Il Dio dei vivi o dei morti?

Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali. A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!
Sempre più spesso le nostre chiese sono vuote di giovani e li vediamo sono in occasione di matrimoni o ancor peggio dei funerali.
A volte mi chiedo se il dolore sia rimasta l’unica via aperta per arrivare a incontrare le persone e mi rendo conto che questo pensiero è profondamente ingiusto!

*di Igino Lanforti*
In questo anno che è passato nella nostra diocesi (Massa Carrara-Pontremoli) abbiamo assistito a momenti significativi. Mi riferisco alle tragedie nelle cave e alla morte improvvisa di alcuni giovani studenti per incidenti stradali o malattie. Questi ultimi casi mi hanno toccato direttamente perchè si è trattato anche di miei alunni. Tutti quelli che come me hanno vissuto questi momenti, hanno visto funzioni religiose con folle che le chiese non riuscivano a contenere. Mi ha colpito in particolare vedere giovani che hanno partecipato alla Liturgia come spaesati. Da una parte desiderosi di parteciparvi, dall’altra assolutamente impreparati a questi momenti così destabilizzanti. Quasi sempre gli amici hanno voluto salutare i morti dicendo alcune parole dall’ambone. Momenti certo toccanti, che mi hanno fatto riflettere. Ormai non citano più il Vangelo, ma canzoni di Mengoni o Emis Killa.. Eppure, non sono così lontani, vogliono essere qui, nella Chiesa, accanto ai loro cari defunti, ma anche non lontani da quel Dio che sembra averli così dolorosamente colpiti.
Mi sono messo nei panni di quei ragazzi e chiedermi cosa volessero…
A questi ragazzi basterebbe così poco… così tanto: un po’ di ascolto, un po’ di attenzione, il mettersi in sintonia con i loro linguaggi, con i loro modi di essere.
Questi giovani quasi si sarebbero accontentati di semplice ricordo, mera consolazione di chi non c’è più. Per questo don Luca, in una di queste celebrazioni, ha dovuto ricordare loro che il ricordo non basta, che l’offerta cristiana è infinitamente più alta, che va oltre quel così poco che sarebbe loro bastato.
E non se ne sono andati….

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Questi ragazzi splendidi, così fragili, così scossi, che nelle panche delle nostre chiese ormai non vediamo più se non in queste tristissime occasioni, sono ancora li, non se ne sono andati definitivamente, non si sono fermati a constatare la nostra autoreferenzialità, la nostra indifferenza, la nostra accidia, non si sono fermati ai campanelli delle canoniche suonati a vuoto all’ora della pennichella pomeridiana, o ai nostri troppi impegni che gli hanno tolto ogni spazio proprio quando magari trovano il coraggio di venirci a cercare, non si sono fermati alle frasi inopportune scritte sui social, ne hanno pensato che tutta la chiesa fosse come quella che si vede alle “Iene” ma ancora sperano in Dio, sperano nella Chiesa, non chiedono altro che di essere cercati, accolti, svegliati, rinfrancati.
Cosa altro ancora aspettiamo per rialzare la testa?
“ io sono l’acqua viva”
Alcuni di loro spesso sostano sugli scalini delle chiese con bottiglie di birra in mano, quasi vogliano provocatoriamente chiederci quale sia la bevanda che può veramente dissetarli. A noi infastidiscono e invece Gesù si sarebbe fermato con loro a parlare delle loro inquietudini, e magari da dar loro qualche carezza, noi invece magari siamo capaci solo di commenti che dovrebbero farci vergognare.
605c4ecb-8169-4fcd-9e0_optQuesta situazione ci interpella
Questi fatti mi turbano profondamente, sia come educatore, che come padre, che come semplice cristiano. Mi sono spesso chiesto se non sia il caso di chiedere perdono a Dio! Perdono per per la mia indifferenza, per la mia incapacità, perdono a tutti voi ragazzi che ci guardate e non vedete più la luce di quel Signore in cui splende la Vita e che anch’io ho offuscato.
Presto, siamo ancora in tempo, non perdiamoci nelle solite chiacchiere. Mettiamo al centro il nostro obiettivo: la persona! E quando dico questo intendo dire le famiglie, i giovani, con le loro storie, la loro vita!
Scuotiamoci dal nostro torpore, accettiamo la sfida del tempo presente! Scendiamo dalle nostre convinzioni e sporchiamoci le mani con i dubbi degli altri.
Forse, potrebbero essere proprio quei dubbi, a scrostare le nostre facciate, a farci riscoprire, insieme alla fragilità altrui, anche la nostra.
Forse solo allora potremo realmente metterci in cammino insieme a loro e sperimentare la meraviglia di SENTIERI che allontanano un po’ di più da noi stessi, ma avvicinano certamente a Dio.

Approfondimento IL DESIDERIO DI DIO Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono lele coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti. è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.
Approfondimento
IL DESIDERIO DI DIO
Le tragedie di giovani, morti improvvisamente scuotono le coscienze. Le chiese si riempiono di nuovo, i ragazzi vogliono essere presenti a queste liturgie di saluto ai loro coetanei morti troppo presto; il loro desiderio di Dio non è perso per sempre. E noi siamo ancora qui a parlare e a guardarli come se fossero creature distanti.
è tempo di scrostare le nostre facciate di “adulti”.

Il filo rosso che ci guida nel n.10 di Sentieri

WhatsApp Image 2017-02_opt*di Marco e Donatella Carmine*
COME FAR CONOSCERE IL SIGNORE AI GIOVANI SE NON ATTRAVERSO LA VIA DELL’AMORE?
Occorre promuovere una pastorale giovanile a partire dall’esperienza di Dio?
In questo articolo si legge la convinzione che può portare un giovane alla fede attraverso “belle esperienze” di incontro personale con il Signore.
Certamente è data all’uomo la conoscenza di Dio attraverso la mente, la ragione, ma è necessario che si arrivi a Dio anche attraverso i sentieri del cuore.

IL BEL PASTICCIO DELL’AMORE
Prosegue il percorso sul tema dell’affettività a misura di ragazzi: questa volta Giorgio e Silvia fanno una verifica dello scorso incontro di gruppo, durante il quale hanno presentato al gruppo dei ragazzi la loro relazione di coppia. Anche i ragazzi fanno la loro verifica, dalla quale emergono interessanti riflessioni, che consentono di tracciare alcune caratteristiche fondamentali di un educatore che vuole affrontare questi temi nel proprio gruppo. Le troverete sintetizzate in pillole lungo l’articolo…e non perdetevi il prossimo numero sul DECALOGO IN UNDICI PASSI.

IL DIO DEI VIVI, O IL DIO DEI MORTI?
I destinatari di questo articolo sono certamente i lettori con qualche anno sulle spalle – genitori, catechisti o sacerdoti – ai quali è rivolta una riflessione ed un invito, in merito alla quasi totale assenza dei giovani dalle nostre celebrazioni. Giovani che rivediamo nelle chiese gremite solo quando si celebra il funerale qualche compagno o amico morto tragicamente. Una presenza che non resta silenziosa, anzi che vuole quasi rumorosamente farsi presente: con gli applausi, i lanci di palloncini o i pensieri letti dall’ambone prima del congedo finale. Allora l’invito è innanzitutto quello di chiedere perdono a Dio per l’indifferenza e l’incapacità di affascinare questi ragazzi, e di imparare a sporcarci le mani con i loro dubbi uscendo dalle nostre convinzioni “di cristiani adulti e maturi”.

Depositphotos_12801503_optGLI SCONOSCIUTI DI FACEBOOK e L’ALTRA FACCIA DI FACEBOOK
Finalmente parliamo di Facebook: il social che ha coinvolto giovani e adulti in un comune raccontarsi sulla pubblica piazza virtuale di internet. In questo numero ne parliamo attraverso il racconto di una esperienza di un DON coraggioso che, non considerando il mondo social come il mondo del diavolo e della perdizione, lo sfrutta quale strumento di annuncio e soprattutto ne trae alcune interessanti “convinzioni”…da non perdere al termine dell’articolo. Continua poi la riflessione sul mondo di Facebook attraverso un approfondimento che, partendo dalla rilettura dell’esperienza del DON, confuta la convinzione che non è proprio vero che ”dipende dall’uso che se ne fa”, aiutandoci a distinguere quale sia il rapporto tra mezzi/fini e la loro separazione/unione.

“COME VORREI CHE NASCESSE UN’ALLEANZA, TRA IL TUO AMORE E IL MIO”
Adamo ed Eva erano nudi … non provano vergogna, ma dopo il loro peccato si nascondono a causa della loro nudità. Allora il peccato è solo una questione di sesso?

COME EDUCARE I GIOVANI ALLA CONVERSIONE E ALLA LIBERTA’
Distinguere tra peccato e senso di colpa, educare alla coscienza che ciò che dobbiamo confessare innanzitutto è il rifiuto di una proposta di amore e di comunione con Dio e non solo la trasgressione di norme e regole, capire che i comandamenti sono la via per vivere in amicizia e partecipare alla vita divina. Non sempre queste dimensioni sono chiare e ne abbiamo una piena e consapevole coscienza. Attraverso questo articolo è possibile aiutare ogni educatore a fare un proprio camino di riflessione ed approfondimento su questi temi ed aspetti della propria vita di fede, prima di parlarne con i ragazzi.

