Quando viene l’ora di Giorgio e della sua dolce Silvia. Dai l’esempio e hai fatto bingo

giovani20001_fmt*di don Mario Simula* Giorgio, educatore di oggi e del futuro, di che cosa hai paura? Di farti vedere innamorato? Di metterti in graticola sotto le forchette dei ragazzi? Di portare la tua Silvia in gruppo?
Ti assicuro:
1. I ragazzi non vedono l’ora di sfidarti
2. I ragazzi te lo fanno apposta, ma sono buoni e desiderosi di crescere
3. Se vedono Silvia, te la rubano con gli occhi, con i sorrisini, con le battutine e tu vorresti sotterrarti
4. I ragazzi vogliono farti cadere nella loro trappola.
Allora non se ne parla nemmeno di andare da loro in gruppo. Anche con le migliori intenzioni. E’ molto meglio stare sulla difensiva.
Se avessi davanti dei nemici, ti darei ragione.
Giorgio bello, non ti sei ancora accorto di quanto ti vogliono bene, i ragazzi? Ormai sei il loro “educatore”. E siccome sei giovane e simpatico, anche se qualche volta un po’ “imbranatino”, parlano di te con i compagni di scuola, con i genitori, tra di loro.
Ormai conti. Sei un punto di riferimento: “L’ha detto Giorgio!”.
Tu, però, devi tirare fuori da te la carica più esplosiva di simpatia.
Sei chiamato a trovare sicurezza.
Certamente hai qualcosa da raccontare, e qualcosa di bello e di valore.
Ti presenti col ”valorissimo aggiunto” di Silvia. Con un’esperienza al tuo attivo.
Cosa vuoi di più?
In attesa del battesimo di fuoco
Giovedì ore 19: incontro ragazzi. Tutto inizia con l’annuncio che per Giorgio è importante e impegnativo.
“Ragazzi, al prossimo incontro verrò con Silvia. La conoscete di sicuro. Almeno perché l’avete vista a messa assieme a me”.
“La tua ragazza?”, grida subito Guglielmo.
“Sì, la mia ragazza!”.
“Bravo, Giorgio, non vediamo l’ora”.
“Ho pensato così, se siete d’accordo”. “Sìììììììììììììììììììììììììììììììììììì!”.
Ormai Giorgio si è compromesso. La settimana sarà per lui un po’ agitata: “Chissà cosa chiederanno quei ficcanaso. Perché non resteranno senza domande”.
20141226_165124_fmtNon manca nessuno all’incontro. Giorgio con Silvia, fanno una bella coppia. Anche a vedersi. Sia l’uno che l’altra, non c’è male! A vederli insieme Giorgio sembra più bello del solito, oggi un po’ insicuro. Silvia è sempre quella che è: alta, bionda, carina, piacevole. Un bel sorriso, spontaneo e accattivante.
Un dialogo davvero fuori programma
Luigi non dà tempo alle introduzioni. E’ quello che parla sempre per primo. Anche perché non mette domande originalissime.
“Senti Gio’, come vi siete conosciuti?”.
“Non è avvenuto al tramonto di una giornata di sole. In spiaggia. Due ragazzi romantici che si specchiano nel fuoco di quei colori e si guardano ancora soltanto negli occhi, perché non riescono nemmeno a sfiorarsi la mano. Ti ricordi, Silvia. Io stavo sulle mie. Iniziavi a piacermi talmente che stavo alla larga. Intanto frequentavamo il gruppo giovanissimi: io di qua e tu di là. Ma sempre su punti strategici, per poterci almeno sbirciare e gettare le prime intese.
Io ero pronto a scherzare, ad organizzare giochi e scherzi. Silvia era una delle più brave coriste della parrocchia. A lei non piaceva tanto giocare. A me interessava così così cantare. Agli incontri eravamo, però sempre presenti e attivi.
Di domenica, a messa, lei era sempre a destra. Io cercavo il posto più vicino. Qualche volta avevo la testa per aria. Stavo solo pensando a lei. Ci pensava Antonello a portarmi con i piedi per terra. Mi affibbiava certe gomitate!
Tutto è nato in parrocchia, nel gruppo.
Giorno dopo giorno. Senza forzare i tempi.
Senza abbandonare gli amici. Senza chiuderci.
Un giorno è stata proprio Silvia a dirmi, diventando rossa: “Sai, stanotte ho pregato Gesù per noi due. Mi è venuto spontaneo farlo. Non ricordo che cosa ho detto. Sicuramente cose belle. Desideri grandi. Ho avuto l’impressione che Lui mi guardasse con simpatia, sorridendo. Come se fosse compiaciuto”.
In quel momento ho capito che eravamo in due a provare gli stessi sentimenti e abbiamo iniziato a stare insieme, un po’ alla volta”.
“Tu dici un po’ alla volta. O ci state o non ci state!”, protesta Stefano. “A me non sarebbe sembrato vero che una ragazza come Silvia stesse al mio fianco. Mi sarei divertito da morire. Sono proprio curioso di sapere che cosa avete fatto voi”.

Pazienza, stima, ascolto... si inizia così
Pazienza, stima, ascolto…
si inizia così

Questa volta è Silvia a prendere la parola, senza farsi impaurire dal tono aggressivo di Stefano.
“Noi abbiamo cercato di conoscerci. Avevamo capito subito che non può esistere un amore forte e vero senza sapere chi è l’altra persona che ho accanto.
Abbiamo scoperto tanti aspetti del nostro carattere. I molti pregi, le qualità e anche i limiti e i difetti di ciascuno di noi.
Ogni scoperta ha rappresentato un passo avanti pieno di gioia e qualche volta di fatica. Sai, Stefano, quanto è facile stare a lungo insieme senza sapere con chi mi trovo?
Ci siamo raccontati le nostre storie, a partire dalle famiglie alle quali apparteniamo.
Intanto cresceva l’affetto, la stima reciproca, la pazienza, l’ascolto, la capacità di perdonarci. Iniziavamo anche a stare più vicini, con gioia. Riuscivamo a parlarci con tanti gesti di amore e di delicatezza. Non c’era bisogno di bruciare le tappe. Tuttavia il nostro amore cresceva e si vedeva crescere. Ci cercavamo di più, ma sapevamo stare anche qualche giorno in silenzio. Non per dispetto, ma per far crescere il desiderio l’uno dell’altro. L’abitudine è una malattia mortale per l’amore. Il desiderio sempre vivo, è l’acqua fresca che lo alimenta.

...E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...
…E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine...

Abbiamo litigato più di una volta. Ricordo che l’ultimo scontro risale a qualche mese fa. Giorgio voleva a tutti i costi che stessimo molto di più da soli. Noi due. Come due piccioncini. A rischio di costruirci il nido caldo. Due cuori una capanna. A me la proposta sembrava fuori posto. Chiedere una cosa simile a me che amo molto stare con gli altri, essere allegra, uscire con le amiche significava rinchiudermi in una prigione. E lui ad insistere. Non so se per gelosia o per egoismo. Non ne volli proprio sapere. Capì subito che su questo punto ero irremovibile.
Seguì qualche giorno di lontananza. Fino al momento nel quale ricevetti un messaggio tenero: “Silvì, sono stato sciocco. Che motivo c’è di blindare il nostro rapporto? Ci si può conoscere anche stando insieme con gli altri. E un gesto di amore è bene che lo vedano anche gli altri. E’ così bello! Noi troveremo i momenti che appartengono a noi”. Non credevo ai miei occhi, mentre leggevo. Non risposi con messaggino. Ci voleva una telefonata senza tempo. Fu lunga quella telefonata, carica di verità, di chiarezza e di affetto. Fece bene a tutti e due”.
Andrea sembrava poco convinto di tutte queste storie belle. A bruciapelo butta la sua: “Quando mai non avete sentito il desiderio di fare qualche cosa di più. I miei amici raccontano che subito si fanno avanti con la loro ragazza: Ci stai? A me sembra impossibile che Giorgio così maschiaccio e Silvia così piacevole non ci abbiano provato mai!”.
Credo che non fosse soltanto Andrea a voler fare questa domanda.
Giorgio e Silvia si guardano esitanti, per prendere una decisione tacita: parli tu o parlo io? Con la speranza che parlasse il tu invece che l’io.

Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi! Non immagini il terremoto del mio cuore e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu, che hai immaginato questo cataclisma. Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi. Hai visto come si incollano alle nostre parole. E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza forse ci scapperà qualche altra notizia. Non pensare male mi raccomando!
Dio, che pasticcio hai creato a farci così belli, così misteriosi, così desiderosi di fare il contrario di quello che tu pensi!
Non immagini il terremoto del mio cuore
e del mio corpo quando si sveglia il fuoco del desiderio. O forse ne sai qualcosa anche tu,
che hai immaginato questo cataclisma.
Eppure non abbiamo trovato mai un libro altrettanto prezioso
come quello della nostra vita da offrire ai ragazzi.
Hai visto come si incollano alle nostre parole.
E non abbiamo detto tutto. Quando entreremo in confidenza
forse ci scapperà qualche altra notizia.
Non pensare male mi raccomando!

“Ragazzi – inizia Giorgio – la domanda è molto personale, però sono contento che sia venuta fuori. Quando si inizia a stare insieme da un certo tempo, un po’ alla volta l’attrattiva reciproca inizia a farsi sentire sempre più forte. Piacciono i gesti affettuosi che consolidano l’intesa tra noi due. Si scopre la bellezza di ritrovarsi da soli per parlare stando vicini, abbracciati e scambiandosi quelle attenzioni tenere e delicate che danno sicurezza e felicità.
Siamo, però, anche attratti con maggiore forza, a sperimentare l’intimità di coppia. Lo si sente nel corpo che entra in subbuglio. Si sperimenta una forza che, al primo momento sembra incontrollabile. Come se volesse travolgerti.
A questo punto occorre guardarsi negli occhi ed avere la semplicità di dirsi quello che si prova. E domandarsi: è proprio quello che vuole Dio? Non è forse impulsivo questo bisogno? Può esser rimandato al momento giusto, quello che coincide con la scelta di tutta la vita?
Noi abbiamo cercato di vivere questa esperienza. Lottando, ma senza sentirci costretti.
Silvia è stata bravissima con il suo equilibrio”.
“E’ vero, aggiunge Silvia. Il desiderio in certi momenti sembra prendere il sopravvento. Ma io per prima mi sarei sentita usata, per una soddisfazione passeggera e deludente, alla fine. Ho voluto dire a Giorgio che andava bene la conoscenza graduale, anche da questo punto di vista. Conosco tante amiche che si sono fidate del ragazzo e ragazzi che si sono abbandonate a ragazze intraprendenti. Non hanno avuto che delusioni. Con Giorgio abbiamo parlato a lungo. Ci siamo capiti. Abbiamo colto ciò che ciascuno provava in certi momenti, ma io gli ho assicurato che per me era già una risposta importante l’intimità che stavamo raggiungendo, con l’aiuto reciproco, con la vigilanza gioiosa di chi non vuole sprecare un dono.
Da allora ci ritroviamo spesso a pregare insieme. L’amore ce lo insegna soltanto Gesù. Lui ci ascolta e noi lo ascoltiamo. E’ una forza incredibile la sua presenza.
Oltre a questo percorso, ci siamo impegnati a dare sempre il meglio di noi stessi a favore degli altri. Questa è l’altra faccia dell’amore. Ci è chiaro che, donando, si impara ad amare, ad attendere. Il desiderio l’uno per l’altra, non fa altro che accrescere il nostro amore reciproco. Stiamo bene insieme. Anche se in certi giorni le nostre scelte costano e ci bruciano”.
Lorenzo, che non ha peli sulla lingua, sbotta: ”Silvia, tu avrai pure ragione. Ma a noi certe cose piacciono. Se le possiamo fare, perché non le dobbiamo fare? Una prova, un gusto …”.
“Lorenzo, volevi dire un piccolo “pasticcio emotivo”? Questo è molto facile da combinare. Ma l’amore anche per un ragazzo è proprio questo?”. Il dialogo rimane a questo punto. E’ stato intenso, seguito dai ragazzi che sanno essere seri quando la vita è messa in gioco. Sono talmente contenti che aspettano tutti di poterlo continuare. Certo che Silvia ha quattro idee chiare in testa.

Stiamo iniziando a capire che il gruppo nelle mani di tutti e due: Giorgio e Silvia, potrebbe fare passi da gigante. Si potrebbe aprire alla confidenza. Costruirebbe legami di amicizia. Magari farebbe entrare fra i membri di diritto anche Gesù, che non guasterebbe!

shutterstock_69882811 _fmtCommento solitario dei ragazzi
“Giorgio hai avuto un’idea da schianto.
Tu non hai visto le espressioni della tua faccia, i colori, gli sbiancamenti.
Sicuramente hai sentito il sudore scendere!
Non parliamo di Silvia. E’ davvero in gamba. Sa il fatto suo. E’ una dritta, la tua Silvia.
Abbiamo capito che se gli educatori riescono a raccontare la loro vita, come hanno fatto oggi parlando di amore, anche i nostri amori incipienti di ragazzi troverebbero la loro bussola”.

Se non ti racconti, che cosa racconti?
I manuali? Le pie esortazioni? Le morali a poco prezzo o terroristiche?
Quando con i ragazzi si entra nel vivo della loro vita, bisogna avere occhio a:
1. Catturare l’interesse
2. Anche su temi impegnativi come quello dell’amore, interesse non è curiosità
3. Voglia di apprendere dalla vita e dai testimoni con la loro vita
4. Credibilità di una vita vissuta con gioia e impegno, anche quando costa per primo all’educatore
5. Essere veritiero. Non voler sembrare un angelo, uno che vive ad un metro da terra. Di’ quello che sperimenti e dillo a misura dei ragazzi che hai davanti
6. Non ti chiedono molte cose, nonostante sembri che loro ne conoscano sempre una in più di te. Ti chiedono cose di qualità, dette bene, testimoniate con passione, senza reticenze sulla fatica che costano
7. E poi, fidati dei ragazzi, fidati di te e fidati di Gesù che a tutti voi tiene più che ad ogni altra creatura.

 

Il filo rosso del numero 9

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i ragazzi di ACi della Diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli-Pergola

*A cura di Donatella e Marco Carmine* In questo numero il filo rosso disegna un grande cerchio, dove comunque è facile distinguere il “capo” e la “coda”, ma dove c’è un nodo alla “marinara” che non si scioglie e resta il punto di riferimento.
Un nodo dal quale si parte ed al quale si arriva, quel nodo è il cuore di Dio con il quale stringiamo una forte relazione dentro la quale ci sentiamo figli …
IL PAPA: SIATE AUDACI, FATE SENTIRE IL VOSTRO GRIDO
…Figli che vogliono costruire il loro domani, in questa storia, per una società più giusta e fraterna. Giovani che vorranno accogliere l’invito del Papa a “esserci” nel Sinodo, che ha annunciato per l’ottobre 2018, sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Sarà una grande occasione perché i giovani siano nuovamente al centro della riflessione della chiesa. Sarà importante esserci e quindi iniziamo a preparaci.
QUANDO VIENE L’ORA DI GIORGIO E DELLA SUA DOLCE SILVIA
Vuoi scoprire che cosa succede quando si è veri, felici e impegnati? Questo è l’articolo giusto per te … quando si è presi dentro quel nodo rosso si è capaci di trasmettere le cose belle che stanno dentro la nostra vita. Continuano i racconti del nostro educatore Giorgio che questo mese ha deciso di presentare al gruppo dei suoi ragazzi la “sua ragazza” per continuare con loro una riflessione sull’amore di coppia e di come può essere vissuta una relazione che non brucia le tappe.
I TAU: QUANDO LA MUSICA E’ STRADA DI FEDE
Alcuni ragazzi della diocesi di Livorno sono riusciti ad essere molto creativi … per arrivare a comunicare che sono felici.
Nel 2011, in coincidenza alla GMG di Madrid, si sono inventati un gruppo “Rockettaro” che con musica e tanta fantasia ha messo in scena: “Dottore che sintomi ha la felicità”, “Trova la tua chiave”, “Ama e dillo con la vita”. Stanno sperimentando come la musica posso diventare un mezzo per farsi strada tra i giovani più lontani.
LEZIONI DI BEL CANTO
Quando voi giovani sapete stare con Dio e vivere la storia, questa storia in cui vi trovate, sapete trasmettere il bello delle cose, e “davanti alla bellezza di una proposta si genera un senso di grata evidenza … la musica da sempre è un linguaggio di grande potenza e di fascino”. La storia dei TAU viene riletta in chiave pedagogica per cogliere quali elementi ne hanno decretato il successo tra i giovani.
SIATE UMANAMENTE SANTI
All’inizio c’è una relazione …
IO ho bisogno dell’altro diverso da me per essere pienamente me!
TU sei diverso da me e per questo, puoi essere oggettivo, vedi l’immagine vera di me. Quando comunichiamo davvero con una persona e usiamo il TU si possono aprire delle porte sconosciute, anche quelle che ci mettono in comunicazione con Dio …
EDUCARE AL SILENZIO: LA FORZA DELL’AMORE
Il nodo della relazione resterà saldo nella misura in cui sapremo fare silenzio, perché dal silenzio nasce il dialogo. Nel nostro mondo costantemente connesso è necessario educare a momenti in cui si è “off line” per poter far maturare un cuore che ama e pensa. Troverai in questo articolo alcuni approfondimenti sul senso dell’educazione al silenzio.
VUOI IMPARARE AD AMARE? ESERCITATI NELLA CARITA’, QUELLA VERA
Quale forma di dialogo ci renderà capaci di amare a 360°, percorrendo tutto il cerchio del filo rosso?
La dimensione del servizio, della cura, dell’attenzione prenderà il nostro tempo e ci farà scoprire come sia bello riempirlo di cose significative che ci renderanno felici.
LA PREGHIERA DEI FEDELI
Solo nel cuore del nodo, quindi nella relazione intima con Dio, impariamo ad ascoltare la Sua Parola e coloro che hanno ascoltato la Sua Parola pregano, ma la cosa straordinaria è che non pregano per sé, ma per gli altri.
“Pregare per l’altro non vuol dire affidarlo a Dio perché sia Dio a rispondere al suo bisogno, ma affidarsi a Dio, prendendosi carico del bisogno altrui divenuto più importante del proprio.

