Noi siamo infinito

9788873396819_0_0_2132_opt*a cura di Luigi Cioni* Nel 1999 è stato pubblicato un romanzo che ai tempi appariva destinato ad un pubblico giovanile e distratto, pronto ad assumere solo le dimensioni emozionali del racconto e capace solo di rinverdire i pruriti dell’adolescenza.
Alla prova dei fatti la storia di questa narrazione è stata diversa pur senza tradire le promesse pregresse. Il romanzo si intitolava “Ragazzo da parete”, autore Stephen Chbosky. Dal romanzo l’autore stesso ha tratto prima una sceneggiatura e poi un film, a cui in Italia è stato dato il titolo “Noi siamo infinito”;  con questo stesso titolo poi il
romanzo è stato ripubblicato perdendo tutte le suggestioni originarie. Il “ragazzo da parete” suggerisce infatti due ipotesi contrastanti: da una parte quella descritta esplicitamente nel libro: la tappezzeria. Un ragazzo che fa tappezzeria è una persona che appare insignificante, che non aggiunge nulla alla serata con gli amici; è utile solo per decorazione. D’altro canto però, sulla parete si appendono anche i quadri, un qualcosa di particolarmente bello da mostrare, che certamente decorano, ma impreziosiscono anche la casa, la rendono bella, per certi versi le conferiscono la sua specificità. Ecco, Charlie, il protagonista è tutto questo; apparentemente solo tappezzeria remissiva, ma nasconde, nelle pieghe del tessuto, preziosità insospettabili. Capace di sentimenti alti, di sofferenze
indicibili (quelle tipiche dell’adolescenza), a cui rischia anche di soccombere, anche a causa di un’esperienza rimossa
di violenza familiare.

Noi siamo infinito, non perché ciascuno di noi sia capace di superare sempre i nostri limiti, ma perché siamo più di noi stessi, siamo essere-per, siamo essere con; un’immagine di un Dio che ci ha chiesti di diventare sempre più a Lui somiglianti. A Lui, non un Dio uno, ma un Dio comunità di amore.
Noi siamo infinito,
non perché ciascuno
di noi sia capace di
superare sempre i nostri
limiti, ma perché siamo
più di noi stessi, siamo
essere-per, siamo essere
con; un’immagine di un
Dio che ci ha chiesti di
diventare sempre più a
Lui somiglianti. A Lui,
non un Dio uno, ma un
Dio comunità di amore.

In realtà vive in una famiglia piena di affetto, nella luce riflessa di un fratello maggiore, grande sportivo, vivendo una religione tradizionale molto presente, non formale, sentita anche autenticamente dai figli stessi, ma praticata
con delle libertà tipiche di questo mondo incoerente. Entra in gruppo di amici, più grandi, anche loro problematici
e per certi versi ai margini; si innamora perdutamente, e senza mai osare confessarlo nemmeno a se stesso fino alla fine, di una ragazza più grande a cui si accontenta di “dare ripetizioni“ di matematica aiutandola ad entrare al college, ma facendole trovare fiducia in se stessa; frequenta il fratellastro di lei, omosessuale che accoglie con sincera amicizia schierandosi dalla sua parte anche nelle difficoltà tipiche del razzismo attuale; vive con sincera partecipazione le lezioni del professore di letteratura da cui spera di imparare tutto, volendo diventare a sua volta uno scrittore. Un mondo complesso, fatto di bellezza e sofferenza, di amicizia e tradimenti, in cui sembra che solo i protagonisti (o pochi altri) sappiano vivere sentimenti autentici, mentre tutti intorno sopravvivono nella mediocrità
della accettazione rituale dei propri ruoli e delle proprie maschere. Tutto il film oscilla come un pendolo tra due frasi (una pronunciata due volte all’interno della storia): “Noi tutti accettiamo l’amore che pensiamo di meritare” e l’altra, posta alla fine del film e che ne costituisce apparentemente il messaggio fondamentale: “Qui, adesso questo
sta succedendo. Io sono qui e sto guardando lei, ed è bellissima!

Ora lo vedo, il momento in cui sai di non essere una storia triste… E senti quella canzone, su quella strada, con quelle persone a cui vuoi più bene al mondo. E in questo momento, te lo giuro, noi siamo infinito!” Due frasi che mi piace analizzare dal punto di vista quasi esclusivamente grammaticale: sono due frasi che non banalmente si presentano con un soggetto plurale, il NOI che accomuna in un certo senso, se non l’intero genere umano, almeno una  Generazione, sempre piena di difficoltà come l’adolescenza, ma che in questo momento storico soffre particolarmente di mancanza di maestri, di mancanza del desiderio di avere maestri, di mancanza di prospettive e di mancanza del desiderio di avere prospettive. Abbiamo già analizzato su queste pagine come l’esclusivo  The-Perks-of-Being-a-W_optautocentramento sull’io non porti ad una crescita equilibrata, abbiamo già visto come solo la dimensione della relazione ci renda capaci di andare oltre la somma degli individui, per la fondazione di un NOI autentico. Abbiamo
già compreso come solo la relazione con l’altro ci renda capaci di un autentico superamento del sé autarchico e narcisistico; in una parola ci renda capaci di trascendenza, di accogliere ciò che ci viene come dono e desiderosi
di restituzione di un dono autentico come solo la persona autentica ed integrale può essere.

Noi accettiamo l’amore che pensiamo di meritare, generalmente molto meno di quello a cui ciascuno di noi avrebbe diritto, perché guardiamo solo al nostro essere e non al mondo che vive all’interno della vita degli altri.

IL SENSO DEL NOI
In questa epoca storica dove mancano maestri e prospettive, la dimensione relazionale diventa la strada da seguire per salvarsi. Uscire dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni e aprirsi agli altri è il filo che può condurre
anche a dio.

Giovani, belli e poi..?

vescovo presso gli sta_optOggi si sta affermando una nuova “religione” civile la quale come tutte le religioni ha i suoi “comandamenti”. Essi come nell’Induismo o in tante religioni animiste, non sono scritti e codificati ma ben presenti, tramandati e soprattutto rispettati.

Vediamoli:

1. Cura il tuo corpo: non può mancare la palestra o la piscina o la danza. I capelli vanno curati. Un piercing è di tendenza se poi è sulla lingua…..l’estetista è ormai una indispensabile consigliera per migliorare il proprio look. Nella società dell’immagine come quale messaggio dà il mio corpo?

2. Scrupolosi nel cibo: qualità ottima, quantità limitata, piacere sommo.

3. Il denaro è indispensabile: da esso e con esso puoi soddisfare i tuoi desideri

4. Geloso del mio ragazzo/a naturalmente sin tanto che non mi innamoro di un altro più carino/a di lui con il quale sto meglio.

