazione delle Sacre Scritture agli adolescenti, durante i quali insegnare loro come ci si mette in un atteggiamento di ascolto, perché arrivino magari alla meditazione quotidiana del vangelo del giorno. Infine il servizio. Questo aspetto credo che sia il più carente nelle nostre comunità parrocchiali. Si fa fatica a trovare servizi per i giovanissimi che non siano l’aiuto-catechista. Qualsiasi tipo di servizio ci pone in un atteggiamento di attenzione verso coloro che serviamo e ci fa sperimentare che c’è più gioia nel dare che nel ricevere. Ci dà quindi l’opportunità di sentirsi vicini al Signore che ha donato la sua vita per noi.

INTELLIGENTI, LIBERI: PERSONE SENZA TABÙ

*di mons. Simone Giusti

A Livorno, città di cui sono Vescovo, sul colle di Montenero accadono fatti singolari, guarigioni, avvenimenti a volte eclatanti. I fatti avvengono da secoli, è incotrovertibile ma quale ne è la loro ragione? Si studiano questi fatti? Questi eventi? Questi fenomeni?
Perché accadono qui e non solo qui? Neppure però si sottopongono ad accurata critica, nemmeno i fatti più grandi che la Chiesa, nei suoi organi massimi, riconosce. Come mai in un tempo in cui ad esempio ogni fenomeno climatico è giustamente studiato anche se difficile da inquadrare con i parametri della scienza ufficiale e si devono trovare o inventare nuove metodologie o paradigmi, questi fatti religiosi neppure sono presi in considerazione dal mondo accademico scientifico e non si approfondiscono? Perché non si cerca di capirne i motivi: c’è a Montenero forse un campo magnetico particolare? La persona umana ha delle sconosciute capacità auto terapeutiche che non conosciamo? Oppure, lo dico sommessamente, c’è la remota possibilità di cogliervi la possibilità che l’uomo non sia solo psiche e soma oppure che vi si possa cogliere l’agire trascendente di Dio, semmai grazie alla Madre?
Si vuole quindi avere l’onestà intellettuale di chiedersi semplicemente perché questi eventi avvengono invece di rimuovere aprioristicamente il fatto senza darne alcuna spiegazione scientifica? Questa è l’indifferenza o censura di cui parlavo! E ogni censura di fatto è intollerabile. Una censura poi che riguarda fatti non tesi, avvenimenti non filosofie, una censura che poi porta a gravi conseguenze: vivere come se la morte fosse signora e padrona ovvero dio. I santi: via alla comprensione del Paradiso Guardando i segni donati dalle persone sante, il Paradiso si manifesta è qui ed ora sulla terra, anche se non ancora pienamente manifestato. In altre parole il Paradiso, in un certo senso, è già qui ed ora ma non ancora manifestato pienamente nel suo splendore incommensurabile e avvolto nel mistero rivelato dal Corpo Glorioso di Cristo.
Diceva don Divo Barsotti, (un grande mistico toscano) che l’unica grande questione dell’escatologia (la teologia delle cose ultime) è la seguente questione: di che natura sarà il nostro corpo risorto? Anche noi non siamo in grado di rispondere a questa domanda ma certo è che anche il corpo risorgerà nell’ultimo giorno e sarà lo stesso corpo che ha vissuto sulla terra, mentre la ipostasi umana dell’anima porterà misteriosamente i segni del corpo umano fino alla Risurrezione dei corpi (della carne) anche se in modo diverso, anche se trasformato ad immagine del Corpo glorioso di Cristo e questa realtà di fede ci sembra abbia una grande importanza per l’evangelizzazione, anche oggi, del mistero della morte, chance o pietra di inciampo per gli intellettuali, di scienza e della tecnologia di oggi. Vale a dire il futuro è già qui e noi ne partecipiamo nella misura in cui accogliamo e viviamo questa verità di fede e di salvezza1.