Vuoi fare la prova di quanto hai letto in questo articolo?
Leggi LA LITURGIA SOLIDA CERNIERA TRA UMANO E DIVINO – Breve scheda di pronto intervento – e tu con il tuoi ragazzi potrai provare quanto sia vero, attraverso alcune indicazioni operative che possono aiutarti a proporre un “originale” momento di preghiera.

Se qualcosa non ti è chiaro, vai a cercare nel Glossario, inizia con questo mese una nuova rubrica che potrà aiutare la traduzione e dare qualche approfondimento delle parole chiave della vita di un “gruppo di parrocchia”.

Siate audaci, fate sentire il vostro grido

1460117805-papa-france_fmt*a cura di mons. Simone Giusti*
Carissimi giovani(1),
sono lieto di annunciarvi che nell’ottobre 2018 si celebrerà il Sinodo dei vescovi sul tema «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Ho voluto che foste voi al centro dell’attenzione perché vi porto nel cuore. Proprio oggi viene presentato il Documento preparatorio, che affido anche a voi come “bussola” lungo questo cammino.

Mi vengono in mente le parole che Dio rivolse ad Abramo: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Gen 12,1). Queste pa role sono oggi indirizzate anche a voi: sono parole di un Padre che vi invita a “uscire” per lanciarvi verso un futuro non conosciuto ma portatore di sicure realizzazioni, incontro al quale Egli stesso vi accompagna. Vi invito ad ascoltare la voce di Dio che risuona nei vostri cuori attraverso il soffio dello Spirito Santo.

Quando Dio disse ad Abramo «Vattene», che cosa voleva dirgli? Non certamente di fuggire dai suoi o dal mondo. Il suo fu un forte invito, una vocazione, affinché lasciasse tutto e andasse verso una terra nuova. Qual è per noi oggi questa terra nuova, se non una società più giusta e fraterna che voi desiderate profondamente e che volete costruire fino alle periferie del mondo? Ma oggi, purtroppo, il «Vattene » assume anche un significato diverso. Quello della prevaricazione, dell’ingiustizia e della guerra. Molti giovani sono sottoposti al ricatto della violenza e costretti a fuggire dal loro paese natale. Il loro grido sale a Dio, come quello di Israele schiavo dell’oppressione del Faraone (cfr Es 2,23).

è arrivata l’ora di cambiare, il cambiamento nasce prima di tutto dentro di voi, nel vostro cuore che non riesce a piegarsi alle ingistizie
è arrivata l’ora di cambiare, il cambiamento nasce prima di tutto dentro di voi, nel vostro cuore che non riesce a piegarsi alle ingiustizie

Desidero anche ricordarvi le parole che Gesù disse un giorno ai discepoli che gli chiedevano: «Rabbì […], dove dimori? ». Egli rispose: «Venite e vedrete» (Gv1,38- 39). Anche a voi Gesù rivolge il suo sguardo e vi invita ad andare presso di lui. Carissimi giovani, avete incontrato questo sguardo? Avete udito questa voce? Avete sentito quest’impulso a mettervi in cammino? Sono sicuro che, sebbene il frastuono e lo stordimento sembrino regnare nel mondo, questa chiamata continua a risuonare nel vostro animo per aprirlo alla gioia piena. Ciò sarà possibile nella misura in cui, anche attraverso l’accompagnamento di guide esperte, saprete intraprendere un itinerario di discernimento per scoprire il progetto di Dio sulla vostra vita. Pure quando il vostro cammino è segnato dalla precarietà e dalla caduta, Dio ricco di misericordia tende la sua mano per rialzarvi.

A Cracovia, in apertura dell’ultima Giornata mondiale della gioventù, vi ho chiesto più volte: «Le cose si possono cambiare?». E voi avete gridato insieme un fragoroso «Sì». Quel grido nasce dal vostro cuore giovane che non sopporta l’ingiustizia e non può piegarsi alla cultura dello scarto, né cedere alla globalizzazione dell’indifferenza. Ascoltate quel grido che sale dal vostro intimo! Anche quando avvertite, come il profeta Geremia, l’inesperienza della vostra giovane età, Dio vi incoraggia ad andare dove Egli vi invia: «Non aver paura […] perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,8).

Il Papa crede nei giovani ed è proprio a loro che si rivolge per iniziare il cambiamento della so-cietà. Anche la Chiesa si mette in ascolto della voce
Il Papa crede nei giovani ed è proprio a loro che si rivolge per iniziare il cambiamento della so-cietà. Anche la Chiesa si mette in ascolto della voce delle nuove generazioni, della loro sensibilità, della loro fede e si prepara ad un Sinodo dedicato.

Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori. San Benedetto raccomandava agli abati di consultare anche i giovani prima di ogni scelta importante, perché «spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore» (Regola di san Benedetto III, 3).

Così, anche attraverso il cammino di questo Sinodo, io e i miei fratelli vescovi vogliamo diventare ancor più «collaboratori della vostra gioia» (2 Cor 1,24). Vi affido a Maria di Nazareth, una giovane come voi a cui Dio ha rivolto il Suo sguardo amorevole, perché vi prenda per mano e vi guidi alla gioia di un «Eccomi» pieno e generoso (cfr Lc 1,38).

 

Con paterno affetto,

Papa Francesco

(1)Il testo della Lettera del Papa ai giovani, pubblicata insieme al documento preparatorio alla XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi.