5. Attento al sesso, è un piacere da ricercarsi e da non perdersi, è una cosa naturale; se poi viene un bambino, c’è sempre l’aborto o meglio la pillola del giorno dopo. Tanto la vita altrui cosa vale?

6. Drogatelli con moderazione, spinello si…coca no o meglio solo un pochino !

7. L’alcool è tuo amico, basta non farsi beccare dalla polizia altrimenti addio patente e quante rogne, per il resto c’è l’assicurazione ….tanto la vita altrui cosa vale?

8. Vivi alla grande nel mondo virtuale, la finzione diventa realtà (reality show) .

9. Tolleranti verso tutti e tutto, sin tanto però che non mi creano problemi, fastidio, pericolo. No alle pena di morte in America e in Cina, si all’uccisIone del ladro che deruba una gioielleria e soprattutto se entra in casa mia.

10. Devoti verso dio, frutto del proprio io, ovvero come ognuno se lo immagina, costruito dalla propria soggettività che condanna solo quello che condanna la televisione che approva quello che approva o sostiene la televisione e tutti gli altri media.

Si diffonde così una cultura della strumentalizzazione del corpo proprio e dell’altro come oggetto separato rispetto ai sentimenti della persona.

L’individuo viene spezzettato attraverso una visione erronea della persona umana, che è invece un unicum fra corpo ed emozioni. Il pericolo crescente è quello del diffondersi di comportamenti che non rispettano più l’interiorità dell’altro e i suoi sentimenti. Ciò è tanto più vero se si pensa che i giovani percepiscono sempre più questa concezione come un insieme di norme alle quali conformarsi. L’industria pornografica diventa un vettore di nuove norme e detta i nuovi dieci comandamenti che lo rendono imbelle alle grandi cose e curvo nell’attimo sfuggente. A questo punto occorre domandarsi: prigionieri del piacere o liberi per amare?

 

Libertà è frutto di una conquista quotidiana che si chiama educazione.

Educare significa fare in modo che i giovani possano divenire uomini e donne liberi, dunque capaci di scegliere ciò che corrisponde al loro bene. Ma debbono quindi sapere, conoscere, sperimentare il bene per poi ricercarlo. Occorre quindi giovani capaci di esplorare, di andare oltre, di saper osare oltre l’ovvio e di saper scoprire la bellezza di amare e di essere soltanto amore, l’amore quanto è vero è per sua natura liberante. L’Amore è libertà.

Nel contesto odierno, occorre moltiplicare gli sforzi per aiutare i giovani a entrare uscire dalla curva del piacere per imparare a saper entrare in relazione con gli altri sul piano personale ed avere il coraggio per confrontarsi con le grandi questioni divoranti:

–          cosa significa divenire un uomo e una donna?

–          qual è il senso della vita?

E divenuti ricercatori del vero e del bene affrontare la questione delle questioni:

–          Cosa significa amare?

–          Cosa vuol dire vivere da uomini liberi?

LIBERI LIBERO…O FORSE NO?
Cosa significa crescere? Diventare uomini e donne adulti? Cosa significa Amare? I giovani di oggi sono prede di nuovi “comandamenti”, dettati dalla TV dai social, dai coetanei, e restano prigionieri di una falsa libertà.
L’Amore è liberante di per sé, se riuscissimo a far capire questo ai nostri ragazzi non ci sarebbe bisogno per loro di seguire falsi educatori e stili di vita bugiardi.

gennaio 2018

La storia di Gianluca Firetti

gianlucafiretti_opt*di don Federico Mancusi*
Nella mia ricerca di giovani santi mi sono imbattuto in una frase, che come giovane sacerdote mi ha fortemente incuriosito e colpito in profondità. L’articolo era intitolato: “Sono prete, ma Gian mi ha convertito!”. Un articolo che
racconta l’esperienza del rapporto di un sacerdote con un giovane ventenne perito agrario e calciatore di Cremona Gianluca Firetti, che ha reso la malattia una via per la gioia. Può un sacerdote esser convertito da un ragazzo malato? Accogliamo questa esperienza unica, facendoci aiutare da quel sacerdote, Don Marco.
«L’incontro con lui mi ha fatto solo bene. Le due esperienze, la sua di giovane che soffriva senza disperazione e la mia, di credente che tentava di capire, sono diventate una sola. Davanti alla fede di Gian mi sono sentito più volte microscopico. Lui giovane e saggio, malato con un cuore sano che riusciva ad amare tutti, sbilanciato sugli altri da ripetere, a ciascuno, per ogni piccola attenzione: «Grazie»; Gian era disarmante. Proprio come il Vangelo. Incontrarlo, ascoltarlo, pregare con lui era come sfogliare un “Vangelo aperto”. Le sue parole e le sue mani, quando mi sfioravano, il suo abbraccio Dalla cattedra del suo letto, a casa, insegnava semplicemente col suo esserci, in un silenzio pensieroso e mai triste, con la sua preghiera raccolta, i suoi occhi che “ti leggevano dentro” davanti ai quali, specchio di una vita limpida non potevi presentarti con cortecce, cappotti o maschere difensive. Non puntava il dito, non si lamentava di coloro che non andavano a trovarlo e non invidiava coloro che stavano meglio di lui.

Il miracolo vero è stato comprendere il “perché” di quella condizione così umanamente infelice per lui e per la sua famiglia e leggerla con gli occhi della fede.
Il miracolo vero è stato
comprendere il “perché”
di quella condizione così
umanamente infelice per lui e
per la sua famiglia e leggerla
con gli occhi della fede.