LA PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE
Attira curiosamente l’attenzione la parola Didaché, che cosa sarà?
E’ un testo cristiano nel quale possiamo riscoprire la bellezza del popolo cristiano “stretto intorno alla mensa e costruito in un solo corpo dall’Eucarestia”. Viene descritto in modo molto bello il momento dell’offerta che è sempre dono della nostra vita perché sia unita a Cristo.
Perché la profondità del mistero offertoriale possa essere compreso dai ragazzi, è stata aggiunta anche una scheda di “pronto intervento”, suggeriamo un’attività per sperimentare quanto scoperto.

LA PROFONDITÀ DELLA SCIMMIA
Gabbani a Sanremo ha fatto sorridere molti con la sua scimmia nuda, che ironizzava sulla ricerca di spiritualità dell’uomo moderno, mentre altri hanno considerato la canzone come una accozzaglia di riferimenti a caso, con il solo scopo di vendere. Non sposando nessuna delle tesi in questo articolo siamo aiutati a rivedere la scimmia di Gabbani cambiando la prospettiva da cui lo osserviamo, soprattutto se siamo educatori o catechisti con qualche anno in più; la prospettiva in cui mettersi è quella di sempre, quella DEI RAGAZZI, in questo modo Gabbani potrebbe diventare una buona occasione per affrontare con loro tematiche “ostiche” come la ricerca della spiritualità, le scoperte della scienza, ecc. Buon lavoro…ballando…

SERVO DI DIO MATTEO FARINA
La santità è ancora possibile oggi: la vita di Matteo Farina, un giovane brindisino morto a 19 anni il 24 aprile 2009, ci dimostra come si possa diventare santi tra i banchi di scuola, vivendo una vita normale, seppur segnata dalla malattia e dalla sofferenza.

B DI BENEDIZIONE
Continua il glossario per rendere sempre più “vive” le parole che cadono sulla nostra testa, comprenderle meglio può aiutare a ritrovare un senso spesso perduto.

Il bel pasticcio dell’amore

95fb09e6-ba7c-467f-a9c_opt*di don Mario Simula*
Giorgio non crede ancora a quello che è avvenuto con i ragazzi. Silvia è più sicura e il suo viso manifesta un’evidente soddisfazione.
Si guardano negli occhi, seduti uno davanti all’altra. Resistono bene lo sguardo reciproco. Non hanno nulla da rimproverarsi. Possono soltanto essere soddisfatti di quell’incontro, tanto temuto, con i ragazzi del gruppo.
“Siamo stati proprio coraggiosi”, dice Giorgio. “Coraggiosi perché? Stavamo parlando della nostra esperienza. Se non ci appartiene quella, cos’altro possiamo raccontare di efficace e di credibile!”.
“Hai ragione, Silvia, ma tu non sai quanti incontri sui ragazzi e le ragazze erano naufragati prima di giovedì scorso?”.
“Giorgio, sei proprio una persona con gli occhi dietro la nuca. Guarda avanti. Se devo sposare, domani, un giovane in retromarcia, non faccio proprio un grande affare. Hai notato come erano luminosi gli occhi di Ester quando tu prendevi la parola. Mi è sembrato, in certi momenti, che si fosse presa una sbandata nei tuoi confronti. Non parliamo di Tullio. Sempre timido e ragazzo di seconda fila, sembrava cresciuto di botto. Gli mancava proprio che qualcuno, finalmente, liberasse il suo cuore. Forse sta corteggiando, più con la fantasia che in realtà, Caterina che, spiritosa com’è, lo fa patire da matti. E lui ci prova, timidamente. Sembra terrorizzato al pensiero che lei possa, un giorno, manifestargli un po’ di attenzione”.
maxresdefault_opt“Ma che diavolo, Silvia. Tu hai notato tutte queste cose?”.
“Anche molte altre. Non posso dirtele adesso, in una sola volta, altrimenti ti lasci prendere dal complesso di inferiorità e vuoi sempre me come spalla per i tuoi incontri. E poi, Giorgio,
• se non sappiamo osservare la vita dei ragazzi
• e non proviamo per loro una simpatia a tutto campo
• e non affrontiamo i problemi che li appassionano e li sconvolgono
• e non entriamo nei labirinti della loro esperienza
• e non accogliamo la loro esuberanza
• che senso ha fare l’educatore?”.
“Non mi dire che vuoi essere educatrice con me? Non mi sembrerebbe vero. Sono sicuro che insieme saremo una bomba! Hai pensato questo?”.
“E no, bello mio! Io ti sono venuta in aiuto perché dovevamo parlare di noi due, di come ci siamo conosciuti, ahimè. Ma da qui ad accettare di fare la tua spalla, ne corre di strada!”.
“Ho capito. Me la devo sbrigare da solo! Anche se, prima o poi, ci cascherai. Sei troppo brava con i ragazzi e loro provano una grande simpatia”.
“Perché avevi dubbi? O ti sei dimenticato dei tempi del corteggiamento, quando ti trovavo ad ogni passo e mi mandavi centomila messaggi? Ogni tanto anche un fiore”.

Un giorno o l’altro ci cascherai: sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero, sarà il messaggio inatteso. Ma ci cascherai. Attento però a: - non cascare dalle nuvole - guarda con gioia la novità di un’età che cresce - diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare - anche con i brufoli - l’amore non è una controindicazione - l’amore è una grazia - viverlo bene è un dono - preparalo perché diventi una vocazione
Un giorno o l’altro ci cascherai:
sarà l’occhio languido, sarà il gesto tenero,
sarà il messaggio inatteso.
Ma ci cascherai. Attento però a:
– non cascare dalle nuvole
– guarda con gioia la novità di un’età che cresce
– diventa amico e amica dello specchio per familiarizzare
– anche con i brufoli
– l’amore non è una controindicazione
– l’amore è una grazia
– viverlo bene è un dono
– preparalo perché diventi una vocazione

COSA PENSANO I RAGAZZI?
Intanto i ragazzi si incontrano in piazza e fanno i loro commenti. O credevate che rimanessero zitti?
Angelo è rimasto folgorato e continua a dire: “Quella Silvia è proprio fighissima. Avete visto come non si impapera mai. Parla chiaro. Sorridente. Poi dice cose giuste. Sembra una tutta d’un pezzo, che sa il fatto suo!”.
• Educatrice in pectore dal portamento tranquillo, rassicurante e luminoso.
• L’opposto rispetto all’educatore musone, brontolone, sempre scontento, capace soltanto di rimproverare e di fare prediche.
Michele che guardava Silvia con occhi intensi: “Ne sa, quella! E non teme a rispondere a tono. Non si perde davanti a nessuna domanda. E’ proprio fortunato Giorgio ad averla incontrata.
A me piacerebbe una ragazza come lei”.
• Educatrice non arrogante, ma sicura di sé.
• Capace di non smarrirsi e di non entrare in crisi se le sembra di aver fatto una figura così così.
• Educatrice che compensa bene la sua vita personale e il suo servizio agli altri.
Claudia che da tempo ci sta provando con Alberto: “A me sembrano la fine del mondo insieme. E’ come se si fossero conosciuti da sempre”.
• Educatore ed educatrice che sanno essere autorevoli anche nella loro vita personale.
• Non la sentono come un peso, soltanto perché è coerente. La sperimentano come una chiamata.
Corrado fa un’osservazione molto acuta: “Stanno insieme eppure sanno ragionare ciascuno con la propria testa. Sono diversissimi. Non ci tengono ad essere incollati uno all’altra. Quando devono dire la loro sono molto autonomi. Si devono essere proprio allenati a stare insieme in quel modo”.
• Educatore ed educatrice che hanno idee originali, le condividono ma non le sovrappongono.
• Diversi e per questo ricchissimi. Le fotocopie non sono utili per educare.
• Mai vicini, non perché non gli piace, ma soltanto perché quello non è il momento.
• Sanno vivere come persone non come fratelli siamesi.
• Hanno iniziato un buon tirocinio per stare insieme.
Elisabetta “Vedete, loro hanno vissuto per anni l’esperienza del gruppo. Nel gruppo è nata la loro amicizia e il loro amore. Nel gruppo hanno imparato a stare con tutti, a non isolarsi, a non dipendere l’uno dall’altra”. Soltanto Elisabetta poteva fare un’osservazione così saggia e acuta.
• Educatori che nel gruppo sono cresciuti.
• Nel gruppo hanno scoperto la loro vita.
• Con gli altri hanno appreso l’arte di creare unità e comunione.
• In gruppo, cioè stando insieme, sono diventati capaci di autonomia.

I ragazzi
tutti a una voce:
“Cosa ne dite se arruoliamo anche Silvia come educatrice? Se glielo dice Giorgio dirà certamente di no, ma se glielo diciamo noi …?”

“Ci proviamo. Speriamo che si lasci corrompere!”.

 

Stupendo e impegativo  Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.
Stupendo e impegativo
Gira la frittata come vuoi. Senza sentimenti non si vive. Scappa, cerca, fa finta di non essere maschio o femminuccia, alla fine ti trovi sempre lì: imbambolato davanti a quell’amico o a quell’amica. Sarà uno scherzo? Tutt’altro. E’ proprio un bisogno. Stupendo e impegnativo.