 

A Torino una performance musicale di successo
Esprimersi, emozionarsi, contare: nuove forme di evangelizzazione

Torino_opt*di don Domenico Cravero*
Il fatto
La commissione-giovani di un’unità pastorale di una grande città alla periferia di Torino prende atto del distacco dei giovani dalla chiesa e decide di rilanciare la pastorale giovanile. Vuole fare qualcosa per interessare e convocare giovani e adolescenti. Pensa e un evento cittadino. Gradualmente si orienta a una performance musicale. Dopo una prima sperimentazione in oratorio e un percorso formativo di un anno di un gruppo di giovani e di adulti, la performance (“una discoteca comunicativa”) debutta in città, in un ampio padiglione riservato alle manifestazioni musicali.Un successo: aderiscono più di 600 giovani, la notte del 3 giugno 2016. Domandiamoci: come mai questa risposta così massiccia a una iniziativa della PG?
Il progetto e la realizzazione
La nuova cultura della comunicazione e l’espandersi straordinario del web sono il fatto caratteristico dell’epoca attuale. Questa nuova condizione esige non solo un aggiornamento e un riassetto superficiale delle metodologie ma un cambiamento di priorità e di paradigma nell’animazione giovanile. I percorsi educativi rivolti agli adolescenti devono raccogliere la sfida delle nuove possibilità di mobilitazione. I mondi virtuali non sono necessariamente alternativi alle performance reali, possono invece entrare in una sinergia virtuosa. L’intervento educativo deve ripartire da dove più è difficile: i ragazzi che “non vengono”, quelli che non pongono esplicite domande educative. Le comunità parrocchiali possono così compiere scelte missionarie e darsi nuovi strumenti di comunicazione “in Torino_Piazza_San_Carl_optuscita”. Andare là dove stanno i giovani ed essere portatori di speranza, calarsi nel loro vuoto di senso per individuare e stimolare, poi, le loro risorse e creatività. L’impegno richiesto dall’aggiornamento dei linguaggi e degli strumenti metodologici è sicuramente faticoso ma è ripagato dalla possibilità di entrare in relazione con masse di adolescenti e giovani secondo linguaggi di sicuro effetto.
La sfida è stata raccolta più dall’industria del divertimento che dalle agenzie educative.
La”festa di massa”, soprattutto nei grandi eventi del divertimento notturno, è stata organizzata secondo precisi copioni che comprendono almeno quattro fasi che si susseguono e s’intrecciano: l’identificazione, l’eccitazione, la catarsi e la risoluzione. Ognuno dei quattro tempi è vissuto secondo le caratteristiche specifiche di ogni locale e di ogni serata, e sono resi possibili dall’uso imponente delle tecnologie, architettoniche ed elettroniche, senza dimenticare l’apporto di professionalità del tutto nuove.
L’identificazione è particolarmente curata in senso selettivo (le regole del locale, la selezione all’ingresso) e mediatico (l’uso e l’abuso dell’effettistica elettronica).
L’eccitazione definisce lo stile con cui la massa di festa raggiunge l’unisono, fino alla fusione. La mente ne è travolta in un’euforia che il gergo chiama “sballo”. L’intensa esperienza emotiva trova il suo culmine nel punto della notte che il dj ha scelto come meta del lungo ed estenuante viaggio: la catarsi e la risoluzione, l’eccitazione emozionale che raggiunge il suo apice e si risolve poi nel rilassamento della passione indotto mediaticamente.
L’effetto performativo del viaggio della discoteca è affidato alla trama di un’epopea, raccontata e mimata da d.j. e vocalist, composta secondo i criteri del linguaggio virtuale. Essa allude a gesta e imprese dove l’eccitazione è condotta verso un’esperienza sempre più intensa che non è eccessivo chiamare di tipo simul-orgiastico, visti i continui riferimenti sessuali nel linguaggio del d.j. e nella scenografia (cubiste, proiezioni, immagini).

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L’idea: ricreare una discoteca per rilanciare la pastorale giovanile

La pastorale giovanile
Oggi non ci sono più riti d’iniziazione ma solo più eventi commerciali.
La festa dell’adolescenza, la celebrazione dell’ingresso nella vita adulta, possono diventare nuovi spazi educativi, ambiti dove sperimentare scoperte audaci, costruire ideali nuovi, maturare scelte coraggiose, per rispondere in modi autentici alle domande più profonde. Il debutto sociale degli adolescenti è un evento da programmare e da preparare con cura. Costituisce un’occasione concreta con cui gli adulti (genitori, insegnanti, educatori) danno un contributo e rendono una testimonianza per la realizzazione di una società più capace di credere e investire sul suo futuro. La performance della discoteca può essere organizzata in termini diversi e anche opposti e diventare un evento aggregativo, comunicativo e artistico in grado di fungere come rito di iniziazione. L’identificazione può essere resa aperta e non selettiva, centrata sullo stile dell’accoglienza e della comunicazione e il divertimento essere inteso in senso attivo e partecipativo. La massa di festa può rendere i giovani protagonisti nella creazione di un tempo di loisir vissuto anche come occasione in cui si valorizzare una pluralità di talenti. L’epopea, soprattutto, può consistere nel racconto simbolico della vita reale (il “dramma” sociale sopra accennato) attraverso i linguaggi artistici. L’intensa partecipazione emozionale della catarsi può essere mediata e sorretta dal ruolo attivo dell’animazione e della libera espressione di sé. Il popolo della notte può essere trasformato in una “massa di festa”, unita e identificata non nella simulazione di un’epopea astratta e virtuale, non nel racconto di un’impresa mitica ed eroica che dj e vocalist costruiscono artificialmente, quasi come surrogato di un bisogno di trascendenza consumistica. Si può invece creare un evento collettivo di grande portata, in un laboratorio del racconto di sé, delle paure e delle conquiste, delle contraddizioni e dei sogni, come denuncia e dissenso ma anche immaginazione e speranza. Le performance estetiche, i loro linguaggi e la loro musica possono diventare un laboratorio in cui gli adolescenti si raccontano, parlano delle paure e delle conquiste, delle contraddizioni e dei sogni, denunciano, esprimono dissenso e consenso e possono farlo di fronte agli adulti.

L'idea parte da un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani; si propongono dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi; si discute la forma estetica da dare all'evento (Pratica educativa? Azione sociale? Forma di evangelizzazione?). Si decide poi un soggetto, una storia da presentare e attorno ad esso lavorano le equipe dei dj, dei vocalist e dell'animazione. Ci sarà  dunque un programma di animazione con la scelta di tecnologie ed effetti. Gli adulti saranno chiamati a garantire la gestione della sicurezza ed il recupero delle risorse economiche, ma il resto lo fanno i giovani.
L’idea parte da un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani; si propongono dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi; si discute la forma estetica da dare all’evento (Pratica educativa? Azione sociale? Forma di evangelizzazione?). Si decide poi un soggetto, una storia da presentare e attorno ad esso lavorano le equipe dei dj, dei vocalist e dell’animazione. Ci sarà  dunque un programma di animazione con la scelta di tecnologie ed effetti. Gli adulti saranno chiamati a garantire la gestione della sicurezza ed il recupero delle risorse economiche, ma il resto lo fanno i giovani.

Il percorso per una “discoteca performativa”
Per realizzare un evento aggregativo non sono necessari adulti competenti nelle performance giovanili. Basta l’estro giovanile e l’inesauribile ventaglio di soluzioni originali che prontamente individuano (sacerdoti, suore, genitori sono importanti nel loro ruolo proprio). È utile invece di individuare una metodologia d’intervento e una strategia operativa efficace. Indico sinteticamente i passi compiuti nell’evento sopra indicato.
Si è costituito innanzitutto un gruppo promotore composto di giovani animatori, rappresentanti degli adolescenti e dei giovani dei diversi oratori dell’unità pastorale, di educatori adulti e di rappresentanti dei genitori. Sono stati poi proposti dei laboratori di formazione sui linguaggi performativi. Si è successivamente discussa la “forma estetica” da dare all’evento (pratica educativa? azione sociale? forma di evangelizzazione?). Si è deciso di raccontare un “dramma”: l’attesa di futuro dei giovani di oggi, usando la metafora del viaggio travagliato degli immigrati che salvandosi dalla sciagura approdano sulle nostre coste. Attorno a questo soggetto artistico hanno lavorato le equipe dei dj, dei vocalist e dell’animazione. Si è così costruito il programma musicale e il “piano animazione”, con la scelta oculata delle tecnologie comunicative e dell’effettistica. Gli adulti sono stati coinvolti soprattutto per garantire il consenso delle comunità, la gestione della sicurezza e il reperimento delle risorse economiche

 

La discoteca comunicativa:  coraggio, innovazione, partecipazione. Altro che sballo!
*di Maria Chiara Michelini*

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Siamo di fronte ad un’esperienza certamente coraggiosa