Gian chiedeva conversione in entrata e in uscita. In entrata perché la sua presenza provocava fortemente. In uscita Gian era trasformante. Sofferente, immobile, morfina 24 su 24, a pochi giorni dalla morte sapeva augurare, raccogliendo tutte le sue forze: «Buona domenica». Gioiva per le visite dei suoi amici e diceva a ciascuno: «Mi raccomando, non sprecare la vita, fa il bravo, studia perché io farei cambio e studierei 500 pagine piuttosto di soffrire».
La sua vita era diventata un’offerta, un «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio». Non perché Dio volesse la sua sofferenza, ma perché, come aveva detto nell’ultima domenica: «Dio mi ha posto sulle spalle una bella croce… No, è la malattia che è pesante, Dio non c’entra proprio nulla». Invece Dio c’entrava, eccome. Dio entrava e usciva da
ogni poro della sua pelle; era diventato, una fonte di energia e di luce. Per tutti, familiari, amici, preti, volontari, personale dell’ospedale, mondo sportivo, famiglie, giovani e adulti, anziani e malati. La sua casa un piccolo
porto di mare. Quando suonava il campanello: «Avanti», diceva dal divano, «il bar è sempre aperto!».
Condividere è stato il segreto della sua santità. Faceva entrare tutti in lui. Dio, anzitutto. Si apriva, si sentiva trasportato dalla preghiera e dall’amicizia di tanti, anche di chi non conosceva, ma sentiva così vicini, dentro di lui. È
riuscito, da tutti – me per primo – a estrarre il meglio perché lui è diventato il migliore, intuendo il centro e
lo scopo della vita. In fondo come disse a suo fratello Federico, noi siamo fatti per il cielo. Per sempre. Per l’eternità.
Gianluca muore all’ospedale di Cremona il 30 Gennaio 2015, lasciando al mondo una delle più belle testimonianze di fede e di fiducia in Dio. Il miracolo degli ultimi mesi della sua malattia non è stato quello della guarigione. Forse questo sarebbe stato più eclatante. Il miracolo vero è stato comprendere il “perché” di quella condizione così umanamente infelice per lui e per la sua famiglia e leggerla con gli occhi della fede. Gian è cresciuto e ha fatto crescere. Aveva fede e l’ha fatta tornare agli altri. Era uomo di comunione e desiderava che ci si amasse. E lo diceva, lo scriveva su WhatsApp, lo manifestava. A soli vent’anni ha dimostrato che si può essere abitati da Dio e dagli uomini. La sua storia parla annuncia come “croce, dolore, morte” non siano parole d’infinita tristezza, ma le porte della speranza e della vita. Gianluca è vivo, in Cristo e in noi e continua a dirci che l’ultima parola è l’amore.
Grazie per la tua testimonianza e per quello che ora farai dal cielo per tutti gli educatori e i giovani.»

A.D. La Bibbia continua. La nascita della Chiesa in una serie avvincente

A_D_La-Bibbia-continua_opt*di Luca Paolini* La particolarità di questa serie, a differenza delle fiction italiane, è quella di catturare subito l’attenzione dei ragazzi, abituati ormai alla suspense e alle trame avvincenti. La fine di ogni episodio lascia sempre la porta aperta al nuovo,
cosicché è facile che i ragazzi si appassionino alla sua visione. Le ambientazioni sono molto realistiche, le musiche incalzanti, Gerusalemme ricostruita alla perfezione in 3D, l’Angelo che rotola la pietra del sepolcro e libera Pietro e Giovanni dalla prigione
somiglia molto ai personaggi dei film Marvel. Ma al di là degli effetti speciali e della scenografia, la serie TV è ricca di spunti di riflessione per i ragazzi, perché mostra da una parte la debolezza degli Apostoli ma dall’altra la loro
grande fede di fronte alle difficoltà alle persecuzioni e alla morte. Ogni tanto vengono citate dai vari personaggi alcune profezie dell’Antico Testamento (es: Isaia 53,9; Deuteronomio 21,22-23) che possono essere riprese, spiegate, corrette se necessario e utilizzate per una discussione di gruppo.
Chiaramente le libere interpretazioni dello sceneggiatore, specialmente quello che riguarda la storia di Pilato, del Sommo Sacerdote e degli imperatori con le loro improbabili visite in Palestina, sono molte, ma per il
resto la serie rimane abbastanza fedele al testo degli Atti degli Apostoli. In particolare vengono delineate le vicende di Pietro, Stefano, Filippo in Samaria e Paolo. La conversione di Paolo è ben rappresentata, dal furore cieco di
distruzione del cristianesimo fino alle cecità dovuta all’incontro con Cristo sulla via di Damasco. Consapevole della sofferenza alla quale andrà incontro nella missione, Paolo decide comunque di seguire Gesù: “Sai, (è Paolo che parla con Pietro n.d.r.) quando Anania è venuto a casa mia, mi ha detto che lo aveva inviato Gesù. Aveva detto ad Anania che avrei sofferto… Che avrei sofferto per il suo nome. Non mi perdonerò mai per quel che ho fatto, ma ho paura…

Anche le profezie citate dai personaggi possono essere spunto di riflessione
Anche le profezie
citate dai personaggi
possono essere spunto
di riflessione

Ho così paura che il dolore che sento adesso è nulla in confronto a quello che verrà.
Sarebbe più facile scappare, ma non posso farlo”. Ne emerge un quadro di una comunità provata dalla persecuzione
si, ma animata dalla forza dello Spirito a compiere scelte radicali in nome di Gesù e del Vangelo. Se pensiamo ad una generazione, come quella dei nostri giovani, liquida, incapace di scelte definitive per la propria vita, e che spesso relega la fede in un piccolo angolo della propria esistenza, si capisce allora come la testimonianza dei primi cristiani
possa costituire un esempio per i ragazzi sia di amore fraterno, ma anche di passione nell’annuncio del Vangelo. Sono molto belle le scene nelle quali gli Apostoli si fanno vicini alla sofferenza e come Gesù prima di loro, si chinano
sulle ferite dell’uomo per sanarle. Anche la scena del capro espiatorio sul quale venivano caricati tutti i peccati compiuti durante l’anno, ci da modo di spiegare che Gesù prende il posto del Tempio e dei suoi riti e si carica di
tutti i peccati dell’umanità, anche dei non giudei. La serie termina infatti con la decisione di Pietro di battezzare Cornelio, il centurione romano che aveva ricevuto la visita dell’Angelo, evento che fa da preludio al distacco del Cristianesimo dall’Ebraismo e all’apertura della missione ai Gentili. La scena finale dell’ultima puntata rimane sospesa e lascia intendere che molto probabilmente la serie avrà una seconda stagione che, visto il successo della prima, speriamo arrivi presto.

UN ESEMPIO CHE VIENE DAL PASSATO
I personaggi di questa serie tv, provati dalle persecuzioni e animati da scelte forti, possono rappresentare un ottimo esempio per i ragazzi della nostra epoca così liquida e precaria. Sarebbe significativo parlarne insieme, prendere spunto da alcune scene e da alcune citazioni per animare un dibattito… magari in attesa che producano la seconda stagione della serie.

A.D. La Bibbia continua, è certamente una serie TV che può venirci in aiuto nei tempi di Pasqua, di Pentecoste e in genere quando vogliamo trattare nei nostri gruppi giovani, l’argomento dell’essere e del fare “comunità”. E’ una serie americana di 12 episodi uscita nel 2015 e doppiata anche in italiano (consiglio comunque la visione della serie originale con i sottotitoli). Inizia con il processo a Gesù la sera di giovedi e termina con la conversione di Cornelio il Centurione.
A.D. La Bibbia continua, è certamente
una serie TV che può
venirci in aiuto nei tempi di Pasqua,
di Pentecoste e in genere
quando vogliamo trattare nei
nostri gruppi giovani, l’argomento
dell’essere e del fare “comunità”.
E’ una serie americana di
12 episodi uscita nel 2015 e doppiata
anche in italiano (consiglio
comunque la visione della serie
originale con i sottotitoli). Inizia
con il processo a Gesù la sera di
giovedi e termina con la conversione
di Cornelio il Centurione.