LA VERIFICA DI GIORGIO E SILVIA
Anche Giorgio e Silvia, fanno la verifica dell’incontro.
Da tempo hanno capito che:
• Non si archivia ogni incontro, dicendo: “Anche questo è fatto!”.
• Bisogna ritornarci su.
Giorgio è il più esperto su quel gruppo di ragazzi. Parla a ruota libera.
“Hai notato? Luigi è proprio imbranato. Ad ogni accenno un po’ delicato, diventa rosso e vorrebbe scomparire. Bisognerà incontrarlo da parte, non per fargli la romanzina o la lezione di recupero, ma per incoraggiarlo a credere in se stesso. So che si fida di me. Cosa ne dici se ci provo?”
“Va benissimo, attento, però, a non diventare rosso tu. Sarebbe un brutto affare. I ragazzi si accorgono subito come si fa a mettere in difficoltà il loro educatore. Anche se sono ragazzi timidi”.
• Se un ragazzo si trova a disagio, non lo emargino; lo incoraggio e lo aiuto.
• Davanti a temi più delicati alcuni ragazzi aspettano un soccorso. Non insistiamo su di lui. Passiamo oltre con molta delicatezza. Troveremo dopo il momento giusto per avvicinarlo.
• Non si rimprovera un ragazzo perché non parla. Non conosciamo la ragione. Dobbiamo aspettare.
• Lo incontriamo da solo, con naturalezza, per parlare del più e del meno. Da lì si inizia.
“Mi ha molto colpito Luisella. La conosco da piccola. Adesso si è fatta talmente grande e carina che talvolta mi viene da chiedermi come stia vivendo questa stagione della sua adolescenza. Si cura nei dettagli. Cerca di mettersi in mostra. Se un amico sta pensando ad altro, appena la vede la nota e la scruta. Lei rimane molto compiaciuta. Forse dobbiamo avere verso di lei un’attenzione particolare, da persone mature”.
“Non te ne sarai innamorato?!”.
“Scema. Non sai pensare ad altro? Allora tu sei gelosa!”.
• La bellina del gruppo ci permette di rifarci gli occhi. Non colpevolizziamola chiamandola “oca giuliva” o accusandola di “civetteria”.
• Forse vive un’adolescenza più turbolenta. Accorgiti di lei, senza prenderla sotto le tue ali. Non preferirla a nessuno. Non ne ha bisogno per esistere, le servirebbe soltanto per farsi notare.

TIRIAMO LE SOMME

“Facciamo i seri. Hai proprio ragione, Giorgio. Noi abbiamo tra le mani un’età affascinante e problematica. In questi due o tre anni i ragazzi si giocano molte carte del loro futuro. E la dimensione affettiva è quella più delicata e fragile”.
Rimangono pensosi. A un certo punto sempre Silvia aggiunge:”Io non voglio fare l’educatrice, ma voglio darti una mano. Poi si vedrà. Proviamo a pensare ad una specie di prontuario del “primissimo amore”, quello tenero e acerbo sul quale si misurano questi ragazzi”.

A Giorgio non sembra vero. Nelle sue aspettative c’è sempre un “SI!” di Silvia come futura educatrice. D’altra parte, se si vuole educare in maniera completa, matura ed efficace, ci vuole un ragazzo e una ragazza. Se poi stanno insieme come coppia e bellini come sono loro, Giorgio e Silvia …
Non perdetevi la prossima puntata sul DECALOGO IN UNDICI PASSI

Come far conoscere il Signore ai giovani se non attraverso la via dell’amore?

Depositphotos_11790528_opt*di mons. Simone Giusti*

Dove risiede oggi la possibilità di un radicamento della fede cristiana nelle nuove generazioni, se non in belle esperienze di incontro personali con il Signore e in belle esperienze di appartenenza e di condivisione ecclesiale?

Afferma Pàvel Nikolàjevîc Evdokìmov: «Si dimostra l’esistenza di Dio con l’adorazione, non con le prove»[1]. Certo questa tesi può apparire alquanto radicale e svilente l’intelligenza dell’uomo a cui è dato, per grazia di Dio, di poter, dalla creazione in poi, contemplare con l’intelletto le sue perfezioni invisibili nelle opere da lui compiute (Rm 1,18-20), ma nella sua unilateralità ci richiama con forza alla via del cuore, alla via della preghiera, alla via della carità. È data certamente all’uomo la possibilità di una conoscenza di Dio grazie all’intelletto (Rm 1,1), ma ugualmente è donata a ogni persona la grazia di conoscerlo attraverso i sentieri del cuore. Prova ne è che la Chiesa annovera fra i suoi dottori teologi sommi come san Tommaso d’Aquino e illetterati come santa Caterina da Siena. In un tempo in cui la ragione, la verità, sembrano smarrite e l’intelligenza dell’uomo non arriva neppure più a riconoscere al proprio figlio il diritto alla vita, occorre, contemporaneamente agli itinerari catechistici, far vivere ai ragazzi e ai giovani, esperienze prettamente orientate all’educazione alla vita interiore, alla preghiera e alla vita di carità.

La razionalità occidentale ha bisogno dell’esperienza mistica
La razionalità
occidentale
ha bisogno
dell’esperienza
mistica

La razionalità occidentale oggi ha estremo bisogno di essere illuminata tramite l’esperienza mistica anche e soprattutto quella dei ragazzi e dei giovani. È questa la direzione indicata da Giovanni Paolo II quando ha affermato: «Non esito a dire che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quello della santità (…) sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religione superficiale (…). È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura alta della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione (…). I percorsi della santità esigono una vera e propria pedagogia della santità. Per questa pedagogia della santità c’è bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’arte della preghiera» (Novo millennio ineunte 32). La grande tradizione mistica della Chiesa, sia in Oriente che in Occidente, può dire molto a tal proposito. Essa mostra come la preghiera possa progredire, quale vero e proprio dialogo d’amore, fino a rendere la persona totalmente posseduta dall’Amore divino, vibrante tocco dello Spirito. Si fa allora l’esperienza viva della promessa di Cristo: «Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21). Si tratta di un cammino interamente sostenuto dalla Grazia, che chiede tuttavia forte impegno spirituale e conosce anche dolorose purificazioni (la «notte oscura»), ma approda in diverse forme possibili, all’indicibile gioia vissuta dai mistici come «unione sponsale». «Sì, carissimi fratelli e sorelle», ribadiva con forza Giovanni Paolo II, «le nostre comunità cristiane devono diventare autentiche “scuole” di preghiera» (Novo millennio ineunte 30-33). Il giovane dovrà intuire, sperimentandola, la presenza e la bellezza di Dio. Solo dopo può avvenire la scelta di essere cristiano e quindi vivere appieno un percorso mistagogico verso la Solenne eucaristia della professione della fede. Occorre promuovere quindi una pastorale giovanile a partire dall’esperienza di Dio, da un’esperienza sacramentale del Signore, ovvero si dovrà promuovere una pastorale sempre più mistagogica.

ECCO LA STRADA
Giovanni Paolo II lo dice nella “Novo millennio ineunte”: mostrare Dio alle persone significa condurle attraverso percorsi di santità, attraverso la preghiera, l’esperienza mistica e sacramentale. Occorre partire dall’esperienza di Dio per colmare il vuoto lasciato dalla razionalità occidentale, solo dopo può avvenire la scelta.

[1] Cfr. Teologia della bellezza, EdP.

La preghiera dei fedeli

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La preghiera dei fedeli è la preghiera universale

*di don Walter Ruspi* Salmo 85
Sei stato buono, Signore, con la tua terra,
hai ristabilito la sorte di Giacobbe.
3 Hai perdonato la colpa del tuo popolo,
hai coperto ogni loro peccato.
8 Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
10 Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.
11 Amore e verità s’incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
12 Verità germoglierà dalla terra
e giustizia si affaccerà dal cielo.
13 Certo, il Signore donerà il suo bene
e la nostra terra darà il suo frutto;
14 giustizia camminerà davanti a lui:
i suoi passi tracceranno il cammino.