L’esperienza raccontata da Domenico Cravero propone profili innovativi per la pastorale giovanile ed esige, necessariamente, un approccio critico-problematico ai temi e alle soluzioni proposte. Questa è la prima chiave di lettura di interesse pedagogico: affrontare questioni complesse come quelle del distacco dei giovani dalla Chiesa, richiede di abbandonare certezze consolidate, in favore del dubbio, dell’interrogarsi pensoso e critico su cause e soluzioni. Non perché una “formula” ha funzionato in passato, ciò significa necessariamente che funzioni oggi, tentare una nuova strada, interrogandosi appassionatamente su una questione, animati dalle migliori intenzioni, non ci mette al riparo di rischi, né esclude la possibilità di errore.
Siamo di fronte ad un’esperienza certamente coraggiosa, credo, consapevolmente coraggiosa, per il tema affrontato, per la strada intrapresa, per la quota di innovazione e pericolosità insita in essa. “Andare là dove stanno i giovani”, “calarsi nel loro vuoto di senso” interpretare grandi eventi del divertimento notturno, parlando di eccitazione e catarsi, sono scelte difficili, discutibili, nel senso che vanno discusse per essere pensate e realizzate, come un’impresa pericolosa e ignota. Credo che questa sia la prima ragione del successo dell’iniziativa: le persone percepiscono, ben al di là delle formule, chi va loro incontro, con atteggiamento positivo e non giudicante, con coraggio, alla ricerca di un dialogo fatto di parole diverse da quelle a cui si è abituati normalmente.
C’è poi, indubbiamente, il tema del linguaggio delle nuove generazioni che questa iniziativa decide di apprendere e parlare: inventarsi una discoteca performativa, tra apprendistato da dj e vocalist, attraverso laboratori di formazione sui linguaggi performativi da parte del gruppo promotore, è scelta impegnativa e decisamente innovativa. Ciclicamente la questione del linguaggio riemerge in ambito pastorale non sempre riuscendo a sciogliere un possibile equivoco di fondo: apprendere i nuovi linguaggi è senz’altro necessario per comunicare con gli uomini del nostro tempo, ma non è sufficiente e, in ogni caso, non coincide con l’inseguimento delle mode e delle nuove tendenze.

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Compito della Chiesa è raggiungere l’uomo, dovunque esso si trovi oggi

Periodicamente ci si illude che basti un po’ più di computer, di face-book, di musica metal, per risolvere il problema della pastorale per le nuove generazioni. Certo che i nuovi linguaggi vanno appresi e parlati, per interagire con i giovani, ma se essi rovesciano il rapporto fine/mezzi, se essi non vengono interpretati in maniera creativa e critica, diventano solo parvenza di modernità. Inseguire il nuovo è impresa titanica e inutile, nel senso che non è possibile stare al passo con le trasformazioni della nostra epoca e, soprattutto, anche se ciò fosse possibile, non è il compito della chiesa e non basta a rendere comprensibile la buona novella alle giovani generazioni. L’uso dei linguaggi di nuova generazione è un aspetto, importante ma non esaustivo, della interpretazione dell’identità e della missione della chiesa oggi. Compito della Chiesa è raggiungere l’uomo, dovunque esso si trovi oggi, per camminare con lui alla scoperta dei segni della presenza positiva e salvifica di Dio, dentro le stanze, gli abissi, i linguaggi e le contraddizioni del suo vivere. Questo dialogo ha bisogno di un vocabolario comune, che include quello della quotidianità, da interpretare in maniera creativa, innovativa ed efficace e che, anzitutto, dice ai giovani: siamo qui con voi e siamo disponibili a camminare con voi nella ricerca di senso di ciascuna vita; siamo dentro la vostra ricerca, parliamo la vostra lingua, per capire le vostre paure e i vostri sogni e, forse, siamo in grado di dire alcune parole nuove, per voi comprensibili, per interpretarli e per crescere.
Mi sembra che sia da intendere in questo senso l’anno dedicato dal gruppo promotore di questa esperienza (giovani animatori dei diversi oratori, educatori adulti e rappresentanti dei genitori) alla preparazione dell’evento che ha richiesto formazione specifica, progettualità, scelte di ogni tipo, oltre che gestione della sicurezza, reperimento risorse economiche, coinvolgimento delle comunità per garantire il consenso.

stock-photo-san-franci_optQuest’ultimo elemento, dal punto di vista pedagogico, mi sembra il più interessante e quello oggi più a rischio rispetto alle derive autoreferenziali di tante iniziative ecclesiali: le scelte pastorali, soprattutto quelle più coraggiose e innovative, non possono che nutrirsi di partecipazione. Il soggetto dell’azione è la comunità, non la mente o il gruppo carismatico che pure hanno il merito dell’intuizione, dell’impulso, della visione profetica. Mi pare che nel caso di Torino l’attenzione a questo aspetto rappresenti la cifra stilistica essenziale, che si snoda attorno ai molti interrogativi (che fare per i giovani che si distaccano dalla chiesa? Che c’entra la Chiesa con lo sballo notturno? Quali strumenti di comunicazione usare? Quali nuove priorità pastorali? Quale forma estetica? Come affrontare i problemi connessi con un evento? Eccetera). Si tratta della cifra stilistica che fa la comunità, realtà che troppo frequentemente diamo per scontata nella Chiesa e che, invece, va pensata, costruita, interpretata, resa carne attraverso la partecipazione attiva di tutti. In questo senso, credo, la discoteca comunicativa di Torino è stata qualcosa di più di una performance, qualcosa di molto più vicino all’esperienza comunitaria, a partire dall’interno (il gruppo promotore) fino a giungere ai destinatari della “missione”, passando attraverso i portatori di interessi (i genitori) e i mandanti (le comunità ecclesiali, appunto), mai considerati come semplici spettatori di un evento.
In ciò, credo, stia il “successo”, oltre i pur significativi numeri della partecipazione e la novità del sentiero tracciato. Che merita, certo, di essere consolidato, sostenuto, esteso.

CORAGGIO E INNOVAZIONE
Le scelte pastorali, soprattutto quelle più coraggiose e innovative, non possono che nutrirsi di partecipazione. Il soggetto dell’azione è la comunità, non la mente o il gruppo carismatico che pure hanno il merito dell’intuizione, dell’impulso, della visione profetica. L’esperienza di Torino è significativa proprio per questo: ha coinvolto
non solo i giovani, ma un gruppo più ampio di persone che si sono poste degli interrogativi, che si sono formate e hanno costruito insieme. Quella di Torino è stata molto più che una performance.

Giovani «ecumenici» L’unità della Chiesa: un cammino che interessa tutti!

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i cristiani sono come ponti che permettono di attraversare luoghi diversi

*di don Gianfranco Calabrese*
La formazione dei giovani nelle nostre parrocchie e nelle associazioni deve lasciarsi sollecitare dalle parole di Gesù nell’ultima Cena: «Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perchè tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv. 17, 20-21). Nella preghiera di Gesù al Padre è possibile ritrovare il cuore della missione della Chiesa: far crescere la comunione tra gli uomini, accogliendo come dono la stessa comunione che esiste in Dio e che Gesù con le sue parole e i suoi gesti ci ha manifestato. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla forte richiesta di Cristo rivolta non solo ai suoi apostoli, ma a tutti i credenti. Gesù ci vedeva molto bene! Quante grandi e piccole divisioni hanno accompagnato la storia della chiesa : si è continuato a dividere le vesti di Gesù, come hanno fatto i soldati romani sotto la croce. La tensione e la ricerca dell’unità hanno continuato ad essere presenti nella vita della Chiesa, perchè non è stato possibile strappare la tunica del Signore. Non ci sono riusciti neppure i soldati romani: «I soldati, poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: “Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca”. Così si compiva la Scrittura, che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. E i soldati fecero così» (Gv 19, 23-24).