La preghiera eucaristica, il memoriale della Pasqua

light-religion-cross-c_opt*di don Walter Ruspi*
Salmo 134

Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore;
voi che state nella casa del Signore durante la notte.
2 Alzate le mani verso il santuario e benedite il Signore.
3 Il Signore ti benedica da Sion: egli ha fatto cielo e terra.
Così ci parla il Catechismo della Chiesa Cattolica: Se i cristiani celebrano l’Eucaristia fin dalle origini e in una forma che, sostanzialmente, non è cambiata attraverso la grande diversità dei tempi e delle liturgie, è perché siamo vincolati dal comando del Signore, dato la vigilia della sua Passione: “Fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24-25). A questo comando del Signore obbediamo celebrando il memoriale del suo sacrificio. L’Eucaristia – azione di grazie e lode al Padre – è il memoriale del sacrificio di Cristo e del suo
Corpo, presenza di Cristo in virtù della potenza della sua Parola e del suo Spirito.
Azione di grazie e lode al Padre
L’Eucaristia è un sacrificio di lode in rendimento di grazie per tutto ciò che Dio ha fatto di buono, di bello e di giusto nella creazione e nell’umanità. L’Eucaristia è un sacrificio di ringraziamento al Padre, una benedizione con la quale la Chiesa esprime la propria riconoscenza a Dio per tutti i suoi benefici. L’Eucaristia è il memoriale della Pasqua di Cristo, l’attualizzazione e l’offerta sacramentale del suo unico sacrificio, nella Liturgia della Chiesa, che è il suo Corpo. Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini.
Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, fa memoria della Pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale: “Ogni volta che il sacrificio della croce, “col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato”, viene celebrato sull’altare, si effettua l’opera della nostra redenzione” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3].

L’ Ultima Cena, detta anche Istituzione dell’Eucaristia, dipinto del 1562 circa, olio su tavola, Juan de Juanes (1507 ca. – 1579). Proveniente dall’altare maggiore della Chiesa di Santo Stefano di Valencia ed attualmente conservato al Museo del Prado di Madrid (Spagna).
L’ Ultima Cena, detta anche
Istituzione dell’Eucaristia,
dipinto del 1562 circa,
olio su tavola, Juan de Juanes
(1507 ca. – 1579). Proveniente
dall’altare maggiore della
Chiesa di Santo Stefano di
Valencia ed attualmente
conservato al Museo del
Prado di Madrid (Spagna).

L’Eucaristia è un sacrificio, come si manifesta nelle parole di Gesù: “Questo è il mio Corpo che è dato per voi”
e “Questo calice è la nuova alleanza nel mio Sangue, che viene versato per voi”. «Memoriale» non di ciò che è passato, ma di ciò che è presente in ogni presente. Questo «presente sempre presente» è, con le parole dell’Apocalisse: «l’Alfa e l’Omega, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente» (Ap 1,8). L’eucaristia è
la sorgente della speranza In quanto memoriale della Pasqua del Figlio, l’eucaristia rende presente il sacrificio della Croce di Gesù e si offre come il convito pasquale, nel quale si partecipa veramente al Corpo e al Sangue di Lui: Gesù morto e risorto è realmente presente nei segni del pane e del vino, così che la Santa Cena è il sacramento dell’incontro con Lui, la partecipazione al suo mistero pasquale, che ci riconcilia con Dio.
L’eucaristia è la scuola dell’amore L’eucaristia è invocazione dello Spirito Santo, che attualizza nel tempo la presenza e l’opera di Cristo. La Chiesa invoca dal Padre il dono dello Spirito, che renda presente il Signore Gesù morto e risorto nei segni sacramentali ed estenda i benefici della riconciliazione da Lui compiuta a tutti coloro che ne partecipano e all’umanità intera per cui essi intercedono. Grazie all’opera dello Spirito Santo non solo il Risorto si rende presente nei segni del pane e del vino, ma trasforma anche la comunità celebrante nel Suo Corpo presente
nella storia. La partecipazione all’eucaristia apre il cuore all’azione dello Spirito, aiutandoci a vivere da persone riconciliate con Dio, con se stesse e con gli altri e ad annunciare e donare agli altri la grazia della comunione che ci
è stata donata.

L’eucaristia è missione per la Chiesa La missione che il Signore affida alla sua chiesa e tutta compendiata nelle
parole che egli pronunzia nell’ultima Cena: “Fate questo in memoria di me”. In questo compito di fare il memoriale dell’Eucaristia si definisce veramente tutta la missione della comunità cristiana nel tempo.
Celebrando il memoriale del Signore, la Chiesa si rende disponibile all’azione dello Spirito, che rende presente nella diversità dei tempi e dei luoghi l’evento di salvezza, oggetto della buona novella. La disponibilità allo Spirito, che la celebrazione del memoriale esige, deve manifestarsi in gesti concreti, che riproducano nel tempo l’atteggiamento del
Cristo. Entrare in comunione con Lui nel memoriale della Pasqua significa diventare missionari dell’evento che quel rito attualizza; in un certo senso, significa renderlo contemporaneo ad ogni epoca, fino a quando il Signore ritornerà.

In un testo neotestamentario la lode rivolta a Dio raggiunge un’altezza irraggiungibile: «Benedetto sia Dio,
Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.
In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,
predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà.
E questo a lode e gloria della sua grazia, che ci ha dato nel suo Figlio diletto; nel quale abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati, secondo la ricchezza della sua grazia.
Egli l’ha abbondantemente riversata / su di noi, con ogni sapienza e intelligenza, poiché egli ci ha fatto conoscere
il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra»
(Ef 1, 3-10).

ESSERE UOMINI E DONNE DI COMUNIONE
Cosa significa celebrare il memoriale di Cristo? Significa entrare in comunione con Lui, significa riprodurre gli insegnamenti di Cristo nella nostra quotidianità, significa diventare missionari di questo evento e renderlo contemporaneo di questa epoca. Partecipare all’Eucaristia ci rende aperti all’azione dello Spirito e capaci di riconciliarci con Dio e con gli altri: questo ci permette di annunciare la nostra fede.