Cosa sono i salmi, e a cosa servono? Nella Bibbia ce ne sono 150, e vengono considerati tra le preghiere più sublimi
Cosa sono i salmi, e a cosa servono?
Nella Bibbia ce ne sono 150, e vengono considerati tra le preghiere più sublimi

Il salmo è come un itinerario educativo alla preghiera, che si sviluppa su di un ritmo scandito in tre tappe: si apre con una iniziale “captatio benevolentiae” (v. 2-3); rivolge, poi, al Signore una domanda diretta, una supplica (v. 8); infine, prosegue con una insistente domanda accompagnata dalla certezza di vedere esaudita la richiesta (v. 10). Il salmista esercita l’arte della persuasione.
Il salmo si conclude indicando il modo con qui Dio esaudisce la preghiera: gli Attributi di Dio (Amore e Verità, Giustizia e Pace) trasformeranno la vita del popolo.
Coloro che hanno ascoltato la Parola pregano, ma non per sé, ma per gli altri. La preghiera dei fedeli, che segue la professione di fede o credo, si chiama preghiera universale ed è così precisata nelle Istruzioni liturgiche proprie del Messale Romano:
«Nella preghiera universale, cioè nella preghiera dei fedeli, esercitando la sua funzione sacerdotale, l’assemblea prega per tutti gli uomini. È opportuno che, nelle messe a partecipazione popolare, questa preghiera sia fatta in modo tale che le invocazioni riguardino la santa Chiesa, i governanti, coloro che versano in particolari necessità, tutti gli uomini e la salvezza di tutto il mondo».
E’ preghiera per gli altri: le chiese, i responsabili delle istituzioni pubbliche, i poveri, gli uomini tutti e il mondo intero. È preghiera detta universale: l’assemblea celebrante non parte da sé ma dall’altro, non pensa al proprio mondo ma al mondo, senza distinzione, neppure tra credenti e non credenti, come se del mondo fosse il cuore che palpita e pensa.
Non solo per il credente del nostro tempo, ma per quello di tutti i tempi la preghiera è «la prova», il segno, della fede, e non solo la preghiera fatta in segreto, ma la stessa preghiera rituale, pubblica e istituzionale. In quanto figura istituzionale, al di là delle condizioni soggettive dell’orante, la preghiera è linguaggio che parla a tutti e dice, al credente e al non credente che l’uomo non è solo ma alla presenza di un’alterità, e che l’identità dell’io è un tu o partner dell’alterità divina.
L’uomo non è il soggetto, il protagonista della preghiera; in realtà la preghiera non è iniziativa dell’uomo ma iniziativa di Dio, non il movimento che dall’uomo sale a Dio ma il movimento che da Dio discende all’uomo il quale, trovandosi all’improvviso alla presenza di Dio, è come sorpreso e preso – e trasportato – su un altro piano: il piano dove, al di là della sua volontà, intelligenza, bisogno o desiderio, è il tu o partner di un’alterità che non ha scelto ma dalla quale è stato scelto e alla quale non può non rispondere.
La preghiera, più che attestazione degli uomini che parlano a Dio, è attestazione di Dio che parla agli uomini, irrompendo nella loro storia e sconvolgendola per introdurvi dentro l’al di là della storia (intendendo per storia l’insieme dei fatti umani e delle concatenazioni dei progetti umani), che è la trascendenza del suo amore che della storia è misura e giudizio.
Se nulla è più grande di un uomo che prega, è perché questi, con la sua preghiera, attesta l’al di là del mondo che, dentro il mondo, ne infrange la chiusura e lo apre alla relazione con l’alterità divina. La novitas che la preghiera attesta – la sua dimensione sconvolgente e davvero rivoluzionante – è la rottura dell’identità e l’instaurazione della relazione di alterità dove l’io si libera dal suo incatenamento a sé e vive come un “tu” eletto da Dio e suo partner.

Non ascesa dell’uomo a Dio ma discesa di Dio all’uomo. Se la preghiera fosse movimento dell’uomo verso Dio, essa, come vogliono i maestri del sospetto, sarebbe produzione del bisogno o desiderio dell’io che, pregando, si servirebbe di Dio piuttosto che servirlo (tentazione tipica del credente, sempre sospeso tra la possibilità di servirlo o di servirsene!). Ma appunto perché non è movimento dell’uomo verso Dio ma discesa di Dio verso l’uomo, la preghiera non è conferma dell’io e della sua volontà di potenza, ma la sua messa in discussione.
«La vera preghiera non è mai per sé, mai per i propri bisogni» ma, per il bisogno degli altri, siano questi «altri» i credenti («la preghiera sia fatta in modo tale che le invocazioni riguardino la santa Chiesa»), i responsabili della cosa pubblica («i governanti»), i bisognosi («coloro che versano in particolari necessità»), gli abitanti della terra («tutti gli uomini») o il pianeta stesso («e la salvezza di tutto il mondo»).
E se si dovesse pregare per sé, il senso della preghiera per sé non sarebbe quello di piegare Dio a sé quanto di consegnare il proprio sé a Dio, nelle sue povertà e nelle sue ferite.

La preghiera per i bisogni altrui ci pone un’ulteriore domanda: se il pregare per gli altri ha senso o se esso non sia un modo illusorio per consolarsi e deresponsabilizzarsi, come rimproverano molti dei suoi critici. La risposta emerge con evidenza: pregare per l’altro non vuol dire affidarlo a Dio perché sia Dio a rispondere al suo bisogno, ma affidarsi a Dio, prendendosi carico del bisogno altrui divenuto più importante del proprio.
La preghiera liturgica ci offre una spiritualità, uno stile di impegno cristiano, una via sicura per non cadere nelle reti di un soggettivismo oppressivo e schiavizzante nelle nostre semplici emozioni. Educarsi alla liturgia non è renderla “simpatica”. Il cardinale Joseph Ratzinger nel suo libro Introduzione alla spiritualità della liturgia, scriveva “tale attrattiva non dura a lungo; sul mercato delle offerte per il tempo libero, che assume sempre più forme del religioso per stuzzicare la curiosità del pubblico, non si regge la concorrenza”. La liturgia va accolta per ciò che essa è realmente. “Non andiamo a Messa per cercare uno svago, ma per pregare” (card. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, 27 ottobre 2016).

La liturgia è una solida cerniera fra umano e divino. Breve scheda di pronto intervento
di don Rosario Rosarno

Non dare direttive, lasciali fare, falli sistemare come meglio credono (che poi è come per anni gli è stato insegnato).  La loro posizione ti soddisfa? Ti sembra un atteggiamento di preghiera? Credo di  sì…perché ogni uomo, seppur ragazzo, ha il senso di Dio nel cuore e il richiamo alla preghiera lo esprime a momento opportuno.
Non dare direttive, lasciali fare, falli sistemare come meglio credono (che poi è come per anni gli è stato insegnato).
La loro posizione ti soddisfa? Ti sembra un atteggiamento di preghiera? Credo di
sì…perché ogni uomo, seppur ragazzo, ha il senso di Dio nel cuore e il richiamo alla preghiera lo esprime a momento opportuno.

Invita i ragazzi a disporsi nel modo più conveniente per la preghiera.

Ora proponi loro di fare delle preghiere spontanee: difficilmente si lasceranno andare, difficilmente metteranno in tavola ciò che hanno dentro, difficilmente ‘scopriranno le carte’ delle loro paure o ansie o aspettative.

Adesso falli mettere uno spalle all’altro in cerchio, molto stretti e vicini tra loro, devono riuscire a ‘sentirsi vicini’, oltre il limite della distanza personale. Piano piano falli scendere verso il pavimento finchè non riescono a sedersi l’uno sulle ginocchia dell’altro. Ci sono riusciti? Bravissimi! Che equilibrio! Tutto è in equilibrio, basta una risata o un respiro più forte e tutti cadono.

Ecco: in questa posizione ora puoi spiegare loro il vero senso della preghiera dei fedeli [leggi prima l’articolo di don Walter Ruspi]. La preghiera dei fedeli è notare il bisogno dell’altro, ma non di quello lontanissimo da me, ma di quello più vicino e non solo ‘affidarlo a Dio’, ma ‘farsene carico’. Così come sono seduti, il ragazzo che sta dietro ha sulle sue ginocchia il ‘carico’ del ragazzo seduto su di lui. Non dice: ‘Vai da un altro’, ma ‘Siediti, ti porto io!’. La preghiera dei fedeli, la preghiera in generale è sempre per gli altri: ‘Signore Gesù, ho visto che quel mio amico ha la mamma con un tumore, dai loro la forza di affrontare la situazione’ è una possibile preghiera, ma io che faccio? Vado a casa di quest’amico e gli sto vicino, magari non può essere accompagnato in macchina a scuola perché la mamma sta male, io gli do un passaggio. Ecco che così la preghiera fatta a Dio diventa con me vita e testimonianza. E come io riesco a prendermi il peso, i problemi, le ansie, le paure e i desideri di chi mi sta accanto, così durante la Messa la Chiesa mi tiene sulle ginocchia e si fa carico di me, delle mie ansie delle mie paure e dei miei desideri: hai mai sentito pregare per i giovani durante la preghiera dei fedeli? Ecco che la Chiesa si stava facendo carico di te… E ma per me non prego mai? Certo! Ma non per chiedere, bensì per ringraziare che Dio ti ha dato qualcuno che si è ‘fatto carico’ di te… dietro di te c’è uno che ti tiene sulle sue ginocchia!!

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OCCASIONE DI SPIRITUALITÀ La preghiera liturgica offre una via sicura per non cadere nelle reti di un soggettivismo oppressivo. Educare alla liturgia non è renderla più”simpatica”, non andiamo alla Messa per cercare uno “svago”, ma per pregare. Nulla è più grande dell’uomo che prega: l’io si libera dal suo incatenamento per avvicinarsi a Dio.

Fatta questa spiegazione, falli rimettere in piedi. Leggi il brano del Vangelo secondo Luca 4, 38-40: Gesù uscito dalla sinagoga entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Chinatosi su di lei, intimò alla febbre, e la febbre la lasciò. Levatasi all’istante, la donna cominciò a servirli.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva.

Oppure Luca 5, 18-26: Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui. Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza. Veduta la loro fede, disse: «Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi». Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: «Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?». Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: «Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico – esclamò rivolto al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua». Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio. Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose».