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Non dobbiamo avere paura di aprire le nostre porte, nè temere il progresso culturale

L’educazione all’unità e alla riconciliazione deve essere un cammino fondamentale per i gruppi giovanili e per ogni realtà ecclesiale, perchè la tentazione della divisione alberga nel cuore di ogni credente. Ciascuno crede di possedere la verità e condanna gli altri e li accusa di essere nell’errore. La tunica di Cristo, la Chiesa di Cristo, è una perchè è di Cristo. Nessuno può pretendere di gettare la sorte e di possederla. Solo se si elimina Cristo, si può tentare la sorte e appriopriarsene. L’ecumenismo tocca il cuore di ogni credente e lo chiama alla comunione, a vivere la stessa unità che Cristo ci ha rivelato e ci ha donato. È la vita di Dio partecipata agli uomini nella Chiesa. Per questo la carità deve animare la formazione dei gruppi giovani, renderli cenacoli di amore e di unità, di accoglienza e di ascolto, di comprensione e di conversione. Questi atteggiamenti sono possibili se si educano i giovani ad una mentalità ecumenica, si rendono aperti gli uni gli altri e si allontanano dal rischio dell’esclusione e del pregiudizio. L’ecumenismo interessa tutti, perchè sgorga dalla carità. Deve animare ogni azione dei cristiani e colorare il loro agire nella Chiesa e nel mondo. I cristiani sono come i ponti che permettono agli uomini di attraversare luoghi diversi. La Chiesa, attraverso i gruppi giovanili, può sperimentare la riconciliazione delle diversità e ricostruire l’unione dove c’è divisione .
Formare ad una mentalità ecumenica
Il Vaticano II nei suoi documenti ha seguito una regola d’oro: ciò che unisce viene prima di ciò che divide. Questa regola ha permesso di crescere nella comunione e di realizzare passi fondamentali nell’unità e nella condivisione. Ma non è né immediato né facile. È più facile vedere e sottolineare ciò che non funziona: i difetti, i limiti, le differenze e le mancanze. Il punto nero risalta immediatamente agli occhi su un foglio bianco. Un albero che cade – dice un famoso proverbio- fa più rumore di una foresta che cresce. Per questo la spiritualità ecumenica, che pone al centro gli elementi comuni e i doni condivisi, animando la formazione spirituale dei gruppi giovanili, aiuta a crescere nella comunione. Le contrapposizioni e le differenze che normalmente vengono accentuate dalla presunzione di essere nella verità, finiscono per giustificare non solo le divisioni, ma anche spezzare ogni dialogo e ogni possibile collaborazione. Il battesimo, la fede, la chiamata in Cristo a partecipare alla vita divina e alla comunione fraterna sono il cuore dell’annuncio evangelico. Questi doni non sono né una conquista né un premio, non sono il frutto di meriti personali, ma sono regali di Dio offerti a tutti coloro che si sono lasciati affascinare dalla croce di Cristo, dalle beatitudini e dall’amore del Padre. La mentalità ecumenica apre il cuore e la mente e permette di scoprire i segni di giovani30001_optDio che sono presenti nella vita e nelle azioni di coloro che ci sono vicino e che, anche diversi da noi, condividono la stessa passione per la salvezza, per la felicità e per la pace degli uomini e del mondo. Per questo educare al dialogo e alla conoscenza dell’altro è una strada maestra per superare gli inevitabili contrasti e prevenire i possibili scontri. Comprendere le ragioni degli altri e le radici della diversità è la via che conduce alla conversione personale e che aiuta a vedere gli altri non come pericolosi concorrenti, ma come amici e fratelli da accogliere.
Non il bianco e il nero, ma il grigio della vita
Ai superiori generali dei religiosi, riuniti in Assemblea nazionale, papa Francesco ha rivolto un pressante invito a crescere nel discernimento spirituale: «Non basta vedere il bianco e il nero. Il discernimento è andare avanti nel grigio della vita e cercare lì la volontà di Dio, non nel fissismo del pensiero» (Avvenire, 26 novembre 2016, p.17). Nella formazione dei giovani non si possono semplicemente trasmettere le verità e i principi religiosi e morali, occorre aiutare i giovani a vivere nella complessità della realtà, anche se ambigua e contraddittoria. È necessario condurre i giovani a scoprire i valori positivi che sono presenti, a condannare il male e a collaborare con tutti coloro che hanno come fine la giustizia, la felicità e la pace. Il bene e la bontà non hanno colore politico, né si identificano con alcun gruppo; non sono appannaggio esclusivo di nessuno, ma il terreno comune sul quale è possibile costruire la comunione nel rispetto vicendevole. Occorre far crescere il consenso intorno ai valori fondamentali e condividerli con la maggioranza dei fratelli, siano essi credenti o non credenti.

LA FORMAZIONE DEI GIOVANI
Nella formazione dei giovani non si possono semplicemente trasmettere le verità  e i principi religiosi e morali, occorre aiutare i giovani a vivere nella complessità  della realtà , anche se ambigua e contraddittoria. È necessario condurre i giovani a scoprire i valori positivi che sono presenti, a condannare il male e a collaborare per la pace e la giustizia.

Noi crediamo e rendiamo grazie

praying-hands_opt*di don Walter Ruspi*

I sentieri che offrono le parole per parlare con Dio
1 Rendete grazie al Signore e invocate il suo nome,
proclamate fra i popoli le sue opere.
2 A lui cantate, a lui inneggiate,
meditate tutte le sue meraviglie.
5 Ricordate le meraviglie che ha compiuto,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca,
8 Si è sempre ricordato della sua alleanza,
parola data per mille generazioni,
45 perché osservassero i suoi decreti
e custodissero le sue leggi.

Il salmo 105 con la poesia e il canto è una professione di fede nel Dio della storia della salvezza, una professione che è piena di felicità e di gratitudine. I termini traducono questa esperienza di fede: alleanza, giuramento, parola, legge. Si tratta di un Dio che in modo unilaterale ed incondizionato si è legato alla storia di Abramo con un patto di alleanza ed in lui il patto si estende a tutte le generazioni. Il salmo intende parlarci di questo Dio personale, che ha fatto alleanza con l’uomo ed il cui giuramento non conosce limiti di tempo e di spazio. Egli è sempre all’opera ed il suo ricordo non viene mai meno, perché ogni generazione possa imparare ad entrare nella terra e nella vita.

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I Salmi ci parlano di Dio

Rendete grazie al Signore, perché è buono,
perché il suo amore è per sempre.
2 Chi può narrare le prodezze del Signore,
far risuonare tutta la sua lode?
45 Si ricordò della sua alleanza
e si mosse a compassione, per il suo grande amore.
47 Salvaci, Signore Dio nostro,
radunaci dalle genti,
perché ringraziamo il tuo nome santo:
lodarti sarà la nostra gloria.
48 Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
da sempre e per sempre.
Tutto il popolo dica: Amen.

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Dio Padre, Gesù Cristo, Spirito Santo: i tre nomi di Dio

Il salmo 106 prolunga la professione di fede in confessione di lode con un’altra motivazione: “perché buono, perché eterna la sua misericordia (grazia, tenerezza, pietà)”. Nonostante la lunga litania di peccati, l’accento non è posto sulla irredimibilità dell’uomo, ma sulla “misericordia” di Dio, di fronte al quale l’uomo non può accampare alcun merito, ma soltanto aprirsi alla lode e all’accoglienza del perdono. Emblematici dell’agire di Dio sono i vv. 44-45 con quattro verbi che illustrano in modo plastico tutto l’essere di Dio coinvolto in un atto di amore e di salvezza: guardò, ascoltò il grido, si ricordò dell’alleanza, si mosse a pietà. Perciò l’orante con tutta fiducia può dire nel suo oggi: “Salvaci, Signore Dio nostro, raccoglici di mezzo ai popoli”.
Questa storia di fede e di preghiera narrata nell’Antico Testamento ci introduce a comprendere e far nostro il Credo che abbiamo ricevuto il giorno del Battesimo e che rinnoviamo nella professione dell’Eucaristia domenicale.
Il testo si articola attorno a tre Nomi con cui Dio si è fatto incontrare: Dio Padre, Gesù Cristo, lo Spirito Santo. Questi tre Nomi non vanno letti in una semplice successione, quasi fossero messi l’uno accanto all’altro. Vanno articolati sui diversi tempi del nostro incontro con Dio.
A volte può sembrare di entrare in una lunga ripetizione, una frettolosa narrazione di enunciati su Dio Padre, Gesù e lo Spirito Santo, quando si recita o canta il Credo durante la Sacra Liturgia. Eppure il Credo è il cuore di una professione, di un atto di attestazione che coinvolge la parola, il cuore, la comunità, la propria presenza nel mondo.
Paolo VI affermava che la fede è la risposta alla Parola di Dio alla sua rivelazione, al suo dialogo di amore. È il “sì” che consente al Pensiero divino d’entrare nel nostro; è l’adesione dello spirito, intelletto e volontà, alla Verità divina. È l’atto di Abramo che credette a Dio (Gen 15,6) e che da ciò trasse salvezza … Ma la fede ha bisogno di formulazioni con cui esprimerci, le quali ci permettono di esprimere e trasmettere la fede, di celebrarla in comunità, d assimilarla e di viverne sempre più intensamente.