COS’È UN MISTERO DELLA FEDE? BREVE SCHEDA DI PRONTO INTERVENTO
di don Rosario Rosarno

qrQG6uP_optEucaristia è… potremo dire tutto e il contrario di tutto. Don Walter nel suo articolo – leggilo, è importante – mette in risalto come la preghiera eucaristica è il momento del sacrificio, dell’amore gratuito, della festa, dell’unita nello Spirito Santo. L’Eucaristia è – per dirla con l’ultima parola della consacrazione – un Mistero della fede.
Bene, soffermiamoci su questo e proviamo a costruire la riflessione con i ragazzi sul termine Mistero. Così da poter di seguito mettere a loro disposizione i criteri per scoprire da soli (con la curiosità propria degli adolescenti) la grandezza e la bellezza dell’Eucaristia Amore, Unità, Sacrificio, Festa.
Disponiamo i ragazzi in cerchio con uno al centro e uno al di fuori del cerchio. È il classico gioco del gatto e del topo: colui che si trova al di fuori è il gatto e deve cercare di ‘acchiappare’ il topo che si trova al centro. E quando il gatto entra, il topo deve cercare di uscire per non farsi catturare. I ragazzi del cerchio intanto si tengono sottobraccio per non far entrare nè uscire i due sfidanti. La durata del gioco è a piacere. Quando un gatto cattura un topo si cambiano gli sfidanti. Il gioco è una metafora del Mistero perché lo sforzo profuso dal gatto di acchiappare chi sta al di dentro del cerchio non sempre gli permetterà di raggiungere l’obbiettivo. Ma non per questo lo sfidante-gatto lascia
perdere la preda, anzi, aumenta nei ragazzi l’agonismo e la voglia di vincere. Per quanto cerchiamo di comprendere-acchiappare il Mistero, esso sempre ci sfugge, ma questo non ci porta – e non ci deve portare – a rassegnarci,
anzi, siamo chiamati a cercare sempre nuove vie per entrare nel cerchio-Mistero. Cosí un ruolo chiave lo svolgono
i ragazzi del cerchio: essi rappresentano – in termine tecnico – gli accidenti del pane e del vino, ovverosia le specie, le forme con cui Gesù si rivela a noi nel Suo Corpo e nel Suo Sangue. Durante la celebrazione è difficile pensare che in quel pezzo di pane c’è davvero Gesù vivo e vero, ma questo non può affievolire il desiderio di conoscere e, soprattutto, di vederlo. E se il topo si fa prendere??… beh, in questo caso il gatto da una parte sarà contento per la
vittoria, ma dall’altra sarà dispiaciuto perché il suo turno di gioco è finito. Fine. Fine del divertimento, fine del mettersi in gioco, fine dell’adrenalina che mette voglia di cercare strade nuove. Cosí il Mistero, se si fa trovare e
acchiappare per noi non ha più senso stare in cammino, stare in gioco. In altre parole ‘stare sulla terra in questa vita’. Per questo motivo il Mistero ci sarà rivelato definitivamente nell’ora della nostra morte. Così da avere sempre un motivo in più per stare in gioco qui in questa nostra vita. Ma non da soli…con il Pane-Mistero di Vita

Educare al senso della storia per scoprire Dio che si rivela

1462210683_108502467_opt*di don Gianfranco Calabrese* La fede cristiana anima la vita quotidiana degli uomini La vita degli adolescenti è molto ricca di sollecitazioni e di occasioni, che però rischiano di rimanere eventi sporadici senza una continuità e una logica educativa, se non  vengono collocati all’interno di un progetto da realizzare. Alcune volte il sensazionalismo e le esperienze singolari possono accentuare la ricerca spasmodica di momenti forti, che però incidono sulle emozioni e che lasciano gli adolescenti non solo spaesati, ma li collocano in un contesto “fluido”, senza alcuna continuità educativa e progettuale. Bisogna stare attenti a non trasmettere una visione distorta della realtà, che è impastata di storia, di quotidianità e di ordinarietà. Educare gli adolescenti a vivere la quotidianità in modo straordinario significa

aiutarli a scoprire che in ogni atto e in ogni scelta c’è la possibilità di vivere nell’Amore, dono di Dio, nell’obbedienza della fede, come discepoli del Signore, e nella vocazione dell’essere figli di Dio e fratelli in Cristo. Questo è il
disegno di Dio che si è manifestato in pienezza nella vita di Gesù Cristo e che è custodito dalla chiesa come un perla preziosa e come un tesoro nascosto: «Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità, predestinadoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà»
(Ef. 1, 3-6). Un animatore che aiuta un adolescente a scoprire la propria vocazione all’interno di un progetto concreto e quotidiano, come quello che si è manifestato in Gesù Cristo, è sorgente di benedizione e di pace.
Per questo la storia per i cristiani è un insieme di eventi alcune volte straordinari, ma più spesso normali , come l’aria che si respira, come l’acqua che disseta e come i minuti che formano le ore e i giorni, ma che sono elementi che compongono il meraviglioso quadro della vita e della storia umana. Dio ci rivela il suo disegno di salvezza
childs-faith-christian_optUn ulteriore rischio che caratterizza la cultura liquida e frammentata contemporanea, che deve essere tenuto presente da un animatore attento e prudente, è la riduzione del tutto all’attimo: le esperienze religiose, umane,
sociali, culturali, diventano momenti rapidi e passaggi veloci, che sono intensi ma precari, senza alcuna progettualità condivisa e comunitaria. Un bravo animatore del gruppo deve tentare di far percepire ai giovani che per vivere la beatitudine e la vita nell’Amore è fondamentale riscoprire la chiamata di Dio. Il tempo senza progetto è insignificante e senza senso, ma soprattutto è povero e vuoto. Le esperienze “fast food” e le relazioni “usa e getta” non aiutano a crescere nella pazienza e nella costanza.

È essenziale aiutare i ragazzi a desiderare “mete alte”, a voler assimilare valori fondamentali, ma soprattutto ad impostare la propria esistenza all’interno di un disegno di salvezza. Cristo è la nostra salvezza. Egli è il progetto che si trova nella rivelazione e nell’annuncio della Chiesa. L’ascolto della Parola di Dio e la condivisione della comune vocazione cristiana sono il luogo dove è possibile conoscere il disegno di Dio e comprendere il mondo, se stessi e gli altri. Sognare con Dio la propria vita. Occorre creare e far scoprire momenti che possano aiutare i giovani a formarsi nel profondo e in modo permanente alla luce del disegno di Dio, per superare il rischio dell’immediatezza senza futuro e per animare la quotidianità. Sognare con Dio rende capaci di lottare per Dio, ma soprattutto di combattere per il bene, per il bello e per il vero, in nome della propria dignità e della propria vocazione. Il tempo è un dono di Dio. In Cristo se ne disvela il valore e il senso. Il tempo nella prospettiva cristiana non è un semplice scorrere anonimo di attimi, ma è l’espressione di ciò che si è e di ciò che si desidera essere, della chiamata di Dio e della risposta dell’uomo. Per questo la preoccupazione fondamentale degli animatori non deve riguardare semplicemente la programmazione e l’organizzazione delle attività, ma la condivisione del disegno comune, del modo di concepire l’uomo, la famiglia, la chiesa e la società.