Dopo la lettura del brano, fagli notare come sono le persone che hanno portato a Gesù l’ammalato, o l’hanno pregato per lui/lei. L’ammalato l’hanno preso sulle spalle, se ne sono fatti carico e lo hanno portato a Gesù in un modo sorprendente: l’hanno sceso dal tetto!

Anche noi abbiamo tante persone o situazioni in cui ci accorgiamo che non possono farcela da soli ma che hanno bisogno di noi, di ciascuno di noi personalmente. Fai fare ai ragazzi qualche minuto di silenzio per pensare ad una persona che ha bisogno della sua preghiera e del suo aiuto. Poi recita l’invocazione dello Spirito Santo [Vieni Spirito Santo, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce per rinvigorire il nostro cuore e sentirti presente nella nostra vita] per far capire ai ragazzi che non si tratta di ‘cantarsela e suonarsela’ da soli, ma la preghiera è fatta alla presenza di Dio [ricordandosi che dove due o tre sono riuniti nel mio nome, dice Gesù, io sono con loro].

Ora fai fare delle preghiere spontanee…il risultato sarà differente dall’inizio dell’incontro.

Non dare direttive, lasciali fare, falli sistemare come meglio credono (che poi è come per anni gli è stato insegnato).

La loro posizione ti soddisfa? Ti sembra un atteggiamento di preghiera? Credo di sì…perché ogni uomo, seppur ragazzo, ha il senso di Dio nel cuore e il richiamo alla preghiera lo esprime a momento opportuno.

 

Vuoi imparare ad amare? Esercitati nella carità, quella vera

 

Un’esperienza fatta in gruppo
Un’esperienza
fatta in gruppo

*di Pierluigi Giovannetti* Quando incontriamo qualcosa di bello, è inevitabile comunicarlo agli altri. Quando ci capita qualcosa che ci rende felici, non possiamo trattenerlo, è nella nostra natura di comunicarlo agli altri. E si comunica con le parole, ma anche con l’espressione del viso e con lo sguardo sincero e radioso.
È successo proprio così al gruppetto di ragazzi della Parrocchia della SS Trinità dei PP Cappuccini di Livorno che, in preparazione al ricevimento del sacramento della Confermazione, sono stati tre giorni in “ritiro” a Borgo San Lorenzo. Lì vicino c’è la casa di riposo San Francesco, dove sono ospitati circa 120 anziani, la maggior parte non autosufficienti, assistiti da personale qualificato, in una struttura ispirata alla Casa Sollievo della Sofferenza, per l’amicizia con padre Pio che legava il fondatore, padre Massimo da Porretta. La casa è gestita dal Terz’Ordine Francescano.
Entrando in quella struttura, era evidente che tutto era orientato primariamente all’attenzione alla persona. Dal salone per parrucchiera da signora, al barbiere, al mercatino di oggetti artigianali provenienti dal laboratorio creativo degli abitanti del villaggio. Gli operatori, gioviali e accoglienti, ci hanno guidato nella visita, ci hanno fatto incontrare alcuni ospiti, ma principalmente ci hanno trasmesso quel senso della caritativa che è essenziale: imparare a vivere come Cristo.

Un’esperienza fatta in gruppo
Un’esperienza
fatta in gruppo

L’esperienza della caritativa è fondamentale nell’educazione dei ragazzi, siano essi adolescenti o giovani. Andando in caritativa, comunichiamo agli altri qualcosa di bello che è in noi, nel farlo realizziamo noi stessi, ma, la cosa determinante è imparare ad usare bene il tempo libero.
Perché nel tempo libero viene galla a che cosa uno tiene davvero. «è il piccolo tempo libero che mi educa; ciò che dà l’esatta misura della mia disponibilità agli altri è l’uso di quel tempo che è solo mio, in cui posso fare “ciò che ho voglia”. Ci formiamo così una mentalità, un modo quasi istintivo di concepire la vita tutta come un condividere.»(1)
Quando siamo usciti dalla visita alla casa di riposo, mi ha colpito il fatto che alcuni dei ragazzi hanno subito chiamato la mamma dicendo che da grandi avrebbero voluto lavorare in una struttura come quella. Chiedevano quale tipo di studio avrebbero dovuto intraprendere per qualificarsi in quel tipo di lavoro.
E poi, tornati a casa, insistevano per rendersi utili in gesti di caritativa. Qualcuno voleva andare a fare la ronda della carità, ma non essendo ancora maggiorenni, gli ho proposto di andare a portare il pacco di alimenti a una famiglia bisognosa tramite la Caritas parrocchiale. Bello come rispondono i ragazzi e l’entusiasmo che ci mettono! Ma è il tempo libero che dobbiamo impegnare e il più a fondo possibile, quel tempo che si trova sempre quando c’è qualcosa che interessa davvero. Importante che il tempo sia veramente libero, quindi senza ledere lo studio o la discrezione in famiglia.

ANDARE IN CARITATIVA Le “leggi” e le “giustizie” schiacciano dimenticando e pretendendo di sostituire l’unico “concreto” che ci sia: la persona e l’amore alla persona. I ragazzi questo lo capiscono, eppure spesso non proponiamo loro esperienze di carità, che invece possano far comprendere concretamente quanto questo sia vero. L’educazione parte anche da qui. Educare alla carità significa educare ad un atteggiamento di prossimità e attenzione verso l’altro, che poi, con normalità, si ripropone nella quotidianità, nei gesti, nelle parole, verso i compagni di scuola, la famiglia, gli insegnanti.... Le proposte possono essere molteplici: associazioni, gruppi e realtà caritative, attraverso le quali fare esperienze ce ne sono a centinaia sparse in ogni territorio, basta solo iniziare a proporle come un vero e proprio cammino di crescita e di fede.
ANDARE IN CARITATIVA
Le “leggi” e le “giustizie” schiacciano dimenticando e pretendendo di sostituire l’unico “concreto” che ci sia: la persona e l’amore alla persona. I ragazzi questo lo capiscono, eppure spesso non proponiamo loro esperienze di carità, che invece possano far comprendere concretamente quanto questo sia vero. L’educazione parte anche da qui.
Educare alla carità significa educare ad un atteggiamento di prossimità e attenzione verso l’altro, che poi, con normalità, si ripropone nella quotidianità, nei gesti, nelle parole, verso i compagni di scuola, la famiglia, gli insegnanti….
Le proposte possono essere molteplici: associazioni, gruppi e realtà caritative, attraverso le quali fare esperienze ce ne sono a centinaia sparse in ogni territorio, basta solo iniziare a proporle come un vero e proprio cammino di crescita e di fede.

Probabilmente andare in caritativa è una delle proposte più classiche che vengono fatte ai nostri ragazzi, ma andarci con questa consapevolezza, cioè che non andiamo per risolvere i problemi di quello o di quell’altro, non andiamo in nome della giustizia o del sociale, non andiamo per avere per forza dei risultati “concreti”, perché «l’unico atteggiamento concreto è l’attenzione alla persona, considerare la persona, l’amore», beh, è veramente un’altra cosa.

«Le “leggi” e le “giustizie” schiacciano dimenticando e pretendendo sostituire l’unico “concreto” che ci sia: la persona e l’amore alla persona […]. Proprio perché li amiamo, proprio per il condividere con loro, non siamo noi a farli contenti; e che neppure la più perfetta società, l’organismo legalmente più saldo, la ricchezza più ingente, la salute più di ferro, la bellezza più pura, la civiltà più “educata”, li potrà mai fare contenti. È Cristo che li fa contenti, chi è ragione di tutto, chi ha fatto tutto: Dio»(2)
Proviamoci ad educare i nostri ragazzi in questa prospettiva, saremo stupiti di vedere di che cosa sono capaci! Una educazione così alla caritativa ha un unico scopo, quello di imparare il valore della carità a scuola, verso i compagni e in famiglia: diventa un modo di essere diverso, che attrae. Provare per credere!
1 L.Giussani, il senso della caritativa”, Società Cooperativa editoriale Nuovo Mondo, Milano, 2005
2 Ibidem

Educare al silenzio: la forza dell’amore

20150109_134756_fmt*di don Gianfranco Calabrese* Il silenzio nasce da un cuore che ama e pensa
L’amore non è un semplice sentimento, né un’emozione istintiva, ma un atto libero e volontario. È un atto responsabile che ha radici profonde: la volontà e l’intelligenza. L’amore umano profuma di libertà. Nessuno può essere obbligato o costretto ad amare. Non è sufficiente legare l’amore ai sentimenti e alle sensazioni che si possono provare nei riguardi di un persona. La volontà non si identifica sempre con il sentimento, con la passione o con l’istinto, ma trova la propria ragione nell’intelligenza e nel pensiero umano. Sono le motivazioni della mente e le ragioni del cuore, che confortano la volontà, illuminano il cammino della libertà e permettono di vivere relazioni e rapporti che fanno crescere e maturare ciascuna persona.