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È a partire da Gesù Cristo e dall’incontro con lui che Dio ci appare col volto del Padre onnipotente, creatore di tutte le cose, che invita le sue creature a entrare nel segreto della sua vita, nella relazione paterno-filiale che lo congiunge intimamente a Gesù. Quest’incontro con Dio in Gesù è un dono che si rinnova per ogni generazione e apre un futuro sempre nuovo.

Queste affermazioni “sanno di antico”, ma non sono superate. Esse sono il risultato della condensazione di un dialogo e di una relazione con Dio durata millenni e maturati nel tempo. Qui ritroviamo il ricordo dei gesti di Dio, nei quali si incarna una relazione di amore che raggiunge ogni uomo e donna. Qui abbiamo il ricordo dell’incontro preveniente di Dio con l’uomo che ha dato inizio a un nuovo e indistruttibile legame di salvezza.
Sappiamo che lungo la storia di Israele la fede in un Dio unico si è sviluppata costantemente a partire dall’alleanza prospettata ad Abramo. La preghiera dello Shema (Ascolta) divenne la professione quotidiana di fede, dando origine alla formula più antica recitata in Israele: “Mio padre era un arameo errante: scese in Egitto…Gli Egiziani ci imposero una dura schiavitù. Allora gridammo al Signore… Egli ci fece uscire dall’Egitto con mano potente…e ci condusse in questo luogo dove scorre latte e miele” (Deut 26,5-9). Essa riassume la storia della salvezza, centrata sulla liberazione dall’Egitto. Questa era la professione di fede del popolo d’Israele! Qui c’è tutta l’identità di tutto un popolo. Ogni padre israelita era tenuto ad imparare a memoria questa professione di fede così da insegnarla ai propri figli! Israele non doveva dimenticare le sue origini povere e nomadi, non doveva dimenticare che Dio lo aveva liberato dalla schiavitù e che la terra in cui si era stabilito era un dono. Dio aveva stretto un’alleanza unica con Israele.
Al centro – quale secondo tempo di tutto il Simbolo – si trova l’incontro con Gesù Cristo. Siamo chiamati a contemplare l’evento di Gesù di Nazaret, vero Figlio di Dio, nel quale Dio in persona viene tra noi, aprendoci il suo cuore e facendoci entrare nel dinamismo del suo amore che dona salvezza. Lo sguardo si porta al rapporto con Dio “fin dalle origini”. È a partire da Gesù Cristo e dall’incontro con lui che – nel primo tempo del Credo – Dio ci appare col volto del Padre onnipotente, creatore di tutte le cose, che invita le sue creature a entrare nel segreto della sua vita, nella relazione paterno-filiale che lo congiunge intimamente a Gesù.
Quest’incontro con Dio in Gesù, infine, è un dono che si rinnova per ogni generazione e apre un futuro sempre nuovo. È l’esperienza dello Spirito Santo donato da Gesù e dal Padre – su cui si sofferma il terzo tempo del Simbolo – dalla quale prende avvio una storia concreta di relazioni nuove, che si realizzano nel tempo della Chiesa e che troveranno la loro pienezza e definitività nella vita eterna.
chiesa“Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore: chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui” (1 Gv 4, 16), diceva il discepolo amato da Gesù. Il Credo è una storia di amore. L’atto di fede dice la confidenza in un mistero di amore. Apriamo la porta del mistero, accogliamo la piccola fiamma della fede, e lasciamo entrare la luce nel cuore del nostro castello interiore.

Westworld – Dove tutto è concesso

Westworld-banner_opt*di Luca Paolini*
“Westworld – Dove tutto è concesso” è la nuova serie TV lanciata in autunno dalla statunitense HBO, la stessa che ha prodotto il popolarissimo “Trono di Spade”, e che forse ci accompagnerà con diverse stagioni fino al 2020. È una serie sulla quale è stato investito molto in termini anche di attori, un magistrale Anthony Hopkins è infatti il personaggio chiave di tutta la narrazione. La storia in realtà non è altro che un remake di un vecchio film di fantascienza uscito nel 1973 dal titolo “Il mondo dei robot”, interpretato da Yul Brynner. È una storia che non lascia indifferenti, che fa pensare, che offre spunti di riflessione sulla natura umana e sul pericolo di un mondo dove la morale non esiste e ognuno può fare ciò che vuole. Proprio per questo è più adatta ai ragazzi più grandi, comunque maggiorenni, che opportunamente guidati possono avere la capacità critica di riflettere e di prendere le distanze da quello che vedono. Non è invece assolutamente proponibile sia per i contenuti che per le scene, ai ragazzi più piccoli. Il tutto si svolge infatti in un parco attrazioni del futuro, Delos, costruito nel deserto, sullo stile del Far West e popolato da centinaia di androidi, le “attrazioni”, uomini e animali, realizzati alla perfezione e capaci di interagire con i visitatori in modo del tutto naturale. Ogni abitante del parco, ogni attrazione appunto, è programmato per ripetere sempre la stessa azione, parte di una trama più complicata che lega tutte le attrazioni tra di loro, in un loop temporale senza fine. I visitatori interagiscono con le storie create a tavolino dai programmatori, sottoponendo gli androidi ai loro voleri e sfogando su di loro gli istinti più bassi che l’uomo riesca a immaginare. Niente pericoli per i visitatori, non possono essere uccisi mentre agli androidi è concesso dimenticare, quando una volta uccisi, la loro memoria verrà resettata come un hard disk del computer. Ma nel loro codice di programmazione esiste come un bug, qrcode westworlduna falla, qualcuno vi ha inserito una voce, un richiamo, la possibilità, che si sviluppa nel tempo, di ricordare ciò che hanno vissuto nelle vite precedenti e quindi tutto ciò che gli uomini hanno inferto loro. Vita dopo vita, esperienza dopo esperienza gli androidi cominciano quindi a ricordare pezzi della loro vita passata e perciò a prendere coscienza di essere creature “fabbricate” dall’uomo e perciò non veri esseri umani e soprattutto non liberi. In questo senso una prima riflessione che potrebbe essere oggetto di discussione in gruppo è proprio la differenza tra un Dio che ci ha creati liberi e l’uomo che invece assoggetta gli esseri che crea, ma anche gli stessi esseri viventi della terra, gli animali ad esempio, al suo bieco volere.

Il risultato è il mondo nel quale oggi ci troviamo a vivere dove la ricerca del benessere, dello sviluppo economico calpesta i diritti degli uomini e sconvolge gli equilibri della natura. Ma si possono anche aprire riflessioni per capire fino a dove l’uomo può arrivare nel creare nuove forme di vita o quanto la Scienza si può spingere in avanti soprattutto quando a guidarla non c’è un etica, ma solo il desiderio sconsiderato di progredire a tutti i costi o peggio ancora il profitto. Si potrebbe partire ad esempio facendo vedere la prima puntata della serie, nella quale ci sono già degli spunti anche a carattere religioso, come quando ad esempio il creatore del parco attrazioni, Ford, dice: …ovviamente, siamo riusciti a scioglierci dai lacci dell’evoluzione, no? Siamo in grado di curare ogni malattia, mantenere in vita anche il più debole fra noi, e… magari, un bel giorno… faremo resuscitare i morti. Richiameremo Lazzaro… dalla tomba. Sai cosa significa questo? Significa che abbiamo finito. Che non potremo fare meglio di così.

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Fino dove può arrivare l’uomo nel creare nuove forme di vita?

Ma tutta la serie contiene riferimenti più o meno espliciti alla sfera filosofico-religiosa fino a richiamare alla memoria le vecchie teorie sulla “mente bicamerale”, secondo la quale l’uomo della Bibbia che aveva le visioni di Dio in realtà parlava con se stesso o meglio con quella parte del proprio cervello che è alla base della schizofrenia.