IL TEMPO E’ UN DONO
Viviamo in un’epoca dove tutto è ridotto all’attimo: la vita, le esperienze, i rapporti umani, la cultura…tutto diventa un passaggio veloce e precario, per questo l’animatore ha il compito di riportare nella vita dei ragazzi la bellezza del tempo, del futuro, dei progetti. Deve necessariamente aiutare questi ragazzi a proporsi mete “alte”, a riempire il loro tempo di cose belle, buone, che riempiono l’esistenza e fanno parte di un disegno completo, che Dio ha su ognuno di loro. Scoprire la propria vocazione è riappropriarsi di se stessi; è maturare come cristiani e come uomini e donne; è vivere felici.

Di nuovo amici

90dfe3b13b57422f828aa7_opt*di Luigi Cioni*
Dopo la nostra lunga riflessione sul peccato, non potevamo esimerci dal porre l’accento, come logica ed inevitabile conclusione, sul tema della riconciliazione e del perdono. E, come al solito, cerchiamo anche su questo tema di non porre la questione di principio: occorre trovare modalità di perdono, accostarci al sacramento della confessione, ricorrere alla Misericordia del Signore, ecc. No, nessuno si accosterà mai al sacramento della riconciliazione
finché non avrà compiuto almeno due passi inprescindibili:
Da una parte rendersi conto che quello che ho commesso è un errore, e non solo perché qualcuno dice che va contro a dei precetti stabiliti da chissà chi, ma perché capisco che questo va contro il bene mio e di chi mi sta accanto; compie un oggettivo male, fa accadere qualcosa che lede la dignità di chi ne è offeso e anche di me che l’ho commessa; dall’altra comprendere chi è colui che può liberarmi da questo stesso male; non un entità
sovraterrena con cui non ho a che fare per nove decimi (essendo ottimisti) della mia giornata e al cui giudizio mi sottopongo (anzi a quello del prete!!) solo per tradizione annuale quando arrivano le grandi festività.

Interessante sul tema del perdono anche una riflessione sul Film Mission di Joffè Il mercante di schiavi (Robert De Niro) è costretto a portare come penitenza una soma che contiene tutte le armi della sua vita (deve portarsi dietro il peso del suo passata) e affrontare un lungo cammino. Ad un certo punto uno dei suoi compagni lo libera e lui torna indietro a riprendere di nuovo la fonte della sua oppressione (dal suo passato non è ancora libero) non è lui che può perdonarlo, ma solo coloro a cui ha fatto veramente del male
Interessante sul tema
del perdono anche una
riflessione sul Film
Mission di Joffè
Il mercante di schiavi
(Robert De Niro) è
costretto a portare come
penitenza una soma che
contiene tutte le armi della
sua vita (deve portarsi
dietro il peso del suo
passata) e affrontare un
lungo cammino. Ad un
certo punto uno dei suoi
compagni lo libera e lui
torna indietro a riprendere
di nuovo la fonte della
sua oppressione (dal suo
passato non è ancora
libero) non è lui che può
perdonarlo, ma solo coloro
a cui ha fatto veramente
del male

Dopo un anno intero di Giubileo della Misericordia forse alcune le mie considerazioni risulteranno scontate; ma vale sempre la pena di ricordarcele.
Parto ancora una volta da una storia biblica che noi tutti conosciamo: quella del Figliol prodigo (Lc 15) o meglio “del Padre misericordioso”. Tutti poniamo l’accento sul figlio minore che va a sperperare il patrimonio paterno e non mettiamo mai l’accento sul figlio maggiore che non mostra nessuna gioia per il ritorno del peccatore. Certamente nessuno affronta volentieri un giudizio inesorabile e duro (mi verrebbe
da dire fondamentalista) come quello. Forse se avessimo di fronte un Padre come quello della parabola, tutti avremmo più gioia al pensiero della riconciliazione. Eppure ciò che Gesù ci annuncia di Dio è proprio questo: Dio è come il Padre del Figliol prodigo (e sempre nello stesso
capitolo, il pastore che cerca una pecora perduta, una vecchietta
che mette a soqquadro la casa per trovare una monetina dispersa,
ecc). Allora forse sarebbe il caso di non parlare esclusivamente
di “penitenza”, di contrizione, di pentimento (tutte cose certamente necessarie) ma porre soprattutto l’accento sull’amore.
Tuo padre e tua madre ti amano! Non ne sei felice? La tua ragazza ti ama! Puoi pensare ad un miracolo più grande di questo? Dio ti ama! Pensi davvero che dopo aver fatto questa scelta dall’eternità metta tuttoin questione per un tuo stupido sbaglio?
Hai capito che quello che hai fatto ha rotto dei rapporti? Ha incrinato delle relazioni? Hai capito che non era degno di te il modo in cui ti sei comportato? Hai finalmente compreso che nell’aderire a quel comportamento hai fatto una scelta che non ti ha dato gioia e serenità,
ma hai semplicemente creduto di poter diventare più grande a scapito di altri? Più ricco creando la povertà altrui? Più perfetto e compiuto togliendo completezza e perfezione a quell’ambiente in cui non hai più trovato (e per colpa tua) quelle situazioni che ti potevano completare
veramente? Allora vai! Vai da quella persona che forse ti può comprendere e ti può mostrare l’amore di Dio, ti può indicare il giusto cammino, ti può far ritrovare la gioia della relazione, indicare il percorso del risanamento, ristabilire la giusta posizione delle cose, nella tua storia e nel tuo spirito. Certo è il tuo sacerdote, ma può anche non essere il tuo; e può non essere nemmeno un sacerdote, ma quella persona che ti fa sperimentare la gioia  del giusto cammino e che poi dal sacerdote ti manda perchè tu possa arrivare davvero all’amore di Dio. Non hai vicino a te una persona così? Cercala! Scandaglia tutti i tuoi gruppi, le tue conoscenze, chiedi, investiga, implora aiuto, ma trovala!
Non ne puoi fare a meno, perchè sicuramente nella tua vita sbaglierai, commetterai errori, infrangerai delle relazioni e dei cuori e, solo nel cuore di Dio troverai un amore così grande che renderà capace te, e tutte le persone che avrai offeso, di superare ogni ostacolo, di aprire le braccia e dirti: Benvenuto! Non aspettavo altro che te! Nessuno
altro posto è bello come questo: tra le mie braccia.