love_fmtPer vivere la forza dell’amore è necessario, dunque, educare i giovani a comprendere se stessi e gli altri, a pensare e ragionare con calma, a scegliere senza impulsività, non nella logica del tutto e subito. Il cuore, fonte dell’amore, si rinforza amando in modo intelligente e libero. Per raggiungere questa meta diventa fondamentale educare i giovani al silenzio e al raccoglimento. Risuonano sempre profonde ed attuali le riflessioni di S. Anselmo d’Aosta nel suo libro Proslogion: «Esortazione della mente a contemplare Dio».
Rivolgendosi all’uomo che cerca Dio, egli afferma che il desiderio dell’amore e l’intelligenza della fede non possono essere separate, ma devono essere unite. Il silenzio dell’accoglienza dell’altro si rivela e si manifesta nella libertà e nella gratuità dell’amore e conduce chi cerca ad incontrare colui che si cerca, Dio o l’altro: «Insegnami a cercarti, e mostrati a me che ti cerco. Io non posso cercarti se tu non mi insegni, né trovarti se tu non ti mostri. Che io ti cerchi desiderandoti, che ti desideri cercandoti, che ti trovi amandoti, e che ti ami trovandoti». É un meraviglioso cammino che deve essere proposto ai giovani. Il silenzio in una società del rumore, la forza dell’amore in un mondo nel quale dominano i sentimenti deboli, la bellezza di relazioni stabili contro la paura verso tutto quello che è impegnativo e costante, sono le sfide di una seria pastorale giovanile. Per scoprire le ragioni dell’amore è fondamentale scavare dentro di sé, nella ricerca faticosa del tesoro nascosto e della perla preziosa.
fields_of_glory_by_hel_fmtNon avere paura della verità
Il silenzio non è semplicemente un modo utile per spogliarsi delle tante preoccupazioni che affollano la nostra mente, per liberarsi dalle diverse occupazioni che impediscono di pensare o di entrare in noi stessi. Il silenzio ci permette di capire ciò che ci può rendere veramente felici. I veri valori non passano e non sono mai superficiali, ma profondi e richiedono un’attenzione che solo il silenzio interiore può far scoprire. Quando un velocista deve affrontare una gara, trova sempre un po’ di tempo per raccogliersi nel silenzio e concentrarsi. Il silenzio è la porta per entrare nella verità di sé e per cogliere la verità degli altri. Se non si riesce a fare silenzio si rischia di lasciarsi affascinare da ciò che è apparenza e che ci conduce lontano dalla verità. Non bisogna avere paura del silenzio. L’abbondanza delle parole e la frenesia delle azioni, di fatto nascondono la paura della verità. Parlare tanto non significa dire cose importanti o comunicare valori o idee essenziali per la vita. Spesso l’incapacità di fare silenzio copre una debolezza dell’animo umano, nasconde le false sicurezze spacciate per verità assolute. L’animatore che cerca di educare i giovani al silenzio e al raccoglimento, li prepara non solo a scoprire le verità che albergano nell’intimo del loro cuore, ma anche i valori che sono la roccia sulla quale è possibile costruire la loro casa. Dal silenzio nasce il dialogo, si supera il rischio del monologo e dell’isolamento. Nel silenzio il gruppo dei giovani si consolida nella verità delle relazioni e si rafforza nonostante le differenze e le difficoltà. Se si cerca la verità e non si ha paura dei propri errori e dei propri limiti, se si vuole crescere nel bene e si è disponibili a cambiare, allora non si ha paura del silenzio, anzi lo si cerca come l’acqua nel deserto.

L’incontro... La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio. L’incontro avviene nella vita quotidiana, nella dolcezza dei sorrisi e dei volti che incrociamo: la vita spirituale degli animatori nasce ogni giorno, semplicemente scoprendo quello che abbiamo intorno.  
L’incontro…
La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio.
L’incontro avviene nella vita quotidiana, nella dolcezza dei sorrisi e dei volti che incrociamo: la vita spirituale degli animatori nasce ogni giorno, semplicemente scoprendo quello che abbiamo intorno.

Il silenzio e l’incontro con Dio: la tenerezza dell’amore
Nell’antico testamento il racconto dell’incontro tra Dio e il profeta Elia è fondamentale per comprendere il valore del silenzio, per educare dei giovani alla preghiera e all’incontro con Dio: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spazzare le rocce danati al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna» (1 Re19,11-13). In questa narrazione c’è tutta la potenza dell’amore di Dio che si rende presente nella brezza leggera e che chiede agli uomini l’ascolto, attento e vigilante. La tenerezza dell’incontro con Dio può avvenire se l’uomo educato al silenzio scopre che Dio non è nel fuoco, nel terremoto e nel vento, espressioni della forza della natura, ma nel dono dello Spirito Santo, nel vento leggero e nella forza dell’amore di Dio. Per questo motivo si può affermare che l’incontro con Dio può avvenire nel silenzio e nella tenerezza dell’amore. Si manifesta nelle vicende quotidiane della vita e nella dolcezza dei sorrisi e dei volti di coloro che si lasciano abbracciare dall’amore di Dio e dalla forza dello Spirito Santo. La vita spirituale degli animatori della pastorale giovanile e degli stessi giovani cresce e matura se, nel silenzio e nella preghiera, si riesce a cogliere la presenza del Signore non nel clamore degli eventi, ma nella semplicità degli incontri. L’animatore, prima di sviluppare le capacità e le doti proprie di un bravo comunicatore, deve lasciarsi plasmare dal silenzio, dal raccoglimento e dalla tenerezza dell’amore di Dio. In questo modo, egli sarà capace di introdurre i giovani nell’esperienza contemplativa del silenzio, nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nell’incontro sacramentale e nella celebrazione della liturgia eucaristica.

Siate umanamente santi

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Martin BUBER, L’eclissi di Dio, ed. it. Edizioni di Comunità, Milano, 1961, pp.13-16

*di Luigi Cioni* Scesi nello studio che mi era stato offerto come luogo di lavoro, se ne avessi avuto bisogno, e vi trovai già seduto alla scrivania l’anziano signore. Dopo il saluto mi domandò subito dello scritto che avevo in mano e, saputone il contenuto, mi chiese se ero disposto a leggere ad alta voce. Accettai volentieri. Egli ascoltò gentilmente anche se con meraviglia e alla fine con evidente stupore. Quando ebbi terminato egli intervenne, dapprima esitante e poi sempre più appassionatamente, trascinato a dall’argomento che gli stava a cuore e disse: “Mi meraviglio che le sia possibile di pronunciare tante volte la parola ‘Dio’. Come può pensare che i lettori accolgano questo nome nel modo in cui lo vorrebbe sapere inteso e onorato? Lei intende parlare di colui che è superiore ad ogni avvicinamento, a ogni comprensione umana, proprio questo essere superiore lei vuole indicare; ma in quanto pronuncia il suo nome, lo lascia in balia dell’uomo. Quale altra parola del linguaggio umano fu così maltrattata, macchiata e deturpata? Tutto il sangue innocente che venne versato in suo nome, le ha tolto il suo splendore. Tutte le ingiustizie che fu costretta a coprire hanno offuscato la sua chiarezza. Mi sembra una diffamazione nominare l’Altissimo col nome di ‘Dio’”. Gli occhi chiari come quelli di un bambino lampeggiavano. La voce stessa era infiammata. Poi ci sedemmo di fronte in silenzio per un poco. La stanza era inondata dalla chiarezza del primo mattino. A me sembrava che con la luce entrasse in me una forza.. Non posso riferire esattamente ciò che risposi, posso soltanto accennare al discorso di allora.
“Sì”, risposi, “è la parola più sovraccarica di tutto il linguaggio umano, nessuna è stata talmente insudiciata e lacerata.. Proprio per questo non devo rinunciare ad essa. Generazioni di uomini hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; ora giace nella polvere e porta tutti i loro fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con la loro divisione in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue. Dove potrei trovare una parola che gli assomigliasse per indicare l’Altissimo? Se prendessi il concetto più puro e più splendido della tesoreria più riposta dei filosofi vi potrei trovare soltanto una pallida immagine di pensiero, ma non la presenza di colui che intendo, di colui che generazioni di uomini, con le loro innumerevoli vite e morti, hanno onorato e denigrato. Intendo parlare di quell’Essere a cui si rivolge l’umanità straziata ed esultante. Certamente essi disegnano smorfie e scrivono sotto ‘Dio’; si uccidono a vicenda e dicono ‘il nome di Dio’. Ma quando scompare ogni illusione e ogni inganno, quando gli stanno di fronte nell’oscurità piena di solitudine e non dicono più ‘Egli, Egli’, ma sospirano ‘Tu, Tu’ e implorano ‘Tu’, intendono lo stesso essere; e quando vi aggiungono ‘Dio’, non invocano forse il vero Dio l’unico vivente, il Dio delle creature umane? Non è forse lui che li ode? Che li – esaudisce? La parola ‘Dio’ non è forse proprio per questo la parola dell’invocazione, la Parola divenuta nome, consacrata per tutti i tempi in tutte le parlate umane? Possiamo rispettare coloro che lo disprezzano perché troppo spesso altri si coprono con questo nome per giustificare ingiustizie e soprusi; ma questo nome non dobbiamo abbandonare e sacrificare. Si può comprendere che vi sia chi desidera tacere per un periodo di tempo delle ‘cose ultime’, perché vengano redente le parole di cui si è fatto cattivo uso. Ma in tal modo non si possono redimere. Non possiamo lavare da tutte le macchie la parola ‘Dio’ e nemmeno renderla inviolata; possiamo però sollevarla da terra e, macchiata e lacerata com’è, innalzarla sopra un’ora di grande dolore”. La stanza si era fatta molto chiara. La luce non fluiva più, era presente.. L’anziano Signore si alzò, si diresse verso di me, mi pose la mano sulla spalla e mi disse: “Vogliamo darci del TU?” Il colloquio era compiuto. Poiché dove due sono uniti veramente, lo sono nel nome di Dio.