Maria agisce come persona viva Il mistero di Maria, una di noi che ha vinto sul peccato, è stata assunta in Cielo con il suo corpo ed ora si manifesta all’umanità nel suo corpo glorioso, può aiutarci non poco a penetrare il mistero della vita eterna e con essa del Paradiso. Nelle varie vicende mariane che costellano la storia della Chiesa (le oltre duecento apparizioni di Maria riconosciute dalla Chiesa) è evidente il comportamento della Vergine: agisce come una creatura vivente: guarisce, promette, annuncia, mostra qualcosa, loda, ringrazia, esorta, protegge, preserva da qualcosa, salva, desidera qualcosa, discorre con i/le veggenti, spiega i simboli, consiglia, profetizza, prega, guida, benedice, tranquillizza, agisce, aiuta, rinforza, assicura, libera (dalla carcerazione), introduce al cielo, consola, incoraggia, saluta, opera miracoli, raccomanda la recita del santo Rosario, gioisce, opera prodigi solari (la prima volta a Fatima, 1917), concede la sua intercessione,
offre la comunione, piange amaramente, usa il silenzio come risposta, prega con le veggenti, tocca le piaghe degli infermi, chiama ad alta voce e tanti altri gesti. Queste azioni della Madonna, considerate nel contesto delle apparizioni, sono destinate a “svegliare” gli uomini dal torpore spirituale. Maria reagisce e agisce come una persona viva sotto molteplici aspetti e in diverse situazioni in ogni epoca della storia cristiana e in quasi tutti i luoghi della Terra. La Madre di Dio si lascia vedere dalle categorie di persone più diverse: dai mistici fino ai peccatori più dissoluti e miscredenti, dai poveri e ingenui pastorelli ai sacerdoti e uomini della Chiesa. In quasi tutte le apparizioni, Maria tende a mettere la gente in contatto con lei come persona viva e “realtà vivente” per rendere pienamente partecipe la contemporaneità del mondo al messaggio di salvezza di suo Figlio. La nostra vita oltre la morte?
È svelato in Maria, ella è una di noi, una creatura umana come noi, che ha creduto. La Rivelazione come dicevamo, ci illumina e ci guida autorevolmente e normativamente; il mistero della presenza attiva e visibile di Maria nella storia della Chiesa, ci aiuta al discernimento e alla comprensione per mezzo dello Spirito Santo, della stessa Rivelazione sui misteri ultimi. Per prima cosa c’è da affermare che Ella è una creatura come ciascuno di noi. Come ogni creatura muore, ma non è trattenuta dalla morte e la Rivelazione e la storia ce lo dimostrano. Ella è la beata perché ha creduto, è la donna della fede, è colei che non ha mai peccato, non ha mai tradito, mai fallito nella sua fedeltà a Dio, all’ Amore. Ed ora la vediamo, l’ascoltiamo, la seguiamo. Meditando il mistero della sua presenza in mezzo all’umanità, contempliamo il dispiegarsi dell’agire di Dio nel tempo, nella storia. Ella si manifesta nel pieno della sua esistenza umana, ha tratti maturi e al tempo giovanili, ha un corpo splendente, a volte tale è la sua bellezza da essere indescrivibile, potremmo dire è un corpo glorificato. Si fa riconoscere ai suoi figli che ovviamente non l’avevano mai vista prima. È la Madre di ogni figlio ed ognuno la riconosce come tale. È questa una particolarità di Maria e potrebbe farci rimanere perplessi, non è ella una donna ebrea di Nazareth e quindi perché ha il volto, le sembianze di ogni madre, di ogni continente ed etnia? Ci ricorda S. Paolo: in cielo non ci sarà più né giudeo né pagano, né schiavo né libero, ma saremo tutti uno in Cristo. È lei Maria di Nazareth ad apparire ma come è accaduto per il suo Figlio Risorto con Maria di Magdala e i discepoli di Emmaus, non è subito riconoscibile. La vicenda di Tommaso si replica con i molti increduli delle sue apparizioni i quali come l’apostolo, si arrendono solo all’evidenza del segno divino, spesso talmente evidente come a Lourdes o a Fatima, da cancellare ogni possibile dubbio in tutta la moltitudine presente. È poi una esperienza gioiosa e travolgente alla quale nessuno vuole rinunziare, costi quello che costi. Le difficoltà frapposte, a volte un vero martirio fisico e psichico, non la spengono anzi la rafforzano. È un’esperienza reale, sensibile, impressa
profondamente nell’animo umano, incancellabile, non rimovibile, indimenticabile, il semplice narrarla ad altri coinvolge e convince, tale è la forza della verità che da essa promana. È bello stare con Lei, Maria è una persona amabile, non ci si stanca a stare con lei, il tempo vola, la noia nell’estasi d’amore non esiste. La gioia ti invade e ti sazia a tal punto da illuminare di pace e per sempre, il resto della propria vita. Sono
esperienze di pace, di bellezza, di gioia, potremmo dire un anticipo di Paradiso; esse ci aiutano a intuire cosa sarà il Paradiso, quale sarà la qualità della vita in Paradiso. Se lo stare alcuni momenti con Maria, l’Assunta in Cielo, la risorta, la vivente in eterno, è così travolgente e così capace di trasformare tutta l’esistenza terrena, si comprende quale qualità della vita, quale bellezza, quale gioia sarà la contemplazione di Dio
quando abiteremo nella Gerusalemme Celeste e vedremo faccia a faccia Dio. L’Amore ci sarà svelato in tutta la stupefacente grandiosità e la gioia, la grazia di Dio, sarà la nostra stabile condizione.