IL TEMA DEL PERDONO
Certamente il tema del perdono deve essere affrontato anche da un altro punto di vista: “Quanto e come perdonare?” La risposta di Gesù è nota e può essere annoverata tra le poche sue parole conosciute da tutti “fino a settanta volte sette” (che cosa voglia dire poi è tutto da comprendere). Rimandiamo però la trattazione di questo aspetto ad un’altra occasione. Nel frattempo solo un piccolo suggerimento che può venire da un libro che di questo argomento ha fatto tema specifico e in un momento storico altamente significativo: “si possono perdonare i tedeschi dopo la Shoah? Leggiamo Simon Wiesenthal Il girasole, Ed. Garzanti

Dalla parrocchia al paese, le idee ispirano e le persone creano

10338481_1496362810582_opt*di Francesca Anedda*
L’Associazione il Miglio inizia la propria avventura ufficialmente nel 2003. A differenza di tante realtà, il Miglio prese forma perché già c’era una cultura, c’erano le persone e la volontà di stare insieme e lavorare per un beme
più grande, la condivisione e l’amicizia. Dare un nome a tutto è stata una tappa di un percorso che aveva iniziato a delinearsi anni prima. Le idee ispirano, come dice il titolo. E l’idea giusta vent’anni fa circa, l’ebbe il nostro parroco,
oggi vescovo, Don Simone Giusti. Dai giovani dovevano germogliare le idee, a loro doveva essere affidata l’iniziativa. Furono scelti giovani animatori a cui affidare le decine di ragazzi che frequentavano la parrocchia. Giovani
che insegnavano ai più giovani. L’intuizione di ridurre le distanze tra gli animatori e gli animati con lo scopo di dare forza alle iniziative, dare quella necessaria coesione che avrebbe poi generato il primo gruppo musicale “Non
Volendo”. Ad oggi si può dire che l’importanza di quel gruppo non era su come suonava o quanti erano a farlo. La loro vera forza risiedeva nel come lo facevano. La canonica era diventata la loro officina, dava un senso di condivisione a tutti coloro che la frequentavano, un senso derivato certamente da quegli insegnamenti, da quel modo di vivere che tutti avevano scelto di impegnare al servizio degli altri. Era la prima importante affermazione
che dentro ad ambienti religiosi potesse nascere qualcosa di estremamente rock.
Nacque presto la consapevolezza che l’officina di idee potesse e dovesse abbracciare anche chi la musica non la sentiva tra le proprie corde. Fu così che da quei ragazzi un tempo animati e poi animatori nacque l’idea del gruppo teatrale. Iniziando dalle rappresentazioni sacre come la Via Crucis fino a spettacoli per le feste del paese, il gruppo

Dal canto al teatro
Dal canto
al teatro

teatrale vide l’avvicinamento di oltre 50 giovani del paese. Fu poi Don Simone, nel 2003 a farci capire che avevamo tutto, proprio tutto, fatto salvo di un nome. Nacque così il Miglio!
Da quel giorno l’Associazione ha sempre portato avanti, nel paese e fuori, iniziative teatrali e musicali. Musical con la partecipazione di 40 persone minimo, contest musicali e molto altro hanno fatto del Miglio il centro teatrale di Cascine. Dal “Fantasma dell’Opera” alla “Bella e la Bestia”, da “Hercules” a “Moulin Rouge”, spettacoli che hanno portato in scena emozioni forti e fuori scena hanno dato vita a quel gruppo che negli anni ha raggiunto anche 80 persone. Dal Miglio è nato il Festival Musicale, un weekend di musica con artisti da tutta Italia.

Il Miglio gestisce oggi, insieme ad altre realtà, il Teatro Vittoria e realizza spettacoli professionali con l’obiettivo di divertire e divertirsi, non dimenticando mai quel principio di condivisione che la nostra stessa storia ci ricorda,
ogni volta che sfogliamo i nostri spettacoli. Siamo un esempio e siamo orgogliosi di esserlo, di come si può costruire nuove realtà partendo dall’idea che la parrocchia guida ed ispira quelle idee basate sul principio fondamentale che fare e condividere sono due cose distinte oppure sono un’unica realtà che oggi, a Cascine, si chiama Miglio.

TUTTI PER UNO E UNO PER TUTTI
Alla base la parrocchia, la comunità su di essa si costruisce un’idea che piano piano diventa una cosa grande. Questa è un’esperienza vera! Fatta da gente vera, da persone che dal nulla hanno creato qualcosa di bello, credendoci!

Qualcosa di veramente "rock"
Qualcosa di veramente “rock”

La lettura sociologica di quest’esperienza:  LE IDEE GIOVANI
*di Maria Chiara Michelini*
La ragione pedagogica del successo de Il miglio è, a mio modo di vedere, riconducibile al suo mettere al centro i giovani e le loro idee. Questa scelta, che sarebbe potuta apparire scontata venti o trenta anni fa, cioè prima che
questi giovani nascessero, oggi si mostra nel suo essere avanguardista, nel nostro gergo, potremmo dire, profetica. Se in passato la Chiesa ha rischiato, a volte, forme di vero e proprio giovanilismo, nelle priorità, nelle forme, nei linguaggi, oggi la situazione presenta tutt’altre caratteristiche che rendono ancora più visibile il valore dell’intuizione de Il miglio. La tensione complessiva della pastorale ecclesiale reale, infatti, oggi appare attenuata nella direzione del mondo giovanile, non di rado lamentosa e pessimista. Di “questi giovani” si tende a sottolineare il profilo critico (sono sempre su Fb, non sanno più parlare e interagire, non si riesce più ad interessarli a nulla, etc.), quasi rinunciando a evidenziarne il potenziale positivo e, quindi, venendo meno all’esercizio del proprium educativo,
nel senso etimologico del termine (e-ducere). Si rinuncia, cioè, a credere nei giovani, in nome dei loro limiti e dei profili di modernità che non sempre riusciamo a capire. Gli effetti negativi di questa tendenza sono visibili nell’invecchiamento della nostra Chiesa (pensate alle celebrazioni liturgiche), ma, potrebbero esserlo molto di più in
futuro, quando gli effetti a lungo periodo di questo disinvestimento diventeranno più evidenti, e irreversibili.

Il miglio, al contrario scommette sui giovani, crede in loro, affida loro l’iniziativa. Non si occupa di organizzare attività o eventi per i giovani, ma crea uno spazio per idee, attività, eventi pensati e organizzati dai giovani.
Ciò implica un riposizionamento educatore/educando, «l’intuizione di ridurre le distanze tra gli animatori e gli animati con lo scopo di dare forza alle iniziative, dare quella necessaria coesione che avrebbe poi generato il
primo gruppo musicale Non Volendo», si dice. In altri termini, si sperimenta un diverso modello educativo, non più prevalentemente trasmissivo, ma centrato sull’educando, messo in condizioni di esprimersi, proporre, inventare,

Una scommessa vinta
Una scommessa vinta

provare, sbagliare….Ciò consente ai valori di raggiungere la vita dei ragazzi, attraverso proposte che nascono
da loro, dal loro vissuto, dalle loro idee, dal loro sentire, proposte sulle quali gli educatori possono incidere nella direzione della passione evangelica che li anima. Questo trasforma la canonica in officina delle loro idee,
restituendole la sua vocazione ad essere casa di tutti. La musica rock, Il teatro, con la predilezione di opere estremamente contemporanee, sono la veste di quelle idee e di quella scelta. Non sono la scelta. La scelta sono I giovani e le loro idee. L’intuizione educative non è il teatro o la musica, ma il protagonismo dei giovani, la fiducia
nelle loro proposte, la chance di opzione loro offerta. In questo la proposta de il miglio si offre a noi come esempio educativo fecondo, attuale, innovativo, Inesorabilmente il fuoco della proposta si allarga, oltrepassa I confini della sacrestia, per estendersi al paese, al territorio, con le sue cattedrali (come il teatro) e la sua vita. Come dire che
I giovani, percepiti come lontani dalla politica, disinteressati alla loro terra e alla loro città, se messi in condizioni di pensare e creare, fanno politica, quella alta, capace di trasformare la città. E di cambiare il volto (e non solo) della Chiesa. Penso davvero ci sia di che trarre ispirazione da questa esperienza, lasciando che la frizzante aria di cui I giovani sono espressione circoli e si espanda. Chissà che anche attraverso essa lo Spirito soffi.

Argomenti tabù

È meglio defilarsi?
È meglio defilarsi?

*di Igino Lanforti*
Diciamocelo con franchezza: ci sono degli argomenti che come educatori abbiamo difficoltà ad affrontare con i nostri ragazzi. Sono tabù culturali autoimposti per evitare di andare a sbattere contro il pensiero dominante.
Preferiamo scantonare o quanto meno differire, fino a quando proprio non si può fare a meno, fedeli alla regola che le “rogne è meglio non andarsele a cercare”. Alcuni esempi: morte ed eutanasia, sessualità, fedeltà e verginità, aborto, contraccezione e regolazione delle nascite. Sono temi caldi sui quali il Magistero della Chiesa Cattolica si
è ripetutamente espresso per chiarire ed ha fornito insegnamenti, alla luce della Scrittura e della ragione umana, contenuti in documenti che dovremmo saper maneggiare – su tutti il Catechismo della Chiesa cattolica (CCC). Di fronte ad essi, lo sappiamo, si è schierato un fuoco di fila molto violento, prodotto dalla quasi totalità dei Media e
da agenzie culturali, che hanno la loro radice in una filosofia relativista e radicale ben sostenuta e pubblicizzata
da un mix di interessi ideologici, economici e politici e che si fa rappresentare presso il mondo giovanile dal cantante, dal rapper o dal vip di turno.
Questo fuoco di fila umanamente ci intimorisce, ci sembra insormontabile, una partita persa in partenza e allora… allora scantoniamo, torniamo indietro o camminiamo lungo il muro in attesa di trovare prima o poi un varco per aggirarlo. Non è detto che ciò non possa accadere, ma neppure che il varco ci sia e che lo spostamento lungo il muro sia sempre la soluzione buona. Forse vale la pena di saggiare se il muro sia davvero così consistente come appare e se non si tratti di una “fata Morgana”.

Aprire un varco o camminare lungo il muro?
Aprire un varco
o camminare
lungo il muro?

Nei mesi scorsi era in corso il dibattito parlamentare sulle DAT (disposizioni testamentarie anticipate), momentaneamente sopito, ma pronto a riemergere alla luce dei riflettori televisivi e mediatici non appena verrà ridiscusso o si presenterà il prossimo caso eclatante di suicidio. Con un gruppo di ragazzi è stato affrontato, senza andare ad analizzare direttamente la proposta di legge, ma quello che vi sta dietro e/o sotto. Ho partecipato alla discussione in modo indiretto e ho dato ai ragazzi e ai loro educatori la possibilità di ascoltare la testimonianza di una donna che ha vissuto per undici anni insieme al marito ammalato di SLA (un report dell’incontro è leggibile sull’inserto di Toscana Oggi, Vita Apuana, del 18 maggio scorso). Hanno successivamente ascoltato anche
un medico anestesista. A distanza di alcuni mesi ho chiesto agli animatori del gruppo di poter sottoporre ai ragazzi un questionario anonimo con alcune domande alle quali dovevano rispondere con un punteggio da 1 a 10 per ciascuna di esse o con una scelta tra sì, no, non so. Propongo alcuni dei risultati ottenuti attraverso la media dei voti:
1. Hanno molto apprezzato (8.5) la discussione a l’approfondimento del tema.
2. Ritengono che i Media siano poco completi e obiettivi (5,8) e abbastanza sbilanciati a favore delle DAT (6.5).
1457955616-eutanasia_fmt3. Ritengono che l’approvazione di una legge in merito sia giusta solo al 5.25 e, con analogo punteggio, che lo Stato legiferi in materia.
4. Temono che, una volta approvata, possa indurre procedure e mentalità eutanasiche nei confronti di persone adulte gravemente malate (7).
5. Ritengono che il dolore fisico non sia la causa preponderante (5.5) che induce alla decisione di togliersi la vita,
ma piuttosto il senso di solitudine e abbandono (6.8) e che la presenza di cure amorevoli da parte dei familiari e di personale medico siano determinanti (8.5) per non decidersi alla scelta eutanasica.
6. Pensano che la fede sia importante nelle decisioni eutanasiche per evitarle (7.25) o, se assente, per prenderle (6).

L’IMPORTANTE E’ PARLARNE
Affrontare certi argomenti un po’ difficili e scomodi è il minimo che gli educatori possano fare per i ragazzi.
Parlarne insieme può aiutare a chiarirsi le idee, ad avere una visione più ampia delle cose e soprattutto a non omologarsi passivamente al pensiero comune. Se facessimo dei sondaggi forse ci renderemmo conto che i ragazzi la pensano diversamente su tanti argomenti. Proviamoci.