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Quante volte un abbraccio vale più di mille discorsi…

Il nostro discorso sulla relazione sembra non avere più una fine! Eppure credo che tutti stiamo intuendo che alcuni sviluppi sono necessari; che ci può essere un “oltre”, un “di più” che finora non abbiamo esplicitato, ma che si presenta come una necessità. Tutti vediamo che quando “comunichiamo” davvero con una persona, quando si sviluppa qualcosa che ci unisce davvero, quando davvero ci immettiamo nella dinamica del dono (confronta articolo “Donare o fare un regalo” di Luigi Cioni, Sentieri n.6) sentiamo che esiste un qualcosa che non riusciamo a spiegare semplicemente con le nostre qualità umane. Potremmo dire che ci sentiamo davvero “nel cuore di Dio”.
Sembra una affermazione totalmente derivata dalla fede, mentre fino ad ora abbiamo cercato di mostrare le ragioni antropologiche della nostra spiritualità; eppure anche adesso non è così. Certamente l’uomo non si esaurisce nel dinamismo della volontà e della materia. Certamente se cerchiamo di arrivare al fondo del nostro sentire scopriamo qualcosa che va oltre, e che le parole spesso non riescono a dire.
Sicuramente cercheremo di usare tutti i linguaggi di cui possediamo la chiave (quante volte un abbraccio ha significato più di mille discorsi?), sicuramente cercheremo di lasciare spazio anche al silenzio (come nel mio articolo del numero 1 di questa rivista), ma sappiamo che tutte le volte che useremo compiutamente la parola “tu” riusciremo ad aprire delle porte sconosciute, di cui pensavamo di non possedere le chiavi, di cui talvolta ignoriamo perfino l’esistenza.

Dalla terra al cielo Una strada che va dalla terra al cielo, dalla nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio: è questa la strada che dobbiamo percorrere, al di là delle nostre solitudini, dei momenti di buio. è questa la strada che ci permette di entrare in comunicazione vera con gli altri e che ci svela l’esistenza di un “oltre”. Siamo fatti per l’eternità.
Dalla terra al cielo
Una strada che va dalla terra al cielo, dalla nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio: è questa la strada che dobbiamo percorrere, al di là delle nostre solitudini, dei momenti di buio.
è questa la strada che ci permette di entrare in comunicazione vera con gli altri e che ci svela l’esistenza di un “oltre”.
Siamo fatti per l’eternità.

Certamente non sappiamo minimamente dove conducano!
Sappiamo solo che il nostro cuore si apre a dimensioni inconsuete, che una gioia inusuale si apre nel nostro animo. Ci sentiamo capaci di qualcosa di più grande della nostra piccola umanità. E anche se queste sensazioni durano poco, se poi ricadiamo abbastanza presto nella quotidianità e nel nostro egoismo (quando addirittura non nella notte dell’anima; confronta articolo “La notte oscura dell’anima” di Luigi Cioni n.4 Sentieri) il loro ricordo basta spesso a illuminarci, a farci coscienti del fatto che possiamo essere capaci di qualcosa di più, di qualcosa di meglio, di qualcosa di più alto.
Ma perché non ci montiamo la testa; perché non confidiamo troppo in noi stessi, io vorrei chiamare tutto questo con il suo vero nome: si chiama Dio. Quel Dio a cui diamo del Tu, perché per primo si è rivolto a noi interpellandoci nella nostra personalità più intima.

Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti colo-ro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.
Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Gaudium et spes n° 1

Un Dio a cui possiamo dare del Tu, perché la nostra vita (informata della sua presenza) ha imparato a dare del tu alle persone a cui vogliamo bene e sappiamo che quando arriviamo a questo livelli di confidenza (direi di relazione, che non si spiega con nessuna forma di conoscenza o esperienza), come abbiamo detto prima, ci troviamo in un “oltre” inaspettato.
Possiamo quindi percorrere una strada, che certamente è inversa rispetto alla realtà delle cose, ma diretta in base alla nostra esperienza; una strada che va dalla terra al cielo; dalle nostra piccola umanità alla “divinità” di cui siamo capaci, dal nostro piccolo amore, all’Amore di Dio.
Diceva Rabbi Menahem Mendel di Kotzk “Dio dice all’uomo: Siatemi umanamente santi!” e perché non crediamo che questo modo di sentire sia esclusivo di chi vive nella tradizione cristiana riporto altri due aneddoti ebraici che credo chi possano fornire spunti di riflessione:
Un discepolo chiese al suo rabbi: Perché vi scagliate sempre con violenza contro la ricchezza?
Il rabbi rispose: Figlio mio guarda dalla finestra; che cosa vedi? Il discepolo rispose: Vedo due donne che stanno conversando, una mamma col proprio bambino; due ragazzi che giocano in strada e un uomo che sta andando a lavorare.
Bravo! – esclamò il rabbi – adesso guarda verso lo specchio. Cosa vedi? (vorrei ricordare che per fare una specchio occorre stendere un sottile velo di argento dietro un vetro)
Rabbi, vedo me stesso!

ascolta: Sergio Cammariere: "mi troverai "
ascolta: Sergio Cammariere: mi troverai

Ecco! – esclamo il rabbi – Vedi? Basta pochissimo argento e l’uomo vede solo se stesso!”
Rabbi Davide senti un giorno un uomo semplice che, pregando, alla fine di ogni versetto diceva il nome di Dio. Questo avveniva perché alla fine del rigo stanno due punti uno sull’altro. (segno di punteggiatura, si chiamano iud che significa anche ebreo; nella tradizione ebraica, inoltre, il nome di Dio, impronunciabile, si abbrevia con due iud una accanto all’altra. Egli, nella sua semplicità credeva che il segno di punteggiatura fosse il nome di Dio).
Il rabbi allora gli disse: quando tu trovi due iud (o due giudei) uno accanto all’altro, lì è il nome di Dio. Ma dove uno iud sta sopra l’altro; lì Dio non può stare.

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L’amico ritrovato di Fred Uhlman Feltrinelli 1986
L’amico ritrovato di Fred Uhlman Feltrinelli 1986

TAU: quando la musica è strada di fede

tau_fmt*di Giulia Sarti* Bastano tre lettere per darsi uno stile di vita. Nella diocesi di Livorno la T, la A e la U, sono quelle scelte da ventisei ragazzi tra i 20 e i 30 anni di diverse parrocchie che attraverso la musica provano a raggiungere anche quei giovani più lontani dalla realtà ecclesiale.
Nato col nome “Rockettari di Cristo” nel 2011, oggi il gruppo dei TAU è conosciuto un po’ da tutti in diocesi. Era stata la GMG di Madrid a metterli insieme, spontaneamente senza decisioni a tavolino. Quel nome li ha accompagnati fino al 2014, anni durante i quali hanno animato diverse celebrazioni e feste diocesane.
Poi l’entusiasmo di papa Francesco, il suo amore verso i giovani, ha coinvolto anche loro tanto da portarli a un rinnovamento personale e come gruppo, un cambiamento di consapevolezza e priorità, raccontano. E, come scrivono sulla loro pagina Facebook, per rendere ancora più marcata l’adesione al Vangelo, hanno deciso di affidarsi a un simbolo tanto caro al Santo a cui anche il Papa si era voluto ispirare, che ricordasse l’impegno di vita nella sequela di Cristo.

un simbolo, un'idea
un simbolo, un’idea
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Concerti e spettacoli per cercare Dio e raccontarlo agli altri

Il TAU dicono, era anche stato il simbolo che il Vescovo della diocesi livornese, Simone Giusti, aveva regalato loro a uno dei primi concerti. Da lui e da alcuni diaconi e sacerdoti il gruppo in questi anni si è sempre sentito sostenuto e incoraggiato.
Coro a quattro voci, tastiera, chitarra elettrica e acustica, batteria e percussioni hanno dato vita al loro spettacolo d’esordio, “Dottore che sintomi ha la felicità”, scritto dopo uno scambio di testimonianze tra i membri del gruppo che avevano vissuto esperienze di diverso tipo, chi con il volontariato in Africa, chi con l’estate insieme a Libera, chi con momenti forti vissuti in ambienti di varia spiritualità.
Due le canzoni scritte e musicate al termine di questo percorso, tante le letture scelte che aiutassero il pubblico a una personale riflessione sulle Beatitudini e la propria ricerca della felicità. Un genere particolare di serata, un concerto-spettacolo in preghiera. Un mix di musica, canto, ballo e recitazione, nel quale ogni membro trovasse il suo spazio, impegnato in quello che sa fare meglio.
Un modo “giovane” per cercare di trasmettere un messaggio che accomuna tutti i ragazzi della loro età, spiegano.