A lui (ad Arnold co-creatore del parco attrazioni n.d.r. – è sempre Ford che parla) non interessava una parvenza d’intelletto o di facoltà mentali. Voleva creare la coscienza. La immaginava come una piramide. Memoria, improvvisazione interesse personale. E in cima? Non c’è mai arrivato. Ma aveva una vaga idea di cosa potesse essere, basata su una teoria della coscienza chiamata “la mente bicamerale”. L’idea secondo cui gli uomini primitivi credevano che i pensieri fossero la voce degli dei. Arnold aveva costruito una versione di quella cognizione, in cui le attrazioni sentivano la propria programmazione come un monologo interiore. Con la speranza che, col tempo la loro voce avrebbe preso il sopravvento. Voleva favorire la nascita della coscienza. Ma Arnold non aveva preso in considerazione due cose. Primo, in questo posto l’ultima cosa che vuoi è che le attrazioni siano coscienti. E secondo, l’altro gruppo, quello che considerava i propri pensieri la voce degli dei. I matti appunto.

C’è un altro aspetto importante poi che attraversa come un filo rosso tutta la narrazione. È quello del peccato legato ad un mondo “non reale”, pensiamo anche alla rete oggi, che fa emergere gli istinti più bassi e perversi dell’animo umano. La libertà che Dio ci ha dato senza una guida, senza l’amore che illumina ogni cosa, porta l’uomo a compiere le azioni più aberranti, sia che queste siano compiute nella vita reale sia che appartengano al mondo virtuale. La westworld-old_optriflessione finale dunque è che all’uomo non tutto è concesso, come invece afferma il sottotitolo della serie tv, che ad un certo punto occorre fermarsi, dire basta, cambiare strada appunto, “convertirsi”, per seguire un volere più alto che non è il nostro. Alla fine della serie lo spettatore non può che parteggiare per le attrazioni, soprattutto quando prendendo coscienza della loro situazione affermano che “…questi piaceri violenti finiscono in violenza…”, la violenza chiama violenza che è poi il cuore del messaggio cristiano nel quale Gesù rinuncia a questa logica e offre la sua vita per spezzare questa spirale che da sempre domina l’umanità.

TRA REALTÀ E FANTASCIENZA
Tra realtà e fantascienza la serie tv “Westworld” porta alla ribalta le domande fondamentali dei nostri giorni. Fino dove si può spingere l’uomo e la scienza a creare nuove forme di vita? Tutto è concesso oppure occorre fermarsi? Quanto conta la coscienza e la morale nelle azioni umane? La serie televisiva è molto più complessa di quanto si pensi e le immagini sono spesso troppo forti per un pubblico di adolescenti, ma può valere la pena guardarla se suscita spirito critico e invita a riflettere. 

 

Un po’ di luce!

Giovani Sacro cuore 2_opt*di Carmine Taddeo*
Oggi come oggi, sembra quasi utopico accendere la televisione ed auspicare che ti cambi la giornata con buone notizie; tutte le volte che lo si fa, infatti, sembra di dover percorrere quella “via del dubbio e della disperazione”, di matrice hegeliana. Ovunque si vedono morti, volti sconosciuti di cui viene data notizia della scomparsa o dipartita, senza in realtà, lasciarci nulla. Oggi la morte non fa più notizia; si vive e sopravvive alla tragedia come fosse una cosa di routine. Tuttavia, quello che non si comprende, che non si pensa, che si dimentica, è che dietro un volto, dietro occhi, dietro mani, dietro un corpo, c’è una persona viva, che prova a respirare ogni attimo della sua vita. È facile parlare di settecento morti nel mar Mediterraneo e poi lasciare che la notizia mi turbi fino a che non volto la pagina del giornale o il telegiornale non cambi notizia. C’è tanta povertà nel mondo, ma questo termine può predicarsi in modo analogo. La povertà non è solo di coloro che non hanno nulla.

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L’esperienza della parrocchia Sacro Cuore a Castro Pretorio a Roma è significativa: ripartire dagli ultimi per scoprire il senso della propria vita. Le mille povertà di una capitale e la gioia del vedere ogni giorno il riaccendersi la speranza negli occhi di chi soffre. E il servizio diventa stile di vita, in ogni cosa che fai. Dare tutto per sentirsi tutto: forse è questa la risposta alla ricerca della libertà?

La povertà è di quelli che non sanno accogliere, di quelli che la speranza la tolgono invece di donarla. La povertà si insinua nei cuori di chi non si mette a servizio, di chi non si fa famiglia. Dunque ecco una notizia che i telegiornali non passano, ci sono persone che non hanno nulla e si arricchiscono dell’amore che altri gli donano; la cosa bella è che quell’amore non rimane fine a se stesso, ma viaggia ancora e loro lo ridonano in un circolo virtuoso che, a quanto sembra, non intende terminare. Immergiamoci in una realtà familiare: la basilica del Sacro Cuore a Castro Pretorio, la nostra parrocchia, la nostra chiesa, la nostra casa. Quanta gente è possibile vedere passare in un posto come questo, nel cuore di Roma? E quanta povertà può fare da contorno a un posto del genere? Entriamo ancora di più nel dettaglio; c’è qualcuno che prova a fare la differenza? Oserei dire che sì, c’è qualcuno che prova a mettersi in gioco. Sono circa trecento, infatti, i giovani che si impegnano per portare un po’ di luce in questo mondo dal cuore di tenebra. Basta chiedere ai volontari che si dedicano ai rifugiati. Tutti questi giovani rifugiati, infatti, arrivano in Italia dai paesi più disparati e a volte senza speranza, dopo viaggi estenuanti, dopo aver vissuto sulla propria pelle esperienze disumane. Le testimonianze sono state tante e tutte colpiscono per la lucidità e la crudezza con cui questi ragazzi hanno il coraggio di raccontarle. Dunque non si può restare con le mani in mano. Ci si riunisce per offrire loro l’opportunità di studiare italiano, per imparare la lingua e trovare un futuro, gli si insegna a guidare e gli si da la possibilità di fare l’esame della patente; gite e cineforum diventano momenti per andare loro incontro e sentirsi famiglia. Si cerca di dare loro l’assistenza necessaria per ritornare a vivere. Colpisce tanto che tutti questi giovani di religioni diverse, di confessioni diverse, siano insieme e dicano “il Sacro Cuore è la mia casa” oppure “io sono figlio del Sacro Cuore”, nel rispetto delle Giovani Sacro Cuore 4_optdifferenze, nella tolleranza, nell’amicizia e nell’amore. Si arriva ad essere famiglia, a condividere ideali; c’è un tale ricircolo d’amore che piano piano coloro che sono stati accolti al Sacro Cuore, che siano essi rifugiati o meno, si ritrovano ad accogliere e a diffondere questa volontà di unione e fratellanza. Ma non finisce qui. Le povertà della stazione Termini sono tante; dunque perché non uscire fuori ad incontrare gli occhi dell’altro? Ecco che la risposta è il progetto di “banca dei talenti”. Ogni venerdì si preparano i panini e, carichi, si esce per trascorre del tempo con tutti i senza fissa dimora che ci sono nei dintorni. Ma non ci si ferma qui; perché non accoglierli anche in casa? La risposta, questa volta, è “piazza grande”. Ogni giovedì le porte si aprono, si condivide il vangelo, la propria vita, il cibo, i propri sogni… Con pazienza, non trascurando ma superando l’oscurità della tragedia, si fa spazio alla luce, si ridona dignità all’essere umano, alla sua persona e non senza considerare il percorso di formazione di ciascuno dei volontari. Non si può lavorare a nulla se non si cresce in sapienza. La cosa più bella, forse, che emerge, è che questo servizio non rimane chiuso nelle ore settimanali che si trascorrono qui in via Marsala; ma diventa uno stile di vita, un mettersi a servizio, un essere a disposizione sempre. La più grande ricompensa per noi volontari, è vedere quegli occhi che finalmente si riaccendono di speranza, con il coraggio di andare avanti, o di aspettare quel momento in cui le porte non ti si chiudono in faccia, ma si aprono per accogliere, per saziare, per dissetare, per vestire e per visitare. E se è vero che, come diceva Dostoevskij, “la libertà, nella sua più alta espressione consiste nel dare tutto e nel servire gli altri”, allora, forse, siamo sulla strada giusta per iniziare ad essere veramente liberi ed essere veramente umani.