1 Liberamente ripreso da un intervento di Padre Germano Marani S. J al Simposio Ecumenico del CEDOMEI del 2012

L’URLO DI MUNCH E L’ANCORA DEI PRIMI CRISTIANI

*di mons. Simone Giusti

Il quadro “L’urlo” di Edvard Munch, venne esposto per la prima volta nel 1902, inserito in un ciclo di sei tele che non a caso s’intitolava Studio per una serie evocativa chiamata Amore.
Dirà l’autore: Ho sentito la natura che gridava e ho dipinto questo quadro e le nubi con vero sangue. I colori gridavano. Nel suo diario, Munch descrive la situazione che diede origine a quell’immagine: Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò – il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. – Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata – Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco – I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – e sentii un urlo infinito pervadere la natura. Poi ho dipinto questo quadro. Ho dipinto le nubi con vero sangue. I colori gridavano. Una scena che evoca l’angoscia del Golgota e le parole di Cristo rivolte al Padre. Come si può vivere?
Come è possibile “affrontare il nostro presente”, spesso segnato dallo smarrimento e dal dolore? Come sopportare ogni giorno la fatica del vivere? In effetti noi udiremo il grido solo se in articolazione con la necessità di amore che ci abita fino alla fine. Ora, se quel quadro è divenuto così emblematico, è perché va al di là della rappresentazione del mero terrore individuale. In verità schiude a tutti noi, illuminandolo, il senso tragico dell’esistenza. In quell’immagine sono condensati tutti gli urli umani, quelli emessi così come quelli soffocati. Schopenauer individuava il limite delle possibilità espressive dell’arte esattamente nella sua incapacità di far udire il grido. È appunto il contrario che Edvard Munch s’impegna a dimostrare. In qualunque campo ci muoviamo, è fondamentale preservare la possibilità di ascoltare il grido, il nostro stesso grido e quello altrui (l’uno e l’altro così difficili da accogliere). Pensiamo al bambino. Quando si sente abbandonato nel buio della notte non gli rimane che il grido. La vita inizia con l’essere sperimentata come un caos, per il quale non esistono nomi possibili. Ha una percezione confusa del suo proprio corpo. Ha perduto il calore della placenta che lo proteggeva nello stadio intrauterino e in questo momento è separato dall’abbraccio materno. Si sente gettato fuori, esposto alla vita che non sa controllare. Allora grida. Piange. Un’esperienza primordiale che ritornerà in altri momenti della nostra esistenza.

Pensiamo al bambino. Quando si sente abbandonato nel buio della notte non gli rimane che il grido. E il grido è la forma fragile e intensa con cui la sua vita parte alla ricerca di altre vite che possano soccorrerla. Il grido è un appello, una supplica, una richiesta, una sorta di preghiera: le corde della voce partono, nel cuore della notte, in cerca di un attracco. Nei Vangeli, per esempio, si dice che Gesù morì emettendo un duplice grido. Il primo, liberando le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (oppure «Dio mio, Dio mio, a cosa mi hai abbandonato?», come preferiscono alcune traduzioni). Ma, una volta proferite tutte le parole sulla croce, gli evangelisti Marco e Matteo raccontano che Gesù dà un altro forte grido. E in quello stesso momento il velo del tempio
si squarciò in due, consentendo un altro regime di rivelazione.1
La fede nella risurrezione di Gesù – non la rianimazione del suo cadavere, ma l’ingresso della sua stessa condizione umana nel mondo delle cose invisibili che forma il valore aggiunto della creazione di Dio – trafigge la mente dell’umanità intera: nessuno aveva mai osato lanciare un simile annuncio dell’importanza della vita che viviamo, nella carne e nel sangue. Questa speranza ci accompagna nella vita. I primi cristiani dipingevano la speranza con un’ancora, come se la vita fosse l’ancora gettata nella riva del Cielo e tutti noi incamminati verso quella riva, aggrappati alla corda dell’ancora. E’ una bella immagine della speranza: avere il cuore ancorato là dove sono i Santi, dove è Gesù, dove è Dio. Questa è la speranza che non delude. La speranza è un po’ come il lievito, che ti fa allargare l’anima; ci sono momenti difficili nella
vita ma con la speranza, l’anima va avanti e guarda a ciò che ci aspetta. «Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso» (1Gv 3,3). Anche la speranza ci purifica, ci alleggerisce; questa purificazione nella speranza in Gesù Cristo ci fa andare in fretta, prontamente.

GESÙ NON SI LASCIA CONTRAFFARE

*di don Mario Simula

GESÙ “RESPIRATO”
Gesù è entrato in me col latte di mia madre e col respiro della mia famiglia.
Il catechismo è stato dopo. La parrocchia è stata dopo. Anche i preti sono stati dopo. L’ho imparato come si apprende la lingua materna. Sillabando e ripetendo. Con i gridi affettuosi di quella comunicazione istintiva tra madre e bambino, che non sembra avere significato, eppure
possiede l’unico significato che resta indelebile nella vita: lo stupore dell’affetto e dell’amore. Oggi la fede non è più un “ambiente divino” che ci circonda e ci permea. Occorre che lo sappiamo e ne prendiamo atto, se vogliamo accostarci ai giovani e agli adolescenti col desiderio di far balenare davanti ai loro occhi e nelle corde del loro animo un Gesù, ormai sconosciuto alle loro tavolozze affettive ed esistenziali. Gesù sembra ormai desueto. Episodio obbligatorio di quella stagione poco simpatica della vita nella quale ci si sente costretti a sapere di Lui, ma non è necessario incontrare Lui. Diventando più grande ho trovato Gesù lungo i sentieri normali della vita di parrocchia, nel gruppo attraente, allora, come nessun’altra esperienza. Ho iniziato a smarrirlo successivamente, in contesti educativi che avevano il compito di insegnarmelo, ma dimenticavano che Gesù non si insegna. Si vive. Si testimonia. Si diffonde per contagio. Lievita nel cuore fino a suscitare attrattiva e desiderio. Cosa poteva importarmi di un Gesù degli obblighi e dei divieti, delle paure e delle nevrosi. Non impiegò infatti molto ad entrare in crisi come un personaggio scostante e fastidioso.

Ero troppo critico per accettarlo con le sue improponibili ricette. Un Gesù così non l’avrei scelto nemmeno per necessità di sopravvivenza.
Eppure vivevo la vita di seminario. C’è voluto un incontro che ha messo a soqquadro la mia esistenza inquieta di adolescente. Incontentabile. Borbottone come un vecchio. Un misto di affetti e di divieti. Un cuore libero e allo stesso tempo ancora condizionato dalle proibizioni: Non devi, non si fa, è peccato, non va bene, Gesù ti punisce. Notti di crisi a vuoto, per nulla. Crisi senza amore né passione.
Crisi da allontanarsi come il vento dalla possibilità di un incontro con una persona che mi era sembrata ed era meravigliosa,
soltanto nel linguaggio di mia madre. Gli altri linguaggi erano inquinati, scontati, professionali, luoghi comuni abbastanza invecchiati.
Quale è stato l’incontro che mi ha scombinato la pace e la tranquillità di una salvezza dovuta, visto che ero ritenuto, comunque,
un bravo ragazzo? Un padre gesuita, mia guida durante gli anni della più turbolenta delle adolescenze, combattuta tra il desiderio dirompente della trasgressione e il rigore incorruttibile del super-io, severo e fortissimo. Tirannico.

Sembrava che mi leggesse nell’anima. Sembrava che vedesse in me stoffa e vestito cucito addosso.
“Tu senti Gesù. Senti che è nella tua vita. Tu puoi seguire Gesù. Non lo hai fatto, fino a questo momento, per paura, perché temi di buttarti, perché non conosci la bellezza del rischio. Perché non ti rendi conto di quanto sia facile buttare al vento la vita”. Vedevo passare davanti ai miei occhi tanti miei coetanei, che, già allora, senza aspettare i “tempi moderni”, sprecavano il bello e il bene che era dentro di essi.
Chi dice che oggi gli adolescenti e i giovani sono diversi ha ragione per una piccola parte. In realtà come sono gli adolescenti e i giovani? Generosi: se li buttate nella mischia nessuno sa fare cose più grandi di loro. Sono radicali: se prendono un impegno lo portano fino in fondo, costi quel che costi. Son aperti alle relazioni o chiusi in un guscio di esclusività. Amano le bizzarrie, anche pericolose, del gruppo e le intimità di una relazione di coppia acerba. Amano male, impacciati e smarriti. Con un corpo ingombrante che non sa dove collocare mani, bocca, piedi, istinti, sentimenti. Si attorcigliano l’uno con l’altro perché pensano che amare sia una sorta di confusione di corpi senza controllo: un gioco a quel che viene e a quel che si prova. Questi adolescenti e questi giovani, che noi abbiamo deluso e abbandonato a se stessi, ai quali abbiamo fatto tante promesse e sui quali abbiamo scritto tanti libri, sentono il bisogno di Dio. Aspettano Gesù. Credo che, senza saperlo, vogliono che passi per la loro strada e li chiami per nome. Dove si è nascosto, però, l’educatore in grado di spezzare loro il pane della Bella notizia, grondante di gioia e di credibilità?
A questi adolescenti e a questi giovani meravigliosi e scomodi voglio dire, come educatore: “Ragazzi, il Vangelo che cercate è un libro di domande. Accettate la scommessa dell’inquietudine e del mettervi in discussione. Gesù che cercate ha interrogativi da proporvi, non per provocarvi, ma per scuotervi e far uscire da voi il meglio che siete”. Iniziamo l’avventura.

GESÙ UNO SCOMODO DA CERCARE
Se vai a cercare risposte nel Vangelo, trovi prevalentemente domande. omande poste da Gesù stesso. Provocatoriamente? Può darsi. Il fatto è che pone domande. A me ne ha poste tante. Molte volte ho fatto finta di non sentirle, come chi non vuole avere fastidi. Ho rimandato. Ho recalcitrato. Ho fatto una strada contorta e impervia. Ho rifiutato aiuti che non mi aiutavano nella ricerca del Signore. Una di queste domande è, tuttavia, risuonata nel mio cuore con un’insistenza che mi innervosiva e che, in fondo, mi faceva anche piacere. Era questa: “Chi cerchi?”. Non cercavo nessuno. E Gesù insisteva: “Chi cerchi?”. La mia guida viene a sapere che avveniva questo e un giorno mi dice: “Che cosa ti costa dirgli che stai cercando Lui, che lo senti nel tuo silenzio”.

E viene il giorno nel quale mi fermo in un misto di tremore e di gioia: “Gesù, dove abiti?”. Mi invita a stare con Lui. Nel subbuglio del cuore. Perplesso e incerto. Combattuto come un cavallo ribelle. Da allora non l’ho perso più di vista. Smarrito tante volte. Cercato sempre negli orizzonti delle mie pazzie e delle mie intemperanze. Dei miei pentimenti per averlo seguito, degli innamoramenti ogni volta che lo ho ritrovato. Tu senti Gesù passare per la tua strada, giocare d’azzardo puntando sulla tua vita, chiamarti e insistere nella chiamata. Insistere nella chiamata fino a sembrarti insolente e inopportuno. Sono sicuro che in molte ore delle tue notti, sballato dal non senso della tua giornata, ti sei intrattenuto con quel Gesù sconosciuto e gli hai parlato. Talvolta sei rimasto senza sapere con chi. Eppure era proprio Lui.
Gesù che da senso alla tua giovinezza altrimenti incompiuta, senza scopo, senza ideali, senza gioia. Un giorno devi metterti alla ricerca. Gesù ti vede camminare dietro di Lui e ti chiede se stai cercando proprio Lui. Se stai al gioco entri in confidenza, subito desideri saperne di più. Gesù non ti dà il recapito o il numero di cellulare. Ti chiama a fare esperienza con Lui. Resterai affascinato e stupito. Poi di corsa andrai a raccontare ad altri. Un incontro speciale non può rimanere relegato negli scrigni segreti. Occorre narrarlo. Ricordati che tutto inizia in questo modo. Se non lo incontri non riuscirai mai a sentirne il “sapore”. Io ne ho provato il “sapore”

GESÙ NON PUÒ FARTI PAURA
Quando lo hai sentito, forse hai provato esitazione a prenderlo sul serio. Noi davanti a Gesù siamo quelli che tergiversano, finché non ne rimaniamo conquistati. Non a caso Lui ci dice, con una sottile voce di sofferenza: “Perché avete tanta paura? Non avete ancora fede? (Mc 4, 40). Questa domanda è preceduta da una domanda da parte nostra naufraghi desiderosi di vita nel mezzo di una tempesta furibonda. Non sappiamo come uscirne. Temiamo di andare a fondo da un momento all’altro. Sei solo, nel silenzio della tua notte e del tuo baratro. Allora non ti vergogni di gridare: “Gesù, non t’importa nulla che muoia?”. Gesù dorme tranquillo nella barca. Ti mette alla prova. Mette alla prova la tua fiducia. Gridi per svegliarlo. Gesù si veglia. Sgrida il vento delle tue inquietudini senza soluzione. Mette a tacere la tempesta che ti imprigiona senza uscita e riporta la calma nel tuo cuore che sembra incapace di amare, di sentire le presenze. Un cuore al quale tutto viene a noia quando
si trova con se stesso. Mentre sembra spavaldo quando nasconde le sue fragilità nella bolgia del gruppo.
Gesù ti ama. Perciò non si risparmia la domanda: “Perché sei pauroso? Non hai ancora fede?”.
Amico adolescente, amica giovane. Rifletti. Che non sia proprio la tua paura a non farti incontrare Gesù? Forse temi l’impegno. Non te la senti perché non hai il coraggio di cambiare vita. Ti sembra troppo difficile seguirlo. Hai smarrito la tua fede? Senti la tua fede? O la tua fede non è stata mai così robusta da darti forza per amare Gesù e sceglierlo? Perché gli sto tanto a cuore? Cosa vede in me da sentire il bisogno di cercarmi, di parlarmi e di scegliermi? Fermati a riflettere su queste tue urgenze dell’anima. Se ci pensi, Gesù attraversa la tua vita. Se sperimenti burrasche di ogni tipo: solitudine, scoraggiamento, disamore alla vita, disperazione per la mancanza di attenzioni e di affetti, assenza di prospettive per il futuro, Gesù non ti butta via come un inutile oggetto di inciampo. Sperimenta nella calma, nel silenzio e nella solitudine che sembrano schiacciarti, il suo abbraccio, il suo sguardo, la sua preferenza.

CHI TOCCA IL MANTELLO DI GESÙ?
Chi ha toccato il mio mantello? (Mc 5, 30)
Se lo cerchi lo senti. Se sembra distratto, tocca ugualmente il suo mantello. Da Lui esce un’energia, una forza, una sicurezza che ti risulteranno altrettante risposte nelle tue incertezze di oggi e forse di domani. Prova a toccare il suo mantello. Nessuno se ne accorge. Poi senti che Gesù ti cerca guardandosi attorno: “Sei tu che mi hai toccato il mantello?”. Avrai paura di riconoscere la tua “debolezza”. Resti tremante e timoroso. Ti aspetti chissà quali parole di rimprovero. Invece fai la scoperta della tua vita. Quel Gesù che cerchi ti parla direttamente, in mezzo alla folla, come se ci fossi soltanto tu: “Amico mio, la tua fede ti ha salvato. Va’ in pace. Da questo momento potrai trovarti in qualsiasi difficoltà; sarai sempre guarito dal tuo male”.
E’ proprio il Gesù che cercavo. Che tu sia Michele o Giovanna gioca la tua vita per quello che vale. Il giorno nel quale, alla tua età, ho rischiato la carta Gesù, la mia vita è rimasta piena di limiti, di peccati, di contraddizioni. Eppure mi sono sentito diverso. Non ero più solo. Non mi sono sentito smarrito. Si era scatenata in me un’altra vita che mi permetteva di amare, di essere ragazzo o ragazza normale e speciale. Gioioso/a. Nuovo/a. Ritrovavo tutta la mia ricchezza, tutti i doni. Ritrovavo me stesso/a e sentivo che volevo donarmi anche agli altri.

 

IL VALORE DELL’ERRARE/ERRORE NELLA FORMAZIONE DEI GIOVANI

*di don Mario Simula

Credi di conoscerti? E’ la più “splendida illusione” della tua vita. Vivi ormai da diversi anni. Forse è venuto il momento per qualche domanda di senso: “Vivo o mi lascio vivere? Vivo intensamente oppure sbarco le giornate come un consumatore ossessivo di ore e di tempo? Sempre stressato anche quando non ho niente da fare?”.
Mai così indaffarato. Mai così annoiato. Scuotiti di dosso il sonno e inizia un’esistenza da sveglio. La vita è oggi, ma devi essere sveglio per accorgertene. Attento a non essere un manovale sfaccendato preso a caso all’angolo della strada. Gli si chiede: “Che cosa sai fare?”. “Un po’ di tutto”. La vita non è “un po’ di tutto”. La vita è tutto. E’ il respiro di ossigeno puro. E’ la lotta. E’ il rischio. E’ anche il limite. Se ci fermiamo davanti allo specchio di noi stessi ci rendiamo conto che non siamo la perfezione. Siamo il limite. Siamo un prodigio con tutti i segni di un inizio e di una fine. La fragilità che maggiormente ci identifica e ci configura è l’errore. Le persone anziane, nella loro saggezza quasi infantile, quando accusavano i peccati dicevano che ad ogni “alzata di occhio” si pecca. Ne erano coscienti. Non cercavano di camuffare dietro una formula generica le loro malefatte. Facevano un’onesta dichiarazione di fragilità. Ogni persona sbaglia e sbaglia molto. A tal punto che esiste un modo di dire: “errare è umano”. Ciò che sconcerta è la negazione dell’errore. Anzi l’indifferenza davanti all’errore. Di più, la giustificazione dell’errore. Dire: “Che male c’é. Tutti fanno così. Non voglio essere preso in giro. Questa è la maggioranza”, è prassi di ogni giorno. Dov’è il problema? Il problema è che non si coglie il valore dell’errore. Che strana contraddizione. L’errore ha un valore? Proprio così.
Dove sta il suo valore? Provo a dirlo in maniera semplice e veritiera. Per capire il valore dell’errore e della tendenza ad errare occorre prenderne coscienza. Se apprendi ad entrare dentro te stesso e inizi a percorrere, prima con paura e poi con maggiore serenità, il tuo labirinto avventuroso e inestricabile, ti accorgerai di chi veramente sei. Io sono un fascio di ricchezze. Ma sono anche un inaffidabile infedele alla vita e
al bene che la vita domanda di coltivare. Tutti i miei errori sono il rovescio di un bene che non ho scelto di vivere. Per disattenzione e per superficialità interiore: meglio non pensarci, meglio non mettersi troppi problemi, meglio non farsi troppe domande, meglio passarci sopra.

Per comodità. Se mi abbandono sul letto della mia camera e fantastico e corro dietro le illusioni, tutta l’esistenza è semplice. Si dimentica soltanto che la vita, inevitabilmente, passa il conto. Quando? Come? Non lo so.
Di una verità sono certo, che non basta dire: “Ci penserò dopo, sempre dopo”, credendo di esorcizzare le conseguenze dell’errore. Ama oggi la verità di te stesso. Forse non hai mai sperimentato la gioiosa sorpresa che prova chi, un giorno, ha il coraggio di dire a se stesso: “Io sono anche questo aspetto egoista di me. Io sono anche questa incoscienza che mi paralizza. Io sono questo soggetto schiavo di tante mode, di bisogni non necessari, di modi di fare e di dire che mi condizionano. Io non sono libero”. Se ti accorgi, inizi ad essere un altro. Inizi a comprendere che hai un ruolo e un compito. Non sei una sanguisuga della vita, dei sacrifici degli altri. Sei un giovane che guarda avanti. Che ha gli occhi sulla faccia. E quegli occhi perdono giorno dopo giorno le squame, per iniziare vedere con profondità e con chiarezza. Ogni giorno azzardo l’avventura di guardare nell’abisso del cuore con verità. Senza autoingannarmi, senza nascondermi per paura o per quieto vivere.
Per restare addormentato. Drogato dal terrore di raccontare la mia vita a me stesso, senza pieghe, senza angoli bui, senza scheletri. Il viaggio doloroso e felice nell’inferno del cuore è guardare in faccia la verità. “Chi riesce a fare quello che mi proponi!”.
Eppure questo deve avvenire. Apri il libro dei giorni vissuti, scorrendo riga dopo riga. Prova a discernere cioè a vagliare, cioè a passare al setaccio la vita monotona fatta di ore e minuti. Ritrova la franchezza dell’animo.

Nell’aldilà ogni uomo appare svelato nella sua realtà più intima e vera, come si è in parte rivelata quando eravamo in vita. Nell’aldilà ognuno è definitivamente se stesso. C’è un particolare che ritorna nella Divina Commedia. Tutti i personaggi che parlano con Dante manifestano una presa di coscienza di se stessi ormai chiarissima. Però immutabile. Ormai soltanto quella, perché è fissata da una condizione nuova e definitiva. Durante la vita ognuno di noi rimane imprigionato dalla mutevole interpretazione di se stesso. Qualche dettaglio rimane sempre e volutamente sfumato, grigio e non comunicato. Corrisponde a quella parte del nostro essere più disdicevole e umiliante.
Occorre scoprire il “valore dell’errore”. Perché l’errore, l’errare hanno un valore. Non devi sotterrarli. Li devi decifrare. Se ne hai il coraggio, devi raccontarli. Michele è un educatore coraggioso di giovani. Conosce i “ragazzi” del suo gruppo. A volte si dispera perché non sa che pesci pigliare. Vorrebbe mollare tutto. Non si sente pronto. Il don gli dice spesso: “Fai quello che puoi!”. Come, con questi giovani vivere
alla giornata? Vivere all’ombra dell’improvvisazione?
Michele ha bisogno di comprendere che il primo passo della formazione dei giovani e dei giovani oggi, è il passo della scoperta, con vergogna forse ma sempre con gioia, della verità, della propria storia. Mi viene da chiedere a Michele se lui ha già iniziato questo percorso. A che punto è arrivato. Se intende percorrerlo con gli altri giovani anche se hanno qualche anno in meno. La barca della crescita viaggia sullo stesso mare che attraversa la barca di chi vuole rimanere fermo. Michele deve crederci. Gli ho proposto un itinerario. Deve leggere
le sottolineature. Poi lavorare con passione.
Gli suggerisco una preghiera.
“Padre, non pentirti di avermi fatto. Padre nostro, non pentirti. Il tuo soffio vitale continua sempre a scorrere nelle mie vene, nelle vene di questi giovani che guardo negli occhi. Non tirarti indietro. Non stracciare il progetto. Continua a sognare su di me. Hai sempre bisogno di me. Senza le mie piccole forze fai poca strada. Senza le preghiere, i lamenti, le bestemmie, persino gli abbandoni, che riesco a collezionare,
di chi saresti Padre?”.

GESÙ E LA SCUOLA: UN MESSAGGIO ANCORA POSSIBILE?

*di Martina Antognoli

Comunicare ai ragazzi il messaggio di Gesù oggi è innanzitutto una sfida: i numerosi e variegati spunti che il mondo offre loro porta sicuramente a un pregiudizio di fronte a determinati temi, ma anche una buona dose di curiosità. Spesso gli adolescenti sono considerati disinteressati, persi nel loro mondo virtuale, con pochi stimoli di senso e tanto tempo perso; e il rischio è che davvero diventino tali. Ma se si ha il coraggio di scavare un po’, si trova in loro una grande sensibilità, un interesse a ricevere alt(r)i messaggi, proposte profonde, che abbiano un contenuto solido e concreto. Insegnare Religione Cattolica oggi significa anche essere come i minatori, che non hanno paura del buio e dell’imprevisto: armati di elmetto, torcia e corde, scendono nelle miniere col coraggio e la voglia di scavare in profondità. Così è trasmettere il messaggio di Gesù Cristo oggi, avere il coraggio e la voglia di scendere nella profondità della mente e del cuore degli alunni che abbiamo di fronte, presentare un messaggio di coerenza e responsabilità, che arrivi a toccare le corde più sensibili di quelli che un domani saranno adulti, chiamati a compiere decisioni importanti per se stessi e per la società.

Nella mia esperienza triennale in un liceo di Genova ho incontrato questo desiderio di profondità in quasi tutti i miei alunni: molti, pur avvalendosi dell’IRC, conoscono poco la storia di Gesù, il contesto in cui viveva, il semplice messaggio che portava, così scontato oggi, ma ancora così rivoluzionario. Attraverso il confronto diretto con alcuni passi del Vangelo, il confronto con l’attualità è lampante e spesso l’ora settimanale non basta per esaurire il dibattito che ne scaturisce: dal Buon Samaritano al giovane ricco, sono tanti gli spunti che questo grande influencer propone, tra tutti amore per se stessi, riconoscersi dono per gli altri, avere uno sguardo ampio su chi ci circonda. Certo, non è un insegnamento facile: i pregiudizi e le false credenze da debellare sono tanti, ma il compito di un cristiano è essere sale e luce, chiamato a offrire una prospettiva diversa sul mondo. Colpisce i ragazzi la trasversalità di questa materia, tanto che incrociamo spesso brani di filosofia, testi latini e greci, storici e professori di italiano e soprattutto le grandi dichiarazioni e costituzioni che si esplorano nella neonata Educazione Civica. E allora come non rileggere la Dichiarazione Universale dei diritti umani, quando parliamo dell’amore per il prossimo perché persona come me, con pari diritti e dignità? Come non esplorare la Dottrina Sociale della Chiesa, partendo dall’enciclica Laudato Si’, quando si riflette su economia circolare, lotta alla povertà, ecologia? Come non guardare alla ribellione propria dei grandi Santi di fronte a ingiustizie precostituite, quando oggi riflettiamo sul lavoro degli Influencer e la loro capacità di esser portatori di un valore?
Riflettere sul messaggio di Gesù di Nazareth oggi è quanto mai importante, in una cultura dello scarto, come dice Papa Francesco, in cui lo sguardo verso l’altro è spesso schermato da molti fattori. Se l’educazione passa attraverso la scuola, essa non può esimersi dal narrare quella che per noi è la buona novella. È importante però che questa narrazione sia libera: l’ora di religione è un’ora di trasmissione di una cultura cristiana che ha avuto l’onore e l’onere di essere fondativa per l’Europa e non solo, ed è fondamentale che i ragazzi ricevano questo insegnamento senza l’imposizione o l’obbligo della fede. Molti alunni si dichiarano atei o agnostici, molti sono cristiani tiepidi, molti non si pongono domande, ma tutti accedono con curiosità e gioia a questo insegnamento, che richiede tempo da sottrarre a altro. Ma è proprio in questo sacrificio che si determina la profondità dei ragazzi e la loro voglia di mettersi in gioco, di essere stimolati, di saperne di più. E molti
scoprono che gli insegnamenti di quest’ora possono e devono essere applicati nel loro quotidiano, perché suscitano in loro domande, più che offrire risposte.
E come minatori, è importante che gli insegnanti non perdano l’entusiasmo e il desiderio di caricarsi di elmetto, torcia e corda, per scendere nel cuore degli alunni e far loro scoprire la loro dimensione interiore e spirituale che molto spesso, soprattutto oggi, è al buio e aspetta solo che qualcuno la porti alla luce. E d’altra parte, come scrisse Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi, «La rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca, come lo fu anche di altre. Occorre quindi fare tutti gli sforzi in vista di una generosa evangelizzazione della cultura, più esattamente delle culture. Esse devono essere rigenerate mediante l’incontro con la Buona Novella. Ma questo incontro non si produrrà, se la Buona Novella non è proclamata.»