TROVIAMO LA NOSTRA CHIAVE Coro a quattro voci, tastiera, chitarra elettrica e acustica, batteria e percussioni: mix di musica, canto, ballo e recitazione, nel quale ogni membro trova il suo spazio. I Tau diventano testimoni del Vangelo con la musica, i loro spettacoli si fanno coinvolgenti, raggiungono il cuore dei coetanei e dei più adulti e, con il loro linguaggio, arrivano anche i più lontani.
TROVIAMO LA NOSTRA CHIAVE
Coro a quattro voci, tastiera, chitarra elettrica e acustica, batteria e percussioni: mix di musica, canto, ballo e recitazione, nel quale ogni membro trova il suo spazio.
I Tau diventano testimoni del Vangelo con la musica, i loro spettacoli si fanno coinvolgenti, raggiungono il cuore dei coetanei e dei più adulti e, con il loro linguaggio, arrivano anche i più lontani.

A distanza di poco più di un anno per loro è poi arrivato il momento di un nuovo spettacolo, replicato in questi mesi in diverse parrocchie cittadine. “Trova la tua chiave” è pensato per riflettere sulla ricerca di Dio nella propria vita, attraverso quattro tappe a simboleggiare il cammino che ogni cristiano compie nel suo rapporto con Dio. “Ama e dillo con la vita”, un nuovo inedito in questo secondo lavoro interamente pensato e prodotto dal gruppo, con canti e letture scritte sulla base di testi biblici ed omelie di Papi accompagnate da brani del Vangelo, il tutto legato insieme da alcuni momenti di recitazione per “leggere” in modo diverso il disegno di Dio su ciascuno.

Ma i TAU non sono solo testimoni del Vangelo con la musica, le offerte raccolte durante tanti dei loro spettacoli sono servite per contribuire a diverse opere di solidarietà, oltre che per il proprio autofinanziamento.
Passo dopo passo il gruppo dei TAU cerca di farsi strada tra i giovani soprattutto i più lontani…che possa un giorno incidere un CD inedito come ha suggerito il loro Vescovo?

 

 

LEZIONI DI BEL CANTO
di Maria-Chiara Michelini

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La musica da sempre è un linguaggio di grande potenza

Leggendo l’esperienza dei TAU e guardando le loro foto, coloratissime e festose si pensa istintivamente: “Bello!”.

Bello il senso di quest’esperienza, bello l’impatto visivo, bella la storia, bello il percorso riflessivo, bello il messaggio, gli obiettivi e le modalità, belli i temi e le circolarità virtuose create attorno al nucleo centrale della proposta, bella la contaminazione di linguaggi. Bello.

Davanti alla bellezza di una proposta si genera un senso di grata evidenza e la liberatoria sensazione che, di una cosa del genere, ce ne fosse bisogno. La musica da sempre è un linguaggio di grande potenza e fascino. Per i giovani si aggiunge una cifra generazionale positiva, con valenza identitaria, carica di significati. L’idea di valorizzare questo canale privilegiato dalle giovani generazioni per esprimere e comunicare con loro i valori del vangelo, è sicuramente un’idea vincente. Riemerge, insomma, il tema delle forme del dialogo con i giovani, soprattutto quelli più lontani dalla realtà ecclesiale. Le forme rappresentano, certamente un primo passo nella direzione della comprensione, intesa come farsi prossimo, andando verso le esigenze e i linguaggi delle persone che conosciamo poco. Come abbiamo già avuto modo di dire per altre esperienze, questo primo passo non è però sufficiente. Neppure per spiegare il “successo” dei TAU. Non si tratta solo di confezionare un bel prodotto, appetibile e piacevole per raggiungere e coinvolgere i giovani “lontani”. Credo che i TAU lo abbiano capito e che, in ogni caso, siano impegnati in questa direzione.

Cosa muove i pellegrini?

Un-gruppo-di-viandanti_fmt*di Abramo Reniero* Vivo lungo il tragitto della via Francigena nel tratto che congiunge Massa e Pietrasanta. E’ il passaggio inevitabile sulla statale Aurelia. Per necessità geografiche determinate dalla conformazione del territorio, il pellegrino è costretto a percorrerlo, nonostante il traffico abbondante di auto e mezzi pesanti. Le alternative, segnalate, lo obbligherebbero a salire sulle colline con la conseguenza di allungare e rendere più faticoso, anche se panoramicamente molto più bello, il percorso.

Bene, da qualche anno ho notato un crescente aumento dei pellegrini. Il fenomeno ha poi assunto dimensioni significative durante l’anno santo appena concluso. Non ho un “contapellegrini” a disposizione, ma ho chiesto informazioni ad un amico sacerdote che, indirettamente, gestisce l’ospitalità ai viandanti nell’ex convento dei frati francescani di Pontremoli e mi ha confermato la tendenza in crescita, con un autentico “boom” di circa 2200 presenze, con pernottamento nella struttura, negli ultimi dieci mesi da gennaio a ottobre di quest’anno.

La Via Francigena, Franchigena, Francisca o Romea, è parte di un fascio di vie, dette anche vie romee, che conducevano dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia, a Roma.
La Via Francigena, Franchigena, Francisca o Romea, è parte di un fascio di vie, dette anche vie romee, che conducevano dall’Europa occidentale, in particolare dalla Francia, a Roma.

Un analogo movimento da anni in aumento viene segnalato anche sul cammino di Santiago de Compostela. Conosco diverse persone che lo hanno percorso, minimo per una settimana; recentemente mi è stato riferito anche di una conoscente, ex moglie di un amico, che mai avrei immaginato, diciamo per sensibilità culturale, sul Cammino.

Il fenomeno, che già mi incuriosiva, ha sollecitato in me ulteriori riflessioni dopo l’esperienza di quest’estate sulla via di San Francesco, dove gli incontri sono stati abbondanti. Chi sono queste persone che si mettono in strada per un viaggio così faticoso? Dove vanno e che cercano? Cosa li spinge? Ne conosco la meta fisica, Roma, ma qual è la meta esistenziale che li chiama e li fa muovere al centro della cristianità? Banalizzando potremmo rispondere: un’esperienza turistica diversa, alternativa. Banalizzando… appunto.
Sono per lo più, almeno quelle che incrocio sulla Francigena, persone adulte over 50 che viaggiano da sole o in due. Qualche anno fa, proprio a Pontremoli, ebbi l’occasione di scambiare due chiacchere con un pellegrino inglese, partito quasi due mesi prima da Canterbury, come il suo conterraneo vescovo Sigerico che circa mille anni prima aveva fatto il medesimo viaggio, dandocene un resoconto cronachistico.
Dunque, cosa li muove? Cosa è successo nella loro testa? Quale voce della coscienza ha smosso un’esistenza quotidiana ad uscire dagli schemi? Le mete – Roma, Assisi, Santiago – ci rispondono: hanno avvertito un bisogno spirituale. Per qualcuno probabilmente molto chiaro e identitario, una esperienza di fede cattolica, magari appena ritrovata, da sancire con un gesto netto oppure l’assolvimento di un voto per una grazia, quale-che-sia, ricevuta. Per altri e forse per i più, un bisogno ancora indistinto di Dio e quindi la scelta del cammino verso mete ben definite dalla loro storia secolare, quelle di un nascosto retaggio religioso cristiano che ancora rimane come sostrato in una società secolarizzata o, comunque sia, avvertite come piene di energie spirituali.

Approfondimento CAMMIN FACENDO A guardare i pellegrini moderni viene in mente la pastorale francese dei “revenantes”, l’esperienza di ricondurre alla fede quanti, da anni, se ne erano allontanati, oppure le tante persone che hai incontrato e che hanno percorso un cammino di conversione. A quel punto scatta anche un’altra domanda: ma non è che ai miei ragazzi sto facendo proposte di fede al ribasso? Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno? Non è che forse ci vuole qualcosa di più ampio, di più forte, di più caratterizzante per aiutare a crescere nella fede? Sono in grado, io, animatore, di intercettare le emergenze dello Spirito?
CAMMIN FACENDO
A guardare i pellegrini moderni viene in mente la pastorale francese dei “revenantes”, l’esperienza di ricondurre alla fede quanti, da anni, se ne erano allontanati, oppure le tante persone che hai incontrato e che hanno percorso un cammino di conversione. A quel punto scatta anche un’altra domanda: ma non è che ai miei ragazzi sto facendo proposte di fede al ribasso?
Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno? Non è che forse ci vuole qualcosa di più ampio, di più forte, di più caratterizzante per aiutare a crescere nella fede?
Sono in grado, io, animatore, di intercettare le emergenze dello Spirito?

Allora, tu che sei genericamente un operatore pastorale della parrocchia o membro di qualche movimento, ti domandi se sai intercettare questo bisogno, se sai leggere i fenomeni sociali e le emergenze dello Spirito. Ti viene in mente la pastorale francese dei revenantes – l’esperienza di ricondurre alla fede quanti da anni se ne erano allontanati – o il cammino di conversione di persone che hai conosciuto e ti domandi: ma non è che sto facendo proposte di fede al ribasso? Non è che per caso sto offrendo un mezzo bicchiere d’acqua a chi invece sente fiumi di acqua viva scaturire dal suo